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Autore: cabol    20/05/2010    2 recensioni
Un ricco e odiato mercante assassinato e derubato. Molti sospetti, molti possibili moventi. Ma perché uccidere i suoi pesci rossi?
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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CAPITOLO 2

La stanza, arredata con semplice eleganza, era immersa nell'oscurità. Solo un esile raggio della luce del mattino filtrava dagli scuri accostati, illuminando vagamente una figura semisdraiata su di un comodo divano, gli occhi persi nelle tenebre del soffitto. La sua gamba sinistra dondolava nervosamente dal bracciolo imbottito, come un pendolo che scandiva l'inesorabile scorrere del tempo ed era l'unico indizio a dimostrare come il suo proprietario fosse perfettamente vigile.

Blackwind rifletteva intensamente, i fini lineamenti serrati nella concentrazione, le mani con le dita intrecciate dietro il capo, lo sguardo perso nel buio.

Dove ho sbagliato?

Un omicidio era un'eventualità che non aveva mai preso in considerazione, eppure era accaduto, nonostante la sua maniacale cura dei dettagli. Era stato, quasi fino all'ultimo, intimamente convinto che tutto fosse andato per il verso giusto e che, quella mattina, Nilboloc avrebbe dovuto svegliarsi beffato e alleggerito ma vivo.

Com'è finito quel veleno nel vino?

Tutta quella situazione gli pareva insensata. Non riusciva a capire se il destino gli avesse giocato uno scherzo maligno o se qualcuno avesse interferito intenzionalmente coi suoi piani. Ripassò mentalmente tutta la serata fino al suo tragico epilogo. Si sentiva schiacciato dall'assurdità degli eventi.

Dov'è l'errore?

La sua mente ripercorse i giorni precedenti, l'intera meticolosa preparazione e attuazione del piano, l'attesa paziente che si presentasse una combinazione favorevole, l'accurata verifica dei tempi d'ogni singola azione. No, l'errore non stava lì.

Mi sono tradito?

I suoi occhi turbati si soffermarono sulla porta della stanza. Al di là di quella, persone che lo amavano e stimavano non avrebbero esitato un istante a offrirgli comprensione e conforto. Un sorriso amaro affiorò sulle labbra del giovane. In quell'occasione non era stato all'altezza delle loro aspettative. Prima di varcare quella soglia, prima di coinvolgere anche coloro che amava, avrebbe dovuto comprendere chiaramente come quella faccenda avesse potuto sfuggirgli così assurdamente di mano. Forse la troppa sicurezza di sé lo aveva condotto a un errore fatale?

Sono stato superficiale in qualcosa?

La sua attenzione si rivolse ai membri della famiglia e agli ospiti. Possibile che qualcuno di loro avesse scoperto la sua identità e i suoi piani? O era tutta una beffarda, orribile coincidenza?

È tutto assurdo.

La stanza del delitto si delineò nella sua mente, il letto con il cadavere contorto, il forziere, la brocca del vino e il boccale vuoto sul pavimento macchiato di vino. Un solo sorso era stato sufficiente a uccidere Nilboloc. Nessun segno di lotta. Le finestre chiuse, dalle quali nessuno pareva essersi potuto introdurre. L'avvelenatore era entrato dalla porta e Nilboloc non doveva avere sospettato nulla.

E i pesci? Perché sono morti?

Quella domanda lo disorientava più di tutto. Eppure era convinto che dalla spiegazione di quel fatto apparentemente assurdo sarebbe scaturita la verità.

Uno spregio? Non ha senso, eppure...

I profondi occhi verdi tornarono a perdersi nelle tenebre del soffitto.

 

Holverius sedeva nello studio che era appartenuto a suo padre con la testa fra le mani. Dubitava di saper gestire quella situazione. Improvvisamente si era ritrovato oberato di responsabilità e, sebbene ci fosse abituato, quel giorno si era sentito schiacciare. Ora tutto era sulle sue spalle, l'impresa commerciale, l'impero immobiliare, la famiglia. Ma, prima di tutto, sentiva l'obbligo di colpire chi aveva osato perpetrare quell'omicidio. Per questo aveva fatto convocare l'ufficiale dai capelli rossi che si aggirava per la stanza più con l'aria di valutare la ricchezza della casa che di svolgere autentiche indagini. Lo osservò gironzolare per un po', poi si risolse a esternargli i propri dubbi.

«Indagini?». Rispose vivacemente l'ufficiale. «Ma cosa volete indagare, se il colpevole ha addirittura firmato il delitto? Si diceva che non fosse un omicida ma sono convinto che la fama di ladro gentiluomo di quell'individuo sia del tutto usurpata. Un ladro è un delinquente, esattamente come un assassino».

Il mercante si agitò sulla poltrona.

«Possiamo anche essere d'accordo, capitano Cragg, se lo dite voi, ci credo. Ma non ritenete possa essere utile capire come ha fatto? Chissà, potremmo riuscire a catturarlo e mandarlo sulla forca».

«Chi, Blackwind? Sono anni che proviamo a mettergli il sale sulla coda, non crederete che abbia lasciato tracce, vero? Ormai sappiamo come opera».

«E allora? Siete pagato per catturarlo!». Holverius stava perdendo quel poco di pazienza che gli era rimasta. Il capitano si voltò verso di lui con un'espressione esasperata.

«Certamente. Ma non per fare miracoli. Guardate voi stesso: non c'è un'impronta, non un indizio. Solo il boccale di vino dove ha versato il veleno e il biglietto in fondo al forziere vuoto. Mi dite cosa posso ricavare da questa miseria?».

«Diciamo un migliaio di monete d'oro ...». Soffiò Holverius che sperava di poter superare con un adeguato incentivo l'apparente inerzia dell'ufficiale. Ma il lampo di avidità che si era acceso nei suoi occhi si era anche immediatamente spento in un'espressione rassegnata.

«Potete offrirmene dieci volte tanto ma questo non mi fornisce indizi di sorta».

Il mercante scattò in piedi, in preda alla collera. Tutta quella faccenda gli pareva assurda.

«Ma come ha fatto a entrare in camera di mio padre, avvelenargli il vino, svuotargli il forziere e firmare questo bel capolavoro senza lasciare tracce né essere visto da qualcuno?».

«Non ne ho idea. Però l'ha fatto».

«E poi perché mai ... No. Se questo è tutto quel che la Guardia di Elos ha da offrire, potete andarvene al diavolo. Mi rivolgerò a qualcuno che sappia cavarsela meglio!».

«Non troverete nessuno migliore di noi».

Holverius sbatté un violento pugno sullo scrittoio.

«Può darsi. Ma, a questo punto, sono certo che non troverò nessuno peggiore».

L'ufficiale cessò di passeggiare per la stanza, soffermandosi davanti alla scrivania per fissare sul mercante uno sguardo irritato.

«Sentite, messer Nilboloc, è inutile litigare fra noi. Assicuratemi piena collaborazione e proverò a fare qualche indagine. Non prendetevela con me se però non approderemo a nulla».

«Cosa intendete per piena collaborazione?». Sibilò Holverius, solo appena rabbonito da quella cauta apertura da parte del capitano.

«Intendo l'autorizzazione a interrogare chiunque e la vostra parola che mi risponderete con assoluta sincerità». Il mercante sobbalzò.

«Capitano, mi offendete. Cosa vi fa pensare che io possa rispondervi con delle menzogne?».

«Cominciamo subito male, messere. Credete che io sia uno stupido? So perfettamente che voi mercanti non agite sempre, per così dire, nel pieno rispetto della legge. Però sappiate che a me interessa solo mettere le mani su quell'assassino e non ho intenzione di occuparmi di altro. Spero che i nostri interessi convergano, altrimenti potete tranquillamente arrangiarvi».

Holverius scrutò attentamente l'ufficiale, quasi per valutarne l'affidabilità. Accettare quella condizione poteva significare un grosso rischio, sebbene le malversazioni peggiori fossero tutte farina del sacco di suo padre, non più punibile, e del suo socio. Ne valeva la pena? E se l'idea che gli stava tormentando la mente fosse stata vera? Sospirò e si risolse a rispondere. Quell'indagine doveva perlomeno cominciare. Se poi avesse preso una piega pericolosa, avrebbe sempre potuto liquidare quell'ufficiale con una ricca mancia.

«Avanti, capitano, chiedete pure».

«Siete a conoscenza di qualcuno che avesse in odio vostro padre?».

«Sinceramente? Non credo che mi basterebbe mezza giornata per farvi l'elenco».

«Capisco. Coincide con le informazioni che avevo. E di coloro che ieri sera erano presenti in casa vostra, conoscete qualcuno che avrebbe avuto interesse a ucciderlo?».

«Praticamente tutti. Me incluso. Per carità, non avevo alcun motivo per odiarlo ma sono il suo erede principale ... ovviamente, molti lo odiavano davvero».

«Anche vostra sorella?».

«Certamente. L'ha obbligata a sposare un uomo anziano solo per interesse. Mia sorella non l'ha mai perdonato per questo».

Cragg sospirò. Era anche peggio di quanto si era immaginato.

«E vostra madre?».

«Lei era quella che aveva le ragioni migliori, la tradiva e umiliava continuamente».

L'ufficiale si accigliò. Quell'interrogatorio non lo stava portando da nessuna parte. E, intanto, quel bel tomo dalla faccia imbronciata aveva già servito madre e sorella.

«Forse faccio prima a chiedervi chi non aveva interesse a vederlo morto».

Holverius sorrise senza allegria. Ormai, un dubbio si era fatto strada nella sua mente e stava crescendo di momento in momento.

«La servitù, forse, poi mia figlia e il suo fidanzato, almeno fino a ieri».

«Perché vostra figlia? E perché il fidanzato fino a ieri?».

«Perché si sono ignorati da sempre. Per lei lui non esisteva e viceversa. Il suo fidanzato, invece era interessato a lavorare con mio padre».

«E vostro padre era interessato a lavorare con lui?».

«Mio padre? Scherzate? Lo riteneva un perfetto imbecille, ieri sera avevano avuto un colloquio e dubito che Crown ne sia rimasto soddisfatto».

«E voi? Condividete la sua opinione?».

«No. Crown è un viscido bastardo, astuto e infido. Fosse stato per me, sarebbe stato bene alla larga da mia figlia. E da ora in poi sarà così».

«E perché avete permesso il fidanzamento?».

Holverius sospirò.

«Perché mio padre l'aveva espressamente autorizzato. Capitano, voi non lo conoscevate ma quell'uomo teneva in pugno tutti noi ed era abituato a manovrarci come marionette. Opporsi a lui era praticamente impossibile ed estremamente pericoloso».

«Non vi eravate stufato di questa situazione?». Il capitano pose la domanda con fare distratto, osservando un libro su uno scaffale.

«Certo. Come tutti in questa casa. Ma non l'ho ucciso io, se è a questo che state pensando».

«Oh, quello che penso io è del tutto irrilevante. Piuttosto, ditemi: vostro padre aveva l'abitudine di bere un boccale di vino prima di coricarsi?».

«Sì, da sempre. Teneva sempre una brocca in camera e ogni sera si versava un bicchiere».

«Siete certo che la brocca che è in camera sia quella che c'era anche ieri?».

«Ne sono certissimo perché ho ordinato io al maggiordomo di portarne una nuova, due sere fa».

«In questo caso, c'è un ulteriore problema».

«Quale, scusate?».

«Nella brocca non c'è traccia di veleno. Nel boccale sì».

«Cosa ci sarebbe di strano?».

«Semplicemente che il veleno è stato versato nel boccale e non nella brocca, mentre sarebbe stato logico il contrario».

«Non capisco perché ... significa che il veleno era già nel bicchiere?».

«Questo mi sembra difficile. Vostro padre avrebbe avvertito l'odore di mandorle appena preso il boccale e dubito che lo avrebbe usato».

«Volete dire che il veleno è stato aggiunto dopo che mio padre si era versato il vino?».

«Proprio così. Dunque, Blackwind era nella stanza, insieme a vostro padre».

I peggiori sospetti di Holverius stavano prendendo sempre più consistenza. Nella sua voce comparve una nota angosciata.

«Ma da dove è passato? Le finestre erano chiuse!».

«Forse è stato proprio messer Siverius ad aprirgli».

«E perché? Se mio padre avesse avuto qualcosa a che fare con quel bandito, state certo che mi avrebbe confidato qualcosa».

«Eppure parrebbe proprio così. Fra l'altro, ieri sera pioveva a dirotto e, se fosse stata aperta una finestra, avremmo dovuto trovare tracce di umido. Invece non ce ne sono».

Il capitano aveva ripreso a passeggiare nervosamente per la stanza. In quel quadro di Blackwind che veniva ricevuto in piena notte e offriva un bicchiere di vino avvelenato a Nilboloc, in effetti, c'era qualcosa di stonato, anche se non riusciva a inquadrare bene cosa.

«Sospettate che mio padre fosse in affari con Blackwind? Che questo sarebbe il movente dell'omicidio? Ma tutto questo è una palese assurdità! Mio padre non era uno stinco di santo e può essere che abbia avuto a che fare con individui dall'onestà dubbia ma non era uno sprovveduto e, comunque, non avrebbe mai corso il rischio di affrontarlo da solo. Diffidava di tutti, figuratevi di un famoso bandito!».

I dubbi di Holverius erano aumentati dell'altro. Quella ricostruzione non stava in piedi. Ma suffragava ulteriormente i suoi timori.

«Per ora, non preoccupatevi dei miei sospetti, messere. Lasciatemi proseguire nelle indagini, potrei parlare con vostra madre o vostra sorella?».

«Certamente, capitano, purché mi sia permesso di assistere all'interrogatorio».

«Non ho obiezioni ma tenete ben chiaro in mente che sono io a dirigere l'indagine».

Mezzora dopo, Lory Nilboloc, austera e pallida, fece il suo ingresso nello studio. Camminava eretta e sicura, gli occhi ancora tanto belli, erano lievemente arrossati ma non una lacrima tremava sulle sue ciglia.

Sedette con grazia sulla poltrona, davanti all'ufficiale che la guardava con palese ammirazione.

«Chiedete pure, capitano. Sono pronta a rispondere alle vostre domande».

L'ufficiale si schiarì la voce prima di parlare e, quando lo fece, la sua voce esprimeva profondo rispetto.

«Perdonatemi, mia signora, se sono costretto a interrogarvi in questo momento di dolore».

«Non datevi pena, capitano. Non sto soffrendo affatto. Non più di qualsiasi altro giorno della mia vita da quando ho conosciuto mio marito».

Gli occhi della donna erano fissi in quelli dell'ufficiale. La sua voce era ferma e sicura.

«Non vi addolora la morte di messer Nilboloc?».

«No. Non vi stupite, capitano, forse mio figlio non ve l'ha ancora detto ma quell'uomo mi ha solo fatto del male. Non avevo nessun motivo per amarlo e non ho nessun motivo per piangerlo. Avrei avuto, invece, mille motivi per ucciderlo. Ma non l'ho fatto».

«Io ... comprendo. Vi ringrazio per la franchezza. Potete rispondermi con altrettanta sincerità, se vi chiedo dove avete trascorso la notte?».

«Certamente. Ero in camera mia. Sola, ovviamente, visto che Siverius era a sollazzarsi altrove».

«Non siete mai uscita dalla vostra stanza?».

«Mai. Ho pianto un poco, poi ho dormito. Prendo una tisana soporifera da tanti anni, altrimenti non potrei mai prendere sonno. Da oggi, forse, potrò dormire meglio».

Holverius taceva, assorto, gli occhi fissi sulla madre e mille pensieri nella mente.

«Chi vi prepara la tisana?».

«Io stessa. Ho dimestichezza con le erbe. E coi veleni, lo ammetto. Tante volte ho fantasticato di propinargliene qualcuno. O di prenderlo io. Ma sono rimaste fantasie di una mente turbata. Illusioni di orgoglio».

Il capitano Cragg pareva decisamente intimidito. La rabbiosa franchezza di quella donna lo spiazzava. Con le informazioni che gli aveva fornito, lui non avrebbe fatto alcuna fatica a incriminarla. Ed era certo che lei lo sapesse perfettamente.

«Abbiamo motivo di ritenere che Blackwind si sia introdotto in camera di vostro marito e l'abbia avvelenato. Ritenete possibile che uno sconosciuto abbia potuto raggiungere queste stanze senza farsi scoprire?».

«No, capitano. Sinceramente, mi sembra un'autentica follia anche il solo pensarlo. Uno sconosciuto avrebbe attraversato mezza casa senza essere notato? Ma soprattutto, avrebbe avvelenato Siverius senza che lui reagisse? Non lo credo possibile. Se è arrivato fin qui, doveva essere qualcuno di casa o che, comunque, non destasse sospetti».

«Anche a notte fonda?».

«Soprattutto a notte fonda. Siverius aveva sempre badato alla sicurezza e ci sono sei uomini che sorvegliano la casa ogni notte. Holverius ve lo può confermare».

Il mercante parve riscuotersi.

«Come? Ma sì. La sorveglianza della casa è accurata, capitano. Se qualcuno è entrato qui doveva provenire dall'interno della casa, altrimenti si sarebbe imbattuto certamente nelle guardie».

«Forse. Ma vi ricordo che Blackwind è un diavolo in queste cose. Comunque, accetto la vostra opinione, almeno fino a prova contraria». L'ufficiale pareva sempre più perplesso. «Mia signora, non intendo disturbarvi oltre, stamani, potete andare. Spero di non avervi cagionato eccessivo turbamento».

«Come siete formale capitano! Non sono turbata, credetemi, né per cagion vostra, né per la morte di mio marito. Vi auguro di scoprire chi l'ha ucciso. Almeno avrò qualcuno da ricordare nelle mie preghiere».

Detto questo, la dama si alzò in piedi e uscì con incedere elegante dallo studio. Pochi istanti dopo, una versione più giovane della vedova entrò nella stanza. Umbia Nilboloc assomigliava tantissimo alla madre ma non ne possedeva in alcun modo l'innata eleganza né il carisma.

«Accomodatevi, lady Boxis, perdonatemi per l'incomodo ma sono obbligato a farvi alcune domande».

La donna sedette piuttosto rigidamente, fissando sull'ufficiale i grandi occhi dai quali trasparivano paura e imbarazzo ma neppure l'ombra del fascino della madre.

«Scusatemi, capitano, sono molto turbata ... ».

«Vi capisco».

«Com'è stato possibile? Intendo dire ... lo prenderete quel Blackwind, vero? Ed io che pensavo fosse un tipo affascinante ... cioè ... lo descrivono tutte come un...».

«... un gentiluomo, vero? Bene, io credo che si tratti di un comune malfattore, milady. Faremo di tutto per prenderlo. Voi, intanto, potereste avere la compiacenza di rispondere ad alcune questioni?».

I grandi occhi lo guardarono costernati.

«Compia ... cenza?». La donna guardò il fratello come cercando un appiglio. Holverius sorrise sornione e ammiccò all'ufficiale.

«Vuol dire gentilezza, sorellina. Il capitano vorrebbe solo farti qualche domanda».

«Ah, certo, capitano. Chiedete pure».

«Ehm, mia signora, in quali rapporti eravate con messer Siverius?».

«Rapporti? Ah intendete dire se andavamo d'accordo? Ma certo, come potreste dubitarne?».

«Non ne dubito affatto, abbiate pazienza ma sono domande che devo fare. Ma non avevate nessun disaccordo proprio su nulla? E vostro marito come si trovava col suocero?».

«Mio marito? Pier? Oh ma Pier ha ... aveva tantissimo rispetto per mio padre. Fu lui che decise il nostro matrimonio».

«Lui? Intendete dire vostro padre?».

«Ma sì. Non si capiva? Mio padre lo scelse perché era ricco e di nobile famiglia. Diceva che il nostro matrimonio avrebbe nobi ... lizzato la famiglia. Insomma, qualcosa del genere».

«Nobilitato, sorellina, nobilitato».

«Ah, sì, grazie Holverius. Diceva proprio così».

«Ma voi siete stata contenta di sposarvi?».

«Non è un po' imper ... impertinente, uffa, questa domanda? Comunque, avrei preferito uno sposo bello e giovane ma Pier è gentile e premuroso e la sua casa è anche più bella di questa. All'inizio non ero contenta ma ora sono quasi sicura che mio padre ha scelto bene».

L'ufficiale alzò gli occhi al cielo. Non si attendeva un simile strazio, dunque decise di congedare la dama, dubitando di riuscire a cavarne qualcosa.

«Va bene, milady. Non ho altro da chiedervi, potete andare, vi ringrazio della cortesia».

«Aspetta un attimo, sorellina. A che ora siete andati via, ieri sera?».

«Non saprei, ho chiacchierato tanto con Kathya, sai? Non doveva mancare molto a mezzanotte, perché quando sono arrivata a casa le campane del senato hanno suonato a festa. Pier deve essere tornato dopo un paio d'ore, sai, è andato al porto a controllare una nave».

«Ma davvero? Grazie sorellina, sei un vero tesoro».

Holverius strizzò l'occhio all'allibito capitano, mentre la sorella si allontanava a passo svelto dalla stanza. Quando la porta si richiuse, l'ufficiale si rivolse al mercante.

«Ma è sempre così?».

«Non sempre, quando è emozionata è peggio. Comunque, credo fareste bene a informarvi su come mio cognato ha passato quelle due ore. D'inverno nessuna nave prende il largo né, tantomeno, attracca».

«Avete ragione. Devo riconoscere che vostra sorella mi ha un po' colto di sorpresa. È molto diversa da voi».

«Non fidatevi dell'impressione. Forse non è un genio ma sa quel che fa e molto di questo atteggiamento è una strategia per farsi sottovalutare. Intanto ci ha fatto nascere dei dubbi sull'adorato marito».

Il capitano guardò pensosamente Holverius. Avrebbe voluto fargli altre domande, ma l'ingresso di lord Boxis lo costrinse a concentrarsi sul nuovo venuto.

Era un uomo alto e magro, dal profilo aquilino, leggermente curvo. Doveva avere passato la settantina da un pezzo e l'ufficiale non poté fare a meno di rilevare che fra lui e la moglie dovevano intercorrere almeno quarant'anni. Troppi. Vestiva con eleganza, esibendo il suo rango senza particolare ostentazione. Gli occhi, piccoli e vivaci, parevano valutare tutto e tutti, senza curiosità ma, piuttosto, con interesse quasi professionale.

«Buongiorno, milord, accomodatevi».

«Buongiorno, capitano, trovo piuttosto assurdo questo interrogatorio. Se ci sono sospetti sulla mia persona, vi informo fin d'ora che sono un senatore e intendo essere giudicato dai miei pari».

Holverius soffocò una risatina, osservando di sottecchi il capitano Cragg che era visibilmente impallidito.

«Non c'è alcun sospetto su di voi, vostra grazia. Devo solo farvi qualche domanda per sapere se, per caso avete notato o udito qualcosa che può esserci d'aiuto nelle indagini».

«In tal caso consideratemi a vostra disposizione».

Cragg parve respirare meglio.

«Innanzitutto, fino a che ora vi siete trattenuto qui, ieri sera?».

«Fino quasi a mezzanotte. Mia moglie si era messa in testa di chiacchierare con la signora Berifaol, la quale non pareva affatto dell'umore. Era tetra e nervosa. Una serata straziante, credetemi. Quando lady Boxis si è convinta che continuare a parlare da sola non avrebbe portato a nulla, ce ne siamo andati nel nostro palazzo».

«Capisco. Ma avete capito cosa turbasse la signora Berifaol?».

«Credo che non le fossero andati giù alcuni bocconi amari. Osservava messer Nilboloc come se volesse incenerirlo con lo sguardo. Perdonatemi, Holverius, ma vostro padre doveva averla davvero fatta esasperare».

Holverius gli scoccò un'occhiata infastidita.

«Mio padre era uno specialista nel far esasperare la gente, non lo nego. Ma non mi risulta che avesse fatto nulla di particolare a dama Berifaol».

«Mi permetto di correggervi, messere, affinché non ripetiate gli errori paterni. Le donne sono creature banali e prevedibili nei loro processi mentali. Sappiamo tutti che messer Berifaol aveva visto ridursi notevolmente il suo peso nella sua società a beneficio di vostro padre. E questo una donna lo considera un affronto grave, dal momento che vive della luce riflessa dal marito. Minor potere per messer Berifaol significa minor prestigio per sua moglie. È banale. E, siccome le donne sono rabbiose e vendicative, la signora ha trascorso la serata rimuginando su come farla pagare a vostro padre. Può darsi che abbia trovato un modo».

«Scusate milord. Tutto questo lo avete dedotto osservando la signora Berifaol?». Il capitano cominciava a essere stufo di quel saccente vecchiaccio.

«Dall'osservazione e dalla conoscenza del perverso animo delle femmine».

Holverius guardava entrambi sorridendo.

«Ovviamente, milord. Ma messer Berifaol non avrebbe ancora più motivi della moglie di provare simili sentimenti? Perché sospettare di lei, anziché del marito?».

«Ma perché gli uomini sono assai meno subdoli, messer Holverius. Noi possiamo montare in collera e aggredire oppure progettare una vendetta attuandola però con metodi virili. Una coltellata, una freccia, un colpo di spada, perdinci! Il veleno è un'arma sleale, tipicamente femminile!».

Cragg ascoltò pensieroso il ragionamento del nobiluomo. Quel tipo aveva una boria insopportabile ma i suoi ragionamenti non mancavano di una certa logica.

«Quindi, secondo voi, il veleno sarebbe una specie di marchio di fabbrica femminile?».

«Esattamente».

«Però abbiamo trovato un biglietto firmato Blackwind. Che non mi risulta essere una femmina».

«Avete ragione, messere. Ma se fosse falso? Che significato avrebbe firmare un omicidio? Un furto lo capisco, aggiunge la beffa al danno. Ma i morti non possono leggere i biglietti. Non ha senso!».

Un cogitabondo silenzio accolse le sue parole. Anche Holverius pareva colpito. Il capitano fu il primo a riscuotersi.

«Vi devo davvero ringraziare milord. Ci siete stato davvero utilissimo. Terremo in debito conto queste vostre perle di saggezza. Avete osservato altre cose insolite, per caso?».

«Bah, di insolito direi di no. La solita lite fra il rampollo Berifaol e il fidanzato di madamigella Beryl. Perdonatemi, Holverius, ma trovo assurdo che due così bravi ragazzi debbano guastare la loro amicizia per via di una sottana. Ma i giovani sono così. Ormai si è perso il senso della dignità virile».

Holverius, in realtà non parve averlo nemmeno ascoltato e borbottò qualcosa di incomprensibile. Il capitano si rese conto che non avrebbe ricavato altro d'interessante, dunque congedò ossequiosamente l'augusto testimone. Questi si alzò con aria soddisfatta e salutò cortesemente i due uomini. Quando la porta si fu richiusa dietro le spalle del nobiluomo, Holverius parve riscuotersi.

«Santi numi, quanta prosopopea! Quel vecchiaccio s'intende di donne quanto io di coltivazione dei carciofi. Dubito ne abbia mai toccata una! Però c'è qualcosa di sensato nei suoi sproloqui».

Cragg annuì.

«Lo penso anch'io. Credo che dovremo interrogare i coniugi Berifaol per saperne di più».

  
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