Film > The Phantom of the Opera
Segui la storia  |       
Autore: Alkimia    20/05/2010    3 recensioni
E se Christine si innamorasse di Erik fin dall'inizio? E se i direttori del teatro assoldassero qualcuno per indagare sul Fantasma dell'Opera e stanarlo? E se, per tutti, le cose si rivelassero ancora più complicate di quanto sembrano?... Non sono una grande fan della coppia Erik/Christine, ma mi sono sempre chiesta se le cose potevano andare diversamente, questa è la risposta che mi sono data.
Genere: Azione, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ci ha provato un autista modenese a mettermi sotto, ma non sono morta...
 Qualcuno avrà pensato che fossi scappata ai Caraibi, qualcuno avrà creduto che finalmente mi avessero internata, e invece no. Sono semplicemente stata sommersa da studio, lavoro, rogne burocratiche e analisi mediche tutte insieme.
 Rimando le risposte alle recensioni al prossimo aggiornamento (che spero avvenga prima del 2012 perchè sarebbe un peccato non arrivare in tempo a postare i capitoli conclusivi del delirio), intanto ringrazio tutti i seguaci, segugi e seguitori di questa storia ^^

***************

CAPITOLO VENTUNESIMO
il Don Juan

Alla donna la scena parve piuttosto insolita eppure il suo cuore fu avvolto da un'ondata di tenerezza. Eloise guardava Erik e Christine al suo capezzale, la ragazza seduta sul bordo del letto e l'uomo in piedi accanto a lei, come una coppia di sposi andati a far visita a una vecchia amica. Due anime incapaci di stare lontane, incapaci di respingersi anche se dai loro volti era chiaro che era successo qualcosa.
«Vi prego, non ne posso più di vedere musi lunghi» borbottò Madame Giry massaggiandosi le tempie.
«E io non ne posso più di vedere certe facce in giro mentre sono per i miei affari» replicò Erik brusco lanciando un'occhiata severa verso Christine.
«Ma di cosa stai parlando?» domandò Eloise corrugando la fronte.
La fanciulla seduta sul letto sospirò
«Ero andata al cimitero a far visita alla tomba di mio padre, ieri» spiegò scrutando ansiosa il volto della donna. «Erik era con me, poi è arrivato Alexandre».
Madame Giry sussultò, lei e Christine si scambiarono una rapida occhiata mentre Erik sbuffava,
«Quel ragazzo ficcanaso ha delle vere e proprie manie di persecuzione!» esclamò con un gesto stizzito.
«Senti chi parla!» gli fece eco la donna rimediandosi un'occhiataccia.
«È così testardo, così ostinato!» proseguì lui. «Ma a quanto pare Christine si fida ciecamente, dico bene? Sa persino come mi chiamo!»
«Sarò pure libera di agire come meglio credo, di pensare con la mia testa e di accordare la mia fiducia a chi mi pare!» replicò la giovane.
Madame Giry ridacchiò tra sé e sé piacevolmente sorpresa di vedere la sua bambina così decisa e battagliera anche alle prese con Erik.
«Non quando riguarda anche me! Potevi almeno mettermi a parte di questa tua... concessione di fiducia!» borbottò lui.
«Non ti ho mai nascosto la mia stima per Alexandre, anzi ti ho sempre incoraggiato a provare considerarlo sotto una luce diversa. Ma se trovi che lui sia ostinato e testardo, tu non sei da meno!»
«Adesso trovi anche che mi assomigli?!»
«Trovo che talvolta dovresti sforzarti di guardare un po' più in là del tuo naso» concluse Christine.
«Non c'è niente di più genuino di due innamorati che bisticciano!» commentò Eloise sinceramente divertita, anche se l'ultimo commento di Erik sulla somiglianza con  Alexandre le aveva fatto saltare un battito.
Christine sospirò,
«Il dottore ha detto che non devi agitarti, e noi siamo qui a punzecchiarci come due ragazzini» mormorò dispiaciuta, poi allungò la mano a prendere quella di Erik in una tacita di richiesta di tregua, l'uomo ricambiò la sua stretta e la fissò per qualche secondo.
«Preferirei agitazioni come questa ogni giorno» rispose Eloise, «piuttosto che un altro tipo di pensieri. Erik...»
«Sì?».
Madame Giry si morse il labbro come se volesse trattenere le parole che davano voce a una riflessione che ormai contemplava da diverso tempo ma che aveva sempre avuto paura di esprimere. Avrebbe fatto male ad Erik ascoltare quelle parole, così come faceva male a lei pronunciarle,
«Io credo che tu te ne debba andare» concluse quasi a fatica, girando il volto in direzione del muro accanto al letto, incapace di sostenere lo sguardo dell'uomo.
«Come puoi dire una cosa del genere? Proprio tu!» esclamò lui mentre Christine lo implorava con lo sguardo di mantenere la calma «E cosa pensi che farei dopo? Oh, no Eloise, questo teatro è mio, non sono io ad essere di troppo qui dentro!».
La sola idea di lasciare quel posto che era stata tutta la sua vita fin da quando era bambino lo terrorizzava più di quanto fosse disposto ad ammettere. Non era solo un puntiglio, una questione di orgoglio, per lui vivere lì rappresentava l'essenza stessa dell'esistere, del respirare, dell'aprire gli occhi e andare in contro a un giorno nuovo senza sapere cosa sarebbe accaduto.
La donna tornò a guardarlo con aria seria, nei suoi occhi la durezza si mescolava alla pena che provava pensando a quella situazione,
«Dovresti pensare anche a Christine» gli disse. «Lei ha diritto a una vita tranquilla... a una vita vera. E anche tu hai diritto al tuo posto nel mondo».
Erik guardò la fanciulla che non osava parlare e che teneva lo sguardo basso con espressione confusa.
«Peccato che non ci sia altro posto al mondo in cui io possa essere me stesso...» sospirò.
«Potresti essere un genio, potresti stupire il mondo se...»
«Se il mondo mi volesse!»
«Ti prego, non cominciare! Puoi sempre dare al mondo un'altra chance» disse madame Giry. «Non sei più un bambino indifeso, smettila di essere così codardo!»
Erik sussultò e guardò la donna corrugando la fronte,
«È questo che pensi di me? Che io sia un codardo?» tuonò rabbioso.
Eloise scattò mettendosi a sedere nel letto,
«Penso che sia ora di smetterla di vivere rinchiuso come una talpa!» replicò furente.
Christine le posò le mani sulle spalle e la spinse delicatamente per farla tornare stesa,
«Ti prego, non devi agitarti» le disse in tono apprensivo, poi si voltò verso l'uomo. «E tu smettila! In nome di Dio!»
«Non sono io quello che ha cominciato a dire assurdità!» ribatté Erik.
La giovane sospirò esasperata,
«Molto bene, penso sia arrivata l'ora che noi togliamo il disturbo» concluse lasciando che Erik si allontanasse silenziosamente e trattenendosi pochi minuti, fino a quando Madame Giry non le sembrò essersi tranquillizzata.

Dopo cena Christine raggiunse la Dimora sul Lago. Trovò Erik intento a ricopiare alcuni spartiti, era così immerso nel suo lavoro che quasi non la sentì arrivare, fino a quando lei non lo raggiunse e lo chiamò con voce fioca.
Lui alzò la testa dal leggio e sospirò voltandosi lentamente verso la ragazza che rimase a qualche passo di distanza,
«Cosa c'è?» chiese lui. «Pensi anche tu che io sia un codardo?»
«Penso che quando Madame Giry dice qualcosa lo fa nell'interesse di chi le sta a cuore» rispose Christine stringendosi nelle spalle.
«Mi sono agitato molto prima... ma è perché credo che lei abbia ragione. Sono un codardo e sicuramente tu meriti qualcosa di meglio...»
«Erik, ti prego, non dirlo nemmeno...»
«No, lasciami finire. Ma non è solo per paura che non riesco a sopportare l'idea di lasciare questo teatro» ammise. «L'Opera è una parte di me... o forse io sono sono parte di questo posto». Era così che si era sentito in tutti quegli anni: un cuore pulsante, pieno di energia ma che non può vivere separato dal corpo in cui è racchiuso.
L'uomo si morse il labbro e tese le mani verso la ragazza,
«Ti prego, Christine, abbracciami» sospirò.
Lei gli si avvicinò e lo strinse forte contro di sé per fargli sentire tutto il suo calore, tutto il suo sostegno,
«Io ti amo» gli mormorò. «E voglio stare con te, qualsiasi scelta farai, in qualsiasi luogo vorrai vivere».
Erik la baciò con forza, affondando le dita tra i fluenti riccioli castani.
Le loro vite si appartenevano, in ogni singolo respiro, anche nel più assopito battito di cuore. E loro ne erano consapevoli, con una tale violenza che persino la certezza di amarsi alle volte riusciva a far male.

*

«Quando sarà pronto lo spettacolo?» domandò Alexandre facendo cadere una zolletta di zucchero nella sua tazza da tè.
«In meno di un mese. Ma i direttori non lo metteranno in scena prima di un mese e mezzo» spiegò Raoul sollevando il piattino di fine porcellana.
Il giornalista annuì con aria distratta, il suo sguardo si fissò nel vuoto mentre si lasciava sopraffare dalle sue riflessioni.
C'era qualcosa che bolliva in pentola, il Fantasma non voleva semplicemente che la sua opera venisse rappresentata, voleva di più... quella recita sarebbe stata l'occasione per fare qualcosa, ma cosa?
Sapeva che la risposta avrebbe potuto essere tanto evidente e scontata che la sua mente non sarebbe mai arrivata a prenderla in considerazione, così come avrebbe potuto essere una tale sorprendente macchinazione da non riuscire a prevederla nemmeno se ci avesse riflettuto per mesi.
Eppure l'altra mattina al cimitero aveva ottenuto una piccola vittoria su quell'uomo. Lo aveva visto esitare, aveva scorto la sorpresa nel suo sguardo quando gli aveva detto che non lo credeva un mostro. E il Fantasma gli aveva parlato non come si fa con un nemico, malgrado ci fosse tanta diffidenza nel suo sguardo.
Aveva detto che avrebbe persino potuto aiutarlo. Era sincero, lo avrebbe fatto ma non sapeva come. Non sapeva nemmeno di che genere d'aiuto lui avesse davvero bisogno. Un complice per scappare dal teatro? No, probabilmente la fuga non era contemplata nei suoi piani: il Fantasma dell'Opera sarebbe bruciato vivo insieme al suo teatro piuttosto che abbandonarlo, di questo Alexandre era più che sicuro.
O forse non c'era niente da fare, forse quell'uomo tanto geniale non aveva bisogno di alcun tipo di aiuto, e il giornalista si disse che questa mania di voler fare a tutti costi qualcosa per lui era solo una sua personale ossessione. Tutto di Erik lo ossessionava! La voce, i gesti, lo sguardo, il temperamento. Una sensazione inafferrabile eppure così forte tanto da essere quasi una certezza, il sentore che c'era qualcosa tra loro, un legame che si era instaurato chissà come, chissà perché... qualcosa che gli era parso talmente assurdo da essere inconfessabile, da credere di essere davvero impazzito a causa di quella vicenda.
«Alexandre?...» Raoul cercò di riportarlo alla realtà, lui si scosse e si stropicciò la faccia.
«Sì, sì, lo so cosa stai per dirmi... che devo mollare la presa, che questa storia mi farà ammalare...» blaterò il giornalista scrollando le spalle.  
Il visconte sospirò,
«Ho smesso anche solo di pensarle queste cose» brontolò. «Contro la tua ostinazione c'è ben poco da fare. Però ho cominciato a sentirmi meglio ripetendomi che dopo quella benedetta recita questo incubo sarà finito. E suppongo che starai meglio anche tu»
«Beh, dipende da come finirà».
Raoul sospirò,
«Alexandre, amico mio, ho sempre pensato che tu avessi un cuore d'oro ma, perdona la franchezza, a volte la bontà indirizzata verso le persone sbagliate diventa stupida» concluse.
«Non sono un santo, Raoul, ma la bontà, se c'è, è bontà punto e basta, non funziona come una lampada che puoi accendere e spegnere quando ti pare»
«Non ti sopporto quando hai queste uscite così intelligenti!»
«Ah, sono serio amico...»
«Lo so, ed è per questo che io sono preoccupato, mi capisci?».
Alexandre sbuffò
«Sono preoccupato anche io, se ti può consolare» ammise mandando giù un altro sorso di tè, che preso com'era dai suoi pensieri quasi non aveva sapore.
Non aveva raccontato a nessuno del suo incontro nel cimitero l'altra mattina, di come aveva seguito Christine dopo che lei si era rifiutata più volte di lasciarlo parlare con Erik, di come il breve dialogo con il Fantasma si fosse rivelato infruttuoso, almeno da un punto di vista propriamente pratico.
Si disse che sarebbe dovuto andare a parlare con Christine, a scusarsi se le aveva creato problemi con Erik e se si era intromesso in quello che sembrava essere un momento così delicato per lei.
Tuttavia, Alexandre decise di finire di bere il suo tè e di tornare a casa per stare un po' più vicino a sua madre che ultimamente sembrava sempre più ansiosa e triste ogni giorno che passava. Gli chiedeva in continuazione notizie su cosa stava accadendo in teatro, se il Fantasma dell'Opera era tornato a mostrarsi o se c'era qualche indizio decisivo. Alexandre si era detto che questo suo interesse per le indagini era solo un modo per tenersi occupata e per non pensare a ciò che la affliggeva, oppure per interessarsi a lui ed essere certa che, malgrado la situazione di precarietà e pericolo, continuasse a mantenere la testa sulle spalle. Eppure il ragazzo aveva avuto la sensazione che più lui le raccontava di cosa acceda in teatro più il malessere della donna aumentava. Alexandre aveva rinunciato a capire e aveva cominciato a contemplare l'idea di lasciare Parigi, una volta che quella storia si fosse conclusa. Forse anche a lui avrebbe fatto bene dimenticare, dopotutto.

*

Un altro paio di settimane trascorse quasi di soppiatto, come se il tempo si fosse nascosto, travolto dalle tante cose che c'erano da fare. Più si avvicinava la fine dei preparativi per la nuova rappresentazione e più le giornate trascorrevano veloci per tutti quelli che lavoravano nel teatro, sempre più presi dai loro impegni.
Solo per Alexandre e per Bertrand il tempo sembrava passare come in uno stillicidio di minuti che trascorrevano incredibilmente lenti. Entrambi avevano fretta che arrivasse la sera della rappresentazione, ognuno per motivi diversi.
Quel pomeriggio l'investigatore e il giornalista erano andati ad assistere alle prove e si erano goduti anche una esilarante sfuriata di Carlotta Giudicelli che protestava perché la sua parte era troppo marginale mentre i direttori cercavano di rabbonirla e di convincerla che quell'opera era solo una sciocchezzuola, una cosa da poco messa in scena perché serviva allo scopo, promettendole che non appena avessero sistemato la faccenda del Fantasma lei sarebbe potuta tornare ad essere l'unica primadonna indiscussa dell'Opera Populaire.
Nel frattempo, sul palco, i ballerini avevano cominciato a provare le coreografie che Madame Giry, completamente ristabilita, aveva pensato per lo spettacolo, mentre mademoiselle Daae faceva la sua timida comparsa, entrando lentamente da una delle quinte.
«Cominciamo dal duetto del primo atto, vi prego signori» aveva detto il maestro Reyer richiamando l'attenzione di Christine e del tenore che l'aveva raggiunta sul palco.
Alexandre fissò la scena pensando che era quanto meno grottesca e per quanto Ubaldo Piangi fosse vocalmente assai dotato, risultasse un pessimo Don Juan a causa del suo fisico corpulento e dei suoi gesti goffi ed enfatici. Poi Christine cominciò a cantare e le menti di tutti quelli che erano presenti furono come svuotate da ogni pensiero mentre la voce angelica della fanciulla riempiva l'aria dello sfarzoso teatro.
Bertrand teneva gli occhi aperti, sicuro che il Fantasma avrebbe potuto assistere anche alle prove e che se lui avesse prestato molta attenzione probabilmente lo avrebbe anche scorto nascosto dietro a qualche tenda, o sul fondo di qualche palco del loggione. Tuttavia, per quanto l'investigatore si sforzasse di osservare doviziosamente ogni angolo vuoto non notò alcuna traccia dell'uomo mascherato.
Quello che Bertrand non poteva sapere era che il Fantasma dell'Opera non aveva alcun bisogno di mettere piede nella platea del teatro o nei palchi per godersi lo spettacolo.
Quel pomeriggio Erik se ne stava nei suoi sotterranei, nel cunicolo che correva proprio al di sotto del palco e lì ascoltava la sua musica prendere forma, le sue canzoni risuonare fino al suo buio e illuminarlo dell'unica luce che i suoi occhi avrebbero davvero voluto vedere: lo splendore della voce di Christine che intonava quei versi scritti appositamente per lei, con la penna intinta nel sangue vivo del suo cuore pulsante per quell'amore che lo aveva accecato, che aveva dato fuoco a ogni suo pensiero spingendolo a voler dipingere in musica una passione tanto grande e devastante.
L'orchestra continuò a suonare quella musica che a tutti parve meravigliosa, che quasi fece passare in secondo piano la voce potente di Piangi che aveva cominciato a cantare la sua strofa.
Alexandre osservava la scena sempre più perplesso e rapito da quella melodia, ma più ascoltava Ubaldo Piangi cantare, più lo vedeva muoversi sul palco e più si accorgeva di quanto poco fosse adatto per quel ruolo. Si grattò il mento pensando che era davvero strano che il Fantasma, così pignolo riguardo al modo in cui la sua opera doveva essere rappresentata, lasciasse che la parte del protagonista venisse interpretata da qualcuno che, per troppi aspetti, era assolutamente inadatto a rendere bene il personaggio di Don Juan.
«Oh mio Dio...» sussurrò colto da un'improvvisa rivelazione.
Bertrand si voltò a guardarlo e lo scrutò con fare inquisitorio,
«Che avete?» gli domandò.
Il ragazzo lo fissò in silenzio per alcuni secondi, poi scosse il capo,
«Nulla» mentì.
Alexandre aveva capito, ma non sapeva se era una buona idea mettere a parte Bertrand della sua intuizione. Guardando Piangi così inadatto in quella parte, il giornalista aveva compreso quali fossero le reali intenzioni del Fantasma: lui non voleva semplicemente che la sua opera venisse rappresentata, voleva interpretarla personalmente!

_____________________________________________

Capitolo reinserito il 28\12\2011
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Phantom of the Opera / Vai alla pagina dell'autore: Alkimia