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Autore: Elanor89    21/05/2010    1 recensioni
Elena Dumont è una bella vampira, una donna in carriera e di successo, ma la sua diffidenza l'ha sempre condotta per strade solitarie, lontana dai suoi simili nei quali non riesce più a riporre fiducia... Accadrà tutto in una notte: il destino mescolerà le carte in gioco e lei dovrà imparare a fidarsi di nuovo per sopravvivere... Ma quando la fiducia non sarà più sufficiente, quando ogni segreto verrà svelato, riuscirà a fuggire da un passato terribile che torna sempre a bussare alla sua porta?
Genere: Generale, Romantico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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*

 

 

Capitolo XVI

 

 

 

Aprii gli occhi di scatto, serrando i pugni immediatamente mentre tentavo di scacciare le immagini dell'incubo che mi tormentava tutte le notti da mesi, ormai.

Sognavo che Victor aveva trovato un modo di riprendermi con sé, che aveva rapito Susan e Melanie per ottenere ciò che voleva e che mi teneva lontana da Chris.

Sognavo che mi aveva condotta a Mosca contro la mia volontà e che mi aveva segregata in casa, permettendomi a mala pena di uscire dalla mia camera, teatro di infinite umiliazioni.

Sognavo di versare lacrime di sangue, costretta a tradire l'uomo che amavo e che era costretto a tradire me, pur di rimanere in vita entrambi.

Sognavo... erano solo incubi, o no?

Guardai la sveglia sul comodino al mio fianco: erano appena le quattro del mattino e come sempre il mio cuscino era umido. Avevo pianto, ancora.

Sentii una braccio stringermi la vita. Non c'era dolcezza in quel gesto, solo costrizione, possesso. Qualcosa dentro di me si agitò, annodandomi lo stomaco e facendomi sospirare. Mi voltai appena per guardare il vampiro al mio fianco, profondamente addormentato.

Come ogni notte, il gelo mi invase completamente, togliendomi lucidità e facendomi sprofondare nel baratro di angoscia che mi era ormai familiare. Non era un incubo: la realtà sapeva essere ben peggiore delle mie proiezioni oniriche.

Victor giaceva tra le lenzuola, completamente nudo, un sorriso lascivo sulle labbra. Godeva beato di un riposo che lui mi negava, invadendo anche i miei sogni...

Istintivamente mi scostai da lui quel tanto che mi consentiva quel braccio che mi faceva da guinzaglio. Erano le sue regole: la mia vita per la vita dell'uomo che amavo. Non sapeva che lontana da Chris mi avrebbe uccisa lentamente, giorno per giorno, e in modo definitivo, senza farmi mai realmente sua.

O forse ne era consapevole... ad ogni modo non pareva importargli.

Avevo abdicato al suo volere pur di rimanere viva, perché se avesse torto un capello a Chris ero certa che avrei patito le sue pene sulla mia pelle, quasi fossero inflitte a me.

Eravamo legati, sangue dello stesso sangue, le nostre vite si appartenevano.

Questo non poteva cambiare, nessuna Lexie e nessun Victor avrebbero potuto negarlo.

Eppure, ogni volta che mi costringeva a concedermi a lui sentivo la mia vita scivolarmi tra le dita, perdevo coscienza, avvolta dal torpore di un dolore acuto e continuo che mi toglieva anche il respiro. A volte quella sensazione mi coglieva da sola, immersa in attività del tutto insignificanti. Non avevo capito cosa significasse finchè non avevo realizzato la portata del legame.

Mi domandai quante volte si era sentito allo stesso modo mentre Victor mi prendeva contro la mia volontà, mentre mi baciava o accarezzava il mio corpo. Il tradimento bruciava i brandelli della mia anima come fuoco tra le pagine di una biblioteca. Non importava che fossi io o lui a commetterlo: mi devastava, mi annichiliva, schiacciandomi sotto il suo peso.

Solo l'istinto di sopravvivenza mi teneva in vita, impedendomi di scomparire tra le pieghe del mio dolore. Mi proteggeva dal commettere gesti estremi, dal soppesare più del lecito l'idea della morte, che ora più che mai mi tentava.

Avevo dovuto ricominciare a nutrirmi: quella era la condizione perché potessi chiamare Chris di tanto in tanto. Avevo negoziato quella soluzione con Victor quasi subito, ma il sollievo che avevo sperato di ricevere da quelle telefonate non era mai arrivato.

Era straziante sentire la sua voce carica di angoscia promettermi che tutto sarebbe andato bene, pronunciare il mio nome con un tono che mi faceva vibrare il sangue e patire sofferenze terribili ogni volta che lui e Lexie condividevano il letto.

Ma ancora più straziante era sapere di essere io la causa di tutto ciò che stava accadendo, del dolore che gli veniva inferto e dell'infelicità a cui avevo condannato entrambi.

Ero io il motivo per cui Victor aveva ingaggiato Chris per cercarmi, io che mi ero legata a lui come un'incosciente, io l'unica da biasimare.

L'odio verso il mio carceriere era nulla paragonato al rifiuto verso me stessa...

Il senso di nausea mi colse su quel letto, immobilizzata nella mia posa rigida dall'angoscia e dal sensazione di essere troppo lontana da casa per sentirmi me stessa.

Troppo diversa per sentirmi Elena.

Scostai la mano di Victor, alzandomi in piedi. Indossai la vestaglia che giaceva scompostamente ai piedi del letto e mi diressi in bagno, in cerca di qualche sollievo.

I miei piedi nudi sfioravano il freddo marmo del pavimento, facendomi riacquistare parte della lucidità che avevo perso, avvolta da quei pensieri.

Accesi la luce e chiusi la porta dietro di me, trovandomi immediatamente di fronte allo specchio che sovrastava il lavandino.

Avevo l'aria stravolta.

I soliti rivoli rossi segnavano asciutti le mie guance, dandomi un aspetto macabro, quasi tetro, a cui contribuivano le occhiaie e l'insana magrezza che mi denotava, accentuata dalla camicia da notte troppo leggera e scollata.

Avevo i boccoli scuri spettinati: li portavo corti, adesso, in un caschetto lievemente irregolare, più lungo sul davanti, che lasciava ben visibile la gola, spesso segnata dai morsi di Victor.

Avevo motivo di ritenere che il sapore del mio sangue non fosse per lui gradevole come un tempo, eppure non desisteva dall'imprimermi quel marchio. Sapeva di umiliarmi, di ferirmi.

Semplicemente non si faceva alcuno scrupolo a marcarmi come suo territorio.

Ma i cambiamenti fisici non erano altro che lo specchio della nuova Elena. Sottomessa, soffocata.

Distolsi lo sguardo dalla donna nello specchio e mi lavai il viso con l'acqua gelida. Sentivo la pelle bruciare per il freddo, i brividi risalire lungo la mia schiena. In quei brevi attimi mi sentivo viva, quasi me stessa. Non impiegavo molto a ripiombare nello stato di incoscienza che mi contraddistingueva di solito.

Una mano bussò alla porta in modo sicuro, ma non ostile. Trasalii, realizzando che Victor si era svegliato.

- El, stai male?- mi chiese.

Sapevo cosa voleva sentire. Non fu difficile pronunciare quelle parole.

- Va tutto bene, torna a letto!-

La mia voce mi sorprese: era spenta, atona, del tutto impersonale. Non che a lui importasse come mi sentissi veramente. Tutto ciò che non aveva a che fare con il mio corpo non sfiorava nemmeno il suo interesse, semplicemente non lo riguardava.

Lo sentii avvolgersi nuovamente tra le lenzuola e presi un respiro profondo prima di uscire dal bagno.

Volevo ritardare quel momento all'infinito, ma non volevo sfidare la sua pazienza.

Non ne avrei ricavato nulla di buono, se non la sua furia. Perciò mi feci forza e mi avviai verso il letto che condividevo con lui.

Il suo sguardo seguiva ogni mio movimento, indugiando sulle mie gambe nude. La sua espressione mi lasciava senza fiato: era compiaciuta, arrogante, un misto di bramosia e soddisfazione che aumentava in accordo al mio incedere.

Guardai altrove, nervosa, mentre mi toglievo la vestaglia e mi distendevo al suo fianco. Rimasi semplicemente supina, in attesa che le sue braccia mi stringessero di nuovo: sapevo che era inevitabile e che non dovevo oppormi a quel gesto. Avevo dovuto imparare a mie spese che non dovevo negargli nulla... eppure ogni volta faceva male come la prima. Faceva male, male da morire.

- Non ti nutri abbastanza...- commentò. Lo guardai, evitando di controbattere.

- Si contano le tue ossa, ormai...- aggiunse. Per sottolineare le sue parole fece scorrere le dita lungo la fila di vertebre evidenti sulla mia schiena.

Lo vidi socchiudere gli occhi, nonostante tutto eccitato dal contatto con la mia pelle.

Avvicinò le labbra alle mie e accolsi il suo bacio, remissiva. Se fossi rimasta immobile avrei provocato una sua reazione, quale che fosse, e non era mia intenzione scatenare la sua ira.

Non volevo scoprire quale pena mi avrebbe inflitto se mi fossi negata o semplicemente ritratta. Non sarei stata in grado di sopportare la rudezza delle sue mani, la prepotenza fisica che mi riservava quando non volevo assecondarlo. Perciò lo ricambiai, portandogli le braccia al collo, sconfitta.

Approfondì il bacio immediatamente, accarezzandomi i fianchi e le braccia protese verso di lui. Non ci misi molto a capire che non si sarebbe fermato al bacio.

Mi sollevò la camicia da notte, sfiorandomi le gambe nude e risalendo piano fino alla mia vita mentre le sue labbra lasciavano le mie per spostarsi prima sulla guancia, poi sulla gola scoperta.

Il nodo che sentivo allo stomaco si accentuò, mozzandomi il respiro ancora una volta.

Stavo per perdere la consapevolezza delle mie azioni, la mente annebbiata dal rimorso per qualcosa che non era in mio potere impedire.

Stavo per soffocare la mia coscienza, preda di un bisogno che nulla aveva a che fare con la mia volontà e che non mi apparteneva. Tremai sotto quelle dita che non conoscevano esitazione.

Non si sarebbe fermato di fronte a un mio rifiuto, non avrebbe desistito alla vista delle mie lacrime di sangue...

Avrebbe solo reso tutto più lento e doloroso. Cos'altro potevo fare?

In qualche modo la mia mente si proteggeva, arroccandosi dietro quel muro di incoscienza, così come il mio corpo si predisponeva a rendere tutto il più breve possibile.

Odiavo le sue dita imperiose su di me, le sue labbra avide sulle mie... Odiavo sentirlo dentro di me. Il ribrezzo per quell'invasione non si sarebbe mai alleviato: il mio corpo non lo respingeva, ma le conseguenze della sua soddisfazione mi dilaniavano.

Mi ritrovavo ad affondare le unghia nella sua pelle, cercando di trattenere il dolore che mi travolgeva a ondate, al ritmo dei suoi sospiri.

Appoggiai il viso alla sua spalla, mentre si stringeva a me, lascivo. Non era difficile che fraintendesse quel segno di resa come un gesto di tenerezza, ma avevo smesso di interessarmi a ciò che pensava.

Come ogni volta, la mia incoscienza non impediva che il senso di colpa e il disgusto per me stessa mi invadessero completamente.

Lo sentii gemere di soddisfazione mentre sbarravo gli occhi per impedirmi di piangere. Non potevo farlo di fronte a lui: mi aveva privata di tutto, non gli avrei concesso di prendersi anche il mio dolore. Era tutto ciò che mi era rimasto, l'unica cosa che sentivo appartenermi fino in fondo. Attesi che si distendesse al mio fianco per voltarmi di lato e permettere che una goccia di sangue solcasse il mio viso.

Mi sfregai le braccia gelate con le mani, mentre il mio sguardo tornava sulla sveglia.

Era quasi l'alba, ormai.

Una nuova giornata incombeva cupa su quella che era diventata la mia vita. Forse quella mattina avrei potuto chiedere di uscire.

Avevo bisogno di cambiare aria, avevo bisogno di aria... Sobbalzai quando sentii le mani di Victor avvolgermi tra le lenzuola, riparandomi dal freddo.

Quel gesto mi stupì profondamente: non immaginavo fosse capace di agire senza interesse, di fare qualcosa per me senza chiedere nulla in cambio. Ormai si era abituato al mio silenzio, non tentava neanche di fare conversazione, ma non aveva mai cercato di confortarmi in nessun modo.

Mi accarezzò lieve un braccio, prima di ritrarsi e voltarsi sul fianco, specchio della mia stessa posizione.

Se avessi avuto un cuore in grado di farlo, in quell'istante si sarebbe fermato. Avrebbe perso un battito, singhiozzando.

Che stava succedendo? Se quella era la fine del mondo, io la stavo subendo in silenzio, senza fiatare.

Mi raggomitolai su me stessa, tentando di prendere sonno. Sapevo che, ovunque lui fosse, Chris aveva condiviso con me la mia agonia, ma speravo con tutta me stessa che almeno quella volta fosse stato risparmiato.

Perchè se tradire faceva male, sentirsi traditi era come morire, pezzo dopo pezzo.

Non feci in tempo a vedere il sole sorgere, perchè le mie palpebre calarono lente, precludendomi la vista, e il sonno mi prese.

 

 

*

 


Aprii gli occhi baciata dal sole. Da mesi mi svegliavo tra le braccia di Victor, da mesi ormai mi voltavo a guardarlo in attesa che aprisse i suoi, che inevitabilmente mi ancoravano al suo fianco. Sapeva ricordarmi ogni giorno, al primo sguardo, che la mia vita era nelle sue mani e che ero totalmente in suo potere.

Era primavera a Mosca. La temperatura era di poco sopra lo zero, eppure il sole splendeva.

- Buongiorno, piccola...- mi salutò, baciandomi appena le labbra.

- Dormito bene?- chiesi. Il mio viso protestò nel mio tentativo di piegare le labbra all'insù. Chissà da quando non sorridevo realmente, solo perchè ero felice.

- Si, mi sento molto riposato... nonostante l'intermezzo di qualche ora fa...- rispose, allusivo.

- Ne sono felice...-

Mi lasciai stringere tra le braccia, sentendo il suo corpo nudo aderire al mio. Per la prima volta dopo mesi non rabbrividii, ma percepii le sue dita sfiorarmi con gentilezza, percorrendo le mie braccia.

Gli accarezzai i capelli biondi, cingendogli il collo con un braccio e chinandomi sulle sue labbra per un altro bacio. Non so cosa mi fosse saltato in mente: dovevo essere impazzita. Eppure in quel momento non ci trovai niente di più naturale. Sospirai, tirandomi indietro, mentre lui aumentava la sua stretta su di me.

- A cosa devo un risveglio simile? Potrei abituarmi...- sussurrò.

- Non so di cosa tu stia parlando...- mentii. La sua mano mi accarezzò una guancia, sfiorando il percorso tracciato dalle mie lacrime di quella notte.

- Non voglio che tu stia male...- disse. Quelle parole mi gelarono al mio posto. Sorpresa, stupita...

- Mangerò di più.- risposi, fredda.

- Sai che non intendo questo...-

- Che cosa intendi?- chiesi, titubante.

Non sapevo se fosse il caso o meno di porgli quella domanda, ma ero curiosa di conoscere i suoi pensieri. Victor non era mai stato uno di molte parole, anche se in quei mesi aveva dimostrato con i fatti ciò a cui mirava fin dall'inizio.

Ma era cambiato molto da quando lo avevo conosciuto e probabilmente avrei dovuto accorgermene la sera del mio incidente con il bicchiere...

- Elena, pensi che non lo sappia? So cosa senti quando ti tocco...-

Lo fissai sconcertata, incapace di credere alle mie orecchie.

- Ma ho bisogno di te... Non è una spiegazione valida per ciò che faccio, ma è così...- aggiunse.

- Cosa vuoi che dica?- risposi, perplessa.

- Nulla... Vorrei che non mi respingessi... Che riuscissi a lasciarti andare...-

Mi accarezzò il viso, lento, mentre l'altra mano mi stringeva la vita, avvicinandomi ancora di più al suo corpo.

- Non ti respingo...- ribattei.

- Hai ragione, forse non ho usato la parola giusta... Non mi respingi, ma non cerchi neanche le mie attenzioni... Non mi guardi, non mi ascolti... Non mi parli. Non avrei mai creduto di poter desiderare che una donna mi parlasse semplicemente o mi ascoltasse prima di andare a dormire.-

Lo vidi aggrottare le sopracciglia, scurendo ancora di più gli occhi castani.

- Non immaginavo che avrei mai potuto sentirmi in colpa nel prenderti per me, contro la tua volontà... Nonostante tu sia tutto ciò che io desideri in questo momento...-

 

Si dice che i prigionieri, dopo un lungo periodo nelle mani dei propri carcerieri, imparino ad amarli. La dipendenza dal proprio aguzzino suscita nel loro animo una sorta di attaccamento morboso, un bisogno patologico delle loro attenzioni che li spinge ad innamorarsene, a cercare la loro protezione.

 

Non so cosa mi fosse accaduto in quei mesi, ma sentire Victor pronunciare quelle parole mi fece sentire in colpa. Mi fece desiderare di consolarlo.

Io, Elena, volevo che stesse bene. Dopo tutto quello che mi aveva fatto, dopo tutto il dolore che mi aveva inferto. Si, il mio cervello era andato. Eppure non potei impedire alla mia mano di accarezzare il suo viso dolcemente, al mio corpo di stringersi al suo.

Le sue braccia mi avvolsero, la sua fronte si poggiò alla mia.

- Ci sono molte cose che non sono fiero di aver fatto... Ma se c'è una cosa che senz'altro non ripeterei, è costringerti a stare con me... Perchè averti con la forza non è ciò che voglio. Perchè vorrei che mi amassi come ami lui... e so che non è possibile...-

Trattenni il fiato per un tempo lunghissimo, mentre un barlume di speranza si faceva largo dentro di me.

- Ma averti con la forza è l'unico modo per tenerti al mio fianco, e io non posso farne a meno....-

Quelle parole spazzarono via ogni briciolo di buon senso che avesse mai albergato in me fino a quel momento. Mi aveva appena annunciato che non mi avrebbe mai lasciata andare, mi aveva appena stretto il cappio intorno al collo, eppure non riuscii ad evitarlo. Lo baciai di nuovo, mentre una lacrima di sale bagnava le mie guance.

Ero io a baciarlo. Io a desiderare le sue labbra sulle mie. Mi odiai con tutta me stessa.

 

Quanto dolore può sopportare un cuore prima che smetta di battere? Il mio non batteva più da anni... Quante lacrime possono versare gli occhi prima di chiudersi per sempre?

Non lo sapevo...

In quel maledetto istante, Elena Scarlett Grey baciava Victor Romenek.

 

 

  
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