Per
te, Kate.
Grazie.
1.
~ I only dream
of you and you never knew.
Sogno solo te e non l’hai mai saputo. ~
Fremetti.
Sapevo che era sbagliato, terribilmente sbagliato. Eppure non riuscivo
a
toglierli gli occhi di dosso.
Lo vidi uscire, camminare sulla sabbia chiara, dirigendosi verso me. Il
sole si
rifletteva sulle goccioline d’acqua salata che scivolavano
lungo il corpo
statuario, sui muscoli dell’addome e delle braccia ben
delineati.
Corrugò la fronte a causa del sole. La pelle aveva oramai
assunto un colore
ambrato dopo la prima settimana di vacanza passata su
quell’isola dei Caraibi.
Deglutii rumorosamente e voltai il capo, scostando lo sguardo dal suo
corpo,
dal suo viso, ma, soprattutto, dai suoi occhi color del ghiaccio.
La sua vista, per quanto fosse gradevole ai miei giovani occhi, era
fonte di
sofferenza.
Era semplice, a New
Bern, non curarsi di
lui. Non ero costretta a vederlo ogni minuto della giornata, a
immergermi nel
mare dei suoi occhi, come avevo fatto l’attimo prima.
Conducevo la mia insulsa
e vuota vita, cercando di non pensare a lui. E, anche se il dolore non
svaniva
del tutto, riuscivo a ridurre la stretta della morsa che mi
attanagliava il
cuore, la nausea che mi scombussolava lo stomaco, vivendo
così in una sorta di
annebbiamento, in cui fingevo che la mia vita fosse okay.
In fondo, mancava solo una settimana. Una settimana in cui, in ogni
momento
avrei fatto i conti con la mia scempiaggine e
l’irrazionalità dei sentimenti
che mi legavano a lui, arrivati troppo tardi.
«Ehi.» mormorò quando mi fu vicino.
Voltai il capo e chiusi un momento gli
occhi, certa che non l’avrebbe notato oltre le lenti scure
degli occhiali da
sole che portavo.
«Ciao.» mormorai rassegnata, ed aprii gli occhi.
Era sempre la solita storia. Sempre la solita routine, guardare il suo
e
rimanere senza fiato di fronte ai lapislazzuli dei suoi occhi, ai
capelli bruni
bagnati dall’acqua, alla sua pelle nuda ed ambrata cosparsa
di minuscole perle
trasparenti.
«Tutto okay? Sei così strana in questo
periodo.» mormorò sedendosi sulla sedia
a sdraio accanto alla mia, godendosi la sensazione del sole sul corpo
nudo.
«Sì.» mormorai. «E’
solo che il mare e le feste mi stancano. Tutto qui.» mentii
codardamente.
Lui rise e non potei non bearmi della sua risata sincera e cristallina.
«Stancano un po’ tutti,
Helen.»
Annuii piano col capo, passandomi poi una mano sul collo scoperto.
«Già.»
«Non hai intenzione di immergerti nell’acqua oggi,
eh?» disse con un sorriso
sghembo.
Feci spallucce. «Magari più tardi.»
«In acqua c’è il resto del gruppo.
Potresti approfittarne.»
«No, preferisco star qui.» mormorai guardando
l’oceano ed osservando i nostri
amici nuotare.
« Va bene. Sai,» fece un piccola pausa prima di
continuare con tono di voce
basso e caldo, «sono contento tu sia venuta.»
E in quel momento, udendo quelle parole, fu come se una decina di
spilli
penetrassero il mio cuore, ferendolo ancor di più.
Deglutii a fatica portandomi una ciocca di capelli scuri, sfuggita
all’elastico, dietro un orecchio. «Sì,
anche io.»
Per un attimo tacemmo e il silenzio cominciò a pesarmi sulle
spalle, quasi
volesse schiacciarmi. Ero nervosa, agitata e sofferente.
«E…» continuò dopo un
po’, «credevo che la nostra amicizia fosse andata
perduta.», la sua voce era un lieve sussurro.
Sentii le lacrime premere sulla palpebra chiusa del mio occhio,
desiderose di
scivolare lungo le guance accaldate dal sole.
«Ma non è successo, Ian.» mormorai.
«Io ti amo, Helen.»
mormorò Ian premendo
il palmo della mano sulla sua guancia. «Ti amo.»
mormorò ancora.
Helen spalancò gli occhi, colta di sorpresa. Era sicura di
aver udito male.
«Cosa?» chiese con voce stridula.
Ian poggiò la fronte su quella di Helen e chiuse gli occhi.
«Ti amo.», poi le
bacio le labbra piene.
Quando il ragazzo si staccò udii parole che mai avrebbe
creduto di poter udire.
«Io non posso, Ian.»
Il ragazzo spalancò gli occhi. «Cosa?»
«Non… non posso.» soffiò
Helen mentre lui le ingabbiava il viso fra le grandi
mani.
«Cosa significa?»
«Fra due giorni parto per Lione.»
«Ti aspetterò.» mormorò
carezzandole le gote con i pollici.
Ma Helen era confusa, Helen non seppe dare un senso alla tempesta delle
sue
emozioni. Così poggiò le sue mani su quelle di
Ian, allontanandole dal suo
viso.
«Forse… sono io a non amarti.»
Mentire per una giusta causa. No,
questo non porta mai a qualcosa di buono.
Il
ricordo mi colpii con estrema crudeltà, lasciandomi senza
fiato.
Come avevo potuto essere così stupida quell’Agosto
di tre anni fa. Avevo
diciassette anni e la vita mi si prospettava rosea.
In quel momento invece era insulsa, mi sentivo…
svuotata, priva di
qualsiasi emozione, se non l’amore irrazionale che provavo
per lui, capito
troppo, troppo tardi.
Helen scese dall’aereo e varcò le porte
scorrevoli dall’aeroporto. Il cuore le batteva frenetico,
tanto che sembrava
volesse squarciarle il petto e librarsi nell’aria. Faceva
quasi male, tanto
batteva violentemente.
Sapeva cosa voleva dalla vita. Sapeva cosa cantava il suo cuore, sapeva
cosa
provava e cosa aveva celato a lungo. Perciò doveva
raggiungerlo al più presto,
anche se erano passati mesi dall’ultima volta che
l’aveva visto e sentito.
L’amava e se ne rese conto quando gli era mancato
più dell’aria, quando la sua
assenza gli bruciava la pelle.
Sua cugina Abby l’avrebbe portata a casa, ma Helen prima di
tutto voleva andare
da lui, da Ian.
Cercò con lo sguardo sua cugina e quando la vide…
il mondo le crollò addosso.
«Non so di cosa tu stai parlando.» dissi
con leggera ironia e sperai che la
smorfia sul mio viso sembrasse un sorriso.
Si passò una mano fra i capelli castano scuro, quasi
imbarazzato. «Bene.»
Mi costò non alzarmi e lasciarlo lì solo,
rifugiarmi nella stanza dell’albergo
per lasciarmi andare alle lacrime.
«Sei stata importante per me, Helen.»
mormorò voltandosi verso me. Con mio
grande dispiacere, dovetti voltarmi anch’io a guardarlo. I
suoi occhi ardevano
come fiamme azzurre ed ebbero la violenza ed il dolore di una frusta
sulla mia
pelle. Sentii la gola gonfiarsi e pulsare di dolore mentre cercavo di
trattenere
le lacrime pronte a solcarmi il viso.
«Ci eravamo ripromessi di rimanere per sempre
amici.» sussurrai incapace di
scostare lo sguardo dai suoi occhi.
Sorrise inclinando il capo. «Ricordi, eh? Avevamo dieci
anni.»
Annuii col capo incapace di proferire parola.
«Già. Sempre. Ed in fondo, è
accaduto.» continuò poggiando la tempia sulla
sedia a sdraio, guardandomi.
Sorrisi e sentii i margini della ferità al centro del petto
pulsare di dolore,
come se ci fosse stato versato sopra del sale.
«Ehi, voi non venite in acqua?»
Un singulto mi uscii dalle labbra quando udii la sua
voce.
«Ehi, tutto okay?» mi sussurrò Ian
preoccupato, poggiando una mano sul mio
braccio, ed immediatamente, sotto il suo tocco, la mia pelle parve
prendere
fuoco.
«Sì.» soffiai incapace di emettere
suoni.
«Sicuro?» chiese ancora.
«Ehi, Helen, non hai una bella cera.» disse Abby
avvicinandosi a noi.
«Sto bene.» mentii sorridendole.
«Perché non venite anche voi?» chiese
poi voltandosi verso Ian e sedendosi
sulle sue gambe.
Lui le baciò le labbra, circondandole con un braccio i
fianchi stretti.
«Arrivo.»
Quel tocco fu come una lenta pugnalata al cuore. La lama mi trafisse,
penetrò
la carne, ferendomi nel profondo, accoltellando anche la mia anima,
annientando
ogni traccia di speranza per futuri pensieri felici…
annullando quasi me stessa.
Gemetti. Quasi sembrava avvertire dolore fisico.
«Ehi, Helen.» mormorò preoccupata mia
cugina. «Stai bene?» chiese scostandomi
una ciocca di capelli.
Deglutii rumorosamente mentre sentii le lacrime inumidirmi gli occhi e
sfuggire
al mio controllo.
«No.», e fui incapace di mentire.
«Ma ti stai piangendo!» esclamò
carezzandomi la spalla.
«Ho solo… ho solo un po’ di nausea. Devo
andare.» farfugliai alzandomi dalla
sdraio.
«Helen!» esclamò Ian e la sua voce non
causò altro che dolore. Fu come se avesse
girato la lama nella ferita.
Mi lasciai dietro le spalle la vista di loro due, l’uno
stretto all’altra. Le
loro dita incrociate. I loro occhi innamorati. Mi lasciai alle spalle
le loro
espressioni preoccupate.
Col petto schiacciato dal peso del dolore, della sofferenza causata
dall’amore
represso, mi allontanai.
E fu vano il mio tentativo di asciugare le lacrime.
Fa vano il mio patetico tentativo di fingere che andasse bene, che
avrei potuto
fingere che non lo amassi.
E fu patetica la mia autoconvinzione di vivere una vita
felice… senza lui.
Perché nulla più aveva senso.
L’avevo perso. L’avevo perso… per sempre.