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Autore: Bibismarty    23/05/2010    1 recensioni
Edward è solo nell'immensa New York, in cerca di qualcosa che possa saziore il suo cuore vuoto dalla partenza di Bella. Solo il fulcro pulsante di una città affascinante come New York riesce a cullarlo, liberandolo dall'ansia che lo martella. Nessun dolore è così grande come quello provocato dalla mancanza della persona che ami. Edward dovrà convivere con questo peso soffocante. Ma non sa che Bella...
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi di nuovo qui , con un capitolo all'inverosimile. Bella e Edward si sono incontrati nel cuore a Centrak Park per un (s)fortunato incidente. Le condizioni  dettate dalla sfida richiedono un impegno maggiore di quello che i protagonisti credono e qualcuno rimarrà fregato. Chi secondo voi? Scommetto che lo sapete già :). Il prossimo capitolo che ci attende sarà una bella corsetta nella fredda New York e un disperato tentativo di sabotaggio probabilmante. CentraL Park è enorme, ma non per chi lo conosce bene. 

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Capitolo secondo: Polmone Verde.

I capelli le si scompigliarono alla folata di vento più perfida delle altre. Bella osservava continuamente la distanza da quell'isolotto famoso in mezzo al mare. Forse cercava il modo per raggiungere con più velocità la meta. Stavo pensando che da un momento all'altro si sarebbe buttata se non soffrisse della sua adorabile goffaggine.

è lento?” esordii in tono sarcastico.

Bella sbuffò a confermare la mia intuizione. “è un traghetto. È normale. Forse”.

La sua scansione di parole mi ammutolì. Non doveva molta voglia di parlare.

Quando il traghetto attraccò al piccolo porto turistico di legno, saltò giù, mentre le si rischiarava il viso. Sembrava che fosse guarita da una brutta malattia, improvvisamente, grazie ad un miracolo.

Macchina alla mano cominciò a fotografare la statua più famosa tra tutte: la Statua della Libertà.

Grazie Edward. Era da tantissimo che volevo visitare questa statua! Io non lo so nemmeno quanto ti devo! È tutta una vita che sogno di vedere questa città, e non so nemmeno come potermi scusare per la mia tensione!”.

Affondai le mani nelle tasche. “Ti andrebbe di uscire con me una sera?”.

Bella si voltò di scatto verso di me, battendo le ciglia più volte, velocemente. “È un appuntamento?”. Rise. “Ma non stiamo uscendo anche ora?”.

Sorrisi. “No, non stiamo uscendo. Perché dovremmo esser dovuti usciti insieme?”

Uhm, fammici pensare. Perché potrei aver perso una scommessa circa una settimana fa, quando ti ho conosciuto?”

Quanta fantasia Swan, molta fantasia”.

Bella mi puntò il dito contro. “Tu hai la fantasia caro mio. Mi fai girare per New York con dei tacchi spaventosi! Non sai che soffro di una malattia gravissima, chiamata Goffaggine!”

Ruotai gli occhi. Nulla l'avrebbe resa goffa ai miei occhi. “È un si, dunque?”

Bella mi guardò con i suoi perforatori profondi. Scandì il silenzio con uno strano senso sadico, mentre io morivo dentro. “Si, con molto piacere” annunciò, sorridendomi.

Dentro di me, un omino sconosciuto fece la doppia capriola mortale.


Dentro di me, un omino sconosciuto rimaneva all'ombra, aspettando la luce della speranza.

La Statua della Libertà innalzava la sua fiaccola verso il cielo plumbeo, senza destare in me alcun sentimento. Non c'era verso di svegliare l'omino dentro di me.

Eppure volevo trovare la forza di rialzarmi, sentivo che dovevo scoprire perchè Bella se ne fosse andata. Non c'era motivo per cui lei non potesse essere al mio fianco. No, era assurdo. Dentro di me avevo le risposte, dovevo solo cercare di ricordare. E per farlo dovevo andare in tutti i posti dove avevo vissuto con lei. Dovevo solo tornare indietro, avvolgendo il nastro e tutto si sarebbe sistemato, per sempre.



Dovevo provare a ricordare dove ci fossimo incontrati per quell'appuntamento, per questo decisi di dirigermi verso Central Park, dove per la prima volta incontrai Bella.

Gli alberi di quel polmone verde nella città svettavano alti verso il cielo, come se volessero sfidare i possenti grattacieli. Eppure sembrava quasi che li battessero, la loro vita li era molto più importante tra tutte le costruzioni esistenti. I sentieri battuti mi portarono nel folto del parco, fino al principale vialone dove i podisti si allenavano per l'annuale corsa di New York.

Se solo chiudevo gli occhi potevo rivedere quell'attimo.

Ancora qualche metro e poi mi fermo” pensai. Il mio contachilometri segnalava in grande 9 km.

Improvvisamente mi sfrecciò davanti una ragazza a seguito di un grosso Labrador euforico. Mi accorsi di lei troppo tardi e lo scontro fu inevitabile. La rovesciai per terra con il mio peso (tutti muscoli), tra le proteste e gli insulti.

Intanto il Labrador saltellava felice, finalmente libero.

Puntai la mani ai lati della ragazza e mi sollevai, cercando di non schiacciarla e mi pulii per bene la tuta. “Ma guarda che maleducato. Nemmeno una mano”.

Mi voltai verso la voce, che mi stava insultando. Puntai tutta la mia irritazione su quegli occhi da cerbiatta... Non avevo mai visto degli occhi così belli in vita mia.

La ragazza si alzò, mentre i suoi capelli le caddero in dolci riccioli davanti al viso. Si strofino le mani e mi porse la mano. “Ciao sono Bella, e mi devi pagare il lavaggio di questi abiti”.

Allibito sgranai gli occhi. Quel bocconcino pretendeva da me qualcosa. Non era da uomo farsi mettere i piedi in testa. Gli occhi mi sfuggirono sulla scollatura della sua maglia. “Mmm, direi che sarebbe inutile lavare quello straccio. Se vuoi ti compero un vestito vero”.

Le pupille della mia interlocutrice si strinsero, era pronta a ribattere. Sembrava pronta a far valere la sua idea. “Senti bello, mi sei venuto addosso e ora mi paghi i danni. Che sia uno straccio o un vestito sexy” disse enfatizzando l'ultima parola. “Tu mi paghi tutti i disagi che mi hai causato e io ti lascio stare. Ah e smettila di guardare lì, la mia faccia è più in su”.

Alzai gli occhi verso il suo viso. Il mento affusolato e delicato faceva bella mostra con la bocca sottile, dal colore roseo, insieme agli occhi da cerbiatta.

Allora? Non ho tempo da perdere! Muoviti!” insistette lei, sempre più acida.

Non seppi perchè, ma quel caratterino mi faceva impazzire. Non potevo di certo andarmene senza averla conosciuta veramente! “Ok, ad un patto però. Se vinci una scommessa contro di me!”.

Ok, la scommessa sarà questa: Devi correre” finora era tutto perfetto, io adoravo correre “in mutande attorno a Central Park, non un metro di meno. E senza farti beccare dalla polizia”.

Deglutii, si metteva male. Eppure non avevo intenzione di arrendermi. Anzi, ora dovevo dettare le mie condizioni e avrei riso io. “Ok, se perdo ti pago i soldi della lavanderia, se vinco, invece, tu vieni con me per New York, con i mirabolanti tacchi 12”.

Bella annui, convinta che non avrei mai vinto. Non sapeva che avrebbe fatto l'errore più grande della sua vita.

Acciuffò il suo cane pazzo e se ne andò allegra, dopo avermi dato il suo numero di telefono, orario e data della sfida.

La osservai sparire tra il verde, poi me andai dalla parte opposta, con una nuova eccitazione del cuore.


   
 
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