Ad personam:
Cara Lux, grazie per la recensione. Sono contento di essere riuscito a dare un'idea soddisfacente di questa parte della città. Mi chiedi cosa stanno facendo le guardiane vere: ora che Will ha riavuto il Cuore di Kandrakar, che Elyon ha detto loro che è inutile fare qualunque cosa prima di diciotto mesi, che l'Oracolo ha spiegato a Will che non deve agire per orgoglio e che non è loro dovere rovesciare i regimi politici dei vari mondi, per ora si sono disinteressate alla cosa. Elyon si guarda bene dall'aizzarle raccontando tutto ciò che le viene periodicamente riferito da Caleb, e solo Cornelia ne sa qualcosa di più e tace. Per il resto, sono impegnate con altre imprese, forse ragorlang o altro, che non hanno a che fare con la trama di Profezie. Anzi, hanno pure l'FBI alle costole... ma questa potrebbe essere un'altra storia; anzi, ho scritto i primi capitoli già anni fa, vediamo se troverò idee e voglia per finirla. Cara Melisanna, è vero che la Elyon-Nerone sarebbe un personaggio di grande effetto? Ma non temere, Pao si farà un punto d'onore di conservare e restaurare i quartieri storici non meno che di realizzare qualcosa di completamente nuovo. Le Nemesis diverse dall'originale... da Will, intendi? E' che i poteri di Will le sono conferiti perlopiù direttamente da Kandrakar o dal suo monile; quelli delle Nemesis sono conferiti perlopiù da Vera, e sono gli stessi delle altre gocce. Il loro modus operandi si basa soprattutto su influenze mentali e sul nascondersi nell'anonimato. In effetti non sono troppo cattive (anche se in questo capitolo potrà sembrare), ma si comportano con intenzione in modo da far apparire odiose le guardiane che impersonano; sono state create per questo. Wanda ha suoi motivi personali, una volontà di rivalsa verso Will, per impegnarsi in questo ruolo; era alla ricerca di uno scopo nella vita, e mi auguro che finita questa faccenda ne troverà uno migliore. Cara Scrlettheart, grazie per la tua graditissima recensione. Sì, in effetti Trasclovkir assomiglia parecchio a un paesino di montagna nostrano. Elyon, come sai, ha programmato il suo ritorno allo scadere del diciottesimo mese, ma più avanti ci saranno sviluppi per cui sarà costretta a fare una puntata anche prima, perchè il nuovo piano di Vera la prenderà in contropiede. Se troverai modo di farmi vedere i tuoi disegni, li osserverò con molto interesse. Un sentito ringraziamento anche all'amica Silen, che ha riletto per ben due volte questo malloppo, consigliandomi su diversi punti. Due parole su questo capitolo, che è più cupo del precedente.
E' passata circa una settimana dalla visita di Vera agli archi di crescita,
e nuove presenze incombono sulla città. Presenze che si manifestano
invariabilmente associate ad ali; prima quelle dei costumi delle false
guardiane, poi le aquile-Nemesis, e ora... beh, leggete e saprete.
Buona lettura
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PROFEZIE
Riassunto delle puntate precedenti
Dopo un incontro misterioso con la Luce di Meridian, Vera ha convinto le Gocce a sostituirsi ad Elyon a Meridian, impersonando la regina e le guardiane. Carol si è opposta, ed è stata costretta con l'ipnosi. A Meridian, la controfigura di Elyon e le finte guardiane esiliano Miriadel e Alborn, mentre Caleb sfugge alla cattura; pur avendo assunto il potere, si rendono conto di non essere convincenti, e inventano la storia che le guardiane sono a palazzo per proteggere la Luce di Meridian da un complotto. A Heatherfield, rifugiatasi con i genitori nella sua vecchia casa, Elyon spiega che quella che si sta realizzando è una sua profezia, la cui interpretazione fino a quel punto era ambigua. La profezia prevede che la tirannia duri un anno, che a Meridian dura diciotto mesi. Elyon è decisa a non tentare niente prima di questa scadenza. Sul palazzo scende un clima sempre più oppressivo in cui le congiurate utilizzano sia i poteri mentali che l'intimidazione per mantenere il controllo. Settimane dopo, vengono a sapere per caso la profezia infallibile che prevede che la tirannia durerà un anno. Il nuovo piano di Vera prende rapidamente forma, basandosi sull'ambiguità del termine di un anno: prima simuleranno che Elyon diventi sempre più tirannica e impopolare, screditandola, poi Vera, che ha comunque il rango di una principessa Escanor, la spodesterà dopo un anno terrestre di dodici mesi, facendo finire apparentemente la tirannia e realizzare la profezia; poi, dopo aver guadagnato il consenso della gente, si prepareranno per affrontare Elyon e eventualmente le Guardiane al loro ritorno dopo diciotto mesi. Vera crea venti copie di Wanda, dette Nemesis, che avranno l'incarico di impersonare le guardiane, sollevando le gocce dal compito, e di sorvegliare la città restando invisibili o sotto falsa identità. Dopodichè, una controfigura di Elyon presenta pubblicamente Vera come principessa al popolo e al Consiglio dei Veglianti, delegandole tutti gli impegni pubblici; la nuova vice-regina incontra subito un'accoglienza favorevole, anche avendo ammesso di essere una creatura della Luce di Meridian. Il giorno dopo, Vera può finalmente muoversi liberamente in città. Accompagna Pao nel quartiere cadente di Trasclovkir, le spiega delle distribuzioni di acqua magica alla popolazione, infine si recano a vedere gli archi di crescita dove le copie degli oggetti sottratti sulla terra stanno crescendo, ma troppo lentamente per scarsità di energia magica. Nel frattempo Carol, perse le speranze di convincere le altre a desistere, si isola sempre più dal gruppo. |
Cap.52
Ali sulla città
Il volo di un uccello, il simbolo stesso della libertà. Il suo sguardo, il simbolo della lungimiranza. Eppure, fanno parte dell’oppressione che avvolge Meridian ogni giorno di più.
Altopiano a ovest di Meridian
Alta nel cielo, la luna Isis rischiara la notte, mentre
Osiris sta tramontando a ponente dietro l’orizzonte ondulato. Minuscoli
e luminosissimi, due astri artificiali percorrono le loro orbite a vista
d’occhio.
Un gruppo di persone avanza con prudenza tra le rocce
dell'altopiano, trasportando a spalla cinque grandi oggetti, piatti e allungati.
Alcuni riflessi disegnano sagome di ovali iridescenti sulle loro forme
barocche.
Una ragazza fa strada con una lanterna; al chiarore delle
lune i suoi capelli candidi spiccano quasi più di quella povera
fiammella rossiccia. “Fate attenzione!”, ripete agli operai, “Tenetele
solo per i telai! Non premete all’interno, quelle membrane sono sottili”.
“State tranquilla, Lady Theresion”, la rassicura il caposquadra,
“I miei uomini hanno mani di velluto”.
Ai lati del gruppo camminano due figure femminili. Sulle
alette che spuntano tra le loro scapole, altri ovali iridescenti riverberano
le luci della notte.
Le due guardiane si scambiano pensieri silenziosi. Come
al solito, quando questo lavoro sarà finito, sarà compito
loro suggellare ogni segreto.
Meridian
Un’altra mattina sorge su Meridian. Lentamente, le strade
si riempiono dell’umanità eterogenea che popola da tempi immemori
la capitale del Metamondo. Alcuni spingono a mano carretti carichi di merci,
vincendo la pendenza delle vie; altri preferiscono lasciare quest’onere
al loro bovyak; altri ancora si sentono più a loro agio con gerle
caricate sulle spalle, che non li ostacolano nel percorrere gradinate e
vicoletti minori.
Alcune bottegucce aprono i battenti ai primi clienti;
sulla porta di una di queste, un calzolaio decanta a gran voce scarpe confezionate
in vera pelle di nagork.
Piccole tribù di ragazzini delle forme più
varie si raccolgono negli androni delle case, mentre altri camminano frettolosamente
verso il loro dovere con tavoletta cerata e stilo sottobraccio, sbocconcellando
una colazione sbrigativa.
In questa folla vociante, due donne camminano in direzione
di un mercato rionale. Il loro aspetto spicca soprattutto per il suo anonimato:
facce verdi, ma non troppo; anziane, ma non troppo; umane, ma non troppo.
Solo quanto basta per rimpiangere silenziosamente la bella coda a cui erano
abituate, perché qualche volta non è prudente essere troppo
simili a sé stessi.
Nessuno potrebbe riconoscerle come le sorelle Galgheita
e Frordal… almeno finché una di loro non apre bocca per parlare.
Infatti, dopo aver passato in rassegna tutta una fila
di bancarelle, quella più verdolina commenta indignata: “Che furti
legalizzati! Hai visto, Gal…”.
Viene subito interrotta da un muto avvertimento: ‘Shhhh,
niente nomi!’.
La donna si morde un labbro e riprende: “Hai visto come
continuano a crescere i prezzi dei generi alimentari?”.
“Vero”, ammette Galgheita annoiata. “La presenza di novecento
militari acquartierati in periferia si fa sentire”.
“I commercianti sono contenti, naturalmente”.
“Solo loro”. Galgheita sospira: sua sorella è
sempre stata loquace, e sopporta malissimo la tensione del silenzio prolungato
di queste ultime settimane passate sotto falsa identità; così
lo riempie spesso con qualsiasi banalità le passi per la testa.
Poco più avanti, due soldati stanno perquisendo
un passante che, chissà perché, ha dato loro qualche sospetto.
Gli hanno aperto borse e tasche, lo hanno tastato per cercare chissà
che armi nascoste (sospetto che, ultimamente, cade più spesso sulle
donne, soprattutto se giovani), dopodiché gli hanno sequestrato
dalla cesta due melopee mature, anch’esse decisamente sospette, provvedendo
alacremente dapprima a un approfondito esame organolettico, e infine al
loro totale smaltimento orale.
“Tutto per la sicurezza, naturalmente”, bisbiglia con
sarcasmo un altro passante, avendo cura di non farsi sentire dai due militi.
Inaspettatamente, la traiettoria di qualcosa dall’alto
si conclude con due macchie biancastre sulle loro divise. Gli sguardi di
disappunto dei due soldati si levano in tempo per intravedere un grande
rapace che sparisce oltre i tetti, inseguito dalle loro imprecazioni irripetibili.
“Hai notato quegli strani uccelli?”, chiede Frordal, “Volteggiano
sulla città da settimane”.
“Sì”, risponde pazientemente Galgheita, “E sono
settimane che me li fai notare”. Per timore che la sorella se lo faccia
sfuggire in pubblico, ha preferito tacerle che quelle sono aquile reali,
una specie terrestre; ricorda bene di averne viste di uguali librarsi nei
cieli subito fuori da Heatherfield.
“Comincio a temere che non sia stata la fortuna a farci
trovare una casa da affittare così a buon mercato”, continua pensierosa
Frordal. “Quel consigliere aveva ottime ragioni per lasciare in fretta
questa città”.
‘Non parlare tanto, in pubblico! Siamo già
nei guai perché non hai saputo tenere la bocca chiusa. Lo sai che
l’acqua magica si trova solo a Meridian’.
Frordal tace, ma non smette di ripensare all’ultimo mese.
Entrambe hanno preferito abbandonare le loro identità subito dopo il suo sorprendente incontro con una elegante giovane dalla pelle azzurrina in piazza Due Lune. In quel momento, sfiorandole la mano, l’indovina capì che quella ragazza portava tre nomi: Paochaion, Pao Chai e… Hay Lin, come la guardiana alla quale somigliava vagamente. Purtroppo, Frordal si rese conto che la sua intuizione la metteva in pericolo solo dopo aver parlato. Fuggì a casa, presagendo che lei e sua sorella sarebbero state arrestate, poi entrambe decisero di comune accordo di rendersi irreperibili.
Dopo un po’ riprende: “Sai, la settimana scorsa, alla
riunione del consiglio…”.
“Me l’hai già detto”, la interrompe bruscamente
Galgheita. ‘Non parlarne proprio qui!’.
L’altra annuisce frustrata, poi si perde nuovamente nel
ricordo.
Quel giorno, alla Torre dei Veglianti, Frordal aveva
preso posto sui banchi degli spettatori. Le interessava l’argomento all’ordine
del giorno: il risanamento del quartiere di Trasclovkir, dove si trovava
la loro vecchia casa.
Quando il consiglio era già riunito, la principessa
Vera fece il suo ingresso assieme a quella ragazza azzurrina e la presentò
come architetto Paochaion. Con loro c’erano due amiche che andarono a sedersi
tra gli spettatori: quell’altra già incontrata in Piazza Due Lune,
che poi sbadigliò per tutta la seduta, e una strana ragazzina dalla
voluminosa capigliatura candida e lo sguardo attento.
Attorno a loro presero posto le cinque guardiane,
ritte e impettite. C’era anche quella Hay Lin, e ciò la stupì
moltissimo: prima si era convinta che lei e Paochaion fossero due maschere
indossate dalla stessa persona. Invece, eccole assieme nello stesso luogo
e nello stesso momento.
In quel frangente, però, la sensazione più
forte non fu la sorpresa, ma la paura: queste Guardiane scrutavano il pubblico
con occhi penetranti che, per un attimo, si fissarono su di lei. Percepirono
di certo il suo momento di quasi panico, ma per qualche ragione passarono
oltre. Forse per loro era fin troppo normale che le persone provassero
timore al loro cospetto.
Questi momenti durarono pochi, lunghissimi minuti,
finché la principessa Vera se ne andò portando via con sé
quelle presenze inquietanti.
Distratta da queste paure, Frordal riuscì a
dedicare pochissima attenzione alla discussione; ricorda solo i toni dell’intervento
di Paochaion, dapprima timidissima e impacciata con il suo forte accento
straniero, poi sempre più sicura, e l’impressione che avesse rapidamente
guadagnato credito nel consiglio.
Eppure, la sensazione di presenze invisibili aleggiava
quasi palpabile nella sala, come pure aleggiavano, fuori della torre, quelle
strane aquile dalla testa ramata.
Galgheita la richiama dai suoi ricordi : “Cosa avranno
da guardare, quelli?”.
Accenna a un capannello di curiosi che si sta raccogliendo in uno slargo poco più avanti, lanciando esclamazioni di sorpresa mentre indicano qualcosa in alto, in direzione sudovest. Le due raggiungono rapidamente il gruppo e ne seguono
gli sguardi. Dapprima vedono solo due grandi uccelli in distanza, librati
sopra la scarpata dell’altopiano che sovrasta la città.
“Oh, Dèi”, esala Frordal, “Ma che cosa sta succedendo
in questa città?”.
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Meridian, palazzo reale, torre nordest
Seduta in sala da pranzo, Vera si volta soddisfatta a
guardare dal finestrone le esili strutture multilobate sul ciglio dell’altopiano.
“Bel lavoro, Terry! Fanno un figurone!”.
L’altra le guarda con le palpebre appesantite dal sonno,
e annuisce con soddisfazione. “Grazie. Ci ho perso metà della notte”.
Poi precisa doverosamente: “Non solo io, anche le guardiane e gli operai”.
Irenior, seduta di fronte a loro, alza gli occhi dai
sottopiatti ancora vuoti sui quali stava immaginando qualche portata luculliana.
“Ma perché le avete messe su proprio di notte, come ladri? In fondo,
quei cosi sono sotto… anzi, sopra gli occhi di tutta la città”.
“Per fare scena”, risponde Vera con un sorriso volpino.
“Così quei pannelli neuroenergetici saranno più inquietanti
per la gente. Per questo li abbiamo messi così vicini alla città,
anche se abbiamo dovuto materializzare un chilometro di neurofibra per
collegarli agli archi di crescita. Insomma, stiamo creando un clima psicologico
che suggerisca una tirannia e la colleghi alle guardiane, ma senza creare
danni sostanziali agli abitanti. E’ anche per questo che mettiamo in giro
voci di arresti ingiustificati, eppure nelle prigioni non c’è quasi
nessuno”. Con un gesto di nonchalance, conclude: “Insomma, il contrario
di quello che fanno i tiranni veri”.
“Pannelli neuroenergetici…”, ripete Irenior, “Perché
tutti questi paroloni rombo… robon… roboanti? Non puoi continuare a parlare
di alette di fata e di energia magica?”.
“E’ troppo vago”, risponde Vera un po’ irritata, “La
parola ‘magia’ indica tante cose diverse”.
“Ma la capiscono tutti”, insiste caparbia l’altra.
“E poi, ‘magia’ suona un po’ bambinesco. Troppo fantasy”.
“Come ‘principessa’? D’accordo: d’ora in poi ti chiamerò
Grande Sorella”. Detta la sua, Irenior torna a voltarsi verso la porta
alle sue spalle, incurante delle occhiatacce con cui è ricambiata.
“Ma quando arrivano Pao e la biondona? Io ho appetito! Anzi, ho una fame
da lupi!”.
Dopo aver salito due rampe di scale, Paochaion si trova
al pianerottolo dei loro alloggi. Non sono più gli stessi in cui
dormivano quando stavano interpretando le Guardiane: ormai quelli,
subito sotto l’appartamento della Regina, sono occupati dalle Nemesis
che le hanno soppiantate in questo ruolo.
“Allora, Carol, ci sei?”, chiede dopo aver bussato delicatamente
alla porta della camera.
Dall’interno non giunge nessuna risposta.
Batte più forte, alzando la voce: “CAROL, CI SEI?”.
Si sente uno scatto, poi il battente si socchiude; uno
sguardo assonnato la scruta attraverso lo spiraglio. “Pao, sei sola?”,
chiede una voce impastata dall’interno.
La porta si apre completamente. Carol, sfatta, si scosta
i capelli spioventi dagli occhi cerchiati. “E’ già ora di colazione?”.
Pao risponde: “Veramente sono venuta a chiamarti per
il pranzo. Elyon e le guardiane hanno già finito da un pezzo, ed
è il nostro turno”.
“Ho dormito così a lungo?”, si stupisce l’altra,
scostandosi per lasciarla entrare nella stanza semibuia.
Dentro aleggia odore di chiuso. Ad un cenno di Paochaion,
i pesanti tendoni si aprono, la luce del giorno inonda la stanza e la finestra
si spalanca facendo entrare un refolo di aria fresca.
Carol socchiude gli occhi, abbagliata. “Pao… non così
di colpo!”.
La cinesina azzurra guarda la sua amica con un po’ di
pena. La vede sciatta come non mai, con gli occhi arrossati e gonfi, senza
più il contegno da indossatrice. “Cara, non hai un bell’aspetto
quest’oggi”.
“E tu, allora?”, ribatte sarcastica la bionda. “Fatti
vedere da un medico, perché quel colorito cianotico…”. Mentre parla,
si volta verso lo specchio alla parete e si guarda. “Oddio!”, le scappa.
Chiude gli occhi, e quando li riapre è nuovamente
impeccabile: capelli ordinati, pelle liscia… però qualcosa manca.
Non riesce più a imitare la sua sicurezza di una volta.
Paochaion riprende, lamentosa: “Ero passata a chiamarti
anche per colazione, ma quando sono entrata tu mi hai fatto un gestaccio
e ti sei girata a ronfare dall’altra parte”.
“Davvero?”, fa Carol, presa in contropiede. “Scusami,
non lo ricordo neppure. Mi dispiace”.
Pao chiude la cosa con un gesto di noncuranza. “Non importa.
Ma tu cosa fai, la notte?”.
L’altra si appoggia al muro. “Non riesco a dormire bene.
Sono depressa, agitata, ansiosa…”. Torna a raddrizzarsi. “Ma non dirlo
alle altre! Non voglio la loro pietà!”.
Poco dopo, le due fanno il loro ingresso nella sala da
pranzo.
Appena si richiudono la porta alle spalle, il pannello
grigioazzurro sul battente torna ad acquisire una caratteristica luminescenza:
il portale che collega la cucina con la sala da pranzo, sul lato opposto
del palazzo, è nuovamente pervio.
“Allora, Carol?”, chiede Vera, già seduta al centro
della tavolata con le spalle alla finestratura, “Di nuovo con noi?”.
Forse voleva solo sforzarsi di essere gentile, ma le
sue parole suonano come sottilmente sarcastiche all’orecchio dell’altra.
Prima che possa rispondere, però, il suono di
una campanella di ottone preannuncia l’ingresso del cameriere in livrea
cremisi, che finalmente emerge dal portale spingendo un carrello ricolmo
di piatti appetitosi e abbondanti.
Mentre Carol prende posto a capotavola, più lontano
possibile dalla sua rivale, il cameriere serve i piattoni, guadagnandosi
occhiate di gratitudine e gridolini estasiati da Irenior. Poi, come usuale
da un po’ di tempo, si ritira lasciando il carrello con tutte le altre
portate nella stanza.
Appena uscito, il pannello perde nuovamente la sua luminosità.
Ora possono parlare liberamente.
Gli occhi di Irenior sono tutti per il piatto di pasticcio
che le sta davanti. Annusa, estasiata. “Che profumino!”. Si lascia scappare
un sospirone di rimpianto: “Peccato che potremo mangiarne solo la metà…”.
“Meno della metà”, puntualizza Vera. “Ufficialmente
tra noi, Elyon e le guardiane, in questa stanza mangiano dodici persone
in due turni. In realtà, con tutte le Nemesis siamo in ventisei,
ma farsi servire altrettante porzioni è come ammettere la loro esistenza.
Le voci corrono, tutto e il contrario di tutto, ma - guarda con intenzione
tutte le altre - questa deve restare veramente segreta, se no si scopre
davvero il palco”.
“E quindi?”, sbuffa impaziente l’altra, “Quanto pasticcio
posso mangiare?”.
Vera la guarda con un sopracciglio inarcato, poi scuote
il viso rassegnata e risponde: “Fai i conti: dodici diviso ventisei…”.
“Zero punto quattro…”, calcola a mente Theresion, ancora
con gli occhi piccoli per il sonno arretrato. “Circa il quarantacinque
per cento. Ti spetta la metà del piatto meno una forchettata”.
Carol sbadiglia annoiata, allungando svogliatamente la
forchetta verso la sua porzione. “E così, anche oggi gli avvoltoi
verranno a finire i nostri…”.
Si interrompe con un tuffo al cuore: attorno a lei sono
comparse dal niente sei Nemesis in divisa color petrolio, con gli occhi
scuri lampeggianti di rabbia sui visi dipinti a strisce nere.
Una di loro la sovrasta minacciosa e la afferra per la
mascella, girandole il viso a forza verso di sé. “Non mancarci di
rispetto, bambolona viziata!”.
Carol sbarra gli occhi, terrorizzata, senza riuscire
a muovere la testa. Sente una fondina da pistola che le preme contro la
spalla. Con la coda degli occhi vede le altre Nemesis che le si stringono
lentamente attorno, i visi tutti uguali e ostili come in un brutto sogno.
Dodici occhi di gatto la squadrano gelidamente dai distintivi sulle pettorine.
Quella che l’ha afferrata riprende a parlare con
ira mal trattenuta: “Hai una lussuosa camera tutta per te, dove passi tutto
il giorno a fare niente! Noi dobbiamo accamparci in venti in tre stanze.
Perfino Vera ci offre metà del suo letto e il suo divano per far
dormire qualcuna di noi!”.
“Quando non siamo di ronda notturna, poi!”, aggiunge
un’altra a braccia conserte.
“Lavoriamo di giorno e di notte. E tu?”.
“Dormi sempre! E, quando esci dal tuo limbo, sei capace
solo di scoccarci frecciatine velenose!”.
“Non hai neanche tentato di farti passare per una metamondese!”.
“Lo sai che è difficile giustificare la presenza
di una terrestre qui!”.
“Tu sei una privilegiata!”.
“Assaggi i piatti ancora intatti, e deridi noi, che siamo
costrette a mangiare i tuoi avanzi!”.
Accerchiata, bloccata e sommersa da quel coro di recriminazioni
dalle voci minacciose e tutte uguali, la povera Carol si lascia sfuggire
un gemito di paura.
La scena penosa viene interrotta dal comando di Vera:
“Dodici, basta così!”.
La presa sul mento di Carol si allenta. Nemesis Dodici
le raddrizza il viso e lo molla con un gesto di stizza, voltandosi verso
la principessa. “Senti: io ho un nome, non solo un numero. E’ anche scritto
qui - indica un punto sulla pettorina - in un colore che solo tu puoi vedere.
Ti dispiace ricordartene, per cortesia?”.
Vera annuisce turbata. “Va bene… Diana. Ma ora, puoi
capire da sola che hai esagerato”.
Le sei in divisa si allontanano lentamente da Carol e
svaniscono alla vista.
Carol tenta di mantenere il contegno, ma è difficile.
Pallida, sudata, è scossa da tremiti che non le è possibile
trattenere.
Si alza in piedi, cercando, senza molto successo, di
dissimulare la sua agitazione. Parla rivolgendosi allo spazio attorno a
sé: “Bene… vi lascio mangiare. Il piatto è ancora intatto.
Buon appetito!”. Si dirige verso la porta chiusa, attraversandola e sparendo
alla vista.
Paochaion si alza con le lacrime agli occhi. “Dovevamo
proprio arrivare a questo?”.
Accostandosi al carrello di portata per servirsi una
porzione di polpette, continua: “Carol è depressa, ansiosa, non
dorme la notte: lo sapete benissimo come è stata trascinata qui.
E poi, lo sapete quanto è orgogliosa. E se rifiutasse il cibo? E
se…”. Scuotendo il viso, si asciuga gli occhi con una manica, poi si dirige
all’uscita portando il pranzo per la sua amica.
Quando la porta si richiude alle spalle di Paochaion,
Vera cerca di riprendere la sua autorità. “Diana, questa scena è
stata penosissima!”.
Nemesis Dodici riappare, quasi di fronte a lei. “Lo so”,
annuisce. “Scusate, ma non è solo per la sua frecciata di oggi che
siamo saltate su”.
Vera riprende: “Potevate dircele prima, quelle cose.
Con calma. Troveremo qualche soluzione. Magari… magari potrei darvi denaro,
cercare altro cibo, altri locali... Ma, per piacere, che non si ripeta
mai più qualcosa del genere!”.
“Vi ho già chiesto scusa”, risponde stizzita la
ragazza in divisa, “Noi possiamo sopportare i disagi, ma essere prese in
giro per questo…”. Scuote il viso. “Comunque, ora c’è una cosa più
importante di cui parlare”. Guarda Vera negli occhi. “Perché Carol
ha ancora i poteri? Non collabora in alcun modo. Siamo costrette a sorvegliarla
in camera sua, ma potrebbe rendersi invisibile o teletrasportarsi via in
qualunque momento”.
“E dove vuoi che vada?”, le risponde Vera, “In città
non può passare inosservata”.
Irenior scuote il viso, in pena. “A questo punto, ti
chiedo di lasciarla tornare a Midgale”.
La principessa fa un netto cenno di diniego. “Mi dispiace,
sa troppe cose. Potrebbe essere un’alleata formidabile per Elyon e per
l’Oracolo”.
“Neanche cancellandole la memoria?”, azzarda Theresion,
rimasta muta fino a quel momento.
Vera scuote il viso. “Il metodo ipnotico ha funzionato
male con i saggi di Meridian, Peggio ancora, è reversibile, perché
non cancella veramente i ricordi, ma ne fa solo perdere coscienza. E intervenire
direttamente sulle sinapsi per cancellarli è pura macelleria neurologica”.
“Ma finirà per uccidersi!”, insiste Irenior, drammatica.
“Questo no”, interviene Diana. “La teniamo d’occhio di
continuo”. Poi si rivolge a Vera: “Allora?”.
Lei scuote il viso. “Non vorrei arrivare a toglierle
i poteri. Sarebbe una rottura aperta”.
“Ma siamo già alla rottura aperta! Da quella mattina
prima di partire! Perché non lo vuoi ammettere? Forse perché
la goccia di Elyon non riesce a distaccarsi davvero dalla goccia di Cornelia?”.
Vera si irrigidisce a questo rimprovero così personale,
poi ribatte: “Mi meraviglio, invece, di come ci sia riuscita tu! La goccia
della goccia di Will!”. Torna a sedersi, agitata. “Lasciamola calmare.
Domani le parlerò. Nel frattempo, Diana, sarebbe utile che tu le
porgessi delle scuse”.
Nemesis Dodici riflette un attimo. “Mi scuserò
per averle messo le mani addosso, ma non posso ritirare niente di ciò
che io e le altre abbiamo detto. E’ tutto fin troppo vero, lo sai. E lo
sa anche lei”.
Attende per qualche secondo una risposta che non arriva,
poi svanisce alla vista.
Vera resta pensierosa a guardare fisso davanti a sé.
Irenior, sentendosi attraversata da uno sguardo che non
la vede, la scuote per una manica: “Vera, mangiamo in fretta. Sette di
loro stanno aspettando solo che noi finiamo, per avere la loro parte”.
Camera di Carol
Il piattino di polpette appoggiato sul comò ha
ormai smesso di fumare.
“Grazie, Pao. Non preoccuparti, le mangerò”. Le
parole di Carol, sussurrate a bassa voce mentre guarda fuori dalla finestra,
hanno un suono incolore.
“Allora… io vado”, dice incerta l’amica sulla porta;
poi ci ripensa, riguadagna a grandi passi il posto accanto di lei e la
stringe come per un addio. “Non fare sciocchezze, ti prego! Mi mancheresti
tanto!”.
Carol le batte sulla spalla, sforzandosi di imbastire
un sorriso rassicurante, poi torna a guardare verso la finestra e risponde,
atona: “Stai tranquilla”.
Guarda fuori. Una grande aquila dalla testa ramata volteggia
attorno alle torri del palazzo, allargando i suoi giri fin sui quartieri
alle pendici della scarpata.
Il volo di un uccello, il simbolo stesso della libertà.
Il suo sguardo, il simbolo della lungimiranza. Eppure, fanno parte dell’oppressione
che avvolge Meridian ogni giorno di più.
Quando Carol torna a guardare nella stanza, Pao non c’è
più. E’ andata. Meglio così, pensa. Ne soffrirà, ma
sarà per poco.
Architetto Paochaion… in poche settimane, i suoi pensieri
saranno presi da grandi progetti che nel suo mondo d’origine poteva solo
sognare e disegnare, incompresa da tutti.
Ciao, Pao. Sii felice. Forse ci rivedremo ancora.
Ha già deciso. Sarà stanotte.