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Autore: cabol    25/05/2010    2 recensioni
I veri amici si vedono quando facciamo di tutto per non meritarceli. Se poi l'amico in questione è un tipo come Blackwind, ci possiamo aspettare di tutto.
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Mistero di capodanno

Personaggi

Bartimeus Kalops: banchiere.
Katriona Kalops: moglie di Bartimeus.
Diana Kalops: figlia di Bartimeus e Katriona.
Percival Dum: sceriffo di Aglarian.
Philip Percy Solder: socio di messer Kalops.
Gill Barder: direttore della banca di Aglarian.
Clem Hardfist Moriarty: cassiere della banca di Aglarian.
Lord Bailey Windström: gentiluomo di Elosbrand.
Beltzin: maggiordomo di Lord Bailey.
Blackwind: celebre ladro.

Prologo

Il timido sole di un’alba gelida fece capolino dall’orizzonte, avvampando di bianchissima luce i campi brinati. Sulla strada deserta solo una lussuosa carrozza avanzava lentamente, seguita da due cavalli impastoiati, senza cavaliere. In lontananza, il tenue luccichio del mare lontano si perdeva ai confini dell’inverno mentre tremuli cinguettii provenivano dai boschi vicini. Un cielo insolitamente sereno osservava glaciale i miseri sforzi dei mortali che lottavano strenuamente contro la morsa della stagione.
Dentro la carrozza, due figure intabarrate nei mantelli, sedevano sui morbidi divani. Una guardava fuori, da uno spiraglio appena aperto negli scuri mentre l’altra pareva dormire placidamente.
«Bene, principale, pare che la meta si avvicini. Dovremmo arrivare ad Aglarian nel giro di un paio d’ore».
Sotto il cappuccio dell’altra figura un occhio che, se non fosse stato velato dal sonno, avrebbe dovuto essere di un verde profondo, si aprì.
«Ma che ore sono?».
«Il sole sbuca ora dall’orizzonte …».
Dal cappuccio emerse un prolungato sbadiglio.
«Mi svegli all’alba per questo?».
«Avanti, principale, non essere così pigro! Oggi è una giornata stupenda».
«Mi fido di te. Non c’è bisogno che io verifichi. Poi mi racconti, quel che mi sono perso … quando arriviamo».
Si tirò il cappuccio sugli occhi e si accoccolò meglio sul divano, riprendendo a dormire. Il suo compagno gli lanciò un’occhiata disgustata, poi tornò a guardare il panorama, spalancando gli scuri.
«Beltzin, ti venga un accidente! Mi vuoi assiderare?».
«Aria pura, caro mio, mica quei miasmi cittadini …».
«Il cielo ti fulmini. Fa freddo!». Nel dir questo si strinse ancor più nel mantello.
«Ti sta bene, così impari a trascinarmi in questo miserabile borgo minerario».
«Innanzitutto, se fossi stato tu a chiamarmi, sarei partito allo stesso modo, in secondo luogo sei il mio maggiordomo e fai quel che ti dico».
«Primo, io non sarei mai vissuto in un simile buco. Almeno avresti fatto un viaggio in un bel posto. Secondo, vergognati a trattare così i tuoi dipendenti. Ma poi chi diavolo è questo tizio?».
Dal cappuccio fuoriuscì un sospiro rassegnato e l’uomo si rizzò a sedere.
«Bartimeus? Ti piacerà, vedrai. L’ho conosciuto anni or sono, quando muovevo i miei primi passi a Elosbrand e Blackwind era ancora là da venire. È un uomo maledettamente in gamba, intelligente e generoso. Solo, mi chiedo quale sia il problema che Katriona intende sottopormi. Da quel che capisco c'è qualcosa che la turba».
«Mi stai dicendo che non è stato lui a invitarti?».
«A dire la verità, è stata sua moglie a scrivermi. E il tono della sua lettera mi fa temere che ci siano difficoltà».
«Sarebbe a dire che andiamo in caccia di guai?».
«Non proprio. Qualcosa non deve andare nel verso giusto ma, per quanto ne so, Bartimeus e sua moglie godono di ottima salute e la loro bambina dovrebbe ormai essere una bella ragazza».
«Forse hanno problemi negli affari».
«Scherzi? Il mio amico è diventato il principale banchiere della regione. Mi risulta che viva in una splendida villa poco fuori città».
«Non chiamare città quello sputo di paese. Ci sono passato qualche anno fa ed è di uno squallore impressionante».
La figura avvolta nel mantello sbuffò d'impazienza.
«Ti ricordo che è il principale centro minerario della regione».
«Esatto! Un nido di talpe. Buchi dappertutto, polvere, sporcizia».
«E ferro, e oro».
«Come tu mi insegni, caro principale, il modo migliore di procurarsi l’oro non è scavare».
«Mi fai venire i rimorsi. Se penso che quando ti ho assunto eri un così bravo ragazzo …».
«Già, bravo, onesto e di sano appetito».
Un ordine perentorio fece arrestare la carrozza e i due viaggiatori scesero per sgranchirsi le gambe e consumare una ricca colazione.

Vecchi amici

Il centro minerario di Aglarian era un popoloso villaggio in rapida espansione, certamente destinato a diventare presto una piccola città. Da quando, oltre alle ricchissime miniere di ferro, sulle colline settentrionali era stato trovato anche l’oro, non passava giorno che nuovi coloni giungessero in paese in cerca di fortuna. Anche quella mattina erano arrivati un paio di carri alquanto male in arnese che non suscitarono il minimo interesse nei cittadini industriosi. Fece rumore, invece, l'arrivo di un'elegante carrozza con due gentiluomini a bordo.
Quando il cocchio si arrestò nella piazza principale del paese, una piccola folla si era già radunata per vedere chi mai fossero i nuovi arrivati.
Un mormorio accolse il primo a scendere dalla carrozza, un uomo biondo, alto ed elegante, vestito con una livrea impeccabile, decisamente più preziosa del miglior abito della stragrande maggioranza dei buoni cittadini di quel borgo. Il mormorio aumentò di volume quando anche l'altro gentiluomo uscì dallo sportello adornato da un elegante monogramma costituito dalle lettere B e W intrecciate. Quest'ultimo individuo era di altezza media, vestito con un'elegantissima guarnacca azzurra sulla quale era drappeggiato un candido mantello di morbida lana, orlato di pelliccia e fermato da una spilla d'oro tempestata di pietre preziose. Un cappello a tesa larga, adornato da una splendida piuma rossa, gli copriva i capelli corvini e teneva in ombra parte del volto. Portava un elegante bastone da passeggio dal manico d'avorio, del quale non pareva avere assolutamente bisogno, tanto elegante e disinvolto era il suo incedere.
Lo sceriffo del paese si avvicinò ai due nuovi arrivati con un pizzico di titubanza.
«Buongiorno messeri, sono lo sceriffo Percival Dump, con chi ho l'onore di parlare?».
Lo straniero alto guardò con studiata sufficienza l'interlocutore.
«Questo gentiluomo è lord Bailey Windström e io sono Beltzin, il suo maggiordomo. Siamo attesi da messer Kalops».
La folla si disperse rapidamente ma non abbastanza perché ai due viaggiatori non giungessero evidenti mugugni fra i quali si distingueva soprattutto la parola “strozzino”.
«Se gli sguardi potessero uccidere, saremmo già belli stecchiti, te ne sei accorto?». Mormorò Beltzin all'azzimato damerino che stava salutando lo sceriffo con un elegante inchino.
«Non capisco». Sussurrò lord Bailey, «Si comportano come se avessimo nominato il diavolo».
Lo sceriffo rispose piuttosto rigidamente al saluto e, accampando improrogabili impegni, si allontanò a passo svelto.
«Ho l’impressione che i guai arriveranno anche prima del previsto». Beltzin appariva decisamente perplesso. I suoi occhi acuti osservavano attentamente le espressioni dei paesani e l’ostilità gli apparve evidente.
«Il tuo amico non gode di gran popolarità, temo».
«Raccogli tutte le informazioni che puoi. Gira tutte le osterie, i mercati, le piazze. Tutto quanto si dice su Bartimeus e la sua famiglia».
Beltzin lo squadrò con aria scettica.
«Ti costerà, principale».
«Non m’interessa. Datti da fare».
Il maggiordomo sospirò e intascò la capace borsa di monete che lord Bailey gli porgeva.
«E tu che fai?».
«Vado da Bartimeus sperando di capirci qualcosa».
Beltzin fece per allontanarsi, poi ci ripensò e tornò dall’afflitto gentiluomo.
«Dubito che sia saggio abitare dal tuo amico».
«Forse hai ragione. Trova una stanza o, meglio, un appartamento da qualche parte. La faccenda mi pare seria».
«Limiti di spesa?».
«Nessuno. In ogni caso è meglio ingraziarsi più gente possibile». Il volto del giovane lord era nuvoloso, a dispetto del suo carattere gioviale. Era decisamente preoccupato e Beltzin sapeva bene che questo raramente accadeva senza un valido motivo.
«Perfetto». Aveva la tentazione di stringere la mano al suo principale cui era vincolato più da sincera amicizia che da rapporti di lavoro ma temette di attirare troppa attenzione con un gesto che sarebbe potuto apparire addirittura scandaloso.
«Ci vediamo qui a mezzogiorno».
«Dubito di portarti molte notizie in tre ore».
«Porta quel che puoi. A dopo, amico mio».
Il gentiluomo si voltò e liberò il suo cavallo dalla carrozza. Diede ordine al cocchiere di provvedere agli animali e montò in sella, deciso a percorrere rapidamente la strada che conduceva alla villa di Bartimeus. Aveva percorso pochi metri che vide un gruppetto di persone uscire da un edificio dall’aria severa.
«Bartimeus!».
Un uomo alto e magro, dal profilo aquilino, vestito austeramente con una vecchia gamurra grigia, si staccò dagli altri aguzzando lo sguardo.
«Lord Bailey?».
Il giovane balzò giù di sella, per correre a salutare il banchiere.
«Sono io, Bartimeus! Come stai amico mio?».
L'uomo tese la mano con un certo sussiego. Il viso era atteggiato a un sorriso di circostanza.
«Sono veramente lieto di rivederti. Come mai da queste parti?».
Il gentiluomo comprese immediatamente che i suoi sospetti erano fondati. L’iniziativa di chiamarlo era partita dalla moglie del suo amico e lui non doveva saperne nulla.
«Sono qui per affari e ho pensato di passare a salutarti».
«Sei veramente gentile, potresti passare da me … diciamo domani pomeriggio, subito dopo pranzo perché poi ho alcuni appuntamenti, sai sono davvero molto impegnato. Ora lascia che ti presenti i miei collaboratori, signori questo è lord Bailey Windström, un ricco gentiluomo di Elosbrand».
«Onorato di conoscervi milord». Disse un ometto smilzo dalla fulva chioma ricciuta. «Sono Gill Barder, il direttore della banca di proprietà di messer Kalops».
«E io sono Clem Hardfist Moriarty, il capo cassiere». Questi era un nano di corporatura estremamente massiccia, il cui volto era seminascosto da una monumentale barba elaboratamente arricciata che compensava l’assoluta calvizie del capo.
«E io sono Philip Percy Solder, socio di messer Kalops». Un individuo alto, sulla trentina, dai bei lineamenti e gli abiti ricercati accennò un rigido inchino.
«Piacere, piacere, piacere». Lord Bailey salutò distrattamente i tre personaggi, senza mai distogliere lo sguardo dall’amico che, invece, pareva assai interessato dall’elegante opulenza sfoggiata dal gentiluomo.
«Ora devo andare, abbiamo alcuni crediti da riscuotere. Ti aspetto domani, subito dopo pranzo. Se vuoi, passa a salutare Katriona. Dovrebbe essere al magazzino in fondo alla strada a controllare i conti dei balzelli dei nostri mezzadri».
«A domani».
Lord Bailey rimase immobile, fissando incredulo il suo amico che si allontanava parlando fittamente con i suoi compagni. Aveva immaginato molto diverso quel primo incontro dopo tanti anni.
«Ciao, vedo che l’hai già incontrato».
La voce di contralto che proveniva dalle sue spalle suonava rotta dall’emozione. Katriona era comparsa subito dopo che il marito aveva girato l’angolo della strada, come se avesse atteso esattamente quel momento.
Lord Bailey era allibito ma salutò con affetto la cara amica di un tempo che, d’improvviso, gli era apparso terribilmente lontano.
«Ciao, Kat. Sei splendida, come sempre! Non posso dire lo stesso di tuo marito. Ma cosa sta succedendo? Bartimeus così freddo … non lo riconosco più».
Lord Bailey non era stato del tutto sincero. La donna di fronte a lui, sebbene dovesse essere stata assai bella, appariva trascurata e portava evidenti i segni dell’età. Vestiva semplicemente, come il marito, senza la minima frivolezza né un gioiello. I capelli color dell’oro erano striati di grigio. Un’ombra di tristezza le velava lo sguardo.
«Ci sei rimasto male, vero?».
«Male è dir poco. Ma com’è possibile?».
«Ormai sono anni che non è più lui».
Il giovane prese sottobraccio la dama e continuò a parlare sottovoce.
«Facciamo due passi, raccontami tutto, Kat».
«C'è poco da raccontare. Vive per i suoi affari e crede che questo sia il suo dovere anche verso di noi. Figurati che, quando Diana ha compiuto dodici anni, le ha regalato un deposito in banca. Povera piccola, ha pianto per una settimana. Sai che la obbliga a dargli del voi e chiamarlo signor padre?».
La costernazione di lord Bailey, se possibile, aumentò dell'altro.
«Com’è stato possibile? Kat, tuo marito era un uomo disinteressato e generoso, aveva un’adorazione per te e Diana. Non riesco a capire».
«Non lo so. A furia di frequentare uomini d’affari, facoltosi avaracci e di accumulare ricchezza, è diventato così. Ormai è un banchiere e gli affari sono il suo solo interesse. Pensa che ha deciso di fidanzare Diana a un orribile lord pieno di terre e spocchia. Lei ne è disgustata. Sono anni che non sorride più. Mi dispiace ma io devo proteggerla a qualsiasi costo».
«Proverò a parlargli».
«Perderai tempo. Credi che non ci abbia provato in questi anni? Non vuol sentire ragioni. Non vede altro che bilanci e profitti. Questa è la sua vita, ormai».
Il giovane si fermò per guardare negli occhi l'amica.
«Deve esserci un modo. Kat, perché mi hai chiamato? Come vi posso aiutare?».
«Portaci via di qui».
«Cosa?». Il volto di lord Bailey divenne terreo.
«Portaci lontano, a Aglagond o a Krünhand. Dove mia figlia ed io si possa tornare a vivere. Dove lo possiamo dimenticare. Lo odio!».
«Katriona! Sai benissimo che non è vero. Tu non puoi odiarlo».
«Forse no. Ma se resto qui finirò per fare una sciocchezza. Portaci via, ti prego».
«Come puoi pensare di abbandonarlo?».
«Lui ci ha già abbandonate».
Passeggiando, erano usciti dal borgo e avevano raggiunto un'edicola diroccata che probabilmente aveva contenuto un'icona di Telgëa, la dea dell'agricoltura adorata in quei paraggi, almeno fin quando le attività minerarie non avevano soppiantato quelle agricole.
Il gentiluomo sedette su un grosso masso al margine della strada.
«Io … Kat, non posso! Non posso tradire così Bartimeus!».
«Lui ha tradito noi. E te. E se stesso».
«Deve esserci un’altra soluzione».
«Non c’è. Sapessi quante notti insonni ho speso a cercare un sistema per farlo tornare quello che era. Non c’è modo. Se avessi visto anche solo un barlume di speranza, avrei fatto qualsiasi cosa per aiutarlo. Ma non c’è nulla da fare. Lui ormai è solo una macchina per far soldi».
«Ascolta, Kat, dammi qualche giorno di tempo. Fammi cercare un modo. Se non lo troverò vi porterò via di qui, te lo prometto».
La donna lo guardò attraverso le lacrime.
«L’anno termina fra sei giorni. Aspetterò fino ad allora. Il primo giorno del prossimo anno, se lui non sarà cambiato completamente, io partirò di qui e porterò via mia figlia».
«Va bene, Kat. Farò di tutto per farlo tornare quel che era».
La vide allontanarsi fiera ed eretta. Eppure doveva soffrire terribilmente. Ricordò quanto fossero innamorati i suoi amici e come Bartimeus si beasse a giocare con la bimba. Si sentì sopraffare dall’angoscia.

Come può cambiare in fretta il cuore di un uomo!

Sospirò e sedette di nuovo sulla roccia. Aveva bisogno di pensare. E capire.
Mezzogiorno era già passato quando lord Bailey si rese conto di essere in ritardo. Balzò in piedi e montò in sella, per tornare al galoppo in paese. Beltzin lo attendeva con un’espressione burrascosa sul volto.
«Ascoltami bene, principale. Il tuo caro amico Bartimeus è un emerito figlio di un cane. Qui lo detestano tutti».
«Purtroppo lo so». La voce di lord Bailey era estremamente avvilita.
«Io non so cosa siamo venuti a fare in questo buco di paese. È uno strozzino della peggior specie, avaro, insensibile. Pensa che tutte le volte che scrocca una cena a qualcuno, dà la serata libera alla servitù e la defalca dallo stipendio. È capace di tutto pur di arricchirsi. Rigido e intransigente, specialmente con quelle povere creature di sua moglie e sua figlia che sono obbligate a dargli sempre del voi. Oltretutto le fa vivere come due miserabili. Pensa solo ad accumulare oro. Sarebbe una vittima perfetta per Blackwind».
Un’ombra passò sul bel volto del gentiluomo. Era vero. Come era vero che lui era Blackwind, il celebre bandito che aveva più volte derubato e beffato gente spaventosamente simile a quel che Bartimeus era diventato. Le implicazioni di tutto ciò lo turbavano più di quanto non fosse disposto ad ammettere con se stesso.
«Non potrei farlo. Per me era quasi un fratello».
«Bene. Allora sappi che tuo fratello è un emerito figlio di puttana».
In altri momenti, lord Bailey avrebbe riso davanti all’insolenza del maggiordomo. Invece parve non averlo nemmeno ascoltato.
«Ascolta, Beltzin, io devo fare qualcosa».
«Certamente, rimonta in carrozza e torniamocene a casa, facciamo ancora in tempo per la festa di fine anno al Senato».
Beltzin cominciava ad agitarsi. Quando il suo principale si metteva in testa certe idee, lui finiva regolarmente per andarci di mezzo. D’altra parte, non aveva mai avuto serie ragioni di lamentarsene, visto che finiva sempre per guadagnarci lautamente. Ma quella volta non c’erano guadagni in vista. Solo noie.
«Non dire assurdità. Comincio ad avere un’idea». Gli occhi profondi studiarono l’espressione ombrosa del maggiordomo.
«Non mi piace quando mi guardi così».
«Ascoltami bene, dobbiamo mettere in scena una piccola commedia di fine anno».
«Scordatene. Ho altri programmi».
«Annullali. Tu sarai il regista e io l’impresario. Dobbiamo reclutare una decina di comparse e studiare qualche colpo di teatro. Ho bisogno del tuo aiuto».
«Quanto?». In realtà il maggiordomo non si sarebbe perso quell’impresa per nessuna ragione al mondo ma avrebbe preferito affrontare la tortura piuttosto di ammetterlo davanti al gentiluomo.
«Mille».
«Cinquemila».
«Duemila, non una moneta di più».
«Allora arrangiati». Beltzin adorava quelle contrattazioni.
«Mi lasceresti in un simile guaio?».
«Non mi piace lavorare per un avaro».
«Duemilacinquecento più le spese».
«Ora cominciamo a ragionare».

Festa di Fine Anno

Sonno.

La cena offerta dal giovane gentiluomo si era protratta fino a tardi, tanto che Katriona e Diana erano state riaccompagnate a casa a un’ora più consona a delle dame di specchiata rispettabilità. Nonostante gli sforzi di lord Bailey, quella sera l’allegria non era riuscita a sbocciare. La rigida etichetta che Bartimeus usava rispettare in quelle occasioni rendeva tutto innaturale. E le due donne parevano risentirne particolarmente.
Il banchiere sapeva che non erano felici ma era fermamente convinto che, in futuro, lo avrebbero ringraziato di quanto faceva per loro, in particolare Diana. Erano diventate le dame più ricche di quelle contrade e i maggiorenti avrebbero fatto carte false per la mano della figlia di Bartimeus Kalops. Sì, decisamente, lo avrebbero dovuto ringraziare.
Si era trattenuto fino a quell’ora tarda nella speranza di coinvolgere il vecchio amico in qualche speculazione finanziaria ma i suoi sforzi risultarono vani. Anzi, le chiacchiere di lord Bailey lo avevano alquanto innervosito. Si era più volte chiesto come avesse fatto a stringere quell’amicizia, anni prima.
Quell’indolente damerino aveva raccontato storie di fantasmi per tutta la sera e il banchiere se le era sorbite tutte esclusivamente per ingraziarsi quel potenziale facoltoso cliente. Ora però era stanco e inquieto. Si sentiva strano, quella sera. Fra l’altro, aveva la sensazione di avere bevuto forse troppo. Eppure era stato attento a non esagerare.
Giunto al cancello della villa si sentì un po’ meglio. Finalmente la serata era terminata e si sarebbe potuto rifugiare nel proprio letto.
Stava per suonare la campana quando gli sovvenne di aver dato la serata libera alla servitù, come sempre quando cenava fuori, per risparmiare. Estrasse la chiave e armeggiò un po’ con la serratura. Lentamente, in lui cominciò a montare l’ansia. La chiave non funzionava.
Dalle sue labbra uscirono variopinte imprecazioni soffocate. Cercò di forzare la toppa ma non concluse nulla. Scagliò al suolo la chiave con una violenta bestemmia. Avrebbe dovuto attendere il rientro di qualcuno dei servi. Forse fino all’alba. Maledì la sua abitudine di licenziare la servitù quando usciva la sera. Sarebbe stato opportuno che almeno uno rimanesse ad attenderlo. Pazienza per la paga, sarebbero stati soldi ben spesi.
Si accoccolò sotto un albero, davanti al cancello, avvolgendosi bene nel mantello. La serata, già rigida, stava diventando freddissima. Era lì da una ventina di minuti, quando vide una figura avvicinarsi con passo sicuro al cancello. Era un uomo più o meno della sua taglia, più o meno vestito come lui. Più o meno. Gli abiti di quel tizio apparivano nuovi e perfettamente in ordine. Bartimeus osservava un po’ stupito quell’individuo che si stava avvicinando al cancello senza dar segno di essersi accorto di lui. Il suo stupore si accrebbe quando il misterioso figuro suonò con sicurezza la campana. E rimase paralizzato dalla sorpresa quando vide emergere dall’ombra il portinaio che si affrettò ad aprire e a far entrare quel tipo come se fosse stato uno di casa. Dopo un attimo senza parole, Bartimeus si rialzò e corse al cancello.
«Ehi! Aprite! Sono io! Il padrone!».
Nessuno rispose alle sue invocazioni, eppure poteva vedere benissimo lo sconosciuto che camminava verso il portone, scortato dal portinaio col quale pareva chiacchierare amichevolmente. Per un attimo temette di essersi sbagliato, che quella non fosse la sua casa e quello non fosse il suo servo. Ma quella era assolutamente la sua casa. Lo stupore lasciò il posto alla rabbia e Bartimeus si attaccò alla catena della campana. Nulla. Per quanti sforzi facesse, la campana non si muoveva né emetteva alcun suono.
«Ehi! Maledizione, aprite! Maledetti mangiapane a ufo, aprite!».
Il profondo silenzio della campagna fu l’unica risposta alle sue grida.
Intanto, l’estraneo aveva raggiunto e varcato il portone che si richiuse alle sue spalle. Una rabbia sorda invase il banchiere. Come poteva accadere una cosa del genere? Come poteva un perfetto sconosciuto farla da padrone in casa sua? Un brivido lo scosse. Non l’avrebbe permesso.
Si arrampicò con enorme fatica sul cancello e riuscì goffamente a scavalcarlo. Quando, alla fine, ricadde sull’erba del parco, si sentì terribilmente stanco. La testa gli girava vorticosamente. Il vento gli turbinava nelle orecchie. Pure, si rialzò in piedi e avanzò fino al portone. Lo trovò chiuso e la chiave non funzionava, esattamente come era successo al cancello. Lo tempestò di pugni e urla. Invano.
«È un incubo. Certo. Ora mi sveglio e tutto scompare». Si sedette sui gradini, sfinito. Chiuse gli occhi. Li riaprì. Nulla da fare. Non era nel suo letto. Era ancora sul marmo gelido della scalinata. Rabbrividì. La testa gli girava vorticosamente. Perché il cuore gli batteva così?
Si alzò tremante, non sapeva neppure se di freddo o di rabbia.
Si avvicinò a una finestra illuminata, maledicendo le pesanti sbarre che lo tenevano tanto lontano dai vetri. Guardò dentro. Il cuore gli fece male.
Lo sconosciuto, che aveva con lui una fastidiosa somiglianza, era seduto al tavolo, tenendo sua figlia fra le braccia, mentre sua moglie lo guardava con occhi adoranti.
Urlò ma nessun suono uscì dalle sue labbra livide.
Cadde seduto sul prato. Un’angoscia indescrivibile lo aveva pervaso. Sua figlia. Ma Diana aveva ormai quindici anni. E quella dietro i vetri della finestra era una bambina.
Ma perché quel misterioso individuo gli assomigliava tanto? E perché stava cullando quella bambina?
Ma era la sua bambina. E non di quel tipo.
La sua.
Tutto si fece buio.
***
Freddo.

Cosa diavolo stava accadendo?
Aprì gli occhi e si sentì sollevare il cuore. Era stato un sogno. Era ancora sotto l’albero, fuori del cancello di casa. Aveva sognato un episodio di tanti anni prima. Tanti. Troppi. Da quando non faceva una carezza a sua figlia? Frivolezze. Sua figlia avrebbe avuto una dote sontuosa e avrebbe sposato un nobiluomo e condotto una vita da signora. E allora lo avrebbe ringraziato. Le carezze non si portano in dote.
Però era freddo. E buio.
Si alzò faticosamente e raggiunse il cancello.
Tremava mentre inseriva la chiave nella toppa.
Si sentì esultare, quando la serratura si aprì senza difficoltà. Entrò felice nel gelido giardino.
Il suo sguardo fu attratto da qualcosa che biancheggiava alla tremula luce della luna. Una figura femminile. Ebbe un tuffo al cuore nel riconoscere i capelli d’oro di sua moglie. Che ci faceva lì fuori, avvolta da un elegante mantello che lui non le aveva mai comprato? La chiamò ma la figura ammantata non parve udirlo. Un brivido gli percorse la schiena.
Lo scalpiccio di un cavallo.
Un destriero nero arrivò al galoppo dall’interno del parco. Lo montava un cavaliere dai ricchi abiti candidi, orlati di pelliccia, che si fermò accanto a Katriona. La donna montò agilmente in sella, accomodandosi di traverso e abbracciando il misterioso gentiluomo biancovestito. Il cuore di Bartimeus parve spezzarsi e un dolore atroce lo pervase quando il cavallo si allontanò al galoppo portandosi via la sua sposa.
«Katriona!».
L’eco degli zoccoli si spense nel buio della notte. Anche la luce della luna parve affievolirsi.
Il banchiere corse in casa, col cuore che pareva balzargli in gola a ogni passo. Irruppe nella camera di sua moglie, trovandola deserta e spoglia. Nulla di lei era rimasto. Neppure un biglietto d’addio.
Un gelo terribile lo avvolse.
Come un automa uscì dalla stanza e percorse il corridoio, fermandosi davanti alla camera di sua figlia. Esitò un attimo, poi spalancò la porta sulla stanza, anch’essa desolantemente vuota.
Corse giù dalle scale, spalancò il portone e si precipitò giù dalla gradinata, nel parco, nel punto esatto dove aveva visto fuggire la sua sposa. Si arrestò davanti a una lapide spoglia che biancheggiava lugubre sotto la luna.

Bartimeus Kalops
Nessuno lo pianse perché troppi piansero per lui.

Le ginocchia gli cedettero e tutto tornò buio.
***
Caldo.

Cos’era tutto quel baccano?
La luce del camino lo abbagliò. Intorno, voci chiassose e tanto rumore.
Era sulla poltrona, nel grande soggiorno, accanto al focolare. Il caldo era soffocante. Si passò una mano sulla fronte madida di sudore. Sogno? Realtà? Importava?
«Ragazzi, piano con quell’arazzo! E voi sbrigatevi col forziere!».
Si alzò stancamente, sorreggendosi alla poltrona. Lentamente, il suo sguardo percorse la sala che un gruppo di tizi incappucciati stava coscienziosamente svuotando, guidati da un elegante personaggio, completamente paludato di nero.
«Oh, buonasera, messer Kalops!».
Lo sguardo apatico del banchiere si posò sul volto beffardo dell’uomo, parzialmente coperto dalla tesa del cappello piumato.
«Chi … chi siete?».
La voce era atona, rauca. Lo sguardo perso nel vuoto.
«Mi chiamano Blackwind, messere». La voce dell’individuo vestito di nero era limpida e ironicamente cortese.
«Tutto ciò … è opera vostra?».
Blackwind sorrise. Ma non c’era allegria nel suo sguardo.
«In parte. Ci avete messo molto del vostro, sapete? Diciamo che le … sottrazioni sono tutte farina del mio sacco, che volete, sono la mia specialità».
Lo sguardo inebetito del banchiere spaziò nuovamente nella sala sempre più spoglia. Un sorriso amaro gli affiorò sulle labbra.
«Mi state svuotando la casa?».
«A che vi serve ormai?».
«A nulla. Ne convengo».
Il celebre ladro si tolse cerimoniosamente il cappello con un inchino perfetto.
«Se permettete, allora, torno alle mie occupazioni». Si rimise il cappello in testa e voltò le spalle a Bartimeus. Questi esitò un attimo, poi gli corse dietro. Un impulso irrazionale lo guidava.
«Aspettate».
Blackwind si voltò lentamente.
«Sì?».
«Mia moglie … mia figlia … le avete prese voi?». Per la prima volta, gli occhi del banchiere sorressero lo sguardo penetrante del ladro, animati da un’assurda speranza. La voce di Blackwind suonò come una frustata.
«Le avete perse voi, messere». Detto questo, l’uomo vestito di nero si voltò allontanandosi. Bartimeus lo inseguì e lo costrinse a girarsi verso di sé. Era tutto assurdo. Ma nella disperazione, anche le cose assurde hanno un senso.
«Prendetevi tutto. La casa. Le mie ricchezze. Ma ridatemi la mia famiglia».
«Vale tanto, per voi?».
Gli occhi stanchi e arrossati tornarono a fissare il suolo.
«Io … credo di sì». Lo sguardo si levò nuovamente per fissarsi fermamente negli occhi del suo interlocutore. «Sì».
«Credete? Eppure i vostri affari hanno sempre la precedenza». C’era una nota di beffarda amarezza nella voce del ladro.
«Era così. Ora … non più. Ora che non ho più nulla … non m’importa più nulla di nulla. Solo loro hanno valore. Ridatemele, ve ne prego».
«Non è in mio potere rendervi ciò che avete perduto».
«V’imploro».
«Non dipende da me, messere. Solo da voi. Volete un’altra occasione?».
«Sì, ve ne sarò grato tutta la vita!».
Un sorriso, finalmente allegro, comparve sulle labbra del celebre bandito. Come per magia, due coppe di vino comparvero nelle sue mani e ne offrì una al disperato banchiere.
«E sia. Brindate con me, messer Bartimeus».
***
Luce.

L’alba. Era giorno. Le morbide coltri profumate gli comunicarono una dolcezza infinita. Quello era il suo letto. Assurdamente sperò che l’incubo fosse cessato.
Bartimeus scivolò esitante fuori dalle coltri e si avvicinò alla camera di sua moglie. Quando spalancò la porta, Katriona scattò a sedere sul letto, guardandolo con occhi ansiosi.
Lo sguardo di Bartimeus, da cupo che era, si fece radioso e balzò sulle coperte ad abbracciare la moglie.
«Sei qui. Sei qui. Amore mio, sei qui». Bartimeus piangeva.
«Dove dovrei essere, sposo mio?». La voce rotta di pianto della moglie suonò come un concerto d’arpe agli orecchi del banchiere.
«Mille miglia lontano da questo pezzo di cretino che non capiva che tu e Diana siete la sua unica ricchezza. Ero un povero cieco, amore mio … ma Diana? Dov’è?».
«Padre!». La ragazza entrò timidamente nella stanza, avvicinandosi al letto.
«Bimba mia! Amore mio! Ma che bimba? Sei una donna, ora. E che donna! Beato chi ti sposerà, angelo mio». Gli occhi grandi della fanciulla si spalancarono stupiti.
«Non dovevate sceglierlo voi, padre?».
«No. No, piccina mia. E smettila di darmi del voi e chiamarmi padre. Chiamami babbo, invece».
«Ma come? Come i plebei?». Diana non sapeva più cosa pensare.
«No. Come quelli che si amano davvero. E chi se ne frega dell’etichetta!».
E, dopo tanti anni, Bartimeus Kalops rise.

Epilogo

La carrozza indugiava sulla strada mentre gli amici si salutavano con tutt’altro calore di quando erano arrivati. Bartimeus Kalops, finalmente vestito con eleganza, stava abbracciando con vigore un imbarazzatissimo lord Bailey.
«Torna presto, amico mio, te ne prego».
«Lo spero, Bart. Eppure non mi sembravi entusiasta di rivedermi, quando sono arrivato».
«Ero cieco, folle. Avresti dovuto andartene subito, invece … ti sono grato, milord».
«Di cosa?». Il volto espressivo del giovane si atteggiò a divertito stupore.
«Non so. So che tu c’entri qualcosa. So che mi hai salvato».
«Ora non esagerare».
«Io so che mi hai salvato. So anche che dovrei gonfiarti di botte ma sono dannatamente felice che tu … mi abbia organizzato la più incredibile festa di fine anno che si possa immaginare».
«Quante storie per una cena». Gli occhi verdi del giovane lord erano stranamente lucidi.
«… della quale io sono stato la portata principale. Non so come hai fatto ma non mi basterebbe una vita per ringraziarti. Tutto ciò che ho è tuo, amico mio».
«Tutto ciò che hai è tuo. Vedi di farne buon uso, d’ora in poi».
«Puoi contarci. Ti aspetto al più presto possibile».
Katriona aveva gli occhi arrossati quando abbracciò lord Bailey il quale pareva, a sua volta, visibilmente emozionato.
«Sei stato incredibile. Ancora non riesco a crederci».
«Senza il tuo aiuto e quello di Diana non ci sarei mai riuscito».
«Senza di te io avrei perso mio marito e Diana suo padre».
«Bada a lui, Kat. Ha bisogno di te».
Il nobiluomo si staccò dall’abbraccio e alzò gli occhi verso il portone della villa dei Kalops. La giovane Diana lo stava salutando con gli occhi finalmente sorridenti. Le mandò un bacio, subito ricambiato, poi salì sulla carrozza, dove il suo maggiordomo lo stava aspettando con un ghigno sardonico dipinto sul viso. Quando il cocchio ebbe varcato il cancello della villa, Beltzin ridacchiò.
«Senza il tuo aiuto non ci sarei mai riuscito. Faccia di bronzo. E il mio aiuto?».
«Sei stato in gamba, devo riconoscerlo».
«Come avresti fatto senza di me? Guarda che non è stato per nulla facile, sai?».
«Ti ricordo che il piano è tutto opera mia».
«Già. E come lo avresti realizzato, senza il mio impagabile aiuto?».
«Ora non esagerare. Cos’avresti fatto di tanto straordinario?».
«Chi ha trovato la bambina tanto simile a Diana da piccola? E la lapide? Quella è stato un colpo di genio!».
«E chi ha sostituito le chiavi di Bartimeus, allora? E chi gli ha drogato il vino per far sì che perdesse il senso della realtà? E la doppia campana?».
«Ovvìa, per Blackwind è stata una sciocchezza. Piuttosto, io in quattro giorni ti ho trovato tutti gli attori per la tua commediola. E non hai idea di quanto mi sia costato!».
«Guarda che ho pagato io».
«Ma io parlavo del costo intellettuale, una fatica tutt’altro che remunerata».
«Stai diventando avido. Finirai come Bartimeus».
«Può darsi, principale. Nel caso, ti prego vivamente di non provare a fare a me lo scherzo che hai giocato a lui».

Note:

1) La storia è rispettosamente ispirata al meraviglioso racconto di C. Dickens “A Christmas Carol”. Ovviamente, in un’ambientazione non cristiana, il riferimento al Natale si perde e ho scelto il capodanno in quanto allegoria di cambiamento e rinascita. Incipit vita nova.
2) Il Bartimeus in questione non è un djinn e non ha nulla a che vedere con l’opera di Stroud, semmai è riconducibile a un personaggio e un autore decisamente più antichi, il cieco di Gerico del Vangelo di S. Marco.
3) Beltzin è un PG del mio carissimo amico Maurizio, cui dedico questo racconto con gratitudine per le innumerevoli e meravigliose serate di RPG (poco) e bischerate (tante) trascorse insieme.

  
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