Anime & Manga > Rossana/Kodocha
Segui la storia  |       
Autore: yesterday    26/05/2010    23 recensioni
Non è mai una scelta vantaggiosa condividere una stanza di quattro metri per quattro con il tuo ex ragazzo. Soprattutto se l'ex ragazzo in questione è Akito Hayama, e siete più o meno in pessimi rapporti.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Fuka Matsui/Funny, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

1.51: Wall: one of the vertical sides of a building or room.

PART ONE.

 

 

 

Di certo stavo sognando. Non poteva essere altrimenti.
Se fosse stata la realtà, quella, avrei iniziato la giornata imprecando contro una sveglia puntata troppo presto ma sicuramente troppo tardi per arrivare in orario all’università, nel letto di qualcuno che avrebbe spalancato gli occhi e mi avrebbe fatta a pezzi nel giro di quattro secondi mediante una specialissima mossa di karate sconosciuta ai più.
Invece nella dimensione parallela in cui mi trovavo non c’erano sveglie - o meglio sì, ma silenti -, ritardi - ma in realtà dovevo ancora accertarmene -, e qualcuno che mi avrebbe affettuosamente buttata giù dal letto con qualche frase poco carina.
Frase che io avrei accettato lo stesso di buon grado perché, e qui non c’era spazio per i dubbi, il senso di colpa doveva ancora estinguersi.
Ed ero ancora troppo addormentata per pensare di avere anche ragione, che Hayama fosse un idiota completo e che.. quando dormiva era proprio un angelo.
Rimasi rannicchiata al suo fianco a osservare.
Non fraintendiamo - come fraintendevano continuamente Tsuyoshi, Aya, Fuka, probabilmente anche Mama, Rei e famigliola - era solo una considerazione oggettiva: Akito era bello.
Di quel bello che, a suo tempo, mi faceva mozzare il fiato e invece, da un anno a quella parte, mi imbestialiva.
Esattamente. Lui e le sue donne mi infastidivano. E lui aveva una quantità industriale di donne a portata di mano perché era evidentemente ed innegabilmente bello. Punto.
Poi che appena aprisse bocca lo detestassi era un’altra cosa.
Provai l’impulso irrefrenabile di tirargli un pugno in testa, allungai una mano fino ai suoi capelli. Tanto bello quanto stupido.
Invece di colpirlo cominciai a percorrere il suo profilo con l’indice, partendo dalla base dei crini biondi - e senza pensare nemmeno lontanamente che si sarebbe svegliato. Non l’avrebbe fatto. (Punto.)
Stupido.
Scivolai sulla linea dritta del naso.
E complicato.
Mi spostai a destra, lieve sulla guancia.
E spaccone - quando voleva.
Ritornai al punto di prima e sfiorai leggera le sue labbra, che al passaggio del mio indice si schiusero. Mi bloccai.
Continuava a dormire, doveva per forza essere stato un movimento involontario.
Proseguii con la corsa delle mie dita fino al mento, e anche con gli insulti..
E paranoico. E incomprensibile.
E una lista infinta di cose poco belle, per l’appunto, da sentirsi dire.
Persi completamente la cognizione del tempo, consolandomi al pensiero che - la sveglia ero certa d’averla puntata - quella di sicuro non era la realtà, quindi potevo permettermi il lusso di restare a guardare Akito che dormiva e passare il tempo a riempirlo di insulti - mentali - meritati e veritieri.
Almeno fino a quando non sentii il primo leggero bip del cellulare, che avrebbe progressivamente aumentato di volume.
Spalancai gli occhi agitata, notando solo in quel momento quanto ci fossimo avvinghiati nel sonno - solo per poterlo maledire ancora un po’, come diavolo sarei riuscita ad afferrare il telefono prima che il rumore lo svegliasse, eh? - e mi spinsi con tutte le mie forze verso il comò.
Niente da fare, il suo abbraccio era come una gabbia.
« Pure quando dormi mi devi complicare la vita? » bofonchiai, mentre mi scioglievo dall’intrico di braccia e gambe con difficoltà.
Ce l’avevo quasi fatta, giuro. Avevo spento la suoneria della sveglia, mi ero ancorata a terra con un piede ed avevo entrambe le braccia libere.
Mancava all’appello solo la gamba sinistra, ed io non vidi altra soluzione che tirare.
Ma dosare la forza di prima mattina - e per una volta avevo seriamente tutte le motivazioni per poterla definite tale - si prospettava come qualcosa di largamente superiore alle mie possibilità.
Avrei potuto immaginarlo, effettivamente, ma era un ragionamento troppo complesso da fare mentre tutto il mio corpo si lamentava per l’improvviso gelo post-risveglio. Così tirai, e tirai forte.
Liberai la gamba, ma finì all’aria insieme alla destra. Il mio fondoschiena spalmato sul pavimento e le coperte di Akito alla mia destra.
E qualcun altro, in quel momento, iniziò a lamentarsi per il freddo.
Merda.
« Mmmh » mugugnò, rigirandosi.
Mi alzai velocemente, gli buttai le coperte addosso ed uscii, recuperando qualcosa dall’armadio.
Sperai con tutto il cuore di aver azzeccato l’anta giusta. Seguire il discorso di presentazione seduta nelle prime file vestita da uomo non mi avrebbe fatto una gran bella pubblicità, decisamente.

« Già sveglia? »
« Buongiorno, Aya » salutai appena raggiunta la cucina « sì. E addirittura prima che suonasse la sveglia. Da non crederci. »
Mi guardò maliziosa per un secondo, prima di concentrarsi sulla sua colazione.
« Sarà la tensione » risolse soltanto.
Di risposta mi strinsi nelle spalle, mentre recuperavo una tazza e procacciavo del latte.
« Oh, non riesco a non dirtelo. » scosse leggermente la testa.
Appoggiai il tutto sul tavolo con sguardo interrogativo.
Aya mi guardava dritta negli occhi, uno strano luccichio nelle iridi scure ed un sorrisetto compiaciuto trattenuto a stento tra le labbra.
Preoccupante. Molto preoccupante.
Inspirò.
Inspirai.
« Dimmelo allora » esalai dopo un silenzio che parve interminabile.
« Eravate.. Eravate così carini, prima » intrecciò le dita e portò le mani di lato al viso, in faccia un’espressione estatica.
Se le mie guance avessero potuto prendere fuoco nel senso letterale del termine - fuoco, braci, fumo compresi nel prezzo, intendo - probabilmente l’avrebbero fatto.
Aya era entrata in camera.
Aya aveva visto.
Aya avrebbe frainteso - e, per dire, già l’aveva fatto.
Mi massaggiai le tempie, mentre l’immancabile sopracciglio delle situazioni sconvenienti scattava verso l’alto.
« Ero convinta di doverti svegliare » si affrettò ad aggiungere, mentre io mi sedevo accanto a lei evitando accuratamente di guardarla in volto « cioè, che avresti spento la sveglia e continuato a dormire » possibile « e saresti arrivata in ritardo all’università »
Degnai di uno sguardo l’orologio, e capii che quell’ultima parte era comunque probabile.
« Intanto chiariamo una cosa, Aya » puntai gli occhi nei suoi « quello che hai visto in camera non è quello che sembra. Te lo spiegherò poi, sono in ritardo » fuggii dalla stanza mentre lei mormorava un “oh, certo, aspetto le spiegazioni allora” e correvo a darmi una sistemata.
Ritornai sui miei passi solo per comunicarle che avevo risolto il mistero del vestito, e alla sua richiesta di dettagli mi strinsi nelle spalle, rimandando al pomeriggio.


***


Il primo giorno passò in fretta, e per fortuna.
La frase del giorno era assolutamente “ma tu sei Sana Kurata, quella di Kodocha?” ed io, occhi al cielo, dalle dieci e mezza del mattino in poi ero stata in grado di leggerla nei visi dei miei interlocutori prim’ancora che aprissero bocca.
E mi ero sentita dannatamente perspicace.
I vestiti erano da donna, fortunatamente, un paio di jeans ed una felpa nera; eccezion fatta per la maglia a maniche corte, molto verosimilmente di Akito.
E che altrettanto verosimilmente dovevo avergli comprato proprio io.
Poco male, avevo avuto buongusto in quell’occasione, così girai per i lunghissimi corridoi dell’edificio in maglia verde di qualche taglia di più grande.
Del discorso iniziale non capii un granché, ma riuscii comunque a fare la mia bella figura entrando in ritardo, arrossendo, inciampando, e rallegrando l’intero auditorio a metà presentazione con un sonoro bip, che avvisava me - e gli altri trecento nella sala - di una nuova mail.
Mail inviata da un ormai poco paziente Tsu, che recitava:


“Sana, Akito dice che gli hai rubato degli indumenti. Forse suonerà un po’ come già detto, ma quando la finirete di comportarvi da bambini?
E’ andato a correre, di nuovo.
La prossima volta sbrigatevela voi, sempre colpa dei vestiti eh?”



Così capii che il mio biondo coinquilino doveva aver condiviso i suoi viaggi mentali circa il celeberrimo vestito, inoltre che era assolutamente odioso - io non rubavo indumenti. Era uno solo il caso, e comunque si trattava di un prestito - e che Tsuyoshi doveva concretamente ancora afferrare il concetto che conoscere il timetable di Akito non era la mia priorità.
Se voleva passare le sue giornate correndo, poteva benissimo farlo.
Poteva anche correre per andare a trovare le sue amiche, volendo: non mi interessava.


***


« No, Sana. Ripeti tutto daccapo. C’è qualcosa che non va »
Fuka Matsui mi stava interrogando telefonicamente, l’ordine del giorno era tutto tranne che originale: sviluppi sulla questione Hayama.
Spiegai nuovamente “vestito”, litigio e tutto il resto - forse per la quinta volta.
« No, non ci siamo. Dice di non volerne sapere nulla di te e poi se la prende per un fottutissimo vestito? » sbraitò dall’altro lato.
« … »
« … »
« … »
« Sana, ci sei? »
Recuperai l’uso della voce solo per confermare la mia presenza.
Io a quel particolare proprio non ci avevo pensato.


***


Rincasai nel primo pomeriggio, e avevo le idee ben chiare.
Abbandonai borsa e scarpe all’entrata e mi fiondai alla ricerca del mio coinquilino.
« Tu. » indicai la chioma biondiccia di Hayama.
Non che intendessi parlare esattamente con quella - effettivamente l’avrei anche potuto fare, e altrettanto effettivamente non sarebbe stata in grado, per ovvi motivi, di irritarmi a morte con qualche rispostaccia. Il tutto perché, oggettivamente, i capelli non hanno vita propria (a parte in rari casi) e nemmeno capacità di parola (nessun raro caso).
« Come disse un tempo qualcuno.. “io ho un nome” » riprese un nostro vecchio discorso, senza nemmeno degnarsi di voltare il viso nella mia direzione. Continuò a osservare l’interno del nostro frigorifero, cercando qualcosa.
Sbuffando lo chiuse, prendendo semplicemente una mela.
Espirai, preparandomi psicologicamente a perdere almeno mezz’ora prima di riuscire a instaurare uno scambio propriamente detto.
« E va bene » tentai, richiamando alla memoria le parole dette da Fuka subito dopo avermi condotta alla conclusione che il comportamento di Hayama era stato decisamente contraddittorio. Diritti d’autore permettendo, potevo benissimo riutilizzarle. I discorsi alla Matsui facevano sempre un gran bell’effetto.
« Continua pure a tenere il broncio, evitami e prenditela per ogni sciocchezza, davvero »
Pausa strategica: in ogni battaglia che si rispetti arriva il momento in cui si aspetta la mossa dell’avversario per elaborare un contrattacco efficace.
(Mi sarei dovuta dare alla carriera militare. Visti i presupposti, avrei probabilmente fatto strada.)
Riuscii a centrare la questione, ottenendo tutta - quasi - l’attenzione di Hayama.
Espirai; parte seconda.
« Puoi farlo, ed io non ti disturberò. »
Mi sentivo i suoi occhi puntati addosso.
« Quale sarebbe la condizione per un po’ di pace? Perché una condizione ci dev’essere. » constatò, ed io mi maledii per essere diventata così prevedibile ai suoi occhi.
Mi grattai nervosamente la testa, spostando lo sguardo.
« Una risposta. »
Inarcò un sopracciglio, iniziando a far rimbalzare la mela che teneva in mano, mimando una nonchalance che in quel momento di sicuro non possedeva.
« Spara »
Decisi di prenderla alla lontana: « L’altra sera.. L’altra sera mi hai detto che di quel che faccio non t’importa nulla, sbaglio? »
Annuì, vago.
« Mi chiedevo »
« Te lo chiedevi tu o qualche anima pia - che so, Fuka, Aya, qualche nuovo conoscente universitario - ti ha messo la pulce nell’orecchio? » mi provocò a mezza voce.
Mi morsi il labbro inferiore, concentrandomi sulle venature della porta.
« Non sviare e non interrompermi »
Trattenni il respiro, sicura di averlo fatto arrabbiare; lui scosse la testa, quasi fosse una muta risposta.
« Dicevo » perché mi tremava la voce? « se veramente non ti interessa, perché prendersela così tanto per un gesto che io ho fatto senza cattiveria? Voglio dire - non me ne sono mica accorta, che era quel vestito »
« Beh, Sana » sempre la strana nonchalance non da lui « quello è perché tu sei ottusa »
Spostai nuovamente lo sguardo su di lui. Ed era uno sguardo per ovvi motivi allucinato. Mi morsi la lingua per non rispondere alla provocazione - era quel che voleva, oh sì. Sviare il discorso.
Ed io non gliel’avrei mai permesso.
Picchiettai col piede sul pavimento, in attesa.
Capì che non sarebbe riuscito a sfuggirmi, e smise di giocare col frutto, che ripose sul tavolo.
Espirò, curvando leggermente le spalle - e sembrò che insieme espirasse tutto l’Hayama detestabile che era stato fino a quell’istante.
Uno a zero per Sana: avevo abbattuto il muro.
« Come siamo arrivati a questo punto? »
E rimasi a bocca aperta, scoprendo che parte dei miei quesiti erano perfettamente condivisi.
Mi sentii punta nel vivo, ma preferii non dare soddisfazioni - orgoglio - e mi ancorai al mio precedente discorso.
« Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda » recitai come una bimba di cinque anni « e comunque.. Non lo so, come siamo arrivati qui. »
Scosse la testa.
« Vedi? Riusciamo a comportarci come due persone civili troppo raramente » ammise con una punta d’amarezza.
Sorrisi.
« E’ perché mi irriti a morte, Hayama »
« Non che tu mi renda la vita molto più facile, Kurata » roteò gli occhi, esasperato.
Mi rilassai.
Stavamo dialogando come due persone normali, era un evento da segnare sul calendario.
Oltretutto, stavamo addirittura scherzando.
Mi avvicinai, spostando la sedia e rubandogli la mela.
Annuì, fingendosi offeso.
« Tu rubi, Kurata » e ovviamente colsi l’allusione anche alla maglia che indossavo « Non si fa »
Scossi la testa. « Prendo in prestito, è una cosa fondamentalmente differente »
Morsi di proposito la mela, restituendogliela come prova « e comunque questo » indicai la t-shirt verde « è stato un incidente »
Stavo per scoppiare a ridere. Riavvolsi mentalmente il nastro del discorso per intero, e notai che parlavamo più per allusioni che per altro.
« Ah, certo. Anche qui avrei due paroline da dire »
Uno a uno, palla al centro.
Secondo morso alla mela rotonda.
Stavolta suo.
Allungò il braccio, offrendomela.
Accettai di buon grado - se una mela da mordere era un modo per parlare senza litigare, allora avrei anche potuto comprarne un’intera piantagione.
Lo guardai stranita.
Sapeva dell’incidente? Aya gliene aveva parlato?
Aya non sarebbe sopravvissuta - in caso.
« Del tipo? » richiesta di informazioni celata dietro nonchalance. Era il mio turno.
« “Del tipo” » mi schernì - si allungò per mordere il frutto ancora tra le mie mani « che dormi un po’ troppo spesso nel mio letto. »
Argh. Sapeva.
Spostai lo sguardo, abbandonando la mela sul tavolo e arrossendo vistosamente.
Cercai di mascherare la cosa alla bell’e meglio.
« Mi serviva » chiarii « te l’ha detto Aya? »
Tanto per sapere quanti minuti di vita le restavano.
Scosse la testa.
« No, lo so perché mi hai fatto passare la notte in bianco. E oltretutto, bella caduta, stamattina »
Chiusi gli occhi, avvampando all’inverosimile.
Mi passarono davanti agli occhi quei momenti in cui credevo di sognare - ed invece ero sveglia - e rannicchiata ero rimasta a fissare Akito che.. Che fingeva di dormire!
Imbarazzo. E oltre all‘imbarazzo, qualcosa che non era ancora chiaro.
Perché avrebbe dovuto passare la notte in bianco a causa mia? Balbettante, glielo chiesi.
« Semplice » si strinse nelle spalle, quasi fosse davvero la considerazione più facile al mondo « sei l’esatta definizione di "persona che parla sempre". Anche nel sonno. » ammiccò.
Ed io sprofondai, sgranando gli occhi.
Era.. Doveva.. Di sicuro..
Okay. Rimettiamo in moto le funzioni vitali e contiamo.
Uno: non me l’aveva mai detto, mentre stavamo insieme. Quindi di sicuro non parlavo nel sonno già allora.
Due: successivamente avevo sempre dormito da sola, nella mia stanza. E ovviamente nessuno mi avrebbe mai potuta avvisare di una cosa simile..
Tre: chi.. Chi diavolo avrebbe mai pensato di preoccuparsi di un’eventualità così remota? Io e Hayama dividere la stessa camera, chi l’avrebbe mai detto? E invece, fortuna volle, come si suol dire.
Quattro: Oh. Kami.
« Che.. Che cosa avrei detto? »
Si strinse per l’ennesima volta nelle spalle, dissimulando.
Ma io non avevo la minima intenzione di lasciar correre.
« Me lo dirai? »
Soffocò una risata. « Promesso »
E sembrava vagamente divertito.
Sospirai, rassegnata.
Avevo incamerato abbastanza informazioni per passarci almeno una decina di notti in bianco.
Il nuovo Akito - quello che mi stava di fronte, con cui ero riuscita a scherzare (per quanto uno del genere potesse scherzare) e divertirmi, almeno per quest’assurdo vizio di chiamarci per cognome - mi riportò terribilmente indietro negli anni.
E non riuscii a trattenere nel cervello un paragone, che quando compresi - compresi in parte, a dir la verità - mi fece avvampare come una tredicenne e scoppiare il cuore: bastava osservare i suoi occhi.
Com’era sempre bastato.
Uno dei primi ricordi che avevo di Akito erano esattamente i suoi occhi.
Quegli occhi così freddi e distaccati del bambino che in sesta elementare altro non sapeva fare che rendere la vita difficile, a scuola.
E uno dei ricordi più importanti della mia infanzia - forse anche della mia vita intera - era il momento in cui quegli occhi si riscaldarono.
Solo un po’.
E quel momento coincideva con la definizione del “mio” Akito.
Allora non era cambiato, in quell’anno - non era diventato un universo lontanissimo.
Da qualche altra parte forse avrei potuto trovarci anche tutto il resto.
Da qualche parte.
..Se non altro un passo in avanti già l’avevo fatto, scoprendo (per caso, certo, ma c’è qualcosa che non succeda per caso, in realtà?) dove si nascondeva l’Akito civile, il “mio” Akito. L’Akito senza muro intorno.
Volendo, ormai sarebb-
« Kurata » interruppe i miei pensieri - già il tono non andava, ma non me ne accorsi « ..ti sta squillando il cellulare »

 

 

 

________________________________

   
 
Leggi le 23 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Rossana/Kodocha / Vai alla pagina dell'autore: yesterday