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Autore: Goten    27/05/2010    10 recensioni
Adesso cominciavo sinceramente a essere curioso, chissà che razza di uomo era Charlie Swan. Avvertii il rumore dell'acqua provenire dal piano di sopra, sicuramente era una doccia, sospirai, volevo tornare a casa alla svelta. Scesi dall'albero e attesi che finisse i suoi bisogni umani, avevo intenzione di incontrarlo subito e se fosse stato possibile, lo avrei portato via con me ancora quella stessa mattina. Certo che per essere un uomo ce ne metteva di tempo sotto la doccia, erano già ventisei minuti buoni che stava sotto quel getto. Magari si era sentito male... no, il suo cuore batteva forte e armonioso. Decisi di attendere ancora un po'. Finalmente sentii chiudere la manopola dell'acqua e il suo ciabattare al piano superiore. Aveva un passo leggero per essere un uomo, notai. Contai mentalmente fino a mille, prima di bussare gentilmente alla sua porta, quando questa si aprì, mi trovai di fronte lei, la donna delle pulizie.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ho ricevuto alcune e mail in questi giorni, l'ultima giusto oggi... tutte con lo stesso messaggio: ritornare su efp. Ammetto che un pò di quella delusione che avevo in passato è scemata via... anche se non del tutto, ma dato che alcune di voi me lo hanno chiesto, ho deciso di ritornare. Spero di farvi ancora sognare con le mie storie, buona lettura, Goten


Capitolo 4


Qualche timido raggio di sole cercava di trapassare le nuvole in cielo ma con scarso risultato. Non mi ero mai mosso dalla mia posizione, erano ormai le nove di mattina e Isabella non si era ancora vista. Sentivo il battito del suo cuore provenire dalla stanza al piano di sopra, ma nient'altro.
Perché le donne erano così complicate?! Avevo sistemato il mio bagaglio nella stanza accanto alla sua. Mi sarei scusato a tempo debito per la mia invasione.
Cominciarono a passare le ore lentamente, le nove... le dieci... le undici...
Quando l'orologio segnò il mezzogiorno, andai a vedere se finalmente si fosse decisa a scendere. Bussai alla sua porta.
<< Vattene >> Bofonchiò al suo interno.
<< Isabella dovresti mangiare. >> In effetti, sapevo che i comuni esseri umani dovevano nutrirsi più volte durante la giornata.
<< Fatti gli affari tuoi. >> La sua maleducazione non sembrava vacillare neanche sotto i segni della fame, perché avevo chiaramente sentito il brontolio del suo stomaco.
<< Tu sei affar mio, almeno finché non finirai il lavoro. >> Il suo modo di fare era irritante, non la sopportavo.
Sentii i suoi passi far scricchiolare le assi di legno del pavimento, fece scattare la serratura della porta e pochi secondi dopo mi trovai davanti alla figura sconvolta e irritata di Isabella.
Mi guardò arcuando un sopracciglio scuro. << Finché non finirò il lavoro?... Bene... >> Mi passò accanto cominciando a scendere le scale. La seguii silenzioso, arrivammo nel laboratorio. Mi appoggiai alla parete, curioso di vedere adesso cosa avrebbe fatto per finire prima il lavoro destinato a noi vampiri. Perché ero certo che pur di non avermi in mezzo ai piedi, Isabella lo avrebbe finito subito.
La osservai prendere in mano un tubo di ferro abbastanza massiccio per un tipo come lei, lo guardò scrupolosa e prima che potessi anche solo intuire le sue intenzioni... fracassò e distrusse buona parte del suo lavoro.
Scattai in avanti afferrandole entrambe le mani. << Che diavolo stai combinando?! Sei impazzita?! >> Feci forza sui suoi polsi facendola gemere di dolore ma il risultato fu quello voluto, lasciò andare il tubo di metallo.
<< Lasciami bastardo! >> Mi urlò contro. << Tu sei un verme! Esattamente come Mike! Lasciami! >> Si dimenava, cercando di liberarsi dalla mia presa, il suo cuore batteva forte e disperato. Che diavolo le aveva fatto questo Mike per ridurla così?! Potevo capire il fatto di averlo trovato a letto con un'altra, ma così era davvero troppo! << Lasciami! >> Urlò ancora, e stavolta lo feci, la lascia andare.
Rimasi lì a guardarla freddo e immobile. Aveva le guance rosse ricoperte di lacrime, il suo volto deturpato da una rabbia, o forse disperazione, talmente potente da sovrastarla completamente.
<< Non so cosa ti abbia fatto questo Mike, ma non mi pare il caso di essere paragonato a un essere umano. >> Dissi a voce bassa ma ben udibile anche per un orecchio come il suo.
Sembrava che all'improvviso si fosse scaricata, come un giocattolo in cui le batterie a un certo punto si esauriscono. Le sue spalle erano curve, come appesantite, il volto non era più rosso, ma tendente al bianco. Eppure, nonostante tutto, le lacrime continuavano a sgorgare silenziose.
<< Hai ragione. >> sussurrò con voce roca e bassissima. << Scusa. >>
Non si mosse, rimase lì in piedi, le braccia lungo il corpo impotenti davanti a quello spettacolo di distruzione di cui lei stessa era stata artefice.
I suoi occhi osservarono tutto, dalle sue labbra uscì un debole << Che disastro... >> Sospirò e si nascose il volto fra le mani. Stava cercando di calmarsi.
Quando si sentì più padrona di se stessa, abbassò le mani, osservò con cipiglio severo tutto quello che la circondava, si mosse sicura verso destra e con riluttanza afferrò una scopa e una paletta.
Guardai il disastro che aveva combinato e sospirai, se avesse sistemato da sola, avrebbe solamente allungato i tempi. Con un agile movimento fui subito al suo fianco. << Ti aiuto. >> La mia non era una domanda, ma un'affermazione.
Isabella annuì solamente e in silenzio cominciammo a ripulire tutto. I pezzi più pesanti li spostai, dove m’indicava, cominciarono a passare i minuti e poi le ore.
Non c’eravamo scambiati nessuna parola, tranne lei quando ogni tanto mi diceva “qui” o “lì”.
Avevo preso a osservarla silenzioso. Era cocciuta e nonostante sembrasse forte, era mortalmente fragile, in ogni senso.
La domanda di cosa diavolo le avesse fatto quel Mike riaffiorò nella mia mente.
<< Ti spiace se metto della musica? >> La sua voce triste e sottile mi sorprese.
<< No, fai pure. >> Aveva ancora gli occhi rossi, ma almeno le lacrime non scendevano più.
<< Accedi cartella musica. >> Ordinò.
Comando eseguito, nome del brano?
<< Claire de Lune. >>
E la musica dolce di Debussy riempì il nostro silenzio.
Andammo avanti a lavorare ascoltando quelle note così dolci e così malinconiche, sembravano perfette per quel momento.
Erano le sei di sera quando finimmo tutto. Era stato un lavoro lento per i miei standard, ma Isabella aveva bisogno di tenere la mente occupata per un po’ e forse adesso sarebbe stata anche più ragionevole sulla mia proposta di abbandonare Forks.
Sì, mi sembrava il momento buono per parlarle, stavo aprendo bocca, quando lei mi anticipò. << Grazie, Edward. >> Rimasi con le labbra socchiuse. Mi aveva chiamato per nome e non in modo dispregiativo. Era già un notevole passo avanti. Il suo viso era voltato verso di me e un leggero colorito rosso le colorava le guance. << Insomma... beh, grazie. Senza di te non avrei finito così presto. >>
<< Di nulla. >> Sorrisi gentile senza mostrare troppo la dentatura da predatore. Stavolta parlai e le esposi nuovamente la mia idea. << Isabella. >> Mi schiarii la voce, anche se non ce ne era veramente bisogno. << La mia proposta di trasferirti a Volterra, è ancora valida, prendila in considerazione. >>
I suoi occhi si assottigliarono. << Non ti arrendi mai, vero? >>
Scossi la testa negativamente. << Sono qui per portarti via, lo sai, non ne ho mai fatto mistero. >>
Sospirò pesantemente, adesso ero sicuro che saremmo tornati a Vampiro e non più a Edward... invece mi stupii di nuovo. << Edward, la mia risposta non cambia, amo questo posto e non ho intenzione di andarmene. Puoi rimanere, ma quando finirò il mio lavoro, te ne andrai ed io mi riterrò libera da voi. Va bene? >> Si era avvicinata, era decisa e a me questo nuovo contratto stava più che bene.
<< Va bene. >> Sentenziai porgendole la mano per sigillare il nuovo patto, lei la strinse. Il suo calore era piacevole. Molto piacevole.
Ritornammo al piano di sopra, dove Isabella si stava adoperando per cucinarsi qualcosa di commestibile. Era divertente vedere quanto tempo ci mettesse un essere umano a prepararsi da mangiare e poi finire tutto in meno di dieci minuti.
Mi ero seduto di fronte a lei, sapevo che era maleducazione fissare le persone, ma come scusa mi ero detto che la stavo studiando e lei, a parte arcuare un sopracciglio scuro, non aveva detto niente per farmi smettere.
La porzione di spaghetti al sugo era quasi terminata nel suo piatto. << Quanti anni hai? >> Mi domandò all'improvviso spezzando quel piccolo silenzio che ci aveva avvolto fino a quel momento.
<< Diciassette. >> Risposi automaticamente, era una di quelle risposte pronte che sfoderavo sempre in giro, d'altronde il mio aspetto dimostrava davvero quell'età.
Le sue labbra si stesero in un sogghigno. << No, dicevo la tua vera età. >> Afferrò un bicchiere d'acqua e ne bevve un sorso.
<< Oh, centootto. >> Ammisi un po' riluttante. << Tu invece? >> Lei ne dimostrava almeno venti.
<< Diciotto. >> Beh dai, non avevo sbagliato di molto. << Vivi qui da sola? >> Era una domanda un po' sciocca, se consideravo che suo padre fosse morto e in due giorni che stavo qui, non avevo visto nessuno oltre a lei e quel biondo traditore.
<< Sì, è bello, tranquillo. M’ispira molto per le mie invenzioni. >> Aveva decisamente una mente brillante. Avevo visto parecchie cose giù nel suo laboratorio, era straordinario pensare che provenissero tutte da lei. << Tu invece? Com'è casa tua? >> Addentò un'altra forchettata di spaghetti, i suoi occhi mi osservavano curiosi. Com'era casa mia? Bella, calda accogliente e ovviamente piena di vampiri. Sorrisi inconsciamente. << Come mai quel sorriso? >> Non le sfuggiva nulla.
La fissai teneramente. << Pensavo alla mia famiglia, ai miei fratelli e sorelle. >>
<< Ti devono mancare molto. >> Si pulì la bocca con il tovagliolo.
<< Abbastanza. E' strano essere lontani da loro. >> Era una confessione intima quella che le stavo facendo, per me la mia famiglia era il mio cuore e le stavo mostrando che infondo anch’io ne avevo uno. << Volterra è storia. Non c'è un singolo posto a Volterra che non sia storico. Noi viviamo sotto il Palazzo dei Priori. Non è proprio casa nostra. Siamo lì perché i Volturi, l'antica casa di Vampiri che ci governava ha lasciato a noi Cullen le redini del potere. Tutto quello che dobbiamo fare, è mantenere segreta la nostra esistenza e cercare di vegliare sulla nostra razza. >>
Mi guardava silenziosa, quasi ammaliata. Mi lusingò questa cosa e preso da questa nuova emozione proseguii il racconto. << Siamo in sette nella mia famiglia, ci sono Esme e Carlisle. Noi tutti li consideriamo come i nostri genitori. Esme è dolce e gentile, Carlisle ha una pazienza infinita. E' anche medico oltretutto, a volte cura anche gli esseri umani. Ha una resistenza al sangue che è incredibile. >> Sembravo tanto un bambino orgoglioso dei suoi genitori. << Alice e Jasper invece sono abbastanza particolari. Lei, vede il futuro, e Jasper sente e manipola le emozioni delle persone. Hanno due poteri veramente unici. >> Guardai Isabella che pendeva letteralmente dalle mie labbra. << Alice è anche una patita della moda. Adora fare compere e Jasper adora fare felice Alice. >>
<< Si completano a vicenda. >> Aggiunse lei sorridendo.
<< Oh sì. >> Sospirai. << Poi ci sono Rosalie e Emmett. Sono una coppia molto affiatata, lei è un genio dei motori, è un meccanico senza eguali, mentre lui è... un orso. >> Ridacchiai. << Decisamente un orso. E' l'anima della nostra famiglia, è impossibile rimanere tristi in presenza di Emmett. >>
<< E poi ci sei tu. >> Sorrise nuovamente. << Hai una bellissima famiglia. >>
Abbassai lo sguardo imbarazzato, forse mi ero lasciato andare più del dovuto con lei.
<< Io invece sono figlia unica, mia madre ha divorziato da mio padre quando ancora ero piccola. Non so dove sia adesso e non mi interessa. Charlie mi ha insegnato tutto quello che conosco. E' stato la mia guida... >> Sospirò e abbassò lo sguardo sul bicchiere d'acqua che stava nella sua mano. << Ho conosciuto Mike a scuola, era il ragazzo di una mia compagna all'epoca. Poi loro si sono lasciati e... beh, sai come funziona, una cosa tira l'altra e siamo finiti assieme. Fino a una settimana fa. >> Appoggiò il bicchiere sul tavolo e respirò profondamente, stava probabilmente raccogliendo le idee e decidere cosa raccontarmi della sua vita.
<< Sono rientrata a casa presto, ero andata a trovare Jake a La Push. E' un mio amico, anche se la parola “confidente” calza molto meglio, quel giorno avevo appena fatto una scoperta stupenda, volevo che Jake fosse uno dei primi a saperlo... ad ogni modo, sono tornata a casa e ho trovato quel verme nel letto con Jessica. >> S’interruppe, il suo cuore aveva preso a battere un po’ troppo veloce, c'era ancora rabbia nelle sue parole e tanta delusione. I suoi occhi erano lucidi, soffriva e di questo mi dispiaceva.
<< Se vuoi fermarti... >> Provai a suggerirle.
<< No. Va tutto bene, è solo difficile. >> Sospirò afferrando il tovagliolo di carta per asciugarsi le lacrime fuggiasche, rise amaramente. << Prova a immaginarti la scena, io che entro, con una notizia strepitosa... >> si asciugò ancora le lacrime. << … sarei diventata mamma e Mike papà. Avremmo formato una famiglia. E invece... >> Un singhiozzo prepotente le sfuggì dalle labbra facendo finalmente cedere la sua corazza dura.
Mi trovai in un battito di ciglia accanto a lei, a confortarla, a coccolarla. << Va tutto bene, Isabella... tutto bene... >> Erano parole vuote molto spesso queste, ma io volevo fermamente che andasse tutto bene a lei.
<< No che non va bene! >> Singhiozzò contro il mio torace duro. << Come fa ad andare bene?! Sono incinta! Di quel pezzo di... >> Le accarezzai la schiena cercando di calmarla. Era distrutta. La rabbia che stavo covando contro quel viscido verme aumentava a dismisura.
<< Bella, Mike non sa nulla del bambino? >> Era una domanda che mi era sorta spontanea, così come l'avevo pensata mi era uscita dalle labbra.
<< No. >> Pigolò fra le mie braccia mentre i singhiozzi cominciavano a calmarsi. << E non deve saperlo. Lo odio... >>
E non era la sola a odiarlo in quel momento. << Quindi l'altro giorno sei andata da Jake? >> Annuì silenziosa.
Sembrava tanto una bambina spaventata e questo mi spingeva ancora di più a cercare di proteggerla, anche perché altrimenti non riuscivo a spiegarmi quel senso di protezione che cominciavo ad avere nei suoi confronti. << E cosa ti ha detto per farti piangere? >> Le mie mani non avevano mai smesso di accarezzarle la schiena, sembrava gradisse quel gesto di conforto.
<< Niente, mi ha ascoltato. >> Bé, almeno questo Jake sapeva ascoltare.

   
 
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