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Jessie
Jessie stava seduta sulla balaustra in marmo bianco della casa del padre con le gambe a penzoloni che ondeggiavano nel vuoto. Sotto il terreno scendeva ripido per qualche metro per tornare poi regolare sulla sabbia. Adorava quel posto, poteva dire che era il punto della casa che amava di più. Si rigirò la tazza di the caldo fra le mani sospirando, con lo sguardo perso ad osservare ciò che la circondava.
Davanti a lei un
tratto di spiaggia che terminava con un mare così limpido che ci si poteva
specchiare. Da quando era piccola viveva nella villetta del padre, immersa nel
verde, dopo che sua madre, confermato il divorzio, era scomparsa non lasciando
più traccia né di lei, né del rapporto che aveva con i figli.
«Che fai, tesoro?». Suo padre spuntò dalla
porta che collegava la veranda al terrazzo, il viso segnato dal troppo lavoro,
ancora giovane e bello nonostante i suoi quarantotto anni, con delle rughette
impresse sulla fronte, i capelli scuri spruzzati di grigio e una lieve e
trascurata traccia di barba.
«Niente di particolare, come sempre...» gli
rispose mantenendo lo sguardo sul mare che
rifletteva ormai l’ultima traccia di sole.
Il padre si
avvicinò alla figlia e la baciò sulla fronte per poi sedersi affianco a lei.
«È bello, no?» le domandò spostando lo
sguardo verso il tramonto.
Jessie annuì
socchiudendo appena gli occhi costretta dalla luce del sole. Faceva freschetto
lì fuori nonostante fossero i primi di maggio così si ritrovò a stringersi nel
suo maglioncino mentre la brezza le scompigliava i lunghi capelli castani
facendoli ricadere delicatamente sul viso.
«Dov’è Noah?» domandò Jessie per spezzare il
silenzio.
«Non lo so, è uscito poco fa, credo sia
andato al molo». Suo fratello Noah aveva diciassette anni appena compiuti e,
chiunque avesse avuto l’occasione di conoscere i figli Lohan, era rimasto
stupito nel vedere quanto i due fossero uniti. Infatti Jessie e Noah erano
inseparabili e sempre pronti ad aiutarsi l’un l’altro, cosa che stupiva
parecchia gente. Affidabili e responsabili, li definivano e Samuel ne andava
fiero.
«Fa’ freddino, che ne dici di entrare?» le
domandò il padre appoggiando una mano sulla spalla della figlia.
«Vai pure, io rimango ancora un po’...» rispose
voltandosi e cercando di sorridere ottenendo soltanto una specie di smorfia.
«Senti, Jessie...» iniziò suo padre ma si
zittì subito capendo che non era il momento di reinizare con le stesse futili
spiegazioni, così chiuse la bocca rassegnato e tornò in casa.
Tutti pensavano
che Jessie fosse solamente una ragazza timida e taciturna, e che, nella sua
solitudine si trovasse bene, ma si sbagliavano, lei non stava affatto bene. Ma nessuno si preoccupava del chiederle quale
fosse il motivo di tanto silenzio, a nessuno era mai importato e a lei non
importava farlo sapere. Certo, aveva qualche amica, se così si potevano
definire, ma dopo l’ennesimo rifiuto di uscire si erano limitate a salutarla
all’inizio delle lezioni. Jessie non lo faceva apposta, solamente non riusciva
ad aprirsi con le persone, ed uscire in paese a imbrattare i muri delle case di
scritte fatte con le bombolette spray non le sembrava il miglior modo di combattere
la sua timidezza. Si sdraiò sul muretto e chiuse gli occhi. Respirò lentamente
assaporando il profumo salmastro che le inondava le narici. Si lasciò andare a
se stessa e piano piano si addormentò e
quando riaprì gli occhi le stelle oramai alloggiavano nel cielo. Luna piena,
quella notte, l’adorava, sembrava la regina del cielo.
«Ehi, Jessie...» si sentì sussurrare per poi
avvertire un leggera carezza sui capelli.
«Mmm?» mugugnò ancora assopita. Sapeva che
era Noah, l’aveva capito da quel suo tono dolce che usava spesso con lei.
«Hai idea di che ore siano? Dai, fa freddo,
vieni dentro, domani c’è scuola...». Ma Jessie non aveva la minima intenzione
di alzarsi, come se tutti i muscoli le si fossero atrofizzati, così rimase ferma
immobile dove stava. Sentì sospirare Noah e lo seguì con lo sguardo mentre si
sedeva accanto a lei.
«Sai, Jessie, nemmeno a me piace l’idea di
rivedere mamma né tantomeno di passare tutta l’estate insieme a lei», ammise
accarezzandole delicatamente i capelli.
«Ma allora perché non possiamo rimanere qui
con papà?» domandò lasciandosi cullare dalla tenerezza del fratello.
«Perché la mamma è tornata e vuole
riallacciare i rapporti e papà deve andare per un breve periodo a Los Angeles
per questioni di lavoro, lo sai...».
«Poteva pensarci prima di scomparire senza
dirci nulla, non può pretendere di tornare tutta pentita e aspettarsi che noi
la perdoniamo» commentò sprezzante stringendo i pugni.
«Non pretende che noi la perdoniamo, vuole
solo vedere se stiamo bene».
«Ma cavoli!» esclamò Jessie mettendosi a
sedere «”Vuole solo vedere se stiamo bene”? Ma come crede che stiamo?! Pensa
che non ci sia mancata una figura femminile in tutto questo tempo?!».
Sentiva le lacrime
premere agli angoli degli occhi e le lasciò scendere calde e copiose sul suo
viso immobilizzato dal freddo e in un attimo si trovò al caldo fra le braccia
del fratello.
«Tranquilla, vedrai che ci divertiremo, ci
sarà anche là il mare, così ti sentirai comunque un po’ a casa...».
Jessie avrebbe
avuto molto da ridire, ma se ne stette zitta, era stanca e l’unica cosa che
voleva era addormentarsi fra le braccia rassicuranti di Noah, una delle persone
a cui teneva di più. Così gettando un ultimo sguardo alla luna chiuse gli occhi
e in un attimo, cullata dal calore del petto del fratello, si addormentò
facendosi spazio nel mondo dei sogni.