Pirati
Era buio all’interno dell’abitacolo, estremamente freddo e silenzioso.
Così era sto ininterrottamente per circa otto anni, quando una piccola spia rossa sia accese, cominciando a pulsare.
Di lì a poco ogni cosa si animò: sistemi di navigazione, controlli d’assetto … tutto.
Un tripudio di luci che danzava in ogni dove, riflettendosi sulla superficie lucida di una cupola trasparente che conteneva il corpo inanimato di Pharnasius, avvolto nei cavi elettrici che lo mantenevano in vita nel delicato stato di congelamento in cui si trovava.
Per tutto il tempo l’intelligenza artificiale di Belta aveva guidato la traiettoria della nave attraverso le galassie, unendosi o dissociandosi ai numerosi plotoni di macchine che attraversavano il cosmo come carovane di nomadi nel deserto; ma ora, il verificarsi di una situazione che esulava dalle sue innumerevoli istruzioni, aveva reso Belta incapace di agire in completa automazione.
Pharnasius aprì gli occhi di botto, così come la consapevolezza di sé le era tornata: veloce ed improvvisa come uno scroscio di pioggia in una giornata estiva.
Non vi erano sogni durante l’ibernazione, solamente l’assenza totale di sé; un po’ come morire e tornare alla vita con la deliziosa illusione che tutto si sia compiuto nel tempo di uno schiocco di coda.
-Belta? Dove siamo? Siamo arrivati da qualche parte?-
Subito la manta olografica le fu al fianco, danzando nell’aria ciclicamente riciclata da un potentissimo impianto di filtri e sintetizzatori.
-Ci siamo allontanati centinaia di
anni luce dal pianeta che
abbiamo lasciato, seguendo sempre la stessa traiettoria lungo il
trentesimo
quadrante … quanto alla tua
seconda domanda … no, non siamo
arrivati da nessuna parte … -
-Come, come?
Perché mi hai svegliata se siamo ancora immerse nel
nulla più totale?-
La manta
stropicciò con più impeto le pinne, così come un
drago si
sarebbe grattato la nuca con l’artiglio dell’ala, svelando
un certo imbarazzo.
-Riguarda il pilota automatico,
Pharny … La
porzione
del mio software adibita al suo controllo non risponde alla mia
volontà!
Abbiamo così effettuato una deviazione notevole dalla
traiettoria di crociera…
ho tentato più volte di correggerlo, ma non ci sono
riuscita… _
Pharnasius si
sfregò gli occhi ancora assonnati.
-Accidenti, voi
macchine siete tutte così: va tutto bene fino a
quando non succede un imprevisto, ed alla più piccola cavolata
avete sempre
bisogno di qualcuno che tappi la falla … siete ancora troppo
rigide.-
Belta
lampeggiò di rosso prima di ribattere prontamente con un
veloce elenco delle qualità proprie delle macchine che
superavano di gran lunga
quelle degli esseri viventi, tra le quali la velocità di
pensiero, la
precisione e la capacità di reperire energia ovunque.
-Hai ragione mia
piccola e petulante manta, ma avete sempre
bisogno di noi che vi ripariamo o che vi forniamo l’intelligenza
necessaria al
vostro funzionamento … e questo è un bene:
sarebbe spaventoso il
contrario, non trovi?-
- Come preferisci che ti mandi a
quel paese? In maniera esplicita
o velata?-
L’indignazione
simulata dalla piccola interfaccia strappò alla
dragonessa viola una sincera risata che subito la mise di buon umore.
Allungò una
zampa per carezzare la sagoma di Belta ma le sue dita
non trovarono alcuna superficie ad accoglierle: tutto di Belta era un
illusione,
un gioco di cifre binarie.
Quella
considerazione la fece rabbrividire, quando si ricordò di
come Oscar, il burattinaio, utilizzasse lo stesso sistema per creare i
suoi
fittizi universi.
Poi ad Oscar si
succedette la figura di Loki, l’indomito domatore di
quelle correnti di alta e bassa tensione, che spesso e ben volentieri
smarriva
ogni contatto con la realtà.
“In fondo,
Oscar e Loki sono molto simili…”
-Pharnasius, sveglia! Torna tra noi!-
-Hu?-
-Il pilota automatico, dolcezza, gli
vuoi dare un’occhiata o no?-
-Ok, Ok! Cavoli come
sei esasperante!-
La guerriera
sfiorò appena la scocca interna dell’abitacolo,
facendo materializzare il pannello di controllo della nave,
completamente
costituito di forme di luce semitrasparenti, frutto di una proiezione
olografica
sensibile al tatto.
Fu quando Pharnasius
tentò di accedere al programma del pilota
automatico che di colpo l’intero abitacolo fu immerso dal buio
più totale, come
se si fosse verificato uno spaventoso cortocircuito.
Poi la corrente
tornò a circolare tra i circuiti della nave,
alimentando solamente lo schermo del pannello dei controlli.
La creatura che
apparve nel riquadro luminoso era quanto di più
bizzarro e ripugnante che Pharnasius avesse mai visto.
Era informe e
gelatinosa, come una ameba ingrandita innumerevoli
volte; tutto il suo corpo aveva una carne trasparente e rosata che
faceva
chiaramente intravedere gli organi interni che rilucevano di un cremisi
bagliore proprio.
Due protuberanze
alla sommità della testa, simili a due pesche
sciroppate, costituivano gli occhi dell’abominio, mentre una
strana proboscide
da farfalla vorticava laddove ci sarebbe
dovuta essere la bocca.
-Pha! Ma che razza di
essere sei, da dove potranno mai provenire creature così
ripugnanti?-
Le sputò
addosso poco garbatamente il budino vivente, tramite
l’ausilio di un congegno che, appoggiandosi alla memoria di
Belta, traduceva in
parole comprensibili quelle che non erano altro che flebili schiocchi.
-Senti chi parla!
Non si capisce dove hai un inizio né una fine!
Comunque nessuno ti ha obbligato a bloccarmi la nave per vedermi, cosa
diavolo
vuoi? Parla in fretta.-
- Derubarti-
Le rispose con
semplicità.
-È uno
scherzo, vero?-
Pharnasius
sentì il proprio sangue gelare.
-Niente affatto… abbiamo
agganciato la tua nave ed ora la stiamo dirigendo verso la nostra
ciurma, ti
consiglio di non opporre resistenza se non vuoi essere prontamente
eliminata;
se collaborerai e non ci creerai noie, ti libereremo al prossimo porto.-
La dragonessa viola
rispose soffiando come mille serpenti,
contorcendo il muso in modo da esibite le lunghe zanne appuntite in
tutta la
loro letalità, comunicando chiaramente che mai e poi mai avrebbe
reso il lavoro
facile a quei predoni.
L’ameba venne
attraversata da un movimento ondulatorio, come una
forma di gelatina alla frutta infilzata da un cucchiaino: era
praticamente
impossibile intuire ciò che un simile gesto stesse a significare.
-Hu, come vuoi. A presto…-
Lo schermo si spense
e la luce tornò nell’abitacolo assieme al
pannello di controllo.
Subito la guerriera
si precipitò a prendere le armi, preparandosi
ad una strenua resistenza indossando i bracciali dalla lame laser ed il
fodero
con le pistole.
-Dannazione Beltsa
come hai fatto ad non accorgerti che c’è un
virus nel pilota automatico che ci sta portando dritti verso la bocca
di quegli
sciacalli!-
-Perdonami Pharny ma ho le idee
alquanto confuse… se ti può aiutare posso dirti che ho
sentito parlare
di bande sparse di pirati che vagano in questa parte
dell’universo… sai, quando
mi univo agli sciami ho avuto l’occasione di conversare con i
sistemi operativi
delle altre navi… devo dire che ho visto delle cose alquanto
bizzarre… Hai mai
sentito parlare di navi funebri? Sono dei computer veramente
sfortunati,
costretti a vagare in eterno in compagnia di un cadavere: certi
addirittura
sono in giro da millenni! E poi…-
-Non ora, Belta!
Riesci a disinnescare il pilota automatico?-
-No, il sistema operativo
dell’ammiraglia nemica mi nega l’accesso!-
Pharnasius
infilò le punte degli artigli sotto la scocca del pannello
di comando, sradicandola con malagrazia dalla propria sede con uno
strattone.
Belta si
illuminò di rosso come un piccolo fuoco, mentre i piccoli
occhi per poco non le fuoriuscirono dalle orbite.
-Cosa diavolo stai facendo! FERMA!-
-Qual è il
cavo che collega il tuo sistema operativo ai motori
della nave?-
-È quello lì grosso in primo piano, con
le rigature
bianche e verdi, perché me lo chiedi?-
On un fugace guizzo
degli affilati artigli, la dragonessa recise
di netto il cavo in questione senza tante cerimonie.
-MA SEI USCITA DI SENNO! GUARDA COSA
HAI FATTO!-
L’ira di Belta
era palese, tanto che la sua proiezione olografica
si era ingrandita a dismisura; ma Pharnasius ignorò con
facilità lo spaesamento
del computer di bordo, inserendo il pilota manuale.
-Preferirei provare
a fuggire prima di essere costretta a
combattere-
La modalità
di comando manuale prevedeva un completo riassetto
della cabina di pilotaggio.
Da sempre i draghi
erano stati dei maldestri piloti, fino a quando
non trovarono un modo efficace di simulare il volo, facendo così
muovere le
navi, dalle ali flessibili e dalla lunga coda, in simbiosi con i
movimenti del
pilota.
Un sistema di campi
di forza avvolse Pharnasius, sollevandola dal
pavimento, mentre un ingegnoso sistema di fibre ottiche cancellò
alla vista le
pareti della nave, tanto che la dragonessa ebbe l’illusione di
starsene fuori
tra le stelle del cosmo.
Poteva sentire le
forze che agivano sul corpo della nave come
correnti d’aria sulle proprie ali e quando ripiegò le
membrane contro il corpo
per acquistare velocità, i potenti motori della macchina
risposero dando il
massimo delle loro prestazioni.
La navicella
schizzò via come una cometa azzurrognola, mentre il
cosmo tutto attorno si trasformava in una confusa cacofonia di linee e
lampi di
luce ed i pirati non tardarono a gettarsi nell’inseguimento
dell’ambita preda
che era riuscito a rompere le maglie della loro rete.
-Dannazione! Questi
bastardi hanno l’artiglieria!-
Fino ad allora stava
andando tutto più che bene.
Pharnasius era
riuscita a giocare egregiamente le proprie carte,
sfruttando l’agilità e le capacità di manovra,
tipiche delle navi dragonesche,
per distanziare confondere la traiettoria delle più goffe
macchine pirata,
completamente sferiche.
Aveva volato per un
lunghissimo periodo, intercettando una fascia
di meteoriti dove aveva tentato di far perdere le proprie tracce agli
inseguitori; il suo intento non venne raggiunto, ma almeno quattro
macchine
nemiche si erano disintegrate contro un asteroide, esplodendo in un
fiore di
petali infuocati e pezzetti di lamiera incandescente.
Fu forse il fatto di
aver avuto delle considerevoli perdite tra la
ciurma, che spinse l’ammiraglia a non badare più
all’incolumità della nave
fuggiasca e a ricorrere ai dispositivi di offensiva: la flotta fece
fuoco,
prendendo Pharnasius completamente impreparata e colpendola ad un
motore di
propulsione ed allo snodo dell’ala destra.
I danni erano gravi
e costrinsero la nave a diminuire di molto la
velocità di crociera.
Ormai controllare
l’assetto e la traiettoria del veivolo era quasi
completamente impossibile! Pharnasius era continuamente sballottata da
continui
sbalzi di pressione sulle proprie ali, più volte si era
rovesciata, tuttavia
non volle arrendersi, non ancora perlomeno.
I pirati la
raggiunsero con facilità, circondandola e
rinchiudendola in una gabbia di sfere fluttuanti.
-Siamo finite, Pharny
hai qualche idea?-
-E lo chiedi a me
Belta? Non dovresti essere tu il mega cervellone
tra noi due?-
-I radar hanno rivelato un pianeta
nelle vicinanze, forse potremmo
sfruttarlo in una qualche maniera…-
Belta
proiettò l’immagine del globo: una strana palla azzurra e
verde, circondata da vorticanti striature di bianco.
Pharnasius non aveva
mai visto una cosa del genere, se il suo
pianeta appariva torrido e bruciato, anche se osservato dalle
profondità dello
spazio, questo trasmetteva freschezza e salute.
-È situato a un anno
luce da qui… in pratica, alla
nostra velocità
dovremmo raggiungerlo tra una manciata di minuti: le sue
condizioni atmosferiche sono compatibili per la vita .-
-Come pensi potremmo
sfruttarlo?-
- Bella domanda…-
Non volendo, furono
i pirati ad offrire una possibile soluzione:
credendo di avere ormai preso la preda nel sacco, da alcune navicelle
sferiche
fuoriuscì un cordone di energia elementare che andò a
ghermire la navicella di
Pharnasius; mentre le loro compagne si aggrapparono ad esse formando
una sfera
colossale di metallo ed energia.
La dragonessa
avvertì quei vincoli come se li avessero applicati
direttamente sulle sue scaglie, le stringevano in maniera dolorosa la
coda, il
torace e le zampe posteriori, lasciandole fortunatamente libere le ali.
- Notevole, veramente
notevole, è da tanto che non ci capitava di trattare con un osso
duro come te…-
La raggiunse la voce
del capitano, proiettata nel vuoto che la
circondava.
-Sfortunatamente non è
nostra usanza risparmiare la vita a chi osa complicarci il lavoro, o
peggio,
farci perdere delle navi…-
-Arrrg!-
Pharnasius diede
degli strattoni a destra e a manca, accorgendosi,
con suo grande stupore e piacere, che le navi dei suoi aguzzini
risentivano dei
suoi movimenti, come se gli spostamenti della sua navicella si
percorressero i
cavi d’energia che la ghermivano, per poi trasmettersi alle navi
sferiche.
Una possibile via di
fuga le si disegnò in mente alla velocità
della folgore: ora sapeva come sfruttare quel pianetucolo vicino, o
meglio,
come utilizzare a proprio vantaggio l’atmosfera che lo
circondava.
Sapeva che sarebbe
stata una manovra assai pericolosa, con ampie
probabilità di completo fallimento… che scelta aveva
dopotutto?
Pharnasius
cominciò a spintonare l’intero gruppo verso il pianeta.
La ciurma
tentò di aumentare la tensione dei campi di forza per
bloccarla, ma la dragonessa riusciva sempre a trovare le inclinazioni
giuste
per far leva e continuare il suo tragitto, rispondendo d’istinto
alle
sensazioni che l’abitacolo le trasmetteva con le sue pressioni e
vibrazioni.
Dopo un lasso di
tempo che le sembrò interminabile, avvertì la
forza di gravità del pianeta iniziare ad attirarla verso di
sé.
Era giunto il
momento di agire.
Pharnasius
appiattì le ali contro i fianchi e si tuffò verso la
sfera azzurrognola, sperando di penetrare nell’atmosfera del
pianeta con il
giusto angolo di inclinazione.
La manovra prese
completamente alla sprovvista i pirati.
Molti riuscirono a
recidere il legame d’energia in tempo, mentre
alcuni sfortunati vennero disordinatamente trascinati verso il pianeta,
esplodendo come bombe quando le navicelle impattarono con il muro
dell’atmosfera.
I legami svanirono
all’improvviso, squilibrando irrimediabilmente
l’assetto di Pharnasius, tanto che la navicella penetrò in
malo modo il muro di
gas, trasformandosi in una palla di fuoco.
In automatico, Belta
attivò una barriera di sicurezza attorno alla
cabina di pilotaggio, cercando così di proteggere una spaventata
dragonessa
viola che fissava paralizzata l’inferno che la circondava, mentre
tremendi
scossoni la sballottavano come maracas.
Disintegrandosi man
mano che acquisiva velocità, la navicella si
trasformò in una maestosa cometa che solcò il cielo,
attraversando la sagoma
delle dei tre satelliti che circondavano il pianeta.
Sorvolò
boschi e vallate, per poi raggiungere una torrida distesa
di rocce magmatiche e laghi di lava borbottante, finendo la propria
corsa
contro i le pendici di un vulcano.
La caduta
terminò con un grandissimo botto, seguito
dal rumore cigolante di lamiere che si piegano e spezzano, qualche
solitario
scricchiolio e poi il silenzio: un vuoto spaventoso colmato solamente
dal battito
impazzito del cuore di Pharnasius, intrappolata in un bozzolo di
oscurità e
fitte di dolore che dall’ala destra e dal torace le
attraversavano il corpo per
trapanarle il cervello.
Sentiva il sapore
ferrigno del sangue in bocca e le risultava
difficile muoversi, ma perlomeno era salva.
La sagoma di Belta
le si materializzò al fianco … a
quanto pareva la sua capsula di protezione
era riuscita a preservare la componente hardware del sistema operativo
della
nave…
La manta appariva
furente più che mai.
-Complimenti Pharnasius, sei
riuscita a disintegrare totalmente la
mia carrozzeria e per poco non ci rimettevi anche tu le scaglie!
Testarda di
una lucertola viola troppo cresciuta…
avremmo potuto tentare di rabbonire quei farabutti, invece no, tu hai
voluto fare
l’eroina, come al solito! E guarda qua
che bella
frittata!-
-Belta, ti
prego… ho la nausea e non c’è parte del mio corpo
che
non mi faccia male… se vuoi litigare va benissimo, ma non ora
per favore…
tuttavia ti ricordo che sei stata tu a proporre di utilizzare questo
pianeta
per liberarci o sbaglio?-
-Liberarci! Non finire prigioniere
su di esso! Come pensi di
tornare a casa?.. spero che la tecnologia degli abitanti sia abbastanza
sviluppata…-
-Non posso tornare a
casa Belta, lo sai bene, stupido computer!
Ora fammi uscire di qui… -
-Agli ordini, molliccia polpetta di
carne…-
La barriera
protettiva che aveva tenuto assieme l’abitacolo si
dissolse e con essa i pezzi della cabina di pilotaggio crollarono
scompostamente sul suolo roccioso.
Una volta libera,
Pharnasius si abbandonò con gratitudine al
suolo, lasciandosi cullare dalla sensazione di spossatezza che pian
piano la
rapiva, invitandola ad addormentarsi per dimenticare il bruciore
insopportabile
dell’ala spezzata e le fitte di alcune costole che le affondavano
nei polmoni
ad ogni respiro, rendendola sempre più affamata d’aria.
Stava per cadere in
un sonno dal quale molto probabilmente non si
sarebbe più svegliata, quando Belta la richiamò indietro.
Phrnasius
riaprì gli occhi, trovandosi a tu per tu con il
corpicino della manta che ronzava in aria come un moscone maldestro, in
preda
ad una sfrenata agitazione.
-Pharnasius! Presto, torna in te!
Sto captando del movimento
attorno a noi! E la cosa mi preoccupa…
-
La dragonessa si
lasciò sfuggire un gemito di protesta, prima di
mettersi faticosamente sulle quattro zampe, sibilando quando una fitta
particolarmente acuta le trafisse il torace ammaccato.
-Movimento?-
Pharnasius
cercò faticosamente di scrutare le ombre che
aleggiavano nella caverna in cui si trovavano.
L’unica fonte
di luce era soltanto il sinistro bagliore del magma,
proveniente dal cratere che la navicella aveva scavato
nell’impatto, facendo
così crollare parte della parete della galleria.
-Sì, sono qualche decine di
unità-
-Di cosa?-
-… scimmie…-
Dall’alto del
cono del vulcano si poteva godere del terrificante
spettacolo offerto dall’infuocato territorio vulcanico, che si
estendeva per
svariati chilometri tutto attorno.
Malefor amava
trascorrere lì la maggior parte del proprio tempo,
riempiendosi i polmoni con l’aria incandescente delle Terre
Bruciate e
baloccandosi nell’immaginare ogni cosa ridotta in una sterile e
nera pianura.
Le sue
fantasticherie sarebbero presto diventate realtà, se solo
sarebbe riuscito ad attuare per intero i suoi piani di distruzione.
-…Maestro…-
L’anziano
drago viola emise un ringhio cavernoso che pietrificò la
grossa scimmia che si era prostrata al suo cospetto: odiava essere
distolto dai
suoi sogni di grandezza!
- Cosa c’è,
parla!-
Disse con la sua
voce dura e cavernosa, gravata dal mele che
covava dentro di sé.
- Ecco… siamo
andati ad indagare sulla causa della gigantesca
esplosione che ha scosso il vulcano, come tu ci hai comandato, Maestro,
e …-
La scimmia sembrava
imbarazzata, teneva gli occhi bassi e si
tormentava nervosamente la punta delle dita.
- E…-
Il soldato si fece
coraggio, preparandosi al peggio…
-Abbiamo trovato la
carcassa fumante di uno strano marchingegno,
non abbiamo idea di cosa possa trattarsi e… c’era un drago
al suo interno… un
altro drago viola…-
-COSA?!-
Di colpo Malefor
dimenticò la presenza della tremante scimmia, per
precipitarsi verso i piani bassi del vulcano.
Un altro drago
viola? Era impossibile! Ve ne era uno ogni dieci
generazioni… come poteva essercene un altro oltre a quella
fastidiosissima
spina nel fianco di nome Spyro?
I suoi sospetti non
lo prepararono comunque alla scena che si
presentò ai suoi occhi.
Già,
c’era un altro drago viola … una dragonessa per la
precisione, con ali dalla forma più improbabile che avesse mai
visto.
Era circondata dai
suoi scagnozzi, che la attaccava vano senza
tregua.
Lei si stava
difendendo egregiamente, nonostante fosse chiaramente
visibile che stesse allo stremo delle forze e che solo la forza di
volontà le
permetteva di reggersi sulle zampe.
Mai aveva visto uno
stile di combattimento come quello.
Assai
inspiegabilmente, la dragonessa non utilizzava le sue armi
soffio ma si batteva manovrando con abilità due lunghe lame di
luce che
fuoriuscivano da un paio massicci bracciali, sicuramente magici, che le
cingevano
gli avambracci.
Inoltre passava con
disinvoltura da una postura a quattro zampe a
quelle bipede, dimostrando di avere un equilibrio non indifferente
sulle zampe
posteriori.
Era una brava
combattente, non vi erano dubbi, ma le gravi ferite
che la ricoprivano la stavano fiaccando e molto presto, i
sui guerrieri l’avrebbero sopraffatta: Malefor era troppo
incuriosito per
permettere che ciò accadesse, per non parlare che forse un
alleata di quel
calibro avrebbe potuto giovare alla propria causa.
Con un secco ordine,
comandò alle scimmie di cessare gli attacchi,
utilizzando i suoi poteri per dissolversi ed apparire al fianco della
nuova
venuta.
Pharnasius sentiva
molto chiaramente di essere prossima al
collasso, tuttavia strinse i denti e si costrinse a continuare a
lottare, per
quanto la vista le si appannasse sempre di più e puntini bianchi
le danzavano
avanti agli occhi.
Poi le scimmie si
dileguarono da un momento all’altro.
La dragonessa
fiutò la loro tensione mista a timore reverenziale e
si irrigidì, preparandosi al peggio.
Avvertì una
presenza alle sue spalle, mentre l’adrenalina le
permetteva di attingere alle ultime riserve di energia.
Con movimenti rapidi
e precisi, estrasse entrambe le pistole dal
fodero, drizzandosi sui posteriori e voltandosi di scatto, con le zampe
anteriori stese avanti a sé.
Le sue armi quasi
sfiorarono il muso di un altro drago.
Le energie le
vennero a mancare proprio in quel momento, facendole
tremare le membra e scaraventandola verso i profondi meandri
dell’incoscienza.
L’ultima cosa
che vide, prima che il buio la divorasse per intero,
furono un paio di occhi a mandorla dalle pupille allungate, gialli ed
incandescenti come il sole.