Disclaimer:
i personaggi sono proprietà dei rispettivi autori, e non sono qui utilizzati a
scopo di lucro.
Note: si
tratta di una “What if…?”, più specificatamente un “cosa succederebbe se Kida andasse
a chiedere ad Izaya un’informazione sostanziosa che solo lui può conoscere,
considerando la mente malata di Orihara?” XD
- Può costituire spoiler, se non
avete visto almeno le prime 12 puntate dell’anime (preferibilmente tutte le 19 uscite finora).
- Il titolo ha un significato
(esatto, non sono io ad essere impazzita del tutto): si tratta di una filastrocca
per bambini (non intera qui, per ovvie ragioni), che è un po’ l’equivalente della
nostra mosca cieca.
Un bambino è posto al centro e chiude gli occhi, al “ora chi c’è dietro?”, dovrebbe indovinare quale dei compagni è alle sue spalle.
Qui è
inteso con la valenza di “chi c’è dietro ai Dollars”.
Ringraziamenti: a chi ha letto e commentato “Loop – ancora e
ancora, senza fine”, ossia Gioielle e LitaChan <3
Dedica: a
Litachan per il suo compleanno, in anticipo di qualche giorno ma non fa nulla
<3 Spero che il regalo possa piacerti, niisan <3
Auguri!
E dire che una cosa Kida Masaomi
l’aveva imparata.
Orihara Izaya non vendeva mai le
sue informazioni per nulla.
Bianco.
Il soffitto era banalmente,
noiosamente, instancabilmente bianco.
Nemmeno una crepa, perché viveva
in condizioni decenti come tanti altri adolescenti di Ikebukuro e dell’intero
Giappone, probabilmente anche dell’intero mondo.
Nemmeno una macchia perché… beh,
era il soffitto, no?
Mica stai sempre lì a toccarlo –
lui manco ci arrivava al soffitto, che diamine.
«Che tristezza. Penso ad un muro.»
si disse, schernendosi; eppure il suo cervello al momento non era in grado di
dedicarsi ad un’occupazione che potesse richiedere uno sforzo maggiore che
fissare qualcosa di monotematico che non richiedesse la minima riflessione.
Era rientrato da un paio d’ore, in
perfetto orario per poter simulare senza intoppi di essere andato a scuola,
senza lasciare nemmeno che sospettassero che invece aveva largamente bigiato.
Aveva assicurato di non voler
mangiare; lo stomaco era fastidiosamente contratto da qualche giorno e gli
sembrava di avere ancora la colazione lì, in mezzo al torace, per nulla
digerita.
Rientrato in camera si era sì e no
preso la briga di togliersi di dosso parte della divisa – e la sua camera
poteva testimoniare quanta poca cura avesse messo nel processo.
La giacca era stata buttata alla
meno peggio sulla sedia davanti alla scrivania e i calzini erano stati gettati
senza un perché sul pavimento, dov’era capitato; la cartella era stata
abbandonata in una maniera molto simile nel primo punto libero ed ora stava
riversa per terra, nei pressi del tavolino al centro della stanza.
Il passo successivo era stato
buttarsi con poca grazia sul letto, sistemarsi a pancia in su e puntare lo
sguardo al soffitto come se quella porzione di muro bianco dovesse svelargli i
misteri del mondo.
Chiaramente, se quel muro sapeva
qualcosa, doveva stargli antipatico: erano due ore che il completo silenzio
riempiva la stanza.
E lui ancora non aveva carpito
nulla dei misteri in questione.
Si rigirò su un fianco,
sistemandosi spalle alle porta, puntando lo sguardo sulla parete contro cui
poggiava un lato del letto.
Cercò di fare mente locale sulle
informazioni di cui era venuto a conoscenza fino a quel momento, e di
assimilarle insieme alle sue supposizioni basate sugli ultimi avvenimenti.
Gli attacchi del Laceratore, dopo
Anri, sembravano essersi completamente interrotti; i Turbanti Gialli però non
avevano fatto nulla in proposito.
Sui Dollars, c’erano le voci che
giravano da un po’, come una continua ondata di sottofondo, come una bassa
marea che rimaneva stabile ma sempre presente; il Laceratore non sembrava
essere con loro.
Poi però, lui li aveva visti: non
solo il Laceratore, ma anche il Motociclista senza Testa – certo, però, che
razza di nome. Sembrava quello del mostro cattivo di un film dell’orrore di
terza categoria.
Lì, nel covo dei Turbanti Gialli,
ma soprattutto insieme.
Aggrottò le sopracciglia, cercando
di andare più a fondo con quell’analisi che in realtà aveva già ripetuto una
volta, due, tre, quattro, senza mai giungere ad una conclusione degna di quel
nome.
Vociferavano che il Motociclista
senza Testa fosse nei Dollars.
E il Laceratore era con lui –
addirittura soccorso da lui.
Era fin troppo facile dedurre che
allora anche il Laceratore fosse dalla parte dei Dollars; per contro, non era
stato proprio il leader di quest’ultima gang a mandare un messaggio a tutti i
suoi membri per chiedere informazioni sull’argomento?
Questo portava a due possibili
opzioni: o il leader dei Dollars non ne sapeva davvero più di quanto i media e
le strade non facessero trapelare – e allora era da considerarsi una
coincidenza che il Motociclista e il Laceratore quella sera fossero insieme –
oppure voleva sviare tramite quella domanda.
Non doveva scartare a priori
nemmeno l’ipotesi che questo fantomatico leader che nessuno aveva mai visto
fosse venuto a sapere o avesse preso in considerazione fin dall’inizio che
membri della sua gang erano parte anche di un’altra, nella fattispecie proprio
i Turbanti Gialli.
In quel caso, non sarebbe stato
sbagliato cercare di sviarli.
Sospirò seccato, rigirandosi
nuovamente, stavolta a pancia in giù; affondò il viso nel cuscino, trattenendo
il respiro.
Che cavolo.
Com’era possibile, la situazione
interna dei Dollars?
Come poteva reggere una gang di
tale portata non solo senza regole, ma senza che nessuno mai avesse visto o
conosciuto il leader?
Non era sensato, da qualunque
parte la si guardasse: un gruppo come una gang ha bisogno per molti versi e
molti motivi di conoscere una figura a capo; e non solo perché deve avvertire
che c’è un qualcuno a guida, qualcuno che si vede e si tocca come un qualsiasi
essere umano.
Ma, soprattutto, perché un leader
invisibile è facile da soverchiare: in primis, non puoi nemmeno essere sicuro
che esista.
Se è dietro uno schermo – un pc,
un telefonino – non è nemmeno detto che si tratti di una sola persona, o sempre
della stessa.
Una gang senza un capo “normale”
non poteva esistere: ci sarebbero state troppe persone che avrebbero cercato il
potere, di salire sempre più in alto per occupare quella posizione.
E ancora, chiunque poteva
spacciarsi per il leader se di questi non si sapeva nulla: e anche se fosse
accaduto che più persone che sostenevano quella carica fossero state messe
l’una di fronte all’altra, chi mai avrebbe potuto dire chi mentiva e chi diceva
il vero?
Si morse un labbro, innervosito.
Perché nonostante tutto questo
fosse ovvio, nei Dollars pareva esserci l’equilibrio perfetto anche con tutte
quelle mancanze?
Di nuovo, prese forma nella sua
testa un pensiero che già da qualche giorno lo aveva interessato, sebbene fosse
così a livelli di follia – oltre che impraticabile, a quanto sembrava – che una
parte di lui aveva cercato di soffocarlo completamente il più presto possibile.
Se soltanto conoscessi il leader dei Dollars, si era detto tornando la sera
prima sotto il diluvio.
Nonostante tutto, pensava sarebbe
stato utile: era probabile che il capo dei Dollars sapesse perfettamente chi
fosse tornato tra le fila dei Turbanti Gialli – a maggior ragione se davvero
era a conoscenza della doppia appartenenza di alcuni suoi membri.
Ma anche volendo credere che non
ne sapesse nulla, sarebbe stato estremamente più semplice.
Masaomi non voleva una guerra:
c’era stata una battaglia, e il modo in cui era finita era uno dei motivi per
cui era di nuovo intrappolato nella parte oscura di quella città, quella a cui
era appartenuto, da cui era fuggito giurando di non tornarvi mai più.
La stessa dalla quale voleva
tenere lontane le persone che significavano tanto per lui.
Ma non era nemmeno così stupido da
credere ancora nei sogni da bambino.
Iniziando da Saki: era probabile
che lei non sarebbe mai riuscito a tirarla completamente fuori da quel lato
della città; non perché non tenesse a lei.
Semplicemente, Saki sarebbe stata
trascinata nuovamente lì da Izaya. Questo Masaomi lo sapeva bene, e lo sapeva
da tanto.
Anche se infantilmente e scioccamente
ancora non rinunciava del tutto, sapeva di quella possibilità.
Quanto ad Anri e Mikado, lì era
un’altra la questione che lo aveva disilluso dall’ideale di un eroe che salva i
compagni con coraggio e volontà: la realtà delle gang non era come le favole
per bambini.
Non sarebbe riuscito a tirarli
fuori senza sprofondare lui nell’oscurità che Ikebukuro nascondeva; se non
sacrificava nulla, non avrebbe ottenuto nulla.
Nulla di cui essere fieri, per lo
meno.
Aveva chiesto a Kadota, andando a
parlargli dopo aver saltato la scuola.
Ma, proprio come si era aspettato,
non c’era davvero stato alcun modo di uscirne; nessuno sapeva nulla.
Nemmeno Kadota aveva mai visto il
loro leader; né Karizawa-san, né Yumasaki.
Aveva provato a spiegar loro la
situazione, ma ben presto era stato chiaro che non fosse un problema di volerlo
dire o meno: proprio erano impossibilitati non essendone a conoscenza.
Frustrato, Kida aveva sibilato un:
«Com’è possibile quasi “non esistere” in questo modo?!» al quale Kadota e
compari si erano scambiati uno sguardo significativo.
«L’unica cosa che posso dirti, e
prendila come un consiglio da amico» era stata la frase con la quale, dopo
diverso tempo in silenzio, Kadota aveva esordito: «è di lasciar stare.» aveva
continuato.
Masaomi aveva aperto bocca per
replicare, ma una mano che Kadota aveva alzato e posto fra loro lo aveva
richiamato al silenzio: «Anche ammesso che il leader dei Dollars si presenti,
come vorresti comunicare con lui? Sappiamo che c’era al primo raduno qui ad
Ikebukuro, ma questo non ci assicura che sia di queste parti.» aveva analizzato
passo passo con il biondo.
Kida aveva taciuto, osservandolo
ed annuendo impercettibilmente per dar cenno di aver capito, e di essere in
ascolto.
«Poi, lui comunica ai cellulari
dei membri, ma il contrario non è possibile. Perciò non esiste nemmeno qualcuno
che possa metterti in contatto con lui. Anche ammesso che fosse lui a
contattare te, non è una certezza che si presenterà. A conti fatti, la sua
identità non ti serve a nulla, a prescindere dal fatto che è impossibile
scoprirla per come sono messe ora le cose.» era stata la sua analisi con logica
conclusione.
Alla quale nemmeno Masaomi aveva
potuto ribattere in alcun modo, perché era stata così lineare da non avere
quasi pecche.
D’altronde, era un ragionamento
che anche Masaomi stesso doveva aver già vagliato, motivo per il quale Kadota
non si era posto né dubbi, né restrizioni nel rivolgerglielo chiaramente.
Si voltò verso la scrivania,
sistemandosi sul fianco destro stavolta; lo sguardo andò sul tavolino, occupato
solo da una rivista lasciata lì il giorno prima e dal proprio telefono
cellulare.
Si soffermò su quest’ultimo con
l’espressione che si sarebbe potuta rivolgere a qualcosa di pericoloso ma
necessario per raggiungere un obiettivo o ottenere un risultato.
Soppesò quanto davvero ne valesse
la pena.
Mise sull’ago della bilancia
quelle due opzioni – una così desiderata da far sciogliere la tensione che
andava accumulandosi all’altezza dello stomaco, l’altra così irritante da far seccare
la gola e pizzicare gli occhi – cercando di decidere nella maniera più
razionale possibile.
Non che fosse qualcosa di cui
vantarsi, ma dai Turbanti Gialli aveva già fatto “avanti e indietro”; se ne eri
uscito una volta, potevi uscirne due.
Un po’ se lo era ripetuto anche
per convincersi che solo perché vi rientrava stavolta per necessità, non doveva
considerarsi finito e bloccato lì per sempre.
Però quella possibilità che stava
vagliando era diversa: avrebbe significato quasi gettare completamente al vento
la possibilità di avere una via di fuga, anche solo parziale.
Masaomi sapeva di dovervi pensare
per bene e mille volte, obiettivamente, prendendo in considerazione ogni
possibilità.
Ma aveva già perso qualcosa
d’importante e provato come ci si sentiva dopo.
Allungò una mano per raggiungere
il cellulare, portandolo poi sopra la propria testa – di nuovo a pancia in su –
cliccando un paio di tasti per arrivare alla rubrica.
Digitò l’iniziale, e premette la
cornetta verde.
Attese; primo squillo – devo essere impazzito.
Secondo squillo – perché cavolo sto chiamando?
Terzo squillo – questa è…
«Kida-kun?»
Una follia.
«…Izaya-san?»
Allungò una mano per suonare, e
nel momento in cui lo fece quasi sentì un brivido attraversargli la schiena.
Non sapeva davvero dire cosa lo
sconvolgesse di più: essere davvero lì fuori dall’appartamento di Orihara Izaya
ancora una volta, avere la consapevolezza che essere lì significava essersi di
nuovo affidato a lui e che quella chiamata fatta nemmeno mezz’ora prima non poteva
essere considerata appartenente alla categoria “incubi notturni”.
E, soprattutto, che Orihara Izaya
aveva accettato di buon grado di rispondere ai suoi bisogni; questa era la cosa
che davvero risultava preoccupante.
Perché significava… che c’era qualcosa
che poteva rendere utile all’Informatore l’aiutare Kida ancora una volta.
Entrò nell’appartamento ed una
pessima sensazione di dejà-vu lo colpì bruscamente: Izaya, vestito con la
maglia e i pantaloni scuri che caratterizzavano il suo solito abbigliamento,
gli si faceva incontro come la prima volta in cui l’anno precedente era andato
lì.
Con lo stesso sguardo di chi
sapeva saresti tornato – quello che aveva rivisto fino alla nausea sul volto di
Saki – e le labbra incurvate in quel sorriso irritante, arrogante e pericoloso.
«È davvero un piacere inaspettato,
Kida Masaomi-kun.» esordì il più grande, rimanendo di un paio di passi distante
dal biondo; si spostò quasi subito lateralmente, esibendosi in un gesto
estremamente educato e perciò altrettanto falso probabilmente, per fargli cenno
di accomodarsi.
Masaomi, sulla difensiva, mosse
diversi passi all’interno cercando di non identificare nel rumore della porta
che veniva chiusa alle sue spalle il suono di una gabbia che si chiude senza
lasciarti scampo.
Si voltò quasi subito, non
gradendo il non avere Izaya nel proprio campo visivo.
Il moro, per contro, sembrava
totalmente a proprio agio a giudicare dall’espressione che gli rivolse.
«Non serve essere così tesi, fai
come se fossi a casa tua. Dopotutto ci sei stato altre volte qui, no?» insinuò
sottilmente, accennando al divano con un movimento minimo della testa.
Masaomi strinse appena un lembo
della manica del giacchetto fra le dita, ma si limitò ad annuire e prendere
posto sul divano scuro.
Si perse solo per qualche istante
a fissare gli oggetti sparpagliati sul tavolino, cercando forse di prendere
tempo e vagliare con cura le parole da usare.
Non gradiva essere lì; doveva
perciò tagliare corto, anche se con cautela – era pur sempre di Orihara Izaya
che si stava parlando, dopotutto.
Ci fu qualche minuto di silenzio,
in cui parvero più che altro studiarsi a vicenda, l’uno con un’apparente
soddisfazione, l’altro piuttosto sulle spine come chi ha bisogno di nascondere
qualcosa.
«Allora, qual è l’informazione di cui
hai bisogno al punto tale da rivolgerti nuovamente a me, Kida-kun?» lo
interrogò, nel tono una nota di beffarda derisione.
In fondo, Izaya non aveva certo
dimenticato quel ragazzino delle medie di un anno prima che aveva iniziato con
l’essere guardingo nei suoi confronti, finendo con l’arrivare a fidarsi di lui
rivelandosi quasi completamente prevedibile.
E che aveva lasciato che quel
piccolo capitolo di storia si concludesse proprio come Izaya stesso aveva
previsto.
Masaomi strinse appena la stoffa
in corrispondenza delle ginocchia, stavolta, dove le mani era posate, strette
in due pugni.
Abbassò lo sguardo su di esse,
benché fosse razionalmente troppo tardi per chiedersi se non avesse
effettivamente fatto una grossa sciocchezza ad andare lì.
«Si tratta di un’informazione che
solo tu puoi avere, Izaya-san.» replicò inizialmente, benché non in maniera
esaustiva.
Izaya allargò appena appena il
sorriso, sedendosi a sua volta sull’altro angolo del divano, osservandolo con curioso
interesse – se fosse un bene o un male, considerando il soggetto, era difficile
dirlo con certezza.
«Forse non la so nemmeno io.» fece
notare, in modo falsamente casuale.
Masaomi alzò lo sguardo sul moro,
determinato e privo di esitazioni, davanti al quale Izaya assunse
un’espressione di vivo interesse che non sempre una persona sapeva suscitare in
lui.
«Se non la sai tu, Izaya-san, vuol
dire che nessuno ad Ikebukuro ne è a conoscenza.» rispose il biondo.
Izaya ridacchiò divertito: «Da
quando in qua mi lusinghi, Masaomi-kun?» lo sfotté più o meno apertamente.
Masaomi si accigliò appena: «La
falsa modestia non ti si addice, Izaya-san.» azzardò – perché, aveva imparato,
c’erano limiti entro i quali Izaya non prendeva le parole schiette di qualcuno
come un affare personale.
«Allora sentiamo» riprese infatti
l’altro con noncuranza: «cos’è che vorresti sapere?» chiese.
«L’identità del capo dei Dollars.»
tagliò corto Masaomi, ricevendo come prima risposta un fischio falsamente
ammirato e una risata subito dopo.
«Queste sono cose da cui i bambini
dovrebbero restare fuori.» commentò quasi subito, suscitando l’irritazione del
biondo, il quale si morse istintivamente il labbro inferiore in un gesto
meccanico ed inconscio.
«Sono già in qualcosa da cui i
bambini dovrebbero restare fuori.» fece notare il biondo, lo sguardo
determinato a sapere quello che gli interessava o almeno a provare a scoprirlo
finché farlo non si fosse rivelato addirittura letale.
Era palese che si riferisse alla
questione delle gang, motivo per il quale non sentì il bisogno di sottolinearlo
a voce.
Izaya, pur senza cambiare
espressione, sorrise quasi gongolante dentro di sé: era quella l’espressione
che più si addiceva a Kida Masaomi, quella che lo rendeva interessante;
l’espressione di un bambino che gioca a fare l’adulto, sfiora il pericolo,
rischia di bruciare la mano che tende in avanti per troppa curiosità.
E poi affonda, affonda sempre di
più cosciente di farlo ma incapace di tirarsene fuori.
Infine, come in un ciclo che
potrebbe diventare monotono da un attimo all’altro, si affida alle sue mani che
di giocare con pedine come il capo dei Turbanti Gialli non vedono l’ora.
«Allora ipotizziamo che io ne
sappia qualcosa.» riprese Izaya, il sorriso sempre ad incurvargli le labbra,
mentre pronunciava quelle parole, entrambi consapevoli che non fosse affatto
un’ipotesi.
Orihara Izaya non era un tipo da
“teorie”: c’erano solo le cose che sapeva e quelle di cui non era a conoscenza
– ed era inutile dire che le prime erano molto più numerose delle seconde, dal
momento che faceva l’informatore.
Il più grande ipotizzava solamente
quando voleva prendersi gioco di chi, di quell’informazione, aveva bisogno.
E Kida non faceva eccezione.
«Tu sai che non do informazioni in
cambio di nulla, giusto? Dovresti saperlo anche meglio di molti altri.» insinuò
sottilmente, sibillino quasi.
Masaomi deglutì a vuoto, ma annuì
leggermente.
Izaya sorrise in maniera appena
più ampia, una connotazione di vittoria già palese nello sguardo carminio.
«Se lo sai e non lo hai dimenticato,
e nonostante tutto sei venuto comunque a chiedermi di venderti un’informazione,
devo dedurne che sei in grado di venire incontro al pagamento che ti chiederò.
Penso anche che tu sia cosciente del fatto che sarà un conto salato, vista
l’entità dell’informazione, o no, Masaomi-kun?» aggiunse, anche se suonava più
come una domanda retorica di cui già conosceva la risposta, piuttosto che una
che la risposta la necessitasse.
Il biondo aggrottò appena le
sopracciglia, come se stesse cercando di scorgere fra le parole e le
espressioni di Izaya, per essere in grado di carpire quel qualcosa di non detto
che nei discorsi del moro c’era sempre, anche e soprattutto quando non se ne
scorgeva nemmeno l’ombra.
Izaya riprese a parlare senza
aspettare la replica del biondo, come previsto.
«Però insomma, non sono così
misero, io.» se ne uscì, confondendo le carte in tavola e facendo perdere in un
attimo il filo a Masaomi.
«Voglio dire, abbiamo già avuto a
che fare noi due. Si può dire che siamo quasi amici, no Masaomi-kun? E allora
diciamo che posso farti uno sconto. Anche perché una cifra come quella che ci
vorrebbe per quest’informazione, non è qualcosa che un ragazzino delle
superiori può racimolare da qualche parte facilmente.» osservò casualmente.
Soffermò lo sguardo sul biondo, in
silenzio, in attesa.
Masaomi non azzardò a distogliere
il proprio sguardo da quel viso.
Orihara Izaya gli aveva dato
sempre la sensazione di qualcosa di terribilmente complicato, contorto e
sfuggente.
Quasi ti faceva pensare infantilmente
– come stava accadendo a lui in quel momento – che il solo distogliere lo
sguardo da lui per qualche istante potesse dargli la scappatoia necessaria a
sparire lasciandoti lì coi tuoi dubbi e i tuoi guai.
«Perciò qual è il prezzo?» domandò
secco, anche se non volontariamente; era solo che c’erano troppi ricordi in
quella stanza, ancora troppo freschi e con essi tornava il nervosismo, il senso
di impotenza e di rabbia e rancore nei confronti del moro che stava lì seduto
poco distante da lui.
Non sapeva cosa aspettarsi.
Non sapeva se era più forte la
pressante voglia di alzarsi ed andarsene, o la razionalità nel considerare che
solo rimanendo avrebbe potuto ottenere quello che gli serviva.
…Era l’unico modo, giusto?
«Qualcosa che non ha a che fare
con i soldi.» replicò con semplicità il moro, suscitando vera e propria
preoccupazione nell’altro, vivida e allarmante.
Non era affatto una buona cosa.
Qualcosa di materiale poteva
essere sacrificata: denaro, oggetti.
Ma se non era di soldi che
parlavano – e difficilmente Izaya poteva desiderare un qualche soprammobile di
casa Kida – allora la piega che prendeva l’intera situazione non poteva che
mettergli ansia.
Non c’era altro che potesse dare,
sacrificare; conoscendo il moro doveva trattarsi di qualcosa che considerava
importante per Masaomi.
Qualcosa a cui fosse difficile
rinunciare.
Sgranò gli occhi: aveva dato Saki,
quella volta.
Stavolta chi gli avrebbe chiesto?
Mikado, o Anri?
Tremò.
«Di cosa stai parlando,
Izaya-san?» ringhiò senza poterlo evitare razionalmente.
«Oh, non fare il finto tonto,
Masaomi-kun, può diventare irritante.» lo ammonì con tono falsamente bonario:
«Comunque è qualcosa di facile.» aggiunse, come una dimenticanza tornata in
mente all’ultimo minuto.
Ci fu una pausa in cui forse si studiarono,
forse guardarono l’altro senza davvero vederlo.
«Alcune parti di te, Masaomi-kun.
Quelle che stupidamente ti fanno cadere ancora in trappola, continuamente, e
che presto ti schiacceranno.» rivelò, criptico tanto che Masaomi sgranò appena
gli occhi senza riuscire a capire dove volesse andare a parare.
«Che…?» fece per chiedere, venendo
interrotto quasi subito.
Strinse maggiormente il bordo del
divano.
Le labbra del moro avevano
catturato le sue quasi famelicamente, appropriandosene in maniera così
improvvisa ed imprevista che Masaomi non aveva avuto tempo nemmeno di
stupirsene quasi.
Aveva sgranato gli occhi,
protestando e facendo per liberarsi di quel contatto sgradevole: si era
agitato, spintonando Izaya lontano da sé.
Il moro sembrava aver assistito
all’ennesima cosa che aveva calcolato, messo in conto; tant’è che aveva sorriso
come tutte le altre volte, mentre osservava il biondo allontanarsi da lui,
facendosi più in là sul divano, un braccio portato a sfregare la manica contro
la bocca nell’infantile gesto di pulirsela.
Aveva ridacchiato.
«Che bambino.» era stata la sua
osservazione, bloccando sul nascere la replica che di sicuro Masaomi avrebbe
voluto rivolgergli visto che aveva aperto bocca per darle voce.
«Non farti un’idea sbagliata, Masaomi-kun.»
lo aveva rassicurato, nel tono un sottofondo di ironia.
Il biondo aveva abbassato il
braccio, fissandolo ancora pieno di stupore e confusione.
«Izaya-san, non sapevo che nel tempo
avessi iniziato a prendere in cambio delle informazioni pagamenti in natura.»
aveva azzardato nuovamente nel rispondergli, un po’ per incoscienza, un po’
quasi per ripicca per quel bacio.
Izaya non si era scomposto,
figurarsi; aveva accennato ad una risata divertita, di quelle che facevano
rabbrividire.
«Non diciamo stupidaggini. Se
fosse così, nel tuo caso nemmeno potrei. Non senza rischiare una pesante accusa
da parte della legge, visto che sei minorenne, no?» gli fece notare con
naturalezza.
«E poi, non fraintendermi.» aveva
ripreso, avvicinandosi lentamente, quasi a prendersi gioco di lui: come a voler
sottolineare che aveva tutto il tempo di allontanarsi ulteriormente,
addirittura di alzarsi e andarsene via.
E che aveva persino l’occasione di
trovare il coraggio di farlo, di recuperare quello che un anno prima aveva
perso, lasciandolo poco distante da un parcheggio umido e buio.
«Certo è indubbio che tu sia un
essere umano particolarmente interessante, tra le persone che osservo ad
Ikebukuro. Ma come ho detto a qualcun altro, il fatto che a me piacciano gli
esseri umani non significa necessariamente che tu mi piaccia. Non prendere quello che faccio troppo sul serio,
ne?» continuò, aggiungendo quel verso che spesso utilizzava con lo pseudonimo
di Kanra, quando si fingeva una donna.
Masaomi si stava innervosendo,
addirittura più di prima se possibile.
Izaya era vicino. Troppo vicino
per i suoi gusti.
La sola idea che quello fosse il
modo per ottenere l’informazione che gli aveva chiesto lo nauseava.
L’idea di scendere a compromessi
con lui, lo nauseava.
Era certo di non riuscire a fare
una cosa simile, a prescindere da quanto importante fosse ciò che c’era in
palio.
Per lui era… semplicemente contro
natura, in un modo che andava oltre il problema costituito dall’essere la
controparte un uomo come lui.
Vide il volto di Izaya vicino
fermarsi in quel punto esatto di fronte ai suoi occhi; non venne più avanti, ma
non si fece nemmeno indietro.
Un ginocchio affondava appena nel
divano, l’altra gamba poggiava sul pavimento e faceva da sostegno a gran parte
del peso del corpo; proteso in avanti, una mano faceva forza sullo schienale
del divano, l’altra poggiava anch’essa su uno dei cuscini, con il risultato di
intrappolare il corpo del biondo fra dove sedeva e quello del più grande.
Tuttavia non lo pressava con il
resto del busto, rimaneva anzi più lontano possibile, in un gioco di distanze e
vicinanza tutto suo.
«Dunque, Masaomi-kun? Vuoi
l’informazione, o lasci stare e togli il disturbo?» lo incalzò sadicamente,
quasi.
Il biondo si morse il labbro
inferiore, distogliendo lo sguardo da Izaya e decretando così – inconsciamente
o meno – la propria resa.
«Mh, oggi mi sento particolarmente
in vena di favori, sai? Sei fortunato! Vediamo come posso venirti incontro!» lo
sentì esclamare, all’improvviso tutto pimpante senza un apparente motivo.
Azzardò ad alzare nuovamente lo
sguardo, e l’espressione che vide non gli piacque affatto.
Soprattutto, il viso di Izaya era
più vicino.
«Se non ricordo male, c’è quella
ragazza della tua scuola, no? Quella che fingi di amare. Se ti torna utile,
pensa pure a lei. O a Saki, la dea che non ti permette di riemergere,
nonostante tutti i tuoi encomiabili sforzi, Masaomi-kun.» insinuò, mellifluo e
crudele.
Non gli pose nuovamente la domanda.
Semplicemente annullò la distanza
che aveva lasciato fra di loro, e per la seconda volta si appropriò delle
labbra del moro; non indugiò, intrufolando la lingua nella bocca del più
giovane dopo aver fatto con essa un po’ di pressione contro le labbra inizialmente
serrate.
Aveva morso quello inferiore,
anche con più forza del necessario, tanto che un istante prima che Masaomi gli
concedesse di approfondire il bacio Izaya era quasi certo di aver sentito il
familiare sapore ferroso tipico del sangue.
Il biondo mugugnò stranito,
opponendosi quasi; eppure, nel momento in cui la lingua di Izaya trovò la sua
coinvolgendolo in qualcosa in cui non avrebbe mai voluto immaginarsi con il
moro, Masaomi si ritrovò pieno di un’arrendevolezza che prese totalmente il sopravvento
sul disgusto, la delusione o qualsiasi altra cosa avesse potuto animarlo in
quel momento.
Non sapeva perché dovesse esserci
tanta confusione, quando si trattava di Orihara Izaya.
Né perché, considerando tutto
quello che c’era stato, che l’altro aveva combinato e che Kida pensava di lui,
dovesse comunque immancabilmente ritrovarsi ad essere così succube del più
grande.
Perché quando lo odiava, tornava
da lui.
Perché, nonostante avrebbe
volentieri gradito cancellarlo dalla propria esistenza, c’erano momenti in cui
per un motivo o per l’altro il nome di Izaya si faceva prepotentemente strada
nella sua testa.
O ancora perché…
Cominciò a sentire il bisogno di
aria, mentre quel bacio umido lo riportava bruscamente alla realtà, mentre sentiva
la lingua del moro sfiorare la sua, coinvolgerla nel bacio, poi abbandonarla
per toccare diversi punti nella sua bocca, rendendo intimo qualcosa che di
romantico e desiderato non aveva nulla.
Mugugnò in protesta, sentendo
Izaya allontanarsi quanto bastava a permettergli di riprendere fiato.
Le bocche ancora vicine, e i
respiri un po’ più veloci che si mischiavano per la scarsa distanza, quasi
cozzando l’uno contro le labbra dell’altro.
Colse senza troppe difficoltà la
punta della lingua di Izaya andare a sfiorare lo stesso labbro che prima aveva
morso e ferito.
Rabbrividì, ma non avrebbe saputo
definire per cosa; forse per troppe tutte insieme.
Masaomi non lo guardò nemmeno.
Izaya invece puntò quasi
insistentemente lo sguardo sul viso del più giovane, scorgendo un rossore che
era sicuramente da attribuire ad una vergogna diversa dall’imbarazzo di una
ragazza che viene baciata da qualcuno che le piace.
Sbuffò divertito: Kida Masaomi
riusciva persino ad essere carino.
…Aaah, ma che razza di pensieri da
romanzo rosa!
«Divertente.» decretò, come se
fosse quello il punto focale dell’intera questione in realtà.
«Sai, Masaomi-kun, pensavo»
riprese di nuovo: «che in realtà questo non basterebbe proprio come prezzo. Ma
non ti chiederò niente di più, e sai perché?» lo interrogò quando era ovvio che
non c’era modo che il più giovane sapesse a cosa potesse alludere l’altro.
Infatti scosse la testa, con
l’accenno di un grugnito basso in risposta.
«Perché l’informazione che sto per
darti avrà un impatto tale su di te, e mi farà divertire in maniera tale che,
sommata a questo» disse riferendosi palesemente al bacio: «sarà un pagamento
più che sufficiente.» concluse con infantile entusiasmo nel tono di voce.
Masaomi assunse un’espressione di
disgusto e derisione – se verso Izaya o verso se stesso, non era facile
capirlo.
«Sei un pazzo deviato, Izaya-san…»
sussurrò piano.
Izaya, senza preavviso, passò una
mano veloce dietro la nuca del biondo, afferrando malamente una parte dei
capelli in corrispondenza della nuca e tirando per far sì che Masaomi
inclinasse la testa all’indietro.
Il biondo si lasciò sfuggire un
gemito, colto di sorpresa, ritrovandosi a guardare Izaya negli occhi.
«Sii più cortese, Masaomi-kun. I
bambini maleducati mi hanno sempre innervosito.» gli fece presente, la voce che
vibrava di un’irritazione così vaga eppure così tangibile, da far pensare a
cosa sarebbe potuto succedere se solo essa si fosse concretizzata.
«Allora lo vuoi sapere? Lo vuoi
sapere chi è il capo dei Dollars che tanto ti ossessionano, Kida Masaomi-kun?»
sussurrò, chinatosi vicino al suo orecchio, le labbra che sfioravano il lobo,
presto sostituito dalla punta della lingua.
Masaomi strinse gli occhi a quel
contatto indesiderato, annuendo e ringhiando in risposta un: «Voglio saperlo.»
Ne aveva bisogno.
Assolutamente.
«Il capo dei Dollars è…»
Era l’unico modo per sperare di
proteggere Anri e Mikado.
C’erano cose che Kida Masaomi
sapeva, e di cui aveva fatto tesoro imparando proprio da esse, dalle scelte a
cui lo avevano obbligato, o dagli errori che ne erano scaturiti in passato;
come quanto potesse essere pericolosa la parte più oscura di Tokyo, o quanto
certe cose dovessero essere lasciate a se stesse.
Quanto il senso di colpa potesse
dilaniarti.
Quanto la vita normale di tutti i giorni
spesso potesse rivelarsi la migliore.
Quanto, a volte, tornare indietro
fosse molto più semplice che guardare avanti.
E poi, c’erano anche altre cose.
Quelle che come prezzo potevano
avere i soldi, oppure una parte di te.
L’orgoglio, la dignità, in casi
estremi anche la vita – tutte quelle cose che davi per scontate, e scontate non
erano poi così tanto.
E infine, quelle che Kida Masaomi
non avrebbe mai voluto scoprire.
Quelle a cui non voleva credere.
Quelle che erano capaci di tanta
forza quanta ne bastava a far vacillare l’intero mondo di una persona, e
renderla debole come non mai.
«…Ryuugamine Mikado.»