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Autore: Shichan    29/05/2010    3 recensioni
[Durarara!! - IzayaKida]
E dire che una cosa Kida Masaomi l’aveva imparata.
Orihara Izaya non vendeva mai le sue informazioni per nulla.

[A Lita-nii, per il suo compleanno]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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E dire, che una cosa Kida Masaomi l’aveva imparata

Disclaimer: i personaggi sono proprietà dei rispettivi autori, e non sono qui utilizzati a scopo di lucro.

Note: si tratta di una “What if…?”, più specificatamente un “cosa succederebbe se Kida andasse a chiedere ad Izaya un’informazione sostanziosa che solo lui può conoscere, considerando la mente malata di Orihara?” XD

- Può costituire spoiler, se non avete visto almeno le prime 12 puntate dell’anime (preferibilmente tutte le 19 uscite finora).

- Il titolo ha un significato (esatto, non sono io ad essere impazzita del tutto): si tratta di una filastrocca per bambini (non intera qui, per ovvie ragioni), che è un po’ l’equivalente della nostra mosca cieca.

Un bambino è posto al centro e chiude gli occhi, al “ora chi c’è dietro?”, dovrebbe indovinare quale dei compagni è alle sue spalle.

Qui è inteso con la valenza di “chi c’è dietro ai Dollars”.

Ringraziamenti: a chi ha letto e commentato “Loop – ancora e ancora, senza fine”, ossia Gioielle e LitaChan <3

Dedica: a Litachan per il suo compleanno, in anticipo di qualche giorno ma non fa nulla <3 Spero che il regalo possa piacerti, niisan <3

Auguri!

 

 

E dire che una cosa Kida Masaomi l’aveva imparata.

Orihara Izaya non vendeva mai le sue informazioni per nulla.

 

 

Bianco.

Il soffitto era banalmente, noiosamente, instancabilmente bianco.

Nemmeno una crepa, perché viveva in condizioni decenti come tanti altri adolescenti di Ikebukuro e dell’intero Giappone, probabilmente anche dell’intero mondo.

Nemmeno una macchia perché… beh, era il soffitto, no?

Mica stai sempre lì a toccarlo – lui manco ci arrivava al soffitto, che diamine.

«Che tristezza. Penso ad un muro.» si disse, schernendosi; eppure il suo cervello al momento non era in grado di dedicarsi ad un’occupazione che potesse richiedere uno sforzo maggiore che fissare qualcosa di monotematico che non richiedesse la minima riflessione.

Era rientrato da un paio d’ore, in perfetto orario per poter simulare senza intoppi di essere andato a scuola, senza lasciare nemmeno che sospettassero che invece aveva largamente bigiato.

Aveva assicurato di non voler mangiare; lo stomaco era fastidiosamente contratto da qualche giorno e gli sembrava di avere ancora la colazione lì, in mezzo al torace, per nulla digerita.

Rientrato in camera si era sì e no preso la briga di togliersi di dosso parte della divisa – e la sua camera poteva testimoniare quanta poca cura avesse messo nel processo.

La giacca era stata buttata alla meno peggio sulla sedia davanti alla scrivania e i calzini erano stati gettati senza un perché sul pavimento, dov’era capitato; la cartella era stata abbandonata in una maniera molto simile nel primo punto libero ed ora stava riversa per terra, nei pressi del tavolino al centro della stanza.

Il passo successivo era stato buttarsi con poca grazia sul letto, sistemarsi a pancia in su e puntare lo sguardo al soffitto come se quella porzione di muro bianco dovesse svelargli i misteri del mondo.

Chiaramente, se quel muro sapeva qualcosa, doveva stargli antipatico: erano due ore che il completo silenzio riempiva la stanza.

E lui ancora non aveva carpito nulla dei misteri in questione.

Si rigirò su un fianco, sistemandosi spalle alle porta, puntando lo sguardo sulla parete contro cui poggiava un lato del letto.

Cercò di fare mente locale sulle informazioni di cui era venuto a conoscenza fino a quel momento, e di assimilarle insieme alle sue supposizioni basate sugli ultimi avvenimenti.

Gli attacchi del Laceratore, dopo Anri, sembravano essersi completamente interrotti; i Turbanti Gialli però non avevano fatto nulla in proposito.

Sui Dollars, c’erano le voci che giravano da un po’, come una continua ondata di sottofondo, come una bassa marea che rimaneva stabile ma sempre presente; il Laceratore non sembrava essere con loro.

Poi però, lui li aveva visti: non solo il Laceratore, ma anche il Motociclista senza Testa – certo, però, che razza di nome. Sembrava quello del mostro cattivo di un film dell’orrore di terza categoria.

Lì, nel covo dei Turbanti Gialli, ma soprattutto insieme.

Aggrottò le sopracciglia, cercando di andare più a fondo con quell’analisi che in realtà aveva già ripetuto una volta, due, tre, quattro, senza mai giungere ad una conclusione degna di quel nome.

Vociferavano che il Motociclista senza Testa fosse nei Dollars.

E il Laceratore era con lui – addirittura soccorso da lui.

Era fin troppo facile dedurre che allora anche il Laceratore fosse dalla parte dei Dollars; per contro, non era stato proprio il leader di quest’ultima gang a mandare un messaggio a tutti i suoi membri per chiedere informazioni sull’argomento?

Questo portava a due possibili opzioni: o il leader dei Dollars non ne sapeva davvero più di quanto i media e le strade non facessero trapelare – e allora era da considerarsi una coincidenza che il Motociclista e il Laceratore quella sera fossero insieme – oppure voleva sviare tramite quella domanda.

Non doveva scartare a priori nemmeno l’ipotesi che questo fantomatico leader che nessuno aveva mai visto fosse venuto a sapere o avesse preso in considerazione fin dall’inizio che membri della sua gang erano parte anche di un’altra, nella fattispecie proprio i Turbanti Gialli.

In quel caso, non sarebbe stato sbagliato cercare di sviarli.

Sospirò seccato, rigirandosi nuovamente, stavolta a pancia in giù; affondò il viso nel cuscino, trattenendo il respiro.

Che cavolo.

Com’era possibile, la situazione interna dei Dollars?

Come poteva reggere una gang di tale portata non solo senza regole, ma senza che nessuno mai avesse visto o conosciuto il leader?

Non era sensato, da qualunque parte la si guardasse: un gruppo come una gang ha bisogno per molti versi e molti motivi di conoscere una figura a capo; e non solo perché deve avvertire che c’è un qualcuno a guida, qualcuno che si vede e si tocca come un qualsiasi essere umano.

Ma, soprattutto, perché un leader invisibile è facile da soverchiare: in primis, non puoi nemmeno essere sicuro che esista.

Se è dietro uno schermo – un pc, un telefonino – non è nemmeno detto che si tratti di una sola persona, o sempre della stessa.

Una gang senza un capo “normale” non poteva esistere: ci sarebbero state troppe persone che avrebbero cercato il potere, di salire sempre più in alto per occupare quella posizione.

E ancora, chiunque poteva spacciarsi per il leader se di questi non si sapeva nulla: e anche se fosse accaduto che più persone che sostenevano quella carica fossero state messe l’una di fronte all’altra, chi mai avrebbe potuto dire chi mentiva e chi diceva il vero?

Si morse un labbro, innervosito.

Perché nonostante tutto questo fosse ovvio, nei Dollars pareva esserci l’equilibrio perfetto anche con tutte quelle mancanze?

Di nuovo, prese forma nella sua testa un pensiero che già da qualche giorno lo aveva interessato, sebbene fosse così a livelli di follia – oltre che impraticabile, a quanto sembrava – che una parte di lui aveva cercato di soffocarlo completamente il più presto possibile.

Se soltanto conoscessi il leader dei Dollars, si era detto tornando la sera prima sotto il diluvio.

Nonostante tutto, pensava sarebbe stato utile: era probabile che il capo dei Dollars sapesse perfettamente chi fosse tornato tra le fila dei Turbanti Gialli – a maggior ragione se davvero era a conoscenza della doppia appartenenza di alcuni suoi membri.

Ma anche volendo credere che non ne sapesse nulla, sarebbe stato estremamente più semplice.

Masaomi non voleva una guerra: c’era stata una battaglia, e il modo in cui era finita era uno dei motivi per cui era di nuovo intrappolato nella parte oscura di quella città, quella a cui era appartenuto, da cui era fuggito giurando di non tornarvi mai più.

La stessa dalla quale voleva tenere lontane le persone che significavano tanto per lui.

Ma non era nemmeno così stupido da credere ancora nei sogni da bambino.

Iniziando da Saki: era probabile che lei non sarebbe mai riuscito a tirarla completamente fuori da quel lato della città; non perché non tenesse a lei.

Semplicemente, Saki sarebbe stata trascinata nuovamente lì da Izaya. Questo Masaomi lo sapeva bene, e lo sapeva da tanto.

Anche se infantilmente e scioccamente ancora non rinunciava del tutto, sapeva di quella possibilità.

Quanto ad Anri e Mikado, lì era un’altra la questione che lo aveva disilluso dall’ideale di un eroe che salva i compagni con coraggio e volontà: la realtà delle gang non era come le favole per bambini.

Non sarebbe riuscito a tirarli fuori senza sprofondare lui nell’oscurità che Ikebukuro nascondeva; se non sacrificava nulla, non avrebbe ottenuto nulla.

Nulla di cui essere fieri, per lo meno.

 

Aveva chiesto a Kadota, andando a parlargli dopo aver saltato la scuola.

Ma, proprio come si era aspettato, non c’era davvero stato alcun modo di uscirne; nessuno sapeva nulla.

Nemmeno Kadota aveva mai visto il loro leader; né Karizawa-san, né Yumasaki.

Aveva provato a spiegar loro la situazione, ma ben presto era stato chiaro che non fosse un problema di volerlo dire o meno: proprio erano impossibilitati non essendone a conoscenza.

Frustrato, Kida aveva sibilato un: «Com’è possibile quasi “non esistere” in questo modo?!» al quale Kadota e compari si erano scambiati uno sguardo significativo.

«L’unica cosa che posso dirti, e prendila come un consiglio da amico» era stata la frase con la quale, dopo diverso tempo in silenzio, Kadota aveva esordito: «è di lasciar stare.» aveva continuato.

Masaomi aveva aperto bocca per replicare, ma una mano che Kadota aveva alzato e posto fra loro lo aveva richiamato al silenzio: «Anche ammesso che il leader dei Dollars si presenti, come vorresti comunicare con lui? Sappiamo che c’era al primo raduno qui ad Ikebukuro, ma questo non ci assicura che sia di queste parti.» aveva analizzato passo passo con il biondo.

Kida aveva taciuto, osservandolo ed annuendo impercettibilmente per dar cenno di aver capito, e di essere in ascolto.

«Poi, lui comunica ai cellulari dei membri, ma il contrario non è possibile. Perciò non esiste nemmeno qualcuno che possa metterti in contatto con lui. Anche ammesso che fosse lui a contattare te, non è una certezza che si presenterà. A conti fatti, la sua identità non ti serve a nulla, a prescindere dal fatto che è impossibile scoprirla per come sono messe ora le cose.» era stata la sua analisi con logica conclusione.

Alla quale nemmeno Masaomi aveva potuto ribattere in alcun modo, perché era stata così lineare da non avere quasi pecche.

D’altronde, era un ragionamento che anche Masaomi stesso doveva aver già vagliato, motivo per il quale Kadota non si era posto né dubbi, né restrizioni nel rivolgerglielo chiaramente.

 

 

Si voltò verso la scrivania, sistemandosi sul fianco destro stavolta; lo sguardo andò sul tavolino, occupato solo da una rivista lasciata lì il giorno prima e dal proprio telefono cellulare.

Si soffermò su quest’ultimo con l’espressione che si sarebbe potuta rivolgere a qualcosa di pericoloso ma necessario per raggiungere un obiettivo o ottenere un risultato.

Soppesò quanto davvero ne valesse la pena.

Mise sull’ago della bilancia quelle due opzioni – una così desiderata da far sciogliere la tensione che andava accumulandosi all’altezza dello stomaco, l’altra così irritante da far seccare la gola e pizzicare gli occhi – cercando di decidere nella maniera più razionale possibile.

Non che fosse qualcosa di cui vantarsi, ma dai Turbanti Gialli aveva già fatto “avanti e indietro”; se ne eri uscito una volta, potevi uscirne due.

Un po’ se lo era ripetuto anche per convincersi che solo perché vi rientrava stavolta per necessità, non doveva considerarsi finito e bloccato lì per sempre.

Però quella possibilità che stava vagliando era diversa: avrebbe significato quasi gettare completamente al vento la possibilità di avere una via di fuga, anche solo parziale.

Masaomi sapeva di dovervi pensare per bene e mille volte, obiettivamente, prendendo in considerazione ogni possibilità.

Ma aveva già perso qualcosa d’importante e provato come ci si sentiva dopo.

Allungò una mano per raggiungere il cellulare, portandolo poi sopra la propria testa – di nuovo a pancia in su – cliccando un paio di tasti per arrivare alla rubrica.

Digitò l’iniziale, e premette la cornetta verde.

Attese; primo squillo – devo essere impazzito.

Secondo squillo – perché cavolo sto chiamando?

Terzo squillo – questa è…

«Kida-kun?»

Una follia.

«…Izaya-san?»

 

 

Allungò una mano per suonare, e nel momento in cui lo fece quasi sentì un brivido attraversargli la schiena.

Non sapeva davvero dire cosa lo sconvolgesse di più: essere davvero lì fuori dall’appartamento di Orihara Izaya ancora una volta, avere la consapevolezza che essere lì significava essersi di nuovo affidato a lui e che quella chiamata fatta nemmeno mezz’ora prima non poteva essere considerata appartenente alla categoria “incubi notturni”.

E, soprattutto, che Orihara Izaya aveva accettato di buon grado di rispondere ai suoi bisogni; questa era la cosa che davvero risultava preoccupante.

Perché significava… che c’era qualcosa che poteva rendere utile all’Informatore l’aiutare Kida ancora una volta.

Entrò nell’appartamento ed una pessima sensazione di dejà-vu lo colpì bruscamente: Izaya, vestito con la maglia e i pantaloni scuri che caratterizzavano il suo solito abbigliamento, gli si faceva incontro come la prima volta in cui l’anno precedente era andato lì.

Con lo stesso sguardo di chi sapeva saresti tornato – quello che aveva rivisto fino alla nausea sul volto di Saki – e le labbra incurvate in quel sorriso irritante, arrogante e pericoloso.

«È davvero un piacere inaspettato, Kida Masaomi-kun.» esordì il più grande, rimanendo di un paio di passi distante dal biondo; si spostò quasi subito lateralmente, esibendosi in un gesto estremamente educato e perciò altrettanto falso probabilmente, per fargli cenno di accomodarsi.

Masaomi, sulla difensiva, mosse diversi passi all’interno cercando di non identificare nel rumore della porta che veniva chiusa alle sue spalle il suono di una gabbia che si chiude senza lasciarti scampo.

Si voltò quasi subito, non gradendo il non avere Izaya nel proprio campo visivo.

Il moro, per contro, sembrava totalmente a proprio agio a giudicare dall’espressione che gli rivolse.

«Non serve essere così tesi, fai come se fossi a casa tua. Dopotutto ci sei stato altre volte qui, no?» insinuò sottilmente, accennando al divano con un movimento minimo della testa.

Masaomi strinse appena un lembo della manica del giacchetto fra le dita, ma si limitò ad annuire e prendere posto sul divano scuro.

Si perse solo per qualche istante a fissare gli oggetti sparpagliati sul tavolino, cercando forse di prendere tempo e vagliare con cura le parole da usare.

Non gradiva essere lì; doveva perciò tagliare corto, anche se con cautela – era pur sempre di Orihara Izaya che si stava parlando, dopotutto.

Ci fu qualche minuto di silenzio, in cui parvero più che altro studiarsi a vicenda, l’uno con un’apparente soddisfazione, l’altro piuttosto sulle spine come chi ha bisogno di nascondere qualcosa.

«Allora, qual è l’informazione di cui hai bisogno al punto tale da rivolgerti nuovamente a me, Kida-kun?» lo interrogò, nel tono una nota di beffarda derisione.

In fondo, Izaya non aveva certo dimenticato quel ragazzino delle medie di un anno prima che aveva iniziato con l’essere guardingo nei suoi confronti, finendo con l’arrivare a fidarsi di lui rivelandosi quasi completamente prevedibile.

E che aveva lasciato che quel piccolo capitolo di storia si concludesse proprio come Izaya stesso aveva previsto.

Masaomi strinse appena la stoffa in corrispondenza delle ginocchia, stavolta, dove le mani era posate, strette in due pugni.

Abbassò lo sguardo su di esse, benché fosse razionalmente troppo tardi per chiedersi se non avesse effettivamente fatto una grossa sciocchezza ad andare lì.

«Si tratta di un’informazione che solo tu puoi avere, Izaya-san.» replicò inizialmente, benché non in maniera esaustiva.

Izaya allargò appena appena il sorriso, sedendosi a sua volta sull’altro angolo del divano, osservandolo con curioso interesse – se fosse un bene o un male, considerando il soggetto, era difficile dirlo con certezza.

«Forse non la so nemmeno io.» fece notare, in modo falsamente casuale.

Masaomi alzò lo sguardo sul moro, determinato e privo di esitazioni, davanti al quale Izaya assunse un’espressione di vivo interesse che non sempre una persona sapeva suscitare in lui.

«Se non la sai tu, Izaya-san, vuol dire che nessuno ad Ikebukuro ne è a conoscenza.» rispose il biondo.

Izaya ridacchiò divertito: «Da quando in qua mi lusinghi, Masaomi-kun?» lo sfotté più o meno apertamente.

Masaomi si accigliò appena: «La falsa modestia non ti si addice, Izaya-san.» azzardò – perché, aveva imparato, c’erano limiti entro i quali Izaya non prendeva le parole schiette di qualcuno come un affare personale.

«Allora sentiamo» riprese infatti l’altro con noncuranza: «cos’è che vorresti sapere?» chiese.

«L’identità del capo dei Dollars.» tagliò corto Masaomi, ricevendo come prima risposta un fischio falsamente ammirato e una risata subito dopo.

«Queste sono cose da cui i bambini dovrebbero restare fuori.» commentò quasi subito, suscitando l’irritazione del biondo, il quale si morse istintivamente il labbro inferiore in un gesto meccanico ed inconscio.

«Sono già in qualcosa da cui i bambini dovrebbero restare fuori.» fece notare il biondo, lo sguardo determinato a sapere quello che gli interessava o almeno a provare a scoprirlo finché farlo non si fosse rivelato addirittura letale.

Era palese che si riferisse alla questione delle gang, motivo per il quale non sentì il bisogno di sottolinearlo a voce.

Izaya, pur senza cambiare espressione, sorrise quasi gongolante dentro di sé: era quella l’espressione che più si addiceva a Kida Masaomi, quella che lo rendeva interessante; l’espressione di un bambino che gioca a fare l’adulto, sfiora il pericolo, rischia di bruciare la mano che tende in avanti per troppa curiosità.

E poi affonda, affonda sempre di più cosciente di farlo ma incapace di tirarsene fuori.

Infine, come in un ciclo che potrebbe diventare monotono da un attimo all’altro, si affida alle sue mani che di giocare con pedine come il capo dei Turbanti Gialli non vedono l’ora.

«Allora ipotizziamo che io ne sappia qualcosa.» riprese Izaya, il sorriso sempre ad incurvargli le labbra, mentre pronunciava quelle parole, entrambi consapevoli che non fosse affatto un’ipotesi.

Orihara Izaya non era un tipo da “teorie”: c’erano solo le cose che sapeva e quelle di cui non era a conoscenza – ed era inutile dire che le prime erano molto più numerose delle seconde, dal momento che faceva l’informatore.

Il più grande ipotizzava solamente quando voleva prendersi gioco di chi, di quell’informazione, aveva bisogno.

E Kida non faceva eccezione.

«Tu sai che non do informazioni in cambio di nulla, giusto? Dovresti saperlo anche meglio di molti altri.» insinuò sottilmente, sibillino quasi.

Masaomi deglutì a vuoto, ma annuì leggermente.

Izaya sorrise in maniera appena più ampia, una connotazione di vittoria già palese nello sguardo carminio.

«Se lo sai e non lo hai dimenticato, e nonostante tutto sei venuto comunque a chiedermi di venderti un’informazione, devo dedurne che sei in grado di venire incontro al pagamento che ti chiederò. Penso anche che tu sia cosciente del fatto che sarà un conto salato, vista l’entità dell’informazione, o no, Masaomi-kun?» aggiunse, anche se suonava più come una domanda retorica di cui già conosceva la risposta, piuttosto che una che la risposta la necessitasse.

Il biondo aggrottò appena le sopracciglia, come se stesse cercando di scorgere fra le parole e le espressioni di Izaya, per essere in grado di carpire quel qualcosa di non detto che nei discorsi del moro c’era sempre, anche e soprattutto quando non se ne scorgeva nemmeno l’ombra.

Izaya riprese a parlare senza aspettare la replica del biondo, come previsto.

«Però insomma, non sono così misero, io.» se ne uscì, confondendo le carte in tavola e facendo perdere in un attimo il filo a Masaomi.

«Voglio dire, abbiamo già avuto a che fare noi due. Si può dire che siamo quasi amici, no Masaomi-kun? E allora diciamo che posso farti uno sconto. Anche perché una cifra come quella che ci vorrebbe per quest’informazione, non è qualcosa che un ragazzino delle superiori può racimolare da qualche parte facilmente.» osservò casualmente.

Soffermò lo sguardo sul biondo, in silenzio, in attesa.

Masaomi non azzardò a distogliere il proprio sguardo da quel viso.

Orihara Izaya gli aveva dato sempre la sensazione di qualcosa di terribilmente complicato, contorto e sfuggente.

Quasi ti faceva pensare infantilmente – come stava accadendo a lui in quel momento – che il solo distogliere lo sguardo da lui per qualche istante potesse dargli la scappatoia necessaria a sparire lasciandoti lì coi tuoi dubbi e i tuoi guai.

«Perciò qual è il prezzo?» domandò secco, anche se non volontariamente; era solo che c’erano troppi ricordi in quella stanza, ancora troppo freschi e con essi tornava il nervosismo, il senso di impotenza e di rabbia e rancore nei confronti del moro che stava lì seduto poco distante da lui.

Non sapeva cosa aspettarsi.

Non sapeva se era più forte la pressante voglia di alzarsi ed andarsene, o la razionalità nel considerare che solo rimanendo avrebbe potuto ottenere quello che gli serviva.

…Era l’unico modo, giusto?

«Qualcosa che non ha a che fare con i soldi.» replicò con semplicità il moro, suscitando vera e propria preoccupazione nell’altro, vivida e allarmante.

Non era affatto una buona cosa.

Qualcosa di materiale poteva essere sacrificata: denaro, oggetti.

Ma se non era di soldi che parlavano – e difficilmente Izaya poteva desiderare un qualche soprammobile di casa Kida – allora la piega che prendeva l’intera situazione non poteva che mettergli ansia.

Non c’era altro che potesse dare, sacrificare; conoscendo il moro doveva trattarsi di qualcosa che considerava importante per Masaomi.

Qualcosa a cui fosse difficile rinunciare.

Sgranò gli occhi: aveva dato Saki, quella volta.

Stavolta chi gli avrebbe chiesto? Mikado, o Anri?

Tremò.

«Di cosa stai parlando, Izaya-san?» ringhiò senza poterlo evitare razionalmente.

«Oh, non fare il finto tonto, Masaomi-kun, può diventare irritante.» lo ammonì con tono falsamente bonario: «Comunque è qualcosa di facile.» aggiunse, come una dimenticanza tornata in mente all’ultimo minuto.

Ci fu una pausa in cui forse si studiarono, forse guardarono l’altro senza davvero vederlo.

«Alcune parti di te, Masaomi-kun. Quelle che stupidamente ti fanno cadere ancora in trappola, continuamente, e che presto ti schiacceranno.» rivelò, criptico tanto che Masaomi sgranò appena gli occhi senza riuscire a capire dove volesse andare a parare.

«Che…?» fece per chiedere, venendo interrotto quasi subito.

 

 

Strinse maggiormente il bordo del divano.

Le labbra del moro avevano catturato le sue quasi famelicamente, appropriandosene in maniera così improvvisa ed imprevista che Masaomi non aveva avuto tempo nemmeno di stupirsene quasi.

Aveva sgranato gli occhi, protestando e facendo per liberarsi di quel contatto sgradevole: si era agitato, spintonando Izaya lontano da sé.

Il moro sembrava aver assistito all’ennesima cosa che aveva calcolato, messo in conto; tant’è che aveva sorriso come tutte le altre volte, mentre osservava il biondo allontanarsi da lui, facendosi più in là sul divano, un braccio portato a sfregare la manica contro la bocca nell’infantile gesto di pulirsela.

Aveva ridacchiato.

«Che bambino.» era stata la sua osservazione, bloccando sul nascere la replica che di sicuro Masaomi avrebbe voluto rivolgergli visto che aveva aperto bocca per darle voce.

«Non farti un’idea sbagliata, Masaomi-kun.» lo aveva rassicurato, nel tono un sottofondo di ironia.

Il biondo aveva abbassato il braccio, fissandolo ancora pieno di stupore e confusione.

«Izaya-san, non sapevo che nel tempo avessi iniziato a prendere in cambio delle informazioni pagamenti in natura.» aveva azzardato nuovamente nel rispondergli, un po’ per incoscienza, un po’ quasi per ripicca per quel bacio.

Izaya non si era scomposto, figurarsi; aveva accennato ad una risata divertita, di quelle che facevano rabbrividire.

«Non diciamo stupidaggini. Se fosse così, nel tuo caso nemmeno potrei. Non senza rischiare una pesante accusa da parte della legge, visto che sei minorenne, no?» gli fece notare con naturalezza.

«E poi, non fraintendermi.» aveva ripreso, avvicinandosi lentamente, quasi a prendersi gioco di lui: come a voler sottolineare che aveva tutto il tempo di allontanarsi ulteriormente, addirittura di alzarsi e andarsene via.

E che aveva persino l’occasione di trovare il coraggio di farlo, di recuperare quello che un anno prima aveva perso, lasciandolo poco distante da un parcheggio umido e buio.

«Certo è indubbio che tu sia un essere umano particolarmente interessante, tra le persone che osservo ad Ikebukuro. Ma come ho detto a qualcun altro, il fatto che a me piacciano gli esseri umani non significa necessariamente che tu mi piaccia. Non prendere quello che faccio troppo sul serio, ne?» continuò, aggiungendo quel verso che spesso utilizzava con lo pseudonimo di Kanra, quando si fingeva una donna.

Masaomi si stava innervosendo, addirittura più di prima se possibile.

Izaya era vicino. Troppo vicino per i suoi gusti.

La sola idea che quello fosse il modo per ottenere l’informazione che gli aveva chiesto lo nauseava.

L’idea di scendere a compromessi con lui, lo nauseava.

Era certo di non riuscire a fare una cosa simile, a prescindere da quanto importante fosse ciò che c’era in palio.

Per lui era… semplicemente contro natura, in un modo che andava oltre il problema costituito dall’essere la controparte un uomo come lui.

Vide il volto di Izaya vicino fermarsi in quel punto esatto di fronte ai suoi occhi; non venne più avanti, ma non si fece nemmeno indietro.

Un ginocchio affondava appena nel divano, l’altra gamba poggiava sul pavimento e faceva da sostegno a gran parte del peso del corpo; proteso in avanti, una mano faceva forza sullo schienale del divano, l’altra poggiava anch’essa su uno dei cuscini, con il risultato di intrappolare il corpo del biondo fra dove sedeva e quello del più grande.

Tuttavia non lo pressava con il resto del busto, rimaneva anzi più lontano possibile, in un gioco di distanze e vicinanza tutto suo.

«Dunque, Masaomi-kun? Vuoi l’informazione, o lasci stare e togli il disturbo?» lo incalzò sadicamente, quasi.

Il biondo si morse il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo da Izaya e decretando così – inconsciamente o meno – la propria resa.

«Mh, oggi mi sento particolarmente in vena di favori, sai? Sei fortunato! Vediamo come posso venirti incontro!» lo sentì esclamare, all’improvviso tutto pimpante senza un apparente motivo.

Azzardò ad alzare nuovamente lo sguardo, e l’espressione che vide non gli piacque affatto.

Soprattutto, il viso di Izaya era più vicino.

«Se non ricordo male, c’è quella ragazza della tua scuola, no? Quella che fingi di amare. Se ti torna utile, pensa pure a lei. O a Saki, la dea che non ti permette di riemergere, nonostante tutti i tuoi encomiabili sforzi, Masaomi-kun.» insinuò, mellifluo e crudele.

Non gli pose nuovamente la domanda.

Semplicemente annullò la distanza che aveva lasciato fra di loro, e per la seconda volta si appropriò delle labbra del moro; non indugiò, intrufolando la lingua nella bocca del più giovane dopo aver fatto con essa un po’ di pressione contro le labbra inizialmente serrate.

Aveva morso quello inferiore, anche con più forza del necessario, tanto che un istante prima che Masaomi gli concedesse di approfondire il bacio Izaya era quasi certo di aver sentito il familiare sapore ferroso tipico del sangue.

Il biondo mugugnò stranito, opponendosi quasi; eppure, nel momento in cui la lingua di Izaya trovò la sua coinvolgendolo in qualcosa in cui non avrebbe mai voluto immaginarsi con il moro, Masaomi si ritrovò pieno di un’arrendevolezza che prese totalmente il sopravvento sul disgusto, la delusione o qualsiasi altra cosa avesse potuto animarlo in quel momento.

Non sapeva perché dovesse esserci tanta confusione, quando si trattava di Orihara Izaya.

Né perché, considerando tutto quello che c’era stato, che l’altro aveva combinato e che Kida pensava di lui, dovesse comunque immancabilmente ritrovarsi ad essere così succube del più grande.

Perché quando lo odiava, tornava da lui.

Perché, nonostante avrebbe volentieri gradito cancellarlo dalla propria esistenza, c’erano momenti in cui per un motivo o per l’altro il nome di Izaya si faceva prepotentemente strada nella sua testa.

O ancora perché…

Cominciò a sentire il bisogno di aria, mentre quel bacio umido lo riportava bruscamente alla realtà, mentre sentiva la lingua del moro sfiorare la sua, coinvolgerla nel bacio, poi abbandonarla per toccare diversi punti nella sua bocca, rendendo intimo qualcosa che di romantico e desiderato non aveva nulla.

Mugugnò in protesta, sentendo Izaya allontanarsi quanto bastava a permettergli di riprendere fiato.

Le bocche ancora vicine, e i respiri un po’ più veloci che si mischiavano per la scarsa distanza, quasi cozzando l’uno contro le labbra dell’altro.

Colse senza troppe difficoltà la punta della lingua di Izaya andare a sfiorare lo stesso labbro che prima aveva morso e ferito.

Rabbrividì, ma non avrebbe saputo definire per cosa; forse per troppe tutte insieme.

Masaomi non lo guardò nemmeno.

Izaya invece puntò quasi insistentemente lo sguardo sul viso del più giovane, scorgendo un rossore che era sicuramente da attribuire ad una vergogna diversa dall’imbarazzo di una ragazza che viene baciata da qualcuno che le piace.

Sbuffò divertito: Kida Masaomi riusciva persino ad essere carino.

…Aaah, ma che razza di pensieri da romanzo rosa!

«Divertente.» decretò, come se fosse quello il punto focale dell’intera questione in realtà.

«Sai, Masaomi-kun, pensavo» riprese di nuovo: «che in realtà questo non basterebbe proprio come prezzo. Ma non ti chiederò niente di più, e sai perché?» lo interrogò quando era ovvio che non c’era modo che il più giovane sapesse a cosa potesse alludere l’altro.

Infatti scosse la testa, con l’accenno di un grugnito basso in risposta.

«Perché l’informazione che sto per darti avrà un impatto tale su di te, e mi farà divertire in maniera tale che, sommata a questo» disse riferendosi palesemente al bacio: «sarà un pagamento più che sufficiente.» concluse con infantile entusiasmo nel tono di voce.

Masaomi assunse un’espressione di disgusto e derisione – se verso Izaya o verso se stesso, non era facile capirlo.

«Sei un pazzo deviato, Izaya-san…» sussurrò piano.

Izaya, senza preavviso, passò una mano veloce dietro la nuca del biondo, afferrando malamente una parte dei capelli in corrispondenza della nuca e tirando per far sì che Masaomi inclinasse la testa all’indietro.

Il biondo si lasciò sfuggire un gemito, colto di sorpresa, ritrovandosi a guardare Izaya negli occhi.

«Sii più cortese, Masaomi-kun. I bambini maleducati mi hanno sempre innervosito.» gli fece presente, la voce che vibrava di un’irritazione così vaga eppure così tangibile, da far pensare a cosa sarebbe potuto succedere se solo essa si fosse concretizzata.

«Allora lo vuoi sapere? Lo vuoi sapere chi è il capo dei Dollars che tanto ti ossessionano, Kida Masaomi-kun?» sussurrò, chinatosi vicino al suo orecchio, le labbra che sfioravano il lobo, presto sostituito dalla punta della lingua.

Masaomi strinse gli occhi a quel contatto indesiderato, annuendo e ringhiando in risposta un: «Voglio saperlo.»

Ne aveva bisogno.

Assolutamente.

«Il capo dei Dollars è…»

Era l’unico modo per sperare di proteggere Anri e Mikado.

 

 

C’erano cose che Kida Masaomi sapeva, e di cui aveva fatto tesoro imparando proprio da esse, dalle scelte a cui lo avevano obbligato, o dagli errori che ne erano scaturiti in passato; come quanto potesse essere pericolosa la parte più oscura di Tokyo, o quanto certe cose dovessero essere lasciate a se stesse.

Quanto il senso di colpa potesse dilaniarti.

Quanto la vita normale di tutti i giorni spesso potesse rivelarsi la migliore.

Quanto, a volte, tornare indietro fosse molto più semplice che guardare avanti.

E poi, c’erano anche altre cose.

Quelle che come prezzo potevano avere i soldi, oppure una parte di te.

L’orgoglio, la dignità, in casi estremi anche la vita – tutte quelle cose che davi per scontate, e scontate non erano poi così tanto.

E infine, quelle che Kida Masaomi non avrebbe mai voluto scoprire.

Quelle a cui non voleva credere.

Quelle che erano capaci di tanta forza quanta ne bastava a far vacillare l’intero mondo di una persona, e renderla debole come non mai.

 

 

«…Ryuugamine Mikado.»

 

   
 
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