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Autore: OnlyHope    30/05/2010    13 recensioni
Per Sanae tutto iniziava davanti ad una fermata d'autobus, quello stesso giorno Tsubasa partiva per il viaggio che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. E mentre Sanae cercava la sua strada in Giappone, Tsubasa inseguiva con caparbietà il suo sogno in Brasile. Ma anche questa è la storia di un ragazzo che ama incondizionatamente una ragazza. Perché questa è la storia di Tsubasa.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Don't Be Afraid to Fly ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 11

Kronos








Sono passati dieci mesi, tredici giorni e sedici ore dall’ultima volta che ho visto Sanae.
E non avevo mai contato il tempo prima d’ora, non così minuziosamente almeno.
Di cose ne sono cambiate in questo periodo e non tanto nella mia vita, che è fatta sempre di corse elettrizzanti sul campo, la mia adrenalinica routine, ma più che altro in quella di Sanae.
O forse è più giusto dire che anche nella mia esistenza qualcosa si è spostato, portandomi a osservare le cose da altre angolazioni.
Non più solo il mio statico punto di vista, fatto di ciò che mi appartiene e che sento di poter gestire, ma quello di una nuova incognita, che m’incuriosisce, mi elettrizza e allo stesso tempo turba.
Basti pensare che ora accendendo un canale satellitare musicale, sì mi sono accorto, per forza di cose, che esistono altre frequenze oltre a quelle dedicate allo sport, ho la possibilità di vederci dentro la mia ragazza.
Solo adesso mi rendo conto dell’effetto che possa aver avuto in lei il vedermi attraverso uno schermo, lontano e alla mercé di tutti.
Lo dico con una punta d’amarezza, lo so, come so che queste emozioni sono amplificate dalla distanza e dal distacco.
Perché non credevo sarebbe passato tutto questo tempo, né avevo la pretesa assurda di sperare in meglio, ma quando li conto, questi dieci mesi, tredici giorni e sedici ore, mi sembra siano davvero troppi.
Troppi da passare senza di lei, troppi da gestire da solo, troppi da somatizzare nella mia vita perfetta di calciatore professionista, nell’esistenza che ho sempre desiderato.
Quella che ho sempre voluto…
Sì perché quando si è mocciosi, si guarda solo in una direzione.
Si vede solo l’obbiettivo, la meta da raggiungere.
Il sogno.
Perché non si conoscono altre cose, perché non s’immagina di quale mancanza si potrà soffrire, né la portata dei sentimenti futuri, che un giorno diventeranno più forti che mai.
Ignoravo un sacco di cose da bambino.
Me ne sono omesse, o le ho semplicemente ignorate, tante altre qualche anno dopo.
Sapevo, è una certezza scontata che hanno tutti, che prima o poi mi sarei innamorato, ma non sapevo né di chi e nemmeno m’interessava un granché quando sarebbe successo.
Una cosa scontata ripeto, come quando le bambine si chiedono tra loro a che età si sposeranno, sono solo delle bimbe ma danno per appurato che quel giorno arriverà.
Avevo quindi questa certezza, senza rifletterci nemmeno un briciolo del mio tempo, perché a cos’altro poteva pensare un ragazzino con un sogno tanto grande quanto il mio?
In che assurdo modo potevano i sentimenti anche solo offuscare la magnificenza del mio desiderio più grande?
Stupido ragazzino…
Tutto sembrava semplice, tutto poteva filare liscio e lo credevo davvero.
Quando il mio cuore ha mancato un battito per lei, mi sono detto che sì, ci poteva stare, che era arrivato il momento e che, in quello stesso istante me ne sono reso pienamente conto, poteva essere solo lei.
Chi altre, se non Sanae?
Quando è completamente impazzito per lei, ho preteso di ignorarlo e di far finta di nulla.
Non me lo potevo permettere, ripetevo, ma poi ho preteso ancora di vivere quello che provavo e che questo non potesse farmi male.
Volevo prenderne solo il meglio, per quel poco tempo che avevo.
E me ne sono andato, con la consapevolezza che sarebbe stata dura, che ogni cosa bella provata con lei, grazie a lei, mi si sarebbe rivoltata contro nella solitudine, ma anche con la presunzione, che mi è tipica, di farcela, di potercela fare.
Mi sono comportato così anche anni dopo, anche l’ultima volta, nell’ultimo periodo a casa.
Dagli errori non sempre s’impara…
Ma si può chiamare errore qualcosa di così bello?
Doloroso, ora, ma estremamente bello…
Si può evitare di amare?
Se l’oggetto del tuo amore, colei che lo muove, è a un passo da te?
Si può, mi chiedo, ignorare ogni fibra del tuo corpo che ti spinge verso di lei, che non desidera che lei, che sente solo lei?
Può l’amore mandarmi così in alto per poi buttarmi maledettamente all’infermo?
Sono passati dieci mesi, tredici giorni e sedici ore.
E non mi sono mai sentito così schifosamente di merda…







Sono passati dieci mesi, ventotto giorni e tredici ore e ho la possibilità di rivederla!
Quanto potrà essere fantastica un’amichevole della nazionale?
Posso vederla, non quanto avrei voluto, ma mi so accontentare.
Ci vedremo subito dopo la gara, al mio albergo.
Perché lei ha da fare…
Con una vena di dispiacere mi rendo conto che non era mai successo prima, che non potesse vedermi dal vivo allo stadio, che non fosse presente mentre gioco.
Perlomeno quando sono in Giappone.
Deve cantare lontana da Tokyo e può raggiungermi solo per cena, così avremo giusto qualche ora da passare insieme, da soli.
Prima che io debba riprendere l’aereo per Sao Paolo, che non posso prorogare.
Perché anch’io ho da fare.
Non mi lascio scoraggiare però, da tutto questo da fare, non me lo posso permettere davvero.
In cerca di lei accendo il PC e attendo che la connessione si avvii.
Un semplice click ed entro nel suo mondo, che fa comunque un po’ stano chiamarlo suo, come se in parte ne fossi tagliato fuori.
Il suo sguardo che emana luce e il sorriso radioso, rivolti a un punto indefinito oltre lo schermo.
Leggo quasi avidamente le ultime novità che la riguardano e che scorrono lampeggianti appena sotto il suo viso, in un tripudio di colori vivaci in campo bianco.
Gli occhi cadono sull’icona della mail, il link per mettersi in contatto con la “giovane stella”.
E di nuovo quella strana sensazione di qualcosa che sfugge, che mi fa pensare, che no, non dovrebbe essere così facile arrivare a lei.
Infastidito, più da me stesso e dalle mie assurde riflessioni, che dall’esistenza di una stupida newsletter, punto il cursore altrove, cercando l’area video del sito ufficiale di Sanae Nakazawa.
Clicco sul suo primo videoclip, quello che preferisco, come ogni sera.
La musica che arriva alle mie orecchie è ormai così familiare che mi strappa un sorriso.
Come se entrassi effettivamente in contatto con lei.
Mi perdo nelle immagini, un parco di divertimenti di Tokyo credo.
E mi sembra di essere lì e mi sento pure un po’ ridicolo per questo, ma me ne frego davvero.
La osservo guardare in camera sorridente, mentre le parole che escono dalle sue labbra mi portano indietro nel tempo, giusto qualche anno fa.
E senza che me ne accorga effettivamente, prendo a canticchiare sottovoce, con lei…
“But it's just a… Sweet, sweet fantasy, baby… When I close my eyes… You come and you take me…
On and on and on… So deep in my daydreams… But it's just a sweet, sweet fantasy, baby… Fantasy...”*







Undici mesi, quindici giorni, diciotto ore e trentotto minuti…
Sono appena rientrato in albergo e come uno stupido, fanatico narciso mi sono buttato di nuovo sotto la doccia.
Come se non l’avessi già fatta negli spogliatoi, come se effettivamente ce ne fosse ancora bisogno.
Ma devo ammazzare il tempo, sciogliere la tensione dei muscoli, non solo per lo sforzo cui li ho sottoposti per novanta minuti in campo e preparami per vederla.
Vorrei che fosse tutto perfetto stasera, che questa manciata di ore diventi indelebile per tutti i mesi a venire in cui sarà l’assenza, l’unica compagna con cui trascorrere le notti.
Mentre l’acqua calda scorre sul mio corpo, cerco di contenere l’adrenalina che sento passarmi nelle vene all’idea di poterla toccare ancora.
L’adrenalina da calcio ancora attiva si unisce a quella di ben altro tipo e mi chiedo se potrei desiderare altro in questa notte.
In questa giornata sto per racchiudere il mio mondo in ciò che amo di più, il pallone e Sanae.
La vita ideale.
Esco dalla doccia e quando passo davanti allo specchio, osservo per un attimo l’espressione sorridente sul mio viso.
Ciao Tsubasa! Ma quanto tempo!
Il mio sorriso si allarga ancora di più e felice, sì proprio così, felice, corro a vestirmi nell’attesa, ansiosa ma eccitante, che lei arrivi.
Mi vesto con cura, con molta più attenzione del solito, non che sia mai stato trasandato ma oggi, forse perché è passato troppo tempo o forse perché ho lo sciocco desiderio di essere bello ai suoi occhi, presto attenzione a ogni insignificante particolare.
Sistemo la camicia bianca dentro i jeans a vita bassa, che stringo sul bacino con una cintura di pelle scura.
Di nuovo davanti a uno specchio, nel giro di pochi minuti e non mi era mai successo.
Sbottono il primo bottone nella camicia, appena sotto il colletto, compiacendomi del contrasto tra la mia pelle ormai quasi costantemente abbronzata e il candore del cotone.
Arrotolo i polsini lungo le braccia, leggermente sotto i gomiti mentre prendo a canticchiare sommessamente.
Allegro, decisamente.
E felice, sì l’ho già detto.
Eccitato, completamente.
Bussano alla porta, con una stretta allo stomaco controllo l’ora, appurando che non possa essere lei, è ancora troppo presto.
Che incredibile controsenso…
Apro la porta e un facchino mi porge, ammiccando spudoratamente, tanto da farmi arrossire fino alla punta dei capelli, un enorme fascio di rose rosse.
Lo ringrazio e calato completamente nella parte dell’uomo di mondo stasera, gli rifilo pure una bella mancia che riesce a renderlo ancora più allegro, sicuramente.
Mi chiudo la porta alle spalle con un piede, facendo molta attenzione a tenere in bilico i fiori sulle mie braccia.
Li poso delicatamente sul comò, inspirandone il profumo intenso.
L’imbarazzo s’impadronisce ancora di me mentre osservo i boccioli vermigli, perché mi sembra d’aver esagerato.
No, non l’ho assolutamente fatto, mi correggo subito nel giro di un secondo.
Mi allontano di un passo senza distogliere lo sguardo dalle rose, andando a sedermi sul letto.
Di riflesso mi volto in direzione dei cuscini appoggiati alla testata color mogano.
Accarezzo il copriletto di seta chiudendo piano gli occhi.
Un sorriso increspa le mie labbra all’idea di come disfare le lenzuola, accuratamente piegate, sotto il palmo della mia mano.
L’eccitazione sale, seguendo le immagini proposte dalla mia fantasia.
Mi butto indietro sul letto, allargando le braccia.
Sospiro.
Un ultimo sguardo all’orologio e nella mia testa è appena iniziato il più sentito conto alla rovescia della mia vita.







L’eccitazione, la felicità e quell’ansia piacevole che stringeva il mio stomaco.
Tutte trasformate in un unico sentimento di amarezza.
E delusione.
Dispiacere, rabbia.
Disperazione.
Non avevo poi chiesto tanto, no?
Giusto qualche ora, a fronte di questi fottutissimi undici mesi, quindi gior…
Oh AL DIAVOLO!
Era una concessione troppo grande?
Prendo il viso tra le mani dopo aver buttato un occhio al cellulare poggiato sul copriletto, quando vorrei spaccarlo contro la parete.
Non è riuscita ad arrivare in tempo…
Ed io sto aspettando fino all’ultimo momento per andarmene, completamente messo sotto scacco da quell’assurdità che si chiama spiacevole inconveniente, o contrattempo.
Merda, ecco come la chiamo io.
E non sono più un uomo di mondo ora, mi viene da piangere.
Dalla rabbia e perché sto male.
Da cani.
E il cuore mi si stringe dentro il petto all’idea di quanto starà male lei, entrando qui senza trovarmi.
Forse se lo aspetta ma sicuramente starà scongiurando che non sia così.
Che non sia andato tutto storto, a puttane, mentre continuo a sentirmi addosso ogni secondo che passa, come la goccia che corrode e mi viene da imprecare.
Tempo di merda ti vuoi fermare?! Cazzo!
Ma non è così che funziona e il silenzio che mi circonda sembra scandire ancora di più che è ora di andare, che non è cambiato nulla e che è stata tutta una grandissima illusione.
Il mio pensiero torna a Sanae, che non ho abbracciato, che non ho sentito, che non sono riuscito a toccare, ad amare.
Alla Sanae che si dispererà trovando degli stupidi fiori al posto mio.
A quella che non si darà pace pensando che è tutta colpa sua.
No!
E mi metto a frugare come un matto nei cassetti, alla ricerca della classica carta da lettere intestata degli alberghi, nella speranza che internet non abbia spazzato via anche questo.
Quando la trovo, mi sembra d’aver scovato un tesoro, mi appoggio al letto di corsa, perché davvero è finito il mio tempo, ora.
Scrivo di getto.

Non piangere... Se stai leggendo queste righe significa che non sei riuscita ad arrivare in tempo e che non ci siamo potuti riabbracciare. Che non ho potuto baciarti, né parlarti guardandoti negli occhi. Dio solo sa quanto avevo bisogno di tutto questo... Voglio però che tu non ti senta in colpa, perché non ne hai. Perché la colpa è più di quell’aereo che mi aspetta e che devo prendere, per forza. Mi sei mancata in questi mesi ancora di più, con un'intensità mai sentita prima... Cerca di essere forte, Sanae e ricordati sempre che ti amo. Quindi ti prego, non piangere...

Non piangere…
Ripeto.
Non piangere…
Alzo gli occhi al soffitto.
Non piangere…
Le mie mascelle si contraggono.
Non piangere…
Afferro il manico del trolley.
Non piangere…
Esco dalla porta.
Non piangere…
E me ne sono già andato…

Sono passati undici mesi, quindici giorni, ventidue ore, trenta minuti e quindici secondi…
Sedici…
Diciassette…
Diociotto…











* “Fantasy” – M. Carey, C. Frantz, T. Weymounth, D. Hall, A. Bellew, S. Stanley © 1995 Sony Music Entertainment Inc.
Il video di questa canzone è realmente stato girato in un parco giochi, non a Tokyo ovvio, ma in quel di New York (credo xD).

Kronos: Titano dio greco del tempo e dei secoli.

E’ il capitolo più triste della storia, di entrambe le storie, forse nemmeno nella versione di Butterfly (“Profumo di rose”) avevo calcato così tanto la mano.
Come ogni volta, ho cercato di “essere Tsubasa” e mi sono messa nei suoi panni per cercare di sentire i suoi sentimenti, spero tanto di essere riuscita nel mio intento.
E come sempre mi sono fatta aiutare dalla musica, che riesce a diventare spesso guida dei miei pensieri.
Ho mandato a ruota, mentre scrivevo, “Never Again” di Justin Timberlake, il testo non c’entra assolutamente nulla con la trama del capitolo, è tutt’altro, ma la melodia e il timbro di voce sono così struggenti da essere perfetto sottofondo di tanta tristezza.
Se l’ascolto poi, *sentendo* anche le parole, è una canzone che mi strappa sempre una lacrima.
Ringrazio come sempre chi sta leggendo questa FF e m’inchino, alla maniera giapponese, davanti a chi è così cortese da lasciarmi la sua opinione, in qualsiasi forma si tratti.
Colgo l’occasione per aggiungere ai dovuti ringraziamenti anche tutto ciò che riguarda “lo sclero”, ovvero “Take It From Here”! Grazie infinite di cuore!
Ultimamente è un periodo buono per scrivere, cercherò di cogliere l’attimo!^^
Un abbraccio, OnlyHope^^ 

   
 
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