Truth, Father and Kiss
Quando apro gli
occhi mi ritrovo in una stanza completamente bianca. Sono in un letto,
probabilmente in un d’ospedale. Mi ricordo di essere svenuta, ma niente di più.
Mi volto a destra e vedo Ted seduto su una sedia accanto al letto. Mi sta
guardando sorridendo. Non capisco a cosa sia riferito quel sorriso. Scuoto la
testa.
“Dove mi
trovo?” gli chiedo, abbassando lo sguardo e vedendo una flebo conficcata nella
mia mano sinistra, “d’accordo, sono in ospedale. Ma perché mi hai portata
qui?”.
“Beh, ti sei
sentita male, sei svenuta, quindi ti ho portata qui per paura che potessi
aggravarti” mi risponde con ovvietà, come se fosse una cosa scontata. In parte
lo è, “e perché tu sei scappata in quel modo? Per di più sotto la pioggia?”.
“E perché tu mi
hai seguita, invece che restare con la tua fidanzata, anche futura moglie?”
chiedo, spostandomi una ciocca di capelli fiamma dal volto a dietro un
orecchio.
“Perché avevo
paura che potesse succederti qualcosa” mi risponde sinceramente, abbassando lo
sguardo. Lo osservo attentamente. Non mi devo illudere: non si preoccuperà mai
per me, quanto si preoccuperà per Vic.
“Da quando Ted
Remus Lupin si preoccupa per me?” chiedo sarcastica, con un po’ di ironia e di
durezza nella voce, “a parte gli scherzi. I miei lo sanno che mi trovo in
ospedale?”.
“Non gli ho
detto niente. Volevo avvertirli così da...”.
“No, Ted, non
dirgli niente, né dell’ospedale, né del mio svenimento. Intesi?” gli chiedo,
cercando la sua fiducia. Non devono sapere niente, se no è più che probabile
che riusciranno ad arrivare alla gravidanza per vie traverse.
“D’accordo...
aspetta, qual era quella cosa che dovevi dirmi?” mi chiede, accigliandosi e
facendomi tornare in mente il perché mi ero presentata a casa sua
all’improvviso, e per di più sotto la pioggia. Sento la testa iniziare a farmi
male. Mi porto una mano ad una tempia come per farlo notare, invano.
“Io volevo
dirti che...” mi blocco, quando vedo entrare un’infermiera nella stanza.
Scommetto che non riuscirò mai a dirgli che sono incinta.
“Lilian
Potter?” mi chiede. Annuisco in silenzio, senza dire una parola, “sta bene, ha
avuto soltanto un calo di zuccheri. Deve anche ringraziare la premura del suo
fidanzato di portarla all’ospedale” alla parola fidanzato arrossisco
improvvisamente, “sia lei che il bambino state bene. Nonostante questo, tra
qualche minuto, dovrebbe venire un dottore a farle l’ecografia. Potrebbe essere
in grado di andarsene anche subito dopo questa”.
Quando esce
dalla stanza, tiro un sospiro di sollievo non accorgendomi, per un paio di
secondi, che ha detto una parola di troppo. Non ho il coraggio di voltarmi a
vedere Ted. Non ne ho proprio il coraggio. Non voglio vedere la sua faccia
sorpresa che mi chiedono di ripetergli cosa ha detto l’infermiera. Non voglio
sapere la sua reazione. Come se la mia testa si muovesse da sola, mi ritrovo ad
osservare Ted negli occhi. Cerco di sorridere, ma l’unica cosa che esce dalle
mie labbra è un sorriso falso, tremendamente falso. Lo vedo guardarmi con
un’espressione interrogativa e stupita.
“Il...
bambino?” mi chiede, prendendo un profondo respiro tra una parola e l’altra.
Posso percepire una nota di tristezza nella sua voce, forse dovuta alla
preoccupazione che se lui fosse il padre, non potrebbe più sposare Vic.
“E’ questo
quello che volevo dirti, Ted” ammetto amaramente, abbassando lo sguardo per non
guardarlo negli occhi.
“E il padre?”
mi chiede, ponendomi la domanda che temevo. Cosa dovrei dirgli? La verità? Che
è lui il padre? Ma così facendo manderei a rotoli il suo matrimonio con Vic.
“Beh, il padre
è...” vengo interrotta un’altra volta da un uomo che dovrebbe essere il
dottore, venuto per farmi l’ecografia. Ringrazio Dio per non essere stata
costretta a dirlo.
“Lilian
Potter?” mi chiede, come l’infermiera. Annuisco ugualmente, “può scoprirsi la
pancia”.
Mi volto per
una frazione di secondo a guardare Ted. Ha lo sguardo abbassato. Dopo essermi
scoperta la pancia, afferro una sua mano nella mia, tanto per riuscire a
racimolare la giusta quantità di coraggio che ci vuole. Alza lo sguardo su di
me e mi accenna un sorriso. Il dottore mi mette una specie di gel sulla pancia
e con l’affare per le ecografie, dopo aver acceso il rispettivo monitor, ci
passa sopra. Quello che vedo nello schermo, anche se non tanto distintamente, è
mio figlio. Sorrido e una piccola lacrima cade dall’angolo del mio occhio
destro. La prima lacrima di felicità dopo tanto tempo. Stringo forte la mano di
Ted nella mia, mentre il dottore ci mostra le immagini di nostro figlio. Mi
volto verso Teddy e vedo un piccolo sorriso formarsi anche sulle sue labbra.
“Bene, il feto
sta bene. E’ di due mesi circa e per ora si sta sviluppando bene. Ancora non è
possibile vedere se sarà un maschio o una femmina, ma la cosa importante è che
sia sano e questa creatura lo è” dice il dottore, sorridendo, togliendomi la
flebo e passandomi un pezzo di carta per togliermi il gel dalla pancia,
“congratulazioni, futuri genitori” conclude, prima di uscire dalla stanza. Mi
alzo dal letto, evitando lo sguardo di Ted e mi avvicino ai miei indumenti.
“Puoi uscire,
dovrei...” dico, cercando di fargli capire che mi devo rivestire.
“Certo” mi
risponde annuendo e uscendo dalla stanza, chiudendo la porta alle sue spalle.
Mi rivesto in meno di cinque minuti e appena esco dalla stanza, una domanda di
Ted mi fa sobbalzare.
“E’ per questo
che hai detto che mi ero ubriacato dopo aver litigato con Vic, prima alla Tana?
Due mesi fa. Quello è successo due mesi fa e tuo... tuo figlio ha due mesi.
Quindi non dovrei tuo, ma dovrei dire nostro. Dio, Lils, nostro figlio, ti
rendi conto?”.
“Si che me ne
rendo conto. Cosa succederà ora?” gli chiedo, mordendomi un labbro e
trattenendo un possibile pianto.
“Diventeremo
genitori. Genitori di nostro figlio” mi risponde. La parola genitori mi
rimbomba in testa, creandomi una confusione mentale.
“E questo
cambierà qualcosa?”.
“Cambierà molte
cose, Lils. Vieni qui” mi sussurra, avvicinandosi a me e stringendomi tra le
sue braccia, in un dolcissimo abbraccio. Inizio a piangere come una stupida.
Non so se sia un pianto di gioia o di tristezza, so solo che io amo Ted. E
questa è un'altra cosa che me lo fa amare ancora di più.
“Vic?” chiedo a
bassa voce. Ho paura della sua risposta.
“Vic... non lo
so, Lily... non lo so...” mi sussurra in un orecchio. Mi stringo più forte a
lui, riscaldandomi con il suo calore corporeo e appoggiando la testa sul suo
petto, riuscendo a sentire distintamente il battito, a mio parere, accelerato
del suo cuore. Lascio ad altre lacrime l’onore di rigare il mio volto, ormai
abituato a quella sensazione. Saremo genitori. Genitori, “... l’unica cosa che
so è che ti starò vicino... vi starò vicino”.
“In quale
veste?” domando, staccando la mia testa da lui quel che basta per guardarlo
negli occhi. Ormai ho fatto trenta, posso fare anche trentuno, no?
“Lils, non puoi
chiedermi di...”.
“Io non ti sto
chiedendo niente. Ti sto solo domandando in quale veste mi starai accanto. Devo
saperlo perché... ho molta confusione in testa e... non so se tenere il bambino
o meno... quindi voglio...” dico, prendendo fiato ogni tanto, come se mi
mancasse l’aria, “secondo te, cosa dovrei fare? Dovrei... tenerlo?”.
“Io... Lils...”
cerca di rispondermi, guardandomi fermamente negli occhi, “non so cosa dirti.
Ti prometto che ti staro accanto, ma... ancora non so come...”.
“Ami Vic?”
chiedo, facendo una specie di promessa dentro di me. Se risponderà di si,
abortirò; se dirà di no, lo terrò.
“Non lo so...”
mi risponde, con aria un po’ confusa. Non avevo messo in conto questa opzione,
“adesso cambierà tutto nella nostra relazione. Non ci sposeremo più...”.
“Mi
dispiace...” rispondo, abbassando lo sguardo come se fosse colpa mia. Mi sento
tanto in colpa.
“Non è colpa
tua” mi risponde dolcemente, alzandomi lo sguardo sul suo volto con altrettanta
dolcezza, “è solo mia e devo assumermi le mie responsabilità. Ora ho una vita a
cui devo badare, una ragazza di cui mi devo prendere cura e una fidanzata a cui
devo dire tutto”.
“Davvero ti
prenderai cura di noi?” chiedo sorridendo. Vedo un sorriso aprirsi anche sulle
sue labbra. Vedo il suo sguardo abbassarsi e sento una sua mano posarsi sulla
mia pancia. Quel contatto mi fa arrossire e il rossore aumenta quando lo sento
sussurrare qualcosa alla creatura dentro di me. Continuo a sorridere.
“Ehi piccolo -
o, piccola - sono il tuo papà. Mi senti? Beh, l’unica cosa che ti voglio dire è
che ti voglio bene, e anche la tua mamma te ne vuole, non è così mamma?” mi
chiede, facendomi accapponare la pelle quando mi chiama con quell’appellativo.
Vedo i suoi bellissimi occhi castano ombrato pieni di felicità e questo non può
fare altro che farmi annuire.
“Si, che te ne
voglio” rido, per la prima volta, dopo tanto tempo, felice. Mi sorride e mi
guarda attentamente negli occhi, “andiamo a casa, papà?”.
“Certo, mamma.
Vi porto a casa e poi vado a parlare subito con Vic” mi risponde, prendendomi
per mano e iniziando a camminare verso l’uscita dell’ospedale.
“Mi raccomando,
dille di non dire niente alla famiglia” lo metto in guardia, fermandomi di
botto sulla soglia dell’edificio.
“Non le dirò
del bambino. So com’è fatta Vic e sicuramente telefonerebbe subito a tua madre
e le direbbe tutto...” mi risponde, lasciandomi un interrogativo che mi esce
subito dalle labbra.
“Allora cosa le
dirai?” chiedo, iniziando a camminare e arrivando, sempre tenendo la sua mano,
fino alla macchina.
“Qualcosa del
tipo che l’ho tradita, ma non dirò niente né di te né di nostro figlio” dice,
aprendo la macchina e salendoci. Faccio lo stesso. Quando mette in moto la
macchina tiro un sospiro di sollievo.
“Anche tu non
dire niente a mamma e papà” gli ordino, non riuscendo a nascondere un sorriso
che mi tira le labbra.
“Non gli dirò
niente, croce sul cuore” mi risponde, “cos’è quel sorriso?” mi chiede,
voltandosi un attimo a guardarmi.
“Sono felice”
rispondo come se fosse la cosa più logica del mondo.
“Di essere
rimasta incinta a diciassette anni anni?” mi chiede,
sarcastico.
“No... di avere
accanto te” rispondo, guardandolo attentamente e scrutando il suo meraviglioso
profilo. Vedo i suoi capelli diventare rossi e le sue guance fare lo stesso,
“non mi dirai che ti ho fatto arrossire?” chiedo, ridendo, felice della sua
reazione.
“Io... no! Ma
cosa dici?!” cerca di negare quello che ho appena detto, senza riuscirci, però,
ai miei occhi.
“D’accordo...
non lo sei” dico, non riuscendo, però, a smettere di ridere.
“Siamo
arrivati” mi annuncia, facendomi guardare fuori dal finestrino e riuscendo a
scorgere la mia casa, “beh, ciao mamma”.
“Ciao, papà”
gli rispondo, avvicinandomi a lui per dargli un bacio sulla guancia, ma, come
qualche giorno fa, le mie labbra finiscono sulle sue. Questa volta, però, sento
la sua bocca ricambiare il bacio, cercando di approfondirlo. Accetto la sua
richiesta e iniziamo a baciarci appassionatamente. Mi sento attraversare da
migliaia di emozioni, alcune che non riesco neanche ad identificare. Quando il
bacio si interrompe, corro fuori dalla macchina fino dentro casa, senza dire o
sentirmi dire una parola. Cos’è stato quel bacio? Cos’è significato per lui?
Sono molto confusa da quello che è successo.
“Finalmente sei
tornata, dove sei stata?” è la voce di mamma che mi riporta alla realtà.
Sobbalzo, non avendola vista.
“Mamma... beh,
sono stata a cena fuori con Ted. Mi ha invitata e non ho potuto dire di no”
mento, abbozzando uno dei miei migliori sorrisi. Vedo l’espressione sulla sua
faccia distendersi e tranquillizzarsi, “vado a letto, sono stanca” dico,
continuando a sorridere, dandole un bacio sulla guancia e dirigendomi in camera
mia.
Appena
indossato il pigiama, mi nascondo sotto le coperte, non riuscendo a togliermi
dalla testa neanche per un momento il bacio. Quel bacio... cosa voleva dire? E’
stato accidentale o Ted si è spostato in modo che le mie labbra finissero sulle
sue? Perché è successo? Come...? Basta domande. Scuoto la testa e faccio finta
di niente, ripensando a quello che è successo oggi e alla bellissima
espressione di Ted quando ha scoperto di suo figlio. Finalmente gliel’ho detto,
un problema in meno, ma rimane ancora tutta la famiglia...