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Jessie
«Eccoci qui!» esclamò il padre
subito dopo aver chiuso la portiera.
Jessie non scese subito,
ma rimase seduta all’interno dell’autovettura a fissare la casa della madre
attraverso il finestrino. C’era da dire che non era per nulla male se non per
il colore bianco che con il tempo si era sgretolato. Aveva due piani e una
scaletta composta da due o tre gradini collegava il giardinetto, ok, solo
sabbia con qualche macchia di verde qua e là, a un porticato di vecchie travi
di legno cigolanti. Fece un lungo sospiro e uscì dalla macchina portando con sé
la sua valigia malandata e consumata.
«Samuel! Non vi aspettavo così presto!» esclamò
una donna scendendo velocemente gli scalini scricchiolanti.
Quella donna era sua madre, eppure Jessie
sembrava non convincersene, era così diversa, il suo viso era, se possibile,
più ossuto e scarno di quanto lo fosse in precedenza e delle rughette le si
erano formate sulla fronte e agli angoli della bocca e degli occhi, era più
magra, o almeno le sembrava fosse così, era da così tanto tempo che non la
vedeva.
«Oh, Noah! Come sei cresciuto!» esordì
gettandosi al suo collo con le lacrime agli occhi.
- Se, invece di scomparire per tutti questi
anni, fossi venuta a trovarci almeno una volta non l’avresti notata questa
differenza – pensò fra sé e sé Jessie.
«E tu, Jessie! Come sei diventata bella! Sei una
donna, oramai...!», si avvicinò a lei per baciarla su una guancia ma la figlia
l’allontanò con una mano e scosse la testa.
«Vado in camera mia» disse soltanto impassibile
avviandosi alla porta.
Non voleva parlare con la madre, lei aveva avuto tutto il tempo
che voleva e non le era mai importato, ora sarebbe stata Jessie a decidere se
voleva riallacciare i rapporti con lei.
«Mi dispiace, Mary, vedrai che con il tempo
cambierà idea» la confortò il padre appoggiandole una mano sulla spalla.
«Se lo dici tu» rispose sconsolata Mary Anne
seguendo con lo sguardo la figlia che, lentamente, entrava in casa.
Jessie salì al piano superiore e infilò la testa in un paio di
stanze per arrivare finalmente a quella che pareva potesse essere la sua.
Non era grandissima, diciamo che aveva le dimensioni giuste. Le
pareti erano di un azzurrino chiaro, molto soft, e il pavimento era in parquet
bianco, lucido, senza uno sfrego.
Si avviò al letto, uno stupendo matrimoniale in ferro battuto, con
le lenzuola azzurre e bianche.
Ci passò una mano sopra, fino ad arrivare alla testiera in ferro,
ne disegnò i contorni e si lasciò cadere sulle coperte, le accarezzò, erano
morbide e profumavano di lavanda.
Sospirò mentre vari momenti della sua infanzia le passavano per la
mente.
Ricordò quando con la madre si erano pitturate le mani con la
vernice e le avevano appoggiate sul muro della sua cameretta, mentre Noah, che
allora aveva 7 anni, se ne era andato indignato commentando che era una cosa da
bambinetti, così avevano colorato le pareti con le loro impronte multicolore.
In quel breve periodo in cui erano rimasti nella vecchia casa,
dopo che Mary Anne se ne era andata, Jessie aveva chiesto al padre se poteva
trasferire tutte le sue cose nella stanza degli ospiti, gli faceva male vedere
quelle pareti, si ricordava della madre che li aveva abbandonati, ma comunque
non aveva avuto il coraggio di ridipingere sul loro lavoro, per lei era come
l’unico contatto che aveva con la sua mamma.
Il padre aveva acconsentito, ma dopo un breve periodo si erano
trasferiti nella casetta sul mare.
Jessie affondò il viso nel cuscino soffocando le lacrime.
Sentii la porta aprirsi e successivamente lo scricchiolio delle
assi del letto sotto il peso della persona che le si era seduta affianco.
«Jessie...» le sussurrò il fratello sfiorandole
un braccio mentre il suo fiato caldo le accarezzava il collo.
Lei si voltò, si mise a sedere e lo abbracciò stringendolo a sé
mentre una lacrima le scivolava sul viso.
«Non voglio stare qua, Noah» gli disse tirando
su con il naso.
«E invece ci stai, anzi, ci staremo, ci
divertiremo, lo sai...» le rispose mettendosi a sedere a gambe incrociate.
Certo, lui era il solito ottimista, si sarebbe fatto un mucchio di
amici mentre lei sarebbe rimasta sola in casa, e quando glielo disse lui scosse
la testa sorridendo.
«Cosa dici? Bella come sei ti troverai un casino
di ragazzi attorno! Non avrai più tempo per me...» disse sconsolato alzando il
labbro inferiore abbassando lo sguardo.
«Ma va la! Sai perfettamente che non è vero, tu
sei l’unico ragazzo che voglio nella mia vita...».
Lui la guardò dolcemente e le accarezzò una guancia.
«Beh, si, forse dopo papà...» esclamò ridendo
attenta, in attesa di una sua reazione, l’aveva provocato apposta.
«Cos’hai detto?!» disse fingendosi offeso
spalancando la bocca «Stai attenta eh! La mia ira si scatenerà su di te finché
non mi pregerai in ginocchio!».
Detto questo si avventò su di lei e iniziò a farle il solletico,
un suo punto debole, finché lei infatti lo pregò di smetterla chiedendogli
scusa.
Così pensò che forse l’estate che si trovava davanti non sarebbe
stata poi così orrenda se l’avrebbe passata con il fratello.
- o – o – o –
Ringrazio come sempre chi mi ha messo, cioè, non me, ma la mia
storia, fra le preferite, fra quelle seguite, o chi la legge semplicemente xD