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Autore: Akrois
- Titolo: Valzer Parigino
[festeggiando la sua nascita]
- Personaggi:
- Genere: Malinconico, Slice of Life.
- Rating: Giallo. Io metto sempre
giallo. Ù.ù
- Avvertimenti: one-short
- Conteggio
parole: 904
- Note: Bérénice *-* la amo, si nota?♥
Ecco un
piccolo excursus sulla sua nascita e sul suo primo incontro con Francia. Anche
se ho il terrore di averla portata OOC. Cioè, portare ad OOC i propri OC è
brutto ò.o posso scusare qualunque incongruenza
caratteriale riscontrabile con “ma belle sœur” con il fatto che qui Bérénice è appena “nata”
(nota: ho un fandom personale in cui l’aspetto della
nazione è dovuto alla condizione politica –conquistata, colonia ecc- e anche
alla dimensione. La Francia di Vichy occupava metà della Francia attuale e
aveva un governo autonomo –sebbene mosso dal Reich-. Di conseguenza non fatico
affatto ad immaginarla come una nazione nata già “adulta”) mentre in “ma belle sœur” è già “adulta” ed ha sviluppato una personalità più
accentuata.
Il
ragazzo moro ed il ragazzino sono ovviamente Natal (Spagna Franchista) e Salò
(RSI), che nella mia mente fanno famigliola con la bella Bérénice. Ah, Germania
guarda Pétain.
La
lettura è consigliata con un accompagnamento musicale. YouTube
- La Valse d'Amelie (Orchestre)
Se avete
tempo e voglia provate anche questa versione Amelie
con la fisarmonica, personalmente la trovo commovente ♥♥
C’è
qualcuno che canta, da qualche parte. Riesce a sentire quella voce alta e
cristallina che canta una canzone in un latino maccheronico. Si guarda attorno,
cammina barcollando e si poggia ad una parete. Che buffo, non sperava di
sentire canzoni quel giorno. Non canzoni che non fossero gli inni della
Wermacht.
Segue il
canto col sorriso sulle labbra. Un sorriso tremulo di gioia quello sul suo
viso, di speranza. La speranza di vedere un viso amico, una persona felice in
quella Parigi ormai ridotta ad un cimitero.
Ma
magari se l’era meritata, quella Parigi. Se l’era meritata spargendo merda su
tutti i giornali, blaterando a destra e a manca di come si doveva trattare la
Germania. O magari se l’era meritata con quella sua insulsa politica del lassez-faire.
C’è una
ragazza seduta su una panchina. Tiene un libro aperto sulle ginocchia e canta
tranquilla, il viso candido rivolto al cielo, un venticello dispettoso le muove
i capelli biondi e il nastro blu sul cappello.
Si
blocca e la guarda a lungo. – Tu- sussurra con voce tremolante – Tu.
Lei si
volta, sorride gentile con quelle labbra come rose rosse – Bonjour, France. Come stai?- domanda tranquilla, richiudendo il libro. – Tu
non sei- balbetta avvicinandosi a lei – tu non sei umana.
Lei
annuisce, muovendosi sulla panchina e poggiando la mano sulla parte libera,
invitandolo a sedersi – Tu sei come me.- dice Francia
osservandola con aria circospetta. È una donna e persino minuta, ma è comunque
una nuova nazione spuntata dal nulla durante una guerra e questo significa che
può portare solo guai – Non ancora.- dice lei sistemandosi il cappello – Sto
aspettando di diventarlo.
- Cosa
vuol dire?
- In
questo momento lui- dice poggiandosi le mani in grembo – mi sta creando.
Francia
si siede mugolando di dolore – Come?
-
Disegna confini, elegge ministri, crea una bandiera. Inculca nella testa della
gente che io esisto. Così io esisterò. E diventerò quello che sei tu.
-
Capisco. – la osserva attentamente, notando i ricci biondi stretti in una
crocchia, il lembo di pelle bianca fra la camicetta e i guanti color avorio.
Sembra evanescente in quel momento – Stai bene, France?
- Non
tanto. Ma sopravvivrò. Sono sopravvissuto a dolori peggiori. – gli somiglia, gli
somiglia tanto. Stesso viso delicato, stessi capelli color miele, stessa voce
gentile. – Posso comprendere.- però ha gli occhi diversi dai suoi, sono più
freddi, più azzurri, più simili – Quanto dolore lui possa averti arrecato. – a
quelli di Germania.
Scatta
da un lato, fissandola atterrito. Lei sorride ancora – Hai capito chi sono?
- Tu sei
me.- dice Francia indicandola (lo sa che è
maleducazione, ma non può impedirsi quel gesto tremolante del dito) – Quasi.-
risponde lei – Sono te, ma diversa da te. Ho il tuo stesso sangue, ma allo
stesso tempo è diverso. Capisci?
Francia
annuisce. Quella ragazza accanto a lui gli somiglia perché in un certo senso è
lui. È nata dalla sua terra e dalla penna di Germania. Ecco, una sola firma e voilà
ecco a voi una nuova magnifica nazione, pronta a cacciare a pedate quella
vecchia. – Capisco.
Lei si
alza, il nastro bianco che le chiude le scarpe svolazza al vento. Si sistema il
fiocco bianco al collo e sorride voltandosi verso di lui – Sai ballare?
- Cosa?
- Il
valzer.
- Vuoi
ballare?- domanda stupito, osservando la mano tesa verso di lui – Non è così
che si festeggia?- chiede lei incuriosita – Di solito si balla, no?
Francia
si alza con un sorriso – Cosa vuoi festeggiare?
- La mia
nascita.- dice lei. Lui le prende una mano, poggiando l’altra sul fianco
sottile. Sente il suo calore quando l’avvicina e con una fitta al cuore si
rende conto che ora lei è vera. Fa un passo avanti, uno indietro, balla con le
mani che tremano – Non ti preoccupare.- sussurra lei poggiando il viso sulla
sua spalla – Ora penserò io alla guerra. – Francia sente una lacrima scivolare
lungo la guancia
- Ora
penserò io a tutto.-
Le
scivola fra le mani, cadendo a terra. Germania poggia la penna sulla scrivania
e guarda l’uomo davanti a sé. Bérénice guarda Francia e poi le proprie mani.
Volta le
spalle alla povera Francia caduta e cammina leggiadra nella luce sfolgorante
che la benedice.
Francia
passa una mano sul velluto della poltrona, prende la tazzina di the e se la
porta al viso, annusando il sapore del the bianco (anche a lei doveva piacere
quel tipo di the) sorseggiandolo poi con calma.
Lascia
che lo sguardo si posi sui prati colmi di rose in fiore che si estendono sotto
le immense finestre della casa e sorride canticchiando una canzone a labbra strette
– Era nata da me.- disse – Eppure non prese il mio
cognome. Non lo volle. Come il bambino italiano o il fratello di Spagna. Si
scelse un cognome suo.
- E
quale prese?- domanda Inghilterra versando il latte nella propria tazza,
aggiungendovi poi, quasi religiosamente, l’infuso ambrato – Si chiamò Bellefleur.- risponde Francia senza smettere di guardare i
fiori – Perché lei era il fiore più bello di tutti. Il fiore rimasto candido
nonostante il sangue che la macchiava.
Inghilterra
corruga le sopracciglia, guardandolo storto – Questa non la capisco.
- Me lo
immaginavo. Dopotutto un bruco non potrà mai capire cosa pensano i fiori.
Sorrise
alla finestra, salutando con la mano la ragazza col cappello bianco e le rose
rosse in mano che camminava tranquilla, un giovane moro al fianco ed un
ragazzino poco lontano. Ed ignorando gli insulti che Inghilterra gli stava
regalando.