Videogiochi > Assassin's Creed
Segui la storia  |       
Autore: RobynODriscoll    01/06/2010    9 recensioni
"Sono stata molte cose nella mia vita. Figlia e assassina, sposa e puttana, sorella e traditrice, amante e spergiura; a volte saggia, a volte folle, a volte sciocca e inerme. Ho creduto e ho dubitato, ho osato e ho fallito. Tante, troppe volte, ho avuto paura, tranne quando avrei dovuto averne per davvero.
Mi chiamo Bianca Auditore, sono figlia di un assassino e di una ladra. Cesare Borgia è stato il mio primo amante: diceva che era la mia purezza a istigarlo al peccato, come una macchia nera sulla mia pelle. Ma sbagliava; perché il peccato non è una macchia. Il peccato è di un bianco accecante. Come la neve e il vuoto, la morte e l’assenza. Come il lutto, la gioia, e la veste degli Assassini."
Genere: Azione, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Claudia Auditore , Ezio Auditore, Leonardo da Vinci , Maria Auditore , Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Il Filo Rosso del Destino - la storia di Bianca Auditore da Monteriggioni' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 Eccomi qua! ^_^ Spero di non essere stata troppo frettolosa nell'aggiornare, ho riletto solo una volta e mi saranno sicuramente sfuggiti degli errori. Il capitolo è più lungo del solito e piuttosto denso, ma non mi andava di spezzarlo...nel finale credo capirete perché. Per la prima volta dall'inizio di questa storia ci ho messo dentro un po' d'azione (era anche ora, eheh!), spero sia descritta in maniera decente - di solito non è il mio genere, ma se si parla di Assassini bisogna adeguarsi! Fatemi sapere che ne pensate :)

 

Ugo mi piaceva.

Non si poteva dire che profumasse di buono o che fosse un uomo di molte parole, ma il suo sguardo serio mi dava sicurezza. Zio Mario gli aveva affidato l’organizzazione delle truppe che sorvegliavano Monteriggioni, e mia madre aveva messo gli affari della Gilda dei Ladri nelle sue mani. Lui eseguiva i suoi compiti giornalieri senza lamentarsi: dava ordini, organizzava il razionamento dei viveri e stabiliva turni di ronda durante tutta la giornata, mentre per molta parte della notte vegliava lui stesso sulle mura della città insieme ai suoi uomini. Vanni adorava gironzolargli attorno mentre sbrigava quei compiti di responsabilità, osservandolo con ammirazione mentre lavorava per due persone.

Anche io avrei voluto seguirlo, ma zia Claudia me lo impediva. Diceva che non era bene per una fanciulla mostrarsi in giro con un poco di buono del genere. “Un ladro!” bofonchiava ogni tanto, mangiucchiando l’estremità superiore della penna d’oca mentre compilava i registri “ecco chi mi ha messo in casa mio fratello per proteggermi: un ladro, e della peggior specie!”

Le due persone a cui i miei genitori mi avevano affidata non avevano alcuna intenzione di andare d’accordo. Erano capaci di scontrarsi su ogni cosa: se Ugo mandava tre uomini a pattugliare il lato meridionale delle mura, erano - guarda caso! - proprio i tre gendarmi di cui Claudia non poteva fare a meno per far scortare un carro carico di pelli conciate fino a San Gimignano; se Claudia ordinava ai cuochi di preparare arrosti di fagiano, Ugo replicava che avremmo fatto meglio a mangiare carne di piccione per evitare di mandare gli uomini a caccia in aperta campagna. Lui vedeva pericoli ovunque, e lei si sentiva derubata dell’autorità che aveva sempre rivestito nel borgo.

Ugo aveva trovato un soprannome perfetto per mia zia. La chiamava “Sua Maestà”, e ogni volta che discordavano pesantemente lui interrompeva la disputa per farle un profondo inchino, e andarsene subito dopo, lasciandola livida di rabbia.

Stanca dei loro continui rimbrotti reciproci, io passavo il mio tempo lontana dai miei amati tetti, a sospirare di fronte alla finestra chiusa. Se c’era una cosa su cui Ugo e Claudia concordavano, purtroppo, erano le soffocanti misure di sicurezza che costringevano me e Vanni a restare rinchiusi nella villa, senza poter uscire nemmeno nel chiostro se non sotto stretta sorveglianza.

In mancanza di occupazioni migliori, iniziai a trascorrere il mio tempo fantasticando. Dopo dieci giorni di viaggio, probabilmente gli Assassini erano arrivati a Roma. Chissà quale tattica avrebbero adottato per stanare lo Spagnolo. Speravo in un attacco-lampo, che ci avrebbe fatto conoscere presto la loro sorte. Tuttavia, sapevo che era improbabile. C’erano così tanti dettagli da organizzare, così tante forze sotterranee da mobilitare, che di certo avevano bisogno di più tempo. Avrebbero dovuto organizzare una rete di contatti in città, studiare i punti nevralgici, cercare di aprirsi una strada verso il Vaticano. Lì, mio padre avrebbe ucciso il Papa. Pregavo che fosse un uomo davvero cattivo come Ezio diceva; anche se, in fin dei conti, questo pensiero non mi consolava affatto. Mio padre si sarebbe macchiato di un peccato orribile, in ogni caso. Lui e lo Spagnolo sarebbero finiti come quei due dannati di cui racconta il poeta – quello che zia Claudia insisteva a leggermi ogni santo giorno, e che vedeva ovunque angeli, demoni, peccati e contrappassi. A un certo punto, questo poeta racconta di due uomini conficcati in un lago di ghiaccio: uno dei due è condannato a rosicchiare il cranio dell’altro da qui all’eternità.

Non ricordo il poeta, né il poema, né il nome dei dannati. In ogni caso non aveva importanza, perché era  mio padre e il Papa che vedevo in quell’orrenda posizione, destinati ad odiarsi ferocemente anche dopo la morte.

Un ticchettio alla finestra mi distrasse da quei lugubri pensieri. Il cuore mi balzò in petto quando aprii le ante. Forse mi sarei trovata di fronte di nuovo il viso di Ezio, sorridente come se non fosse mai partito.

Invece, era soltanto Ferrante.

Lo lasciai entrare. Lui sembrava titubante. L’ultima volta che ci eravamo parlati ci eravamo dati appuntamento all’inferno, e poi gli avevo spaccato il labbro. Era ancora tumido, notai. Non potei fare a meno di esserne soddisfatta.

“Cosa vuoi?”

“Posso parlarti?”

“Fa’ presto, sono impegnata.”

Lui si tolse la cuffia che gli schiacciava i capelli chiari. La stropicciò per un po’ tra le mani, prima di dire:

“Mi dispiace. Non è vero che sei figlia del peccato. E tuo padre è un uomo d’onore.”

“E’ stato Ugo a costringerti, vero?”

Ferrante arrossì fino alla punta delle orecchie. “No. Be’, in un certo senso. A dire il vero…è stata tua madre.”

“Ti ha picchiato molto forte?”

“Non forte come mi hai picchiato tu.” Accennò ad un ghigno dolente, forse al ricordo delle botte ricevute da Rosa. Poi guardò in basso, e la sua voce si affievolì. “Però è vero che tuo padre è un grande uomo.”

“Allora perché hai detto tante cose brutte sul suo conto?”

“E’ che…ti brillano gli occhi quando parli di lui.”

“E allora?”

“A me invece mi chiami cretino e scemo.”

Risi. “Da quando te ne importa?”

“Mi importa. Mi importa molto quello che pensi di me.”

Lui aveva il volto in fiamme, tanto che le lentiggini quasi non si vedevano più. Nel momento in cui intuii quello che davvero voleva dirmi, provai una nuova sensazione allo stomaco. Come se delle farfalle si divertissero a rincorrersi lì dentro. Da quando Ferrante aveva dei capelli tanto biondi, e un viso così carino? Fu come accorgersene per la prima volta.  

“Ezio è mio padre” dissi.

Imbronciato, lui rispose: “Lo so.”

“Tu invece…sei tu.”

Già allora ero piuttosto sfacciata. Mi allungai in punta di piedi e schioccai un bacio sulla guancia di Ferrante, che mi guardò sgranando gli occhi.

“E ora va’, se Ugo ti trova qui ti spacca anche l’altro labbro” risi, quasi spingendolo fuori.

“Pace?” domandò lui, appollaiato sulla finestra.

“Se ti butti nel vuoto per me, la pace è fatta.”

Ferrante sorrise: era una richiesta da poco. Sapevamo benissimo entrambi che c’era un cumulo di fieno piuttosto voluminoso sotto la mia finestra. Senza nemmeno guardare, il mio amico si gettò di schiena,  facendomi ciao con la mano.

Solo per sicurezza, mi sporsi a guardarlo. Come previsto, era sprofondato nel covone.

Ero così di buon umore, che in per tutta la giornata camminai trotterellando, senza quasi sentire le lamentele di zia Claudia sull’usurpatore e senza preoccuparmi più del destino degli Assassini. Ferrante mi piaceva, avevamo fatto pace e il mondo era di nuovo meraviglioso.

 

Questo mio stato d’animo cambiò con il trascorrere dei giorni. Pensavo di essere preparata ad una lunga attesa, ma quando il primo mese trascorse senza notizie iniziai a temere per davvero. Tentai di sgattaiolare fuori dalla finestra un paio di volte, per raggiungere la piccionaia e controllare che non fosse arrivato qualche messaggio da parte dei miei genitori o di Antonio. Fui ripescata dai mercenari di guardia, che mi portarono da Ugo.

“Sai che tua zia mi ucciderà per questo” disse, scuotendo il capo, la seconda volta che mi feci beccare. “Non puoi andare a zonzo dove ti pare. Che tu lo voglia o no, sei una Auditore, e in questo momento sei in pericolo.”

“Perché?” replicai. “La città è sorvegliata dai mercenari e ci sono i tuoi ladri a pattugliare ogni vicolo. Cosa può succedermi qui, nella casa di mio padre?”

Ugo mi squadrò con disapprovazione, e infine sospirò. “Ragazzina, tu sei in pericolo per il semplice fatto di essere figlia sua. Se i Templari venissero a sapere della tua esistenza, metteresti a repentaglio non solo la tua vita, ma anche i piani dell’Ordine.”

“Chi sono i Templari?”

Ugo strinse le labbra fino quasi a sbiancarle. Evidentemente, aveva detto troppo.

“Te lo racconterà tuo padre, quando tornerà.”

Quella risposta, ovviamente, non mi bastava. Perciò, decisi di scoprire di più.

 

C’era una sola persona nel borgo che potesse darmi le risposte che cercavo, ed era Nonna Maria. Non era facile parlare con lei, purtroppo: dalla partenza di Ezio continuava  a vivere con la mente dentro il passato. A volte mi chiamava Claudia, a volte con il nome di Annetta, la sua vecchia cameriera; Vanni, invece, era sempre il suo piccolo Federico, e poco importava che fosse visibilmente più giovane di me. Mio fratello ormai aveva fatto l’abitudine a quel richiamo, e rispondeva comunque. Se la nonna chiedeva di Petruccio, le dicevamo che stava riposando nella sua stanza, e che il dottore si era raccomandato che non lo disturbassimo.

Poi, però, accadde qualcosa che spezzò quell’incanto malato. Vanni, finalmente, terminò il ventaglio di piume.

Aveva raccolto il mio suggerimento, e aveva chiesto alla dama di compagnia della nonna di aiutarlo a legare le piume alle stecche di legno; poi, era andato a ficcare il naso nella bottega del Maestro d’Arte, ed era riuscito a farsi prestare pennello e colori per dipingere le stecche di un bianco intenso. Infine, aveva ricoperto l’impugnatura con un bel nastro di velluto blu. L’insieme era piuttosto raffazzonato, tuttavia era tanto l’impegno e la cura per il dettaglio che ci aveva messo che restai incantata quando lo vidi. Il mio fratellino aveva l’animo di un piccolo artista.

Quando glielo porse, la nonna aprì la bocca per la meraviglia.

“Non è bello come volevo io” disse subito Vanni “Forse zio Petruccio lo avrebbe fatto meglio. Scusami.”

Nonna Maria guardò il ventaglio, poi il bambino. Rapidamente, i suoi occhi divennero lucidi.

“Bianca ed Ezio hanno raccolto le piume” disse ancora Vanni, che non si rendeva conto della commozione della nonna “Io non sono ancora bravo ad arrampicarmi, però ho fatto il resto. Secondo me zio Petruccio voleva regalarti una cosa come questa. Ho fatto male, nonna?”

Lei lo abbracciò forte, seppellendo il volto nei suoi capelli neri. La sentii singhiozzare; smarrito, mio fratello annaspò tra le sue braccia. “Nonna, ti ho fatto arrabbiare? Perché piangi?”

“No…” disse Nonna Maria “non mi hai fatto arrabbiare. E’ bellissimo. Grazie…Giovanni. Grazie.”

Avrei voluto gridare per la gioia. La nonna aveva chiamato Vanni con il suo nome, l’aveva riconosciuto!

Rimasi ferma a guardarli, mentre anche la dama di compagnia della nonna assisteva alla scena stupita e commossa.

Poi, lei alzò gli occhi scuri su di me. Erano rossi di lacrime. Tese una mano, ed io la raggiunsi.

“Grazie anche a te, Bianca.”

Mi lasciai stringere anche io dalle sue braccia magre, e pensai che lo spirito umano è veramente singolare. Era come se in mia nonna vivessero due donne diverse, una ignara del presente e scioccamente felice, e l’altra che vegliava anche quando sembrava assente, ascoltava e comprendeva tutto, ma a volte non aveva voce per sovrastare la prima.

“Madre?”

Zia Claudia si affacciò perplessa alla porta della stanza.

“Claudia, tesoro. Guarda che regalo meraviglioso mi hanno fatto i bambini” disse la nonna, mostrando il ventaglio.

La zia si avvicinò piano, e sembrò comprendere un passo dopo l’altro che la madre, finalmente, si era svegliata. Nonna Maria le sorrideva fiduciosa; nella sua espressione c’era una consapevolezza che in quegli anni non le avevo mai visto, nemmeno nei momenti di lucidità.

Claudia accarezzò le piume con delicatezza, poi guardò mio fratello e me. Per la prima volta lo vidi chiaramente sul suo volto, attraverso la sua pelle. Ci amava. In quel momento, non poteva dire a parole quanto.

“Madre…mi siete mancata. Mi siete mancata così tanto!” disse, e subito scoppiò a piangere.

Era la prima volta che la vedevo in quella condizione, e rimasi sorpresa di vedere il suo cuore così, tutto in una volta. Pensai che per lei non era facile governare il borgo e svolgere i compiti di amministrazione che di solito si accollavano gli uomini. D’altronde, mia zia era stata costretta a crescere troppo in fretta. Doveva aver soffocato la tenerezza fino a quel momento, e ora la stava riversando su di noi senza più freni.

Comprensiva, nonna Maria le massaggiò la schiena e le permise di piangere sulla sua spalla. Mi chiesi se questa volta era tornata per restare, o se sarebbe di nuovo andata via, per visitare di nuovo il suo passato felice.

“Dov’è Ezio? Vorrei mostrare il ventaglio anche a lui.”

Quelle parole ci gelarono. Guardai la zia, un po’ preoccupata. Come avrebbe potuto dare alla nonna un altro dolore, rivelandole che Ezio stava rischiando la vita a Roma? Cosa poteva risponderle?

Per fortuna, in quel momento giunse Ugo.

A Villa Auditore non era usanza farsi annunciare, così che il nostro amico apparve semplicemente sulla soglia dell’arcata che conduceva ai corridoi.

“Madonna Maria, perdonatemi. Non intendevo disturbarvi. Volevo solo comunicare a madonna Claudia che quel carico di stoffe che aspettava da Siena è arrivato.”

“Oh, be’…sì. Grazie.” Sollevandosi rapidamente, zia Claudia si schiarì la voce e lisciò le gonne. “Madre, lasciate che vi introduca il nostro ospite. Messer Ugo è un…condottiero di ventura. Un amico di Ezio. Si fermerà a Monteriggioni per qualche tempo.”

“Gli amici di Ezio sono i benvenuti. Perdonate, messere: almeno voi sapete dirmi dove sia andato mio figlio?”

L’occhiata che la zia gli lanciò era eloquente, e gridava: non osate! Ugo, rispettosamente, si inchinò a mia nonna.

“E’ in viaggio verso la Francia, signora. Non ha voluto parlarmi nel dettaglio della sua missione, ma sospetto che sia alla ricerca delle pagine di un antico codice.”

“Oh…il codice. Capisco.” La nonna annuì, gravemente. Quindi, sorrise a Ugo. “Avrò il piacere di rivedervi a cena, messere?”

Zia Claudia trattenne a stento una smorfia di disgusto. Da che viveva con noi, Ugo aveva sempre consumato i suoi pasti con i soldati, e metteva piede alla villa soltanto per farle il resoconto della situazione del borgo e litigare con lei a riguardo.

Tuttavia, in quel momento la padrona della casa era di nuovo Nonna Maria, e se la nonna voleva Ugo alla sua mensa nemmeno il superbo orgoglio di Claudia poteva tenervelo lontano.

 

Da quel giorno, Nonna Maria restò lucida, e al contrario di quanto tutti noi ci aspettavamo non si fece prendere dalla disperazione. Era come se Vanni le avesse mostrato che valeva la pena di vivere anche in questo presente. Suo marito e due dei suoi figli non c’erano più; ma c’eravamo noi, che avevamo aspettato a lungo il suo ritorno dal viaggio del passato.

La nonna si dimostrò molto gentile con Ugo; si fece raccontare di Venezia (naturalmente, il nostro amico omise di essere un ladro), e riprese zia Claudia davanti a tutti noi quando si accorse che le sue maniere non erano civili nei suoi riguardi. La zia accettò il rimprovero come una bambina ubbidiente. Io ero felice di vedere la nonna così lucida e viva, e intanto pensavo al momento in cui avrei potuto porle le mie domande sui Templari. Era l’unica persona che, ne ero certa, non mi avrebbe celato la verità per il mio bene.  

Una volta, mentre Vanni ed io giocavamo nella sua stanza, ebbi il coraggio di domandarglielo.

“Una setta religiosa che si è estinta molti anni fa” fu la risposta. In apparenza la nonna sembrava distratta dal suo ricamo, ma notai che la sua mascella si era irrigidita.

“Allora perché Ugo mi ha detto di stare alla larga dai Templari?”

La nonna mi rivolse uno sguardo penetrante. Senza distogliere gli occhi dai miei, disse alla sua dama di compagnia:

“Claretta, ti dispiace uscire?”

“Madonna…” obiettò quella, per essere subito zittita dall’espressione torva della nonna.

“Ho detto: va’.”

La forma delle sopracciglia decise e il naso tanto simile al mio mi ricordarono di nuovo un’aquila. Una volta che la dama di compagnia fu uscita, ci fece cenno di sederci sulle sue ginocchia.  

“I Templari sono nemici mortali degli Assassini. Sono nemici di vostro padre e della nostra famiglia.”

“Anche loro…uccidono la gente?” domandò Vanni. La nonna gli accarezzò i capelli.

“Vedi, Giovanni…gli Assassini uccidono soltanto se sono costretti, e soltanto persone malvagie. Il Credo dell’Assassino ha tre regole: trattenere la lama dalla carne degli innocenti. Nascondersi alla vista. Mai compromettere la confraternita.”

“Il Credo dell’Assassino” ripetei, affascinata. Sembrava un codice onorevole.

“Vostro nonno Giovanni era un Assassino, come zio Mario e il loro padre prima di lui. Entrambi gli schieramenti, il nostro e quello dei Templari, desiderano la pace per il genere umano…con una differenza: noi crediamo nella libera scelta, loro nella costrizione. I Templari vogliono governare il mondo, e controllare le menti delle persone tramite un manufatto potente, che si chiama Frutto dell’Eden. Sono pronti a uccidere chiunque si ponga sul loro cammino, e non importa quanti innocenti sacrificheranno alla loro causa.”

“E’ orribile!” esclamai.

“Lo è” confermò la nonna “per questo il compito degli Assassini è sottrarre loro il Frutto dell’Eden, e ostacolare i loro piani. Ci sono solo due cose che un templare desidera: governare il mondo, e dare la caccia agli Assassini.”

Iniziavo a capire. “Se scoprissero che noi esistiamo, potrebbero rapirci e ricattare nostro padre!”

“Ed ecco perché dovrete fare molta attenzione, bambini miei. Molta. I Templari possono infiltrarsi ovunque, anche tra le mura di Monteriggioni.”

“Anche qui?” ripeté Vanni, impaurito.

“Sì. Per questo dovete ubbidire a Claudia quando vi dice di non uscire se non siete accompagnati.”

Vanni era molto più giudizioso di me, e non infranse mai quel divieto. Io, invece, sentivo che mi mancava l’aria tra quelle mura. Avevo bisogno di uscire: per questo, escogitai uno stratagemma per cui mi sentii molto furba: mi nascosi dentro uno di quei grandi cesti colmi di biancheria sporca che i servi portano una volta alla settimana fino al lavatoio. Oggi non si direbbe, ma sono stata una di quelle bambine magre con le ginocchia ossute: bastò rannicchiarsi e tirarsi un lenzuolo in testa.

Quasi immediatamente, mi pentii della mia scelta: la puzza dei panni intimi era rivoltante, e tuttavia cercai di non chiedermi cosa fosse l’umidore che toccavo con la mano.

I servi si lamentarono del peso della cesta, quando vennero a sollevarla. Uno dei due propose all’altro di guardarci dentro per essere certo che certi monelli che si aggiravano attorno alla villa (parlavano di Ferrante, ne ero certa) non ci avessero messo delle pietre. Io tenni il fiato.

Per fortuna, già quando uno spiraglio di luce iniziava a ferirmi gli occhi mentre il lenzuolo sulla mia testa frusciava, la cameriera di zia Claudia li rimbrottò che si sbrigassero, perché non aveva tutto il giorno da perdere con il bucato. Risistemarono il lenzuolo, e sollevarono il cesto. Ripresi a respirare.

Mi fecero oscillare al ritmo del loro passo pesante per un periodo infinito, e mentre cercavo di dominare il senso di nausea mi chiedevo come avrei fatto ad uscire dal cesto senza essere notata.

Per fortuna, i due servi avevano tutto fuorché voglia di eseguire il loro compito:  posarono il cesto piuttosto bruscamente, si lamentarono per il caldo e poi risposero al richiamo di due suadenti voci femminili. Attraverso uno spiraglio del canestro in cui ero rinchiusa vidi avvicinarsi due avvenenti prostitute. Ero salva!

Sapevo che avevo poco tempo: le ragazze flirtavano con i servi, ma i due ragazzotti non avrebbero mai avuto in tasca abbastanza soldi per appartarsi con loro. Feci scivolare il lenzuolo da sopra la mia testa, mi sollevai facendo perno con le braccia sui manici del cesto e saltai fuori, per sparire in un vicolo. Il cesto cadde, facendo accorrere i due servi imprecanti. Ma io mi ero già arrampicata sul muro: intravidero la mia figura, mi urlarono di fermarmi: mi avevano scambiata per un ladruncolo. Risi, tra me. Cosa avrei dovuto rubare, i panni sporchi di zia Claudia?

Mentre saltavo sui tetti per seminarli, mi sentivo finalmente libera, e di nuovo felice. Il sole era caldo sul mio viso, l’aria frizzante scendeva e risaliva rapidamente dai miei polmoni, gonfiandomi il petto di vita.

Mi gettai nell’ombra di un pertugio, sotto due assi inclinate contro un muro. Mi coprii la bocca con le mani per non scoppiare a ridere a crepapelle. Avevo quasi dimenticato quanto fosse divertente!

Poi, ricordo un tonfo e una mano ghiacciata sulla mia caviglia. “Preso!” sogghignò il servo di villa Auditore, stringendo più forte.  

Io spalancai gli occhi per la sorpresa. Mi avevano trovata! Ma come? Possibile che in un mese fossi diventata tanto più lenta di prima?

Il servo non fece in tempo a riconoscermi, comunque, perché la sua bocca si torse in una smorfia di dolore. Si voltò, adirato, e raccolse il sasso che gli aveva colpito la nuca.

“Chi è stato?”

Intravidi, sul tetto di fronte, le ginocchia sbucciate e la giubba sdrucita di Ferrante. Non persi tempo, e scappai veloce, mentre il mio amico distraeva le guardie. Gettai di tanto in tanto un’occhiata sulla mia spalla, per essere certa che non lo prendessero. Per fortuna, lui era nettamente più veloce degli inseguitori. Mi fece l’occhiolino, prima di tuffarsi sul tendone di una bancarella di unguenti e lasciarsi scivolare fino a terra con un piccolo salto. Sparì alla mia vista, ed io sorrisi. Avrei trovato il modo di ripagare quel favore.

Ora però dovevo approfittarne, e godermi quel poco di libertà prima che gli uomini di Ugo mi trovassero e mi costringessero di nuovo nella mia prigione.

Mi arrampicai sul lato orientale delle mura, e appena mi issai sul merlo provai un vago senso di vertigine, mai avvertito prima. Era decisamente il punto più alto della cerchia, che ancora non avevo osato sfidare.

Cercai di individuare qualcosa che potesse attutire la mia caduta, e mi risolsi per un mucchio abbastanza voluminoso di biada per cavalli. Calcolai la distanza che mi sarebbe stata necessaria per evitare le rocce e tuffarmi al sicuro. Quindi, chiusi gli occhi, emisi un lungo fiato, e flettendo le ginocchia per darmi la spinta saltai. Senza quasi accorgermene, lasciai che il mio corpo compisse un giro nell’aria. Atterrai meno morbidamente di quanto avrei creduto (tra la biada c’erano non poche fascine di legno), e tuttavia ero appagata. Ancora una volta avevo sfidato la morte, ancora una volta avevo vinto.

Emersi sputacchiando biada, e mi guardai intorno. Avevo guadagnato solo poche ore per me stessa: appena zia Claudia si fosse accorta della mia mancanza avrei avuto addosso tutti mercenari di Ugo. Come potevo sfruttare quel tempo al meglio?

Decisi di fare una corsa tra i campi, per recuperare l’allenamento perduto. Saltai staccionate, mi divertii a fendere le spighe di grano a braccia spalancate, e quando trovai il muretto che costeggiava la casa di un contadino mi sdraiai alla sua ombra, masticando un filo d’erba e godendomi quel primo sole dell’estate.

D’improvviso, un’ombra mi rubò il sole.

“Ragazzino, sai indicarmi la strada per Villa Auditore?”

Aprii gli occhi. Quello che incombeva su di me era un uomo piccolo e scuro, con un naso lungo e crespi ricci neri. Mi sollevai, e mi accorsi che il mio interlocutore era un po’ gobbo.

Storsi il naso per come mi aveva chiamata. In effetti ero vestita da maschio e la mia treccia era nascosta nella cuffia, ma confesso che la mia vanità fu piuttosto offesa.

“Dipende. Chi me lo chiede?” feci, sussiegosa come se mi avessero chiesto accesso a una fortezza.

Come sospettavo, lo storpio si rivelò essere tutt’altro che storpio. La spalla piegata si drizzò d’improvviso quando mi afferrò il polso e fece per darmi uno schiaffo.

“Franco, calmati. E’ solo un bambino.”

Il falso storpio si fermò, abbassò il braccio. La voce mielosa che aveva pronunciato quelle parole apparteneva all’uomo che stava sul carro, a pochi passi dal compagno. Mentre si avvicinava, intravidi sotto il cappuccio scuro una ciocca di capelli castano-rossicci. In un lampo di sole balenarono per una attimo due occhi dello stesso incredibile colore.

 “Mi chiamo Ermes” disse l’uomo, aprendo un sorriso. “Ermes da Bologna. Sono qui per vendere le mie mercanzie, e vorrei mostrarle al signore di Monteriggioni.”

Lo squadrai, da capo a piedi. Sotto il mantello si vedeva benissimo il farsetto di broccato verde scuro, ricamato d’oro.

“I vostri abiti non sono quelli di un mercante, signore.”

Allora, il sorriso dell’uomo divenne un ghigno. Sventolò tra le dita una moneta. Pareva d’oro. “Indicaci la strada, ragazzino, e sarai ben ricompensato.”

Ma io guardavo oltre la sua moneta. Il movimento del braccio aveva svelato la croce d’argento che gli pendeva dal collo. Era picchiettata di piccoli rubini rossi.

Istintivamente, ebbi paura. Forse è scritto nel sangue di un Assassino, non so. La nostra rivalità con i Templari dura da tanti secoli, che riconosciamo subito uno di loro quando lo incontriamo.

“No” dissi, mentre una morsa mi stringeva lo stomaco.

Il finto storpio sibilò: “No?”

Senza abbassare gli occhi, ripetei: “No. Mai. Nemmeno da morta.”

Lui mi sferrò un calcio al fianco, ed io caddi a terra, dolorante. Si chinò su di me, mi afferrò quel poco di capelli che spuntavano sulla nuca da sotto la cuffia e li torse. Io gemetti per il dolore.

“Chiedi scusa al mio signore.”

L’uomo chiamato Ermes incombeva su di me adesso. Non aveva un’espressione feroce, eppure, non so perché, pensai subito che fosse un demonio pronto a divorarmi l’anima.

“Non so dove sia la villa” mentii, ma era tardi. Avrei dovuto avere la prontezza di farlo prima.

Ermes si piegò vicino al mio viso. Sembrava mi stesse studiando. Mi tolse la cuffia con un gesto brusco, facendo ricadere la mia treccia bruna sulla schiena.

Forse anche i templari hanno l’odore degli Assassini impresso nella loro memoria più ancestrale, perché io fui certa che a quel punto lui mi riconobbe. Stava cercando me, la figlia di Ezio. E sapeva di avermi trovata. Da cosa l’abbia capito, non so dirlo. Mio padre sostiene sia colpa del naso. Io dico che ha visto in fondo ai miei occhi l’orgoglio degli Auditore.

Ermes cercò di accarezzarmi una guancia, e io feci schioccare i denti a pochi centimetri dalla sua mano. Lui rise. “Portala sul carro, Franco. La nostra caccia ha dato frutti davvero insperati.”

D’improvviso, un sibilo. Franco si fermò e cacciò un grido, lasciandomi andare i capelli. Una freccia si era conficcata nel braccio del mio aguzzino. Franco lasciò andare i miei capelli con un urlo di sorpresa e dolore. Alzai gli occhi. Ugo e i suoi uomini ci avevano circondati.

“Lasciate la bambina.”

Il mio amico era accompagnato soltanto da due mercenari. Visto che Franco era già stato ferito, pensavo che Ermes si sarebbe arreso. Invece, il Templare sfoderò la spada.

“Dunque, esiste davvero. La progenie del Profeta. Credevamo fosse soltanto una leggenda” disse.

“E’ mia figlia” sibilò Ugo tra i denti. “Lasciala, topo di fogna, o ti spacco i denti uno per uno.”

Per tutta risposta, Ermes sogghignò e gli fece cenno di farsi avanti.

L’uomo chiamato Franco era scivolato a terra, e si teneva la spalla. Dove la freccia era penetrata usciva un piccolo rivolo di sangue che iniziava a impregnargli il mantello. Ermes era solo contro Ugo e i suoi uomini. Dovevano farcela. Dovevano sconfiggerlo!

“Fatti da parte, Bianca!” gridò Ugo, mentre si gettava sul Templare a spada sguainata.

Mi accorsi subito che Ermes era abile. Parò l’attacco di Ugo; poi, ruotando su se stesso, conficcò la spada nella spalla di uno dei mercenari. Il terzo uomo lo attaccò alle spalle. Ermes si abbassò in tempo per evitare il suo fendente. Subito si volse, per parare un nuovo affondo di Ugo.

Cercai di togliermi dalla mischia, e mi riparai dietro un albero. Rimasi, affascinata e terrorizzata, a fissare quello scontro impari, che tuttavia non sembrava volersi chiudere in fretta. Ermes stava tenendo in scacco da solo tre guerrieri esperti: ora capivo perché Ugo mi avesse messo in guardia contro i templari.

Nel frattempo, lo scagnozzo del Templare era riuscitoa sollevarsi, nonostante la ferita. Lo vidi barcollare per un attimo, e poi estrarre qualcosa dalla cinta. Qualcosa di luccicante, come una lama. Una lama che stava per abbattersi sulla schiena di Ugo.

Gridai il suo nome. Grazie al mio avvertimento, il colpo gli prese il braccio soltanto di striscio. Uno degli uomini di Ugo immobilizzò Franco a terra, mentre l’altro veniva sbaragliato da Ermes. Il templare approfittò di quel momento di distrazione del secondo mercenario per saltare in carretta, afferrare le redini del carro e partire al galoppo, facendo rotolare via buona parte del suo carico di stoffe pregiate.

Ugo fermò il mercenario ferito, che voleva inseguire il templare. Si chinò invece sullo scagnozzo, che era rimasto prigioniero della stretta del secondo mercenario.

“Cosa stavate cercando qui?”, gli chiese.

L’uomo aveva il volto deformato dalla pena, ma stringeva i denti per non gemere. Il mercenario che lo teneva fermo, per farlo parlare, spostò di scatto il fusto della freccia che aveva conficcata nella spalla. Franco grugnì: “Cercavamo uno spiraglio nelle vostre difese, e abbiamo trovato una breccia.”

Rabbrividii. Stava parlando di me. Io ero la debolezza di Ezio Auditore, ed ora i templari avevano le prove della mia esistenza.

“Vi manda lo Spagnolo?” fece ancora Ugo. Un incrollabile orgoglio accese lo sguardo di Franco.

“Io servo solo la casa dei Bentivoglio.”

Fu rapidissimo. Strappò con i denti la falsa gemma sul suo anello, e ingoiò la capsula che conteneva. Il suo volto si gonfiò, gli occhi quasi gli uscirono dalle orbite. Rantolando, si accasciò a terra. Si contorse per qualche istante, prima di giacere immobile.

“Porco demonio!” ruggì Ugo, gettando a terra la spada in un impeto di rabbia. Il suo sguardo furente si rivolse su di me; camminò furioso nella mia direzione. “Che cosa ti è saltato in mente? Potevi lasciarci la pelle questa volta! Hai messo a repentaglio la tua vita e quella dei miei uomini! I Templari ti hanno quasi catturata!”

Poi, si accorse che stavo tremando. Sapevo di non avere più colore sulle guance. Non riuscivo a smettere di guardare il cadavere fermo a terra. Era la prima volta che vedevo morire un uomo.

Lo sguardo di Ugo si addolcì. Si tolse il mantello e mi ci avvolse, come se potessi avere freddo in quel pomeriggio di inizio estate. Mi prese in braccio, ed emise un piccolo gemito quando per sbaglio sfiorai il taglio che il templare gli aveva procurato. Pensavo fosse solo un graffio, ma stava buttando parecchio sangue.

“Andiamo a casa, Bianca.”

Mi raggomitolai contro il suo petto, cercando di nascondermi sotto il suo mantello per la paura e la vergogna. Avevo messo a repentaglio la vita di Ugo e dei suoi mercenari per i miei capricci. Ezio e Rosa non sarebbero certo stati fieri di me.

Ho ricordi intermittenti di quando tornai alla villa. Molte voci concitate, molte grida. Zia Claudia mi parlava, non ricordo cosa dicesse ma credo stesse cercando di capire se fossi ferita. Vanni guardava ad occhi sgranati, così spaventato che non riusciva a parlare. Le donne mi tolsero dalle braccia di Ugo e mi portarono nella stanza da bagno, mi spogliarono, controllarono ogni centimetro della mia pelle. Appurato che non avevo ferite fisiche, mi fecero un bagno caldo, mi sciolsero e lavarono con premura i capelli. Io mi lasciavo maneggiare da loro come fossi una bambola. Non le vedevo. Non le sentivo. Rivedevo Franco che si contorceva vittima del veleno, e gli occhi felini di Ermes che mi squadravano, mi riconoscevano, e mi giuravano che non avrebbe avuto pace fino a che non mi avesse sepolta con le sue mani.

Dormire: chi poteva riuscirci quella notte? Eppure mi misero subito a letto, dopo che ebbi rifiutato di mangiare. Mandai fuori tutti, perfino Nonna Maria. Permisi soltanto a mio fratello di restare. Dopo tutto, era anche la sua stanza.

Quando fummo soli, Vanni si raggomitolò accanto a me, stringendomi forte per non lasciarmi più andare.

“Bianca, hai rischiato di morire?”

Non lo guardai. Annuii soltanto.

Mio fratello affondò il viso nella mia camicia da notte.

“Se mamma e papà muoiono” disse “ho solo te.”

Quelle parole uscirono leggere dalle sue labbra, e si schiantarono come macigni su di me. Alla paura e alla vergogna si aggiungeva il senso di colpa. Ero stata davvero stupida.

Vanni si addormentò rapidamente, ma io non potevo. Avevo incontrato l’odio, per la prima volta nella mia breve vita. Gli occhi di Ermes mi perseguitavano: il suo sguardo somigliava a quello che mio padre aveva ogni volta che parlava del Papa. Per il semplice fatto che io esistevo, quell’uomo mi odiava. Con un solo sguardo sentivo che il Templare ed io ci eravamo legati, per la vita e per la morte. E non sbagliavo. L’avrei incontrato ancora.

 

Avevo trascorso più di due ore sdraiata a letto senza potermi addormentare. Ero sgattaiolata via dalle braccia soffocanti di Vanni che dormiva ormai della grossa. Volevo mangiare qualcosa nelle cucine, e poi chiedere scusa ad Ugo e al suo mercenario, che erano stati feriti per colpa mia. Ma nelle stalle dove dormivano i soldati non c’era traccia di Ugo. Scoprii con mia grande sorpresa che lo avrei trovato nel laboratorio, dove la zia gli stava ricucendo la ferita sul braccio con un grosso ago.

Vedendo Ugo a torso nudo, pensai che era più muscoloso di quanto sembrasse con la camicia. La zia pareva molto concentrata nel suo lavoro.

“State fermo, accidenti. Un uomo deve saper sopportare il dolore.”

“Non siete una brava sarta, Vostra Maestà” scherzò Ugo, soffocando un lamento dentro una risata.

La zia terminò il lavoro, facendo un rapido nodo e spezzando il filo in eccesso con i denti. L’avevo sempre vista tanto schizzinosa e altezzosa, che non pensavo certo fosse in grado di ricucire ferite. Forse si era vista costretta a prestare quel favore a zio Mario o a mio padre, in quegli anni.

Dopo che ebbe terminato il suo lavoro, la zia iniziò a lavare gli strumenti in un bacile colmo d’acqua. Il suo volto era scuro.

“Siete sicuro di ciò che avete detto, Ugo? Era un templare?”

Il ladro annuì.

“Il suo nome è Ermes Bentivoglio. Il padre, Giovanni Bentivoglio, è il signore di Bologna.”

“Perché ha agito da solo? Credete…che abbia capito chi è Bianca?”

“Spero di no. Gli ho detto che era mia figlia, ma non penso mi abbia creduto.”

“E se tornassero, Ugo? E se ci assediassero e portassero via i bambini? Con che coraggio potrei dire a Ezio…”

La zia si coprì il volto con le mani, sprofondando d’improvviso a sedere. Ugo si inginocchiò davanti a lei, e strinse i braccioli della sedia. “Andrà tutto bene. Dovete calmarvi, madonna Claudia. Attaccare Monteriggioni significherebbe attaccare Siena, e i signori di Bologna non possono permettersi una guerra, ora. Cesare Borgia preme alle loro porte. I Templari si stanno scindendo in due fazioni…lo Spagnolo ha quasi settant’anni, non vivrà in eterno. I Bentivoglio mirano a spodestare Cesare Borgia come erede del Gran Maestro, e di certo non hanno forze da impiegare contro di noi in questo momento.”

“Eppure, quell’uomo è venuto qui. Ha attraversato gli Appennini per venirci a stanare, e voi mi dite che devo stare tranquilla!”

“Ermes ha la fama di essere un uomo sanguinario e ambizioso. Forse si muove indipendentemente dalla setta.”

La zia alzò gli occhi nei suoi. “Vorrei tanto che Ezio fosse qui a dirmi cosa fare.”

Per tutta risposta, Ugo accennò ad un sorriso. “Tornerà, vedrete. Vi libererete di me molto prima di quanto speriate, Vostra Maestà, e sarete ancora libera di esercitare la vostra tirannide come vi aggrada.”

Lei arricciò le labbra in una smorfia di disappunto, ma era chiaro che stava cercando di nascondere a sua volta un sorriso. Io pensai che somigliavano a Ferrante e me; sempre intenti a litigare, solo per nascondere il fatto che ci piacevamo parecchio.

 

Meno di un’ora dopo, zia Claudia si affacciò alla porta della mia stanza. Ancora non dormivo. Cercai di fingere, ma a una donna come lei non si poteva davvero nascondere nulla.

Sedette sul letto, accanto a me. Attesi ad occhi chiusi un rimprovero che non giunse. Almeno, non aspro quanto mi aspettavo.

“Sei spericolata come tuo padre” sussurrò la zia, scostandomi i capelli dalla fronte. “O come tua madre, a tua scelta.”

Ripensai agli occhi d’argento di Rosa, e a quanto sembravano feriti dopo la nostra ultima discussione. Espressi un pensiero a voce alta: “L’ultima cosa che le ho detto…è che la odiavo.”

“Rosa sa che non è vero. Quello che diciamo quando ci arrabbiamo non corrisponde a ciò che pensiamo veramente.”

“Come fai tu con Ugo?”

La zia si immobilizzò per un attimo. “Io penso tutto quello che dico di lui” replicò poi, piccata.

“Voglio dire alla mamma che le voglio bene. Voglio dire a mio padre che ho capito…gli Assassini, e i Templari…ho capito tutto, e non ho più paura di lui. Non ho più paura di lui…”

Non so quando avessi iniziato a piangere. Mi ritrovai con le guance umide, senza nemmeno rendermene conto. Era davvero la giornata delle umiliazioni.

Fui stupita, quando sentii le braccia di zia Claudia stringermi. Si sdraiò accanto a me, lasciò che poggiassi la testa tra la sua spalla e il suo seno. Non mi ero mai accorta che profumasse d’anice e menta.

“Glielo dirai quando tornerà.”

“Tornerà, vero? Torneranno tutti? Me lo prometti?”

La zia esitò. Mi strinse più forte.

“Certe promesse non può fartele nessuno, Bianca. Siamo nelle mani di Dio, ma non possiamo vedere il suo disegno...nessuno può.”

“Cosa possiamo fare allora?”

Zia Claudia mi guardò negli occhi, con quella dolcezza che mostrava così di rado. “Possiamo avere fede…e questa a te non manca di certo, piccola scavezzacollo. Hai proprio un angelo che ti tiene la mano in testa, lo sai? Vorrei che ti frenasse anche da fare cose stupide, ma non si può chiedere troppo nemmeno agli angeli.”

Grazie alle sue parole, alla fine di quell’orribile giornata mi addormentai con un sorriso. Riuscii perfino a non sognare il corpo del finto storpio che si contorceva in preda al veleno, e nemmeno gli occhi rossicci di Ermes Bentivoglio tornarono a tormentare il mio sonno. Per qualche anno, non sentii nemmeno più pronunciare il suo nome.

 

Era trascorso ormai il secondo mese dalla partenza degli Assassini, quando, una mattina di buonora, sentii le campane del borgo suonare. Mi affacciai alla finestra, ancora con il camicione da notte indosso. Vanni si sollevò sul letto stropicciandosi gli occhi.

“Una carovana!” rise Ferrante, affacciandosi dal cornicione “Messer Ezio…messer Ezio è tornato!”

Il cuore mi sobbalzò in petto, ma cercai di frenare l’entusiasmo. Era ancora presto per gioire.

“Quanti erano?” chiesi. “Chi hai visto sul carro?”

“Non posso giurarci, Bianca, ma credo…ci siano tutti. Sono tornati tutti!”

Tutti. Quella parola mi allagò il petto di una felicità inebriante, incontenibile. Erano tutti salvi! Tutti!  

Corremmo fuori, così come eravamo, portando Ferrante con noi. Zia Claudia era già vestita, e aveva l’aria di chi era sveglio da prima dell’alba. Squadrò Ferrante, con un sopracciglio alzato. Non mi chiese da dove fosse entrato.

“Sono tornati!” esclamai.

“Vestiti, Bianca. Devi essere presentabile per quando entreranno alla villa.”

Naturalmente non l’ascoltai, e corsi subito fuori, seguita da Vanni e Ferrante. Passammo davanti a Ugo e ai suoi mercenari; quando ci chiesero dove stessimo andando, a malapena ci voltammo per gridare: sono tornati! Sono tornati tutti!

Era vero. Gli Assassini stavano entrando in città. Stavano salendo le scale che portavano dal Paese alla Villa. Non mancava nessuno: Bartolomeo con la sua spada Bianca che luccicava sotto il sole, poi Antonio e La Volpe, e zio Mario che scherzava con messer Machiavelli, e poi Paola al fianco di suor Teodora…

E mio padre? E mia madre?

Respirai forte, pregando di vederli sbucare fuori ogni volta che espiravo. Posso dirvi esattamente il numero di battiti del cuore che sentii rimbombare nelle orecchie, prima di vederli emergere da quella maledetta scalinata. Trecentoventisei. Il che, come qualcuno mi ha spiegato più tardi, significa che per almeno tre minuti interminabili non arrivarono.

Poi, un cappuccio bianco emerse come un sole dall’orizzonte dell’ultimo gradino. Vidi il volto di Ezio, con gli occhi in ombra. Da lontano non capivo se stesse sorridendo o meno.

Infine mi accorsi che stava trasportando Rosa in braccio. Per poco non cacciai un grido, e zia Claudia (che ci aveva raggiunti) insieme a me; fortunatamente, ci accorgemmo che mia madre era sveglia e lucida. Non sembrava nemmeno soffrire particolarmente. Anzi, cercava di punzecchiare Ezio, rivangando un vecchio episodio simile accaduto una ventina di anni prima. Aveva un piede senza stivale, stretto in garze abbastanza pulite: un infortunio da poco, a quanto pareva.

Ezio sembrava tranquillo, ma non rispondeva al discorso di Rosa con la stessa sa allegria. A mano a mano che si avvicinava notai la stanchezza impressa sul suo volto, nella postura rigida delle spalle. A guardare gli altri Assassini si sarebbe detto che fossero tornati per festeggiare una vittoria, mentre mio padre pareva un uomo in lutto. Calò il cappuccio, e nei suoi occhi, sempre così vivi, trovai soltanto il vuoto.

Paola, la bella donna dalla lunga treccia bruna, mi prese  per le spalle, come se avesse udito i miei pensieri.

“Tuo nonno e i tuoi zii sono finalmente vendicati.”

“La vendetta…è una cosa giusta?”

“Non in sé. Ma in questo caso è asservita a un bene più grande.” Quindi, Paola si chinò sul mio orecchio, per sussurrare: “Va’ da lui. Ha bisogno di te, adesso.”

Mi spinse a fare qualche passo in avanti. Riluttante, mi diressi verso i miei genitori.

Appena Ezio aveva poggiato Rosa a terra, Vanni si era aggrappato al collo della mamma. Io la guardai timidamente. Mi bruciavano ancora in petto le parole che le avevo detto prima della sua partenza.

Mia madre sorrise, ed era un sorriso pieno di luce. Mi afferrò per un braccio e mi tirò verso di sé, stringendomi forte e baciandomi i capelli. Ci volle tutta la mia forza di volontà per riuscire a mormorare: “Mi dispiace. Non è vero…che ti odio. Non è vero.”

Lei annuì, e non disse altro.

Ezio restava a distanza, e ci guardava con un sorriso triste sul volto. Come se non si sentisse parte di ciò che stava accadendo. Come se fosse un estraneo.

Mi separai da Rosa, per avvicinarmi a lui.

“Hai ubbidito a Ugo e Claudia?” disse Ezio, rivolgendo su di me il suo sguardo svuotato.

Che cosa aveva visto, da restarne tanto sconvolto?

Mi pareva così fragile, in quel momento, che avrei voluto nasconderlo nel mio abbraccio e proteggerlo. Io, che ero solo una bambina, volevo proteggere mio padre dai mali del mondo, e dirgli che finché eravamo insieme tutto sarebbe andato bene.

Non riuscii a dire niente di tutto questo a parole. Mi buttai contro di lui, stringendogli la vita e affondando la testa nelle sue vesti. Perché stavo piangendo, adesso? Il Papa cattivo non ci avrebbe più minacciato. Tutti erano tornati sani e salvi. Eravamo ancora insieme.

“Non dovete più andare via senza di me. Mai più. Mai più!”

Le braccia di Ezio mi avvolsero. Mi tenne stretta a sé, mentre singhiozzavo sempre più forte. Quel giorno imparai qualcosa di molto importante.

Mio padre era un assassino...e nonostante ciò io lo amavo, lo amavo, lo amavo.

 

 

 Questa volta sono un po' meno di fretta e posso rispondere personalmente a chi si è preso la briga di recensire ^_^

Renault: pure io ho riso un sacco mentre scrivevo di Ezio appollaiato sul cornicione! Ogni tanto bisogna pure ridere, sennò quel capitolo diventava una tragedia greca ;) Comunque come hai visto sono tornati tutti...devo confessarti che ho in mente un paio di eventi tragici, ma accadranno più avanti nella storia...per ora tutti hanno portato a casa la pelle da Roma ^___^

Miko: sai, in effetti ero indecisa se dare una descrizione precisa di Bianca e Vanni, ma ormai si sono formati in maniera abbastanza distinta nella mia mente e ho voluto metterla comunque...fermo restando che secondo me ognuno può immaginarseli come preferisce, non c'è nessun ritratto Ubisoft ufficiale in circolazione :PPP  Oh, Ezio è anche l'uomo dei miei sogni...se solo fosse un pelo meno dongiovanni...ma non si può avere tutto, temo :(

Ama: devo dirti che nemmeno io, la prima volta che ho giocato ad ACII, potevo sopportare Rosa. Poi la coppia mi ha conquistato lentamente: mi sono convinta del tutto solo quando ho rivisto il video del giorno del compleanno di Ezio, e mi sono accorta che, quando lui cerca di prenderle il libro, fa il primo vero sorriso da quando sono morti suo padre e i suoi fratelli. Credo che sia anche la voce italiana che fa risultare Rosa intollerabile al primo approccio. Quella inglese mi piace molto di più, è più profonda e molto meno sciocca :) Comunque non voglio fartela stare simpatica a tutti i costi...prometto che nella mia fanfic non romperà le scatole più di tanto ;)

LullaCullen: Hai ragione, Ezio è gelosissimo! Fin da quando Ugo è apparso nel gioco mi sono fatta il film che fosse innamorato di Rosa. Tra l'altro nella versione italiana lo doppia un mio carissimo amico, e per fargli un omaggio ho voluto inserire il personaggio nella fanfic anche se nel gioco non ha una grande rilevanza :) Ora che Ezio è tornato, sono curiosa di vedere quale sarà il loro rapporto...che dici, scateno o non scateno il dramma della gelosia? ^_^

CartacciaBianca: Urca, da dove comincio a risponderti? Sì, ti ho riconosciuta su Deviantart, ho visto le tue opere e ho messo il Principe di Persia tra i miei preferiti! Ammappa quanto sei brava, le vignette superdeformed di Ezio&Co mi hanno fatto scompisciare XD Per quanto riguarda il rapporto Vanni-Ezio, ci sarà un'evoluzione già nel prossimo capitolo...ma non voglio svelare troppo ^_^ Oh, sì, Bianca è piuttosto vanitosa...doveva avere anche qualche gene di Claudia nascosto nel DNA dopo tutto, eheh! Sì, Vanni dice "asciassino" per un problema di pronuncia...ho un nipotino che ha circa quell'età e noto che fa ancora fatica a pronunciare la "s", quindi ho trasferito questo adorabile difetto a Vannuccio mio (ops...si capisce che lo adoro? ^_^) Non so se ti convinceranno le motivazioni di Ferrante per le offese che ha rivolto a Bianca e a Ezio...dopo tutto anche lui è solo un ragazzino, si è lasciato prendere dalla rabbia e da un'immotivata gelosia.Di Bartolomeo confesso che mi stavo quasi dimenticando, per fortuna ho ricominciato il gioco e mi sono ricordata che aveva chiamato Bianca la sua spada! Dovrò necessariamente inserire qualche episodio incentrato su questa omonimia, bisogna che mi sprema le meningi :) Oh, di traversie adolescenziali Ezio e Bianca ne avranno parecchie...sono troppo simili (oddio, almeno spero, l'intenzione era quella!) per non scontrarsi. Non mi hai affatto annoiata e anzi, mi hai dato un sacco di carica! Grazie infinite, anche per avermi segnalato per le storie scelte con motivazioni tanto belle, non so se merito tanto ma cercherò di essere all'altezza della tua recensione!

Grazie di cuore a tutte voi, ogni volta che leggo una delle vostre recensioni sono così entusiasta che scrivo un nuovo paragrafo!

Grazie anche a chi ha inserito la storia tra le preferite, le seguite, le ricordate. E naturalmente grazie a chi passa di qui solo per leggere, per me vuol dire molto.

 

Laura.


NOTE STORICHE:

Ermes Bentivoglio, secondogenito di Giovanni Bentivoglio e Ginevra Sforza, è il primo personaggio storico "extra-gioco" che appare nella fanfiction. L'ho descritto in base a un dipinto fatto di lui dal pittore Lorenzo Costa, che lo ritrasse insieme ai suoi fratelli e sorelle. Le fasi centrali della storia si svolgeranno a Bologna, la mia città di adozione...ormai, ogni volta che guardo la Torre degli Asinelli mi immagino un cappuccio bianco che si arrampica lassù in cima :)

   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Assassin's Creed / Vai alla pagina dell'autore: RobynODriscoll