Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Ricorda la storia  |      
Autore: MusaTalia    01/06/2010    7 recensioni
Entrò nell’ufficio, sempre ordinato, arredato con sobrietà. Ogni giorno era un profumo nuovo: rose, lillà, garofani, iris. Quel mattino erano gigli, bianchi e rosa.
Era un mistero, sul quale non aveva mai voluto indagare, come mai ogni mattina sulla scrivania ci fosse un nuovo mazzo di fiori freschi. Lei sicuramente non aveva dato istruzioni perché ciò fosse fatto, tuttavia le faceva piacere. I colori sgargianti dei fiori conferivano un po’ di vivacità all’ambiente, innaturalmente bianco ed ancora piuttosto spoglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'RoyAi Collection'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
lilium

Lilium


Era passato già un mese da quando tutto era avvenuto, ma sembravano trascorse sole poche ore. I ricordi erano vividi più che mai, senza il rischio che qualcuno dimenticasse. Le macerie erano ancora lì, visibili agli occhi di tutti, cicatrici di una città ferita, ma non morta. Ed anche i combattenti della prima linea avevano le loro cicatrici da mostrare.
C’era tra loro, però, anche chi come il tenente, promossa da breve al grado di capitano, Riza Hawkeye nascondesse le proprio cicatrici, testimonianze indelebili di tutte le battaglie combattute in nome di un ideale più giusto.
Ogni volta che tornava a casa dopo una guerra, era come se un pezzetto di lei venisse strappato. Questa volta, però, era stato diverso.
La sua freddezza, il suo autocontrollo, il suo essere donna avevano affrontato una prova durissima, che lei ancora non era sicura di esser riuscita a superare.
L’esperienza l’aveva tanto segnata che faticava a dormire la notte e, sebbene non ne avesse più motivo, temeva le ombre. Non si era mai sentita così fragile. L’infrangibile e tenace pilastro di piombo si era trasmutato in un ninnolo di cristallo. Tutta colpa degli Alchimisti e di uno in particolare.
Lei si era sempre prodigata nel coprirgli le spalle, aveva votato interamente la sua esistenza alla difesa di quell’uomo, spesso incosciente e mosso sempre da un pizzico di follia; proprio come un leale cane da guardia. “Fino all’inferno”, aveva detto una volta.
Come d’abitudine prese le pistole e salutò il suo Black Hayate, prima di uscire di casa diretta all’ufficio. Ora non era più al servizio del generale Roy Mustang, ma, se le avessero chiesto di rinunciare al nuovo ruolo per ritornare a seguire l’Alchimista di Fuoco, avrebbe lasciato tutto, senza alcuna esitazione.
Non c’erano state molte occasioni per vedersi, per scambiare due parole, ma lei avvertiva che lui la teneva d’occhio, e segretamente ne era lusingata.
Segretamente.
Nessuno riusciva a capire quali fossero i pensieri prodotti dalla mente dell’imperturbabile militare “Occhio di Falco”, tranne lui. Uno sguardo e tutto gli era chiaro, comprese le sue emozioni, che, chissà per quale strano motivo, fingeva di ignorare.
Entrò nell’ufficio, sempre ordinato, arredato con sobrietà. Ogni giorno era un profumo nuovo: rose, lillà, garofani, iris. Quel mattino erano gigli, bianchi e rosa.
Era un mistero, sul quale non aveva mai voluto indagare, come mai ogni mattina sulla scrivania ci fosse un nuovo mazzo di fiori freschi. Lei sicuramente non aveva dato istruzioni perché ciò fosse fatto, tuttavia le faceva piacere. I colori sgargianti dei fiori conferivano un po’ di vivacità all’ambiente, innaturalmente bianco ed ancora piuttosto spoglio.
Si mise subito al lavoro, immergendo il naso in noiose scartoffie. Ora come ora era grata di tutta quella noia.
Amava l’azione, guidata sempre da una buona dose di razionalità e ben pianificata, ma al momento sentiva il bisogno di una vacanza, di riposo e tranquillità, perciò era ben contenta di tutto quel lavoro d’ufficio.
Stava rileggendo un vecchio rapporto, quando bussarono alla porta.
«Avanti» disse senza alzare lo sguardo da tutti gli incartamenti, convinta che fosse un sottoposto con nuovi documenti da firmare e controllare.
«Sempre al lavoro…». Aveva parlato una voce familiare, sarcastica e velatamente allegra.
Riza sollevò di scatto lo sguardo e si alzò in piedi. «Generale Mustang».
«Via, via con tutte queste formalità. Sono solo venuto a fare un salutino».
Con il consueto passo sicuro di sé si avvicinò alla scrivania e si sedette di fronte alla donna dall’espressione sorpresa e leggermente disorientata.
«Avrei voluto passare prima. Essere generale implica molto lavoro da fare. Troppo. Come vorrei che fossi tu la mia assistente! Sarebbe tutto più facile, ma non ho il coraggio di chiedertelo soprattutto perché sembra che tu ti sia sistemata molto bene qui».
Riza non poté fare a meno di sorridere. Il suo comandante sapeva bene come rigirare la frittata. Aveva chiesto non chiedendo. Aveva sempre ammirato quella sua retorica tagliente, che aveva contribuito a portarlo a livelli alti nonostante la giovane età.
«Nella sua posizione, le basterebbe ordinarmi di diventare la sua assistente personale ed io eseguirei».
«La vera domanda è: tu lo vorresti?».
Il tenente colonnello, spiazzata da quella domanda così diretta, preferì dunque dare una non-risposta.
«Io eseguirò qualunque ordine mi verrà dato dal mio superiore».
Quelle parole portarono per un istante la mente di Roy lontano, in un passato impresso a fuoco nella sua memoria.
Rivide una giovane Riza, che gli mostrava la schiena bianca, nuda, coperta da un complicato tatuaggio. Era la seconda volta che si trovava davanti ai segreti dell’Alchimia del Fuoco, come era anche la seconda volta che si trovava di fronte a Riza Hawkeye seminuda ed inerte.
Lui, Don Giovanni patentato, che era stato con un numero indefinito di donne, tra l’altro tutte bellissime, non poteva giudicare da meno quella ragazza, dal corpo flessuoso ed aggraziato. Era proprio un peccato doverlo nascondere sotto un’anonima divisa militare. Tuttavia mai un pensiero “impuro”, se così si poteva definire, apprezzamenti esclusi (ma per evitare anche quelli avrebbe dovuto essere cieco), aveva sfiorato la mente del giovane alchimista riguardo quella ragazza.
Fissava la schiena e non pensava di certo alla pelle vellutata e tiepida o al seno scoperto. Vedeva solo quella schiena marchiata dalla maledizione di una conoscenza troppo pericolosa da serbare e le braccia di Riza lungo i fianchi, con i pugni chiusi. Lei stava solo aspettando che lui agisse, ma lui non riusciva a trovare la forza per compiere quel gesto, che proprio lei gli aveva chiesto. Come poteva solo pensare di deturpare per sempre una creatura così bella, quell’angelo che aveva perso le ali e con loro l’innocenza? Come poteva sovrapporre un nuovo marchio, una nuova sofferenza su quelle spalle così delicate, su quel sinuoso dorso?
Lei pazientemente aspettava, consapevole di aver chiesto una cosa difficile.
Uno schiocco di dita.
Riza portò le braccia al petto, in un riflesso inconsapevole, per difendersi e serrò gli occhi.
Roy abbassò lo sguardo, assalito dai sensi di colpa. Si aspettava urla di dolore, un pianto disperato, ma nulla di tutto ciò avvenne.
Intravide una singola lacrima cadere al suolo producendo un suono più assordante di un grido.
Fu in quel momento che ebbe la conferma che Riza Hawkeye non era assolutamente come tutte le altre donne.
Il generale tornò al presente, cercò di sorridere, con scarsi risultati, e decise che era meglio cambiare discorso. Era venuto in quell’ufficio con uno scopo ben preciso, che doveva assolutamente portare a termine. Facilissimo a dirsi, ma per quanto riguardava il farsi, al momento avrebbe preferito affrontare uno scontro all’ultimo sangue con homunculi, chimere e quante più creature malvagie potevano esserci.
«Come stai?» domandò molto banalmente.
«Bene, grazie. Lei?»
«Direi bene anch’io».
“Non sembrerebbe” pensò tra se la donna. Avvertiva in lui qualcosa di diverso. Che fosse imbarazzo? Impossibile, si rispose, dandosi della sciocca.
«Sicura di stare bene. La ferita alla gola…». Questa volta fu sicura di aver intravisto l’ombra del senso di colpa, in quelle fortezze impenetrabili, che erano i suoi occhi.
«In perfetta forma. Non deve preoccuparsi» cercò di rassicurarlo sfoggiando un mezzo sorriso. «Piuttosto, la sua vista?».
«Tutto a posto. Sono tornato come prima, anzi, è tutto tornato com’era prima».
«Non potrei trovarmi più d’accordo».
«Posso chiamarti Riza?» chiese all’improvviso il generale, interrompendo quelle monotone chiacchiere di circostanza.
«Certo» rispose di getto, con un filo di sospetto, perché proprio non riusciva ad intuire quali fossero le intenzioni del suo superiore.
«Tu invece chiamami Roy e dammi del tu. È un ordine». Allo sguardo storto e di rimprovero del tenente colonnello aggiunse un frettoloso «Per favore».
«Posso sapere il motivo di questo suo ordine bizzarro?».
«Nessuno in particolare. Mi sembra giusto dopo tutto il tempo che ci conosciamo e tutto quello che abbiamo passato insieme. Ma se ti dispiace…» lasciò la frase in sospesa, rammaricato che le sue buone intenzioni fossero state travisate.
Ciò che più aveva lasciato perplessa Riza era stato il fatto che il suo generale avesse chiesto il permesso per fare una cosa tanto banale, come chiamarla per nome. Roy Mustang non chiedeva, mai. Agiva e poco gli interessava di cosa pensassero gli altri a riguardo.
Questa volta, però, agire si stava dimostrando molto, molto più difficile del previsto. Era in quella stanza da oltre dieci minuti e non aveva fatto il minimo progresso; ancora non era riuscito ad arrivare al sodo, stava tergiversando come uno scolaretto. Doveva darsi una mossa.
Ora o mai più, si disse. Coraggio Roy! Trova qualcosa di intelligente da dire. Dov’è finita tutta la tua tanto osannata esperienza da rubacuori. Non puoi permettere che la tua reputazione da Casanova crolli così miseramente. Sei un combattente valoroso, per l’amor di Dio!
«Ti sono piaciuti i fiori?».
«Avevo immaginato fossi tu». In realtà la sua era più una certezza, o meglio ancora, una speranza.
«Immaginato?»
«Certi misteri è bello che rimangano tali. Ma forse, voi uomini di scienza, non la pensate allo stesso modo. Comunque grazie. Li ho apprezzati molto». La verità era che temeva di rimanere delusa se, cercando di capire il mittente di quel dono floreale, avesse scoperto che dietro non c’era un certo ufficiale.
«Mi fa piacere. In fondo, sono o no il tuo fiorista preferito?».
Un accenno di risata e calò il silenzio. Silenzio di discorsi inespressi, di pensieri martellanti, di sentimenti repressi troppo a lungo. Ma le prospettive riguardo ad un cambiamento in positivo erano rosee. Roy aveva avuto tempo per riflettere durante le notti passate insonni ad osservare il soffitto ed era finalmente giunto ad una conclusione: voleva una sola donna al suo fianco per il resto dei suoi giorni. Una donna che gli era rimasta sempre vicino, sostenendolo in silenzio ed accorrendo a sorreggerlo quando stava per precipitare, caricandosi su quelle spalle delicate tutti i suoi esagerati pesi. Da sempre, nei suoi ricordi, quelli che valeva la pena rivivere di tanto in tanto, c’era lei accanto a lui, ma, involontariamente, il suo era stato un guardare senza vedere veramente. Solo ora si rendeva conto di come i suoi capelli fossero simili a sottili fili d’oro, gli occhi a profondi granati incastonati tra le lunghe ciglia nere, le labbra a rosse fragole; chissà se anche il sapore era dolce come quello di una fragola? La bellezza di Riza era semplice e austera, che quasi metteva in soggezione.
«Posso avere il piacere di invitarti a cena?» domandò con semplicità. Con Riza il sorriso sghembo da malandrino e lo sguardo ammaliatore sarebbero stati inutili, oltre al fatto che sarebbe stato come barare, e questa volta voleva fare tutto come si deve, nessun inganno, solo ed esclusivamente il Roy Mustang sincero e pronto a mostrare tutte le sue debolezze, che lei avrebbe interpretato come motivo di ulteriore ricchezza.
«Come?». Per una volta non celò la sorpresa che quelle poche parole avevano scatenato.
«Mi farebbe piacere invitarti a cena. Non come collega, ma come uomo che invita la donna che ama ad un appuntamento galante». La lingua si era mossa articolando quelle parole, prima che il cervello mandasse l’impulso. Ma forse era stato meglio così. Senza ombra di dubbio ora la situazione avrebbe preso una piega interessante.
Riza Hawkeye non era solita farsi prendere alla sprovvista, era addestrata ad affrontare qualunque situazione, qualunque imprevisto, qualunque cosa, tranne, ovviamente, questa.
Non sapeva nemmeno quale emozione provare in quel momento. Gioia? Sconcerto? Incredulità? Imbarazzo? Soddisfazione? Un mix di tutte queste sarebbe andato più che bene, decise.
«Mi ama» mormorò fra sé, come se esprimere il concetto a voce alta rendesse tutto più reale. Si aprì in un sorriso radioso che coprì con una mano per paura di sembrare una sciocca, che dopo tanto tempo vede realizzato il suo più grande sogno segreto.
Il generale le lasciò un po’ di tempo per metabolizzare il tutto, ma si spazientì ben presto. «La tua risposta?» chiese mal celando un leggera apprensione.
«Sì».
Due lettere furono più che sufficienti per far battere due cuori all’unisono e farli traboccare di felicità.
I piedi di Roy si mossero senza che il loro proprietario avesse dato l’ordine. Abbracciò stretto, giusto per essere più sicuri che non sfuggisse, il suo tenente colonnello, la sua fedele guardia del corpo, la sua donna, la sua anima.
«Sono un idiota. Ti ho avuta vicina per anni e solo ora, quando ho rischiato di perderti per sempre, mi sono reso conto di quanto tu sia indispensabile alla mia vita. Senza te sono inutile. Sappi che da questo momento in poi le cose cambiano: sarò io a guardarti le spalle e a proteggerti».
Con estrema naturalezza Riza circondò il torace dell’unico uomo che avesse mai amato più di se stessa. Un semplice gesto che sintetizzava tutti i sentimenti e tutte le emozioni, che nemmeno un lungo e complicato discorso avrebbe potuto esprimere.
E si scambiarono il primo di una lunga serie di baci.
Le labbra di Roy si posarono con dolcezza sulla guancia arrossata della, finalmente, sua Riza.

***

Il ciondolo d’argento e perle di sua madre recuperato dal portagioie recluso in un angolo dell’ultimo cassetto del comò. Qualcosa di vecchio.
Il lungo abito di seta ricamata e leggero chiffon fatto fare su misura nella più costosa boutique di Central City. Qualcosa di nuovo.
La spilla con lo zaffiro regalata da Roy per il loro secondo anniversario appuntata sul corpetto rigido dell’abito. Qualcosa di blu.
Il semplice fermaglio dorato preferito di Rebecca sistemato con maestria a tenere su l’acconciatura intricata. Qualcosa di prestato.
Non avrebbe scommesso nemmeno mezzo centesimo di vedersi un giorno dentro ad un abito da sposa. Ma avrebbe scommesso ancora meno su un possibile matrimonio di quel farfallone di Roy Mustang. L’immagine dell’Alchimista di Fuoco legato “fin che morte non ci separi” ad una donna era stata per molto tempo una ridicola fantasia. Ed ora stavano per compiersi entrambe le cose: Riza nel vaporoso abito bianco e Roy alla fine della navata ad attenderla. Come minimo si sarebbe abbattuto un cataclisma di dimensioni cosmiche per bilanciare la straordinarietà di quell’evento. Ma di quello si sarebbe preoccupata più tardi.
Rebecca finì di sistemarle il velo e le lisciò per l’ennesima volta le pieghe della gonna.
«Ora sei pronta» dichiarò soddisfatta.
Il suo riflesso sullo specchio le restituì un sorriso carico di emozione.
Raccolse il bouquet di gigli bianchi e rosa ed uscì con passo sicuro dalla stanza. Si fermò giusto un secondo poco prima della porta della chiesa.
Addio Riza Hawkeye. Benvenuta Riza Mustang.

***

Era mattina presto. I boccioli rugiadosi dei gigli erano ancora chiusi e l’aria era frizzante. Stava iniziando una splendida giornata di sole.
Riza era sveglia già da un paio d’ore e stava osservando il suo giardino ben curato da dietro la finestra del salotto, in mano una tazza fumante di tè.
In tutti quegli anni molte cose erano cambiate, ma in fondo tutto era identico ad un tempo. Anche quando Roy era apprendista presso la casa di duo padre era lei quella che si svegliava per prima ed andava in cucina a preparare la colazione per tutti. Certo, all’epoca dormivano in stanza separate, ma anche ora che condividevano lo stesso letto non sarebbe bastata una cannonata per tirare giù dal letto quel pigro di suo marito.
Bagnò le labbra con un sorso di tè. Ancora troppo caldo. Posò quindi la tazza sul mobile al suo fianco e ritornò a guardare fuori dalla finestra. I raggi del sole di primavera si riflettevano sulle gocce di rugiada dei fiori, delle foglie e dell’erbetta corta creando magnetici giochi di luce. Uno dei tanti spettacoli della natura!
Un paio di braccia l’abbracciarono da dietro. Erano ancora tiepide. Un bacio lieve sulla cicatrice del collo.
«Che bella giornata» sussurrò per non turbare troppo quella pace con la sua voce profonda.
Riza accarezzò quelle braccia che la stringevano con protezione. Roy appoggiò il mento sulla spalla della sua compagna, che chiuse i profondi occhi nocciola godendosi fino in fondo quell’attimo di intima quotidianità.
«Non riuscivi a dormire?» le chiese con gentilezza.
«Pensavo…».
«A cosa?».
«A tante cose diverse».
«Per esempio?».
«A mia madre. Mi chiedevo cosa penserebbe di me vedendomi adesso».
«Sarebbe di sicuro molto orgogliosa».
Un sorriso si affacciò sul viso di entrambi.
«Sai prima mi è venuto in mente quando stavi a casa dei miei per studiare l’alchimia. Poi, guardando i gigli mi è venuto in mente Hughes». Fece una pausa in attesa di una qualche reazione di Roy.
«Credo che potremmo portargliene alcuni» continuò con tranquillità.
«Secondo te, lui aveva già capito tutto?» domandò a bruciapelo.
Riza capì immediatamente a cosa si stesse riferendo.
«Penso di sì. Oppure non ti avrebbe ripetuto tante volte che dovevi trovarti moglie. Si era accorto di tutto, però voleva che noi lo capissimo da soli, senza troppi aiuti».
«Se avessi saputo che il matrimonio porta così tanti vantaggi mi sarei sposato molto prima!».
Riza strinse più forte una delle sue mani e la guidò sul ventre arrotondato, proprio nel punto in cui il loro bambino stava tirando un calcetto.
«Credo dovremmo chiamarlo Maes».
Roy cominciò ad accarezzare la pancia, al cui interno era custodito il suo tesoro più prezioso. «Maes Mustang. Mi piace. Suona bene».
E si scambiarono un bacio. Labbra su labbra.



Note finali:
Sinceramente non so proprio cosa pensare. Per questa storia ho ripreso in mano la penna dopo un lungo periodo di pausa forzata. Credo che i risultati siano evidenti. Si tratta di tre quadretti ( diciamo pure che il primo è un enorme affresco e gli altri due sono un paio di acquerelli su fogli A4) legati tra loro dalla presenza dei gigli. La parte iniziale è forse troppo lenta e pedante, influenzata dal fatto che ultimamente sto studiando Virginia Woolf, e dunque monologo interiore e flusso di coscienza vanno alla grande! Il primo quadretto è anche il più lungo perché serve da introduzione a tutto ciò che viene dopo.
Il mio timore maggiore è quello di scrivere personaggi OCC, quindi tendo a perdermi nei meandri della mente di quei poveretti.
Spero che, in qualche modo, vi sia piaciuto e riesca a trasmettere qualcosa.
   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: MusaTalia