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Autore: May90    02/06/2010    3 recensioni
[Fiction a due voci] [Ben lontana dalla vicenda originale] [La mia prima fanfiction...^_^]
Capitolo 19 "Feelings And Desires" =
"Prese un altro sorso di vino e, una volta riappoggiato il bicchiere sul tavolo, si mise a giocare passando con finta non curanza l’indice smaltato di rosso sul bordo del calice. Un’altra scena di repertorio, ma sempre molto efficace, dovevo ammetterlo. - Fai bene a parlare di gatti. – riprese, senza mutare l’espressione rilassata, ma fissando intensamente quel gesto che fingeva essere spontaneo – In quanto felini, hanno molti istinti feroci insiti in loro e un innato desiderio di scoprire le cose di persona. Non si tirano mai indietro. Quando hanno uno scopo, poi, diventano implacabili. - - Quindi l’avresti presa come una sfida? Non voleva esserlo in ogni caso. – scrollai le spalle – Strano, comunque. Credevo che i gatti fossero soprattutto animali nobili, eleganti, amanti del benessere e della tranquillità. Non questi grandi avventurieri. – - Quando sono allo stato selvatico, finiscono per essere più simili alle tigri che ai cagnetti domestici. A meno che tu non mi stia paragonando ad un innocuo barboncino. – e alzò gli occhi affilati come lame sul mio volto. - Tu invece ti stai paragonando ad una tigre…? – commentai con una smorfia dubbiosa – E soprattutto, in che modo dovresti sembrare così selvatica? Vivi in una ricca dimora, partecipi spesso a serate mondane, hai sempre una perfetta manicure… -"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tyki Mikk
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 18

My Only Trust


“La paura non può essere senza speranza e nessuna speranza senza paura.”
(B. B. Spinoza)






Vibravo di fede e speranza, quel giorno.
Mi addormentai subito, cullata dal tiepido fuoco che mi avvolgeva anche meglio delle morbide coperte del mio ricco letto a baldacchino. Nella mia mente c’era la dolce immagine di quell’umano indigente, un po’ rude ma spontaneo e generoso, che per la prima volta riusciva quasi a surclassare quella del magnifico gentiluomo dal fascino misterioso che riempiva le mie giornate.
Vedevo Tyki in una catapecchia abbandonata, lontano dalle ricchezze di un mondo tentatore, ma affrancato dai sentimenti delle persone che lo circondavano. Vedevo Iizu corrergli incontro, sotto un sole tiepido che rendesse brillanti i suoi riccioli d’angelo e quegli occhi limpidi. Vedevo Tyki prenderlo in braccio e avviarsi con un sorriso, solo un po’ furbo e malizioso, ad una giornata di intenso lavoro fisico, snervante, terribile forse, ma tanto degno e necessario da avvicinarlo ancora un po’ alla salvezza.
La luce della sognata redenzione della persona che mi era più cara al mondo rischiarava il mio mondo, ancora una volta…
Un sogno che finalmente vedevo come non troppo impossibile e irraggiungibile, anche se ci sarebbe voluto del tempo e tanto sforzo da parte mia, l’unica persona che sperava davvero per un suo ritorno all’umanità…

Arrivò a quel punto, credo, lo spasmo d’ansia, seguito subito da una stretta al cuore.
Tutto sarebbe finito. La vita in comune in quella casa oscura, la vicinanza e la prospettiva che ci congiungeva e, non ultimo, il legame che ci era imposto e che avrebbe dovuto congiungerci per sempre…
Stringevo i denti e mi rigiravo nel letto nella vana speranza di spezzare quel senso di sofferenza e timore che mi stava annebbiando la mente.
Una tentazione demoniaca, certamente.
Perché io fin da principio avevo sempre e solo desiderato salvare quella cara persona dalle spire del Male. Nulla più. Avevo accettato il sangue Noah solo per questo. Vivevo laggiù solo per minare i piani del Conte dal loro interno. Questo era ciò che mi ero ripromessa per chiedere perdono a Dio del mio tradimento.
Non c’era altro, non doveva esserci nient’altro.
Eppure bruciava forte nella mia anima lo spasmodico desiderio di stare con lui. Mi tormentava come una spina nel cuore la sola probabilità che salvare la sua vita di uomo comune ci allontanasse per sempre. Senza l’obbligo del Conte, non mi avrebbe mai desiderata al suo fianco e soprattutto non per fargli sempre tornare alla mente una doppia vita che, a quel punto, gli avrebbe solo provocato rimorsi e tentazioni.
Avrebbe tagliato nettamente con tutto ciò che era stato il passato, me compresa.
Mi sentii fremere di rabbia contro la mia stessa debolezza e poi, subito, sorgere violenta la Paura. E sedare il Demonio, questa volta, mi sembrava impossibile.
Dovevo sperare in Dio, sperare che salvasse quella persona.
Avevo cominciato a perdere la mia anima e ora non sapevo più distinguere Bene e Male.
Dovevo volere il suo bene sopra ogni altra cosa… Quando ero diventata così egoista, Signore?
Lo amavo tanto, tanto da impazzire. Avevo bisogno di lui, ad ogni costo.
Prima lui, prima la sua vita eterna, prima il suo cuore salvato dalle nebbie oscure.
Non meritavo di soffrire tanto, non sempre così. Non ero una martire, non volevo esserlo.
Ma lo sarei stata. Qualcuno doveva farlo e ne valeva la pena per proteggere una vittima ignara.
Se mi amasse, se mi volesse con lui, cosa mi importerebbe del mondo?

Un incubo dopo l’altro, per tutta la notte. E per quella successiva.
La lotta tra gli impulsi più disperati si consumava nel mio sonno e non vedeva vincitore.
Avevo sbagliato a lasciare che passasse tanto tempo. Avevo finito per svilire la mia determinazione tra le mille e più tentazioni che mi circondavano.
Ma Tyki non era forse sempre stato la mia più invincibile tentazione?



- “Victoire cara!” –
Jusdero imitò il Conte tanto bene da farmi rabbrividire.
- Jassy, ti scongiuro… - sospirai, affranta dallo spavento appena subito – Smettila di allenarti con le imitazioni… -
- Allenarsi!? Guarda che ormai il mio gemello è il re dell’imitazione del Conte! – esclamò, Debit comparendo dal lato opposto del corridoio e avvicinandosi svelto a me, annuendo soddisfatto della bravura del fratello.
Mi limitai a sospirare. Sapevo cosa mi aspettava.
- “Vivy carissima! Come mai sei sempre così in ritardo per la colazione!?” – continuò imperterrito il gemello, posandosi una teatrale mano sul petto e sfoggiando un sorriso tanto largo da tendere all’inverosimile i fili di quel suo strano piercing.
- E questo non è nulla! – si esaltò Debit, con aria infingarda – Bisogna vedere anche Skin! – e, come un presentatore professionista, fece un ampio gesto del braccio indicando il teatrante al suo fianco.
Si scostò i lunghi capelli biondi dalle spalle e la sua aria allegra scomparve in un lampo lasciando spazio a un ghigno famelico: - “Non è… DOLCE! Perché!? Perché non è DOLCE!?” – e si scagliò contro Debit fingendo di strangolarlo per la rabbia.
- Caspita… Di certo reagirebbe così… - annuii e mi sforzai di sorridere. In realtà quell’atteggiamento iroso del nostro gigante di casa mi aveva sempre messo i brividi e anche vederlo imitato non mi metteva a mio agio…
Lieti degli elogi, si staccarono, probabilmente per dare inizio ad una nuova sceneggiata, ma non avevo nessuna voglia di vederla in quel momento, quindi approfittai subito della pausa.
- Avevate bisogno di dirmi qualcosa immagino… - cominciai, posando una mano sulla spalla di ciascuno dei due, per fermarli anche fisicamente dall’avviare un nuovo teatrino – Convocazione del Conte? – provai ad indovinare.
- No. – sentenziò netto Debit, scuotendo anche il dito a qualche centimetro dal mio viso, come per sottolineare quella negazione.
- Ha detto solo – si intromise Jusdero, reclinando un po’ la testa e stuzzicandosi il mento, come per ricordare qualcosa – di farti molti auguri per l’ultima prova di giovedì e per la prima di venerdì sera… -
Aggrottai lievemente le sopraciglia: - Perché mi manda a dire questo? E’ solo martedì… -
- Andrà via per qualche giorno. -
Tutti e tre ci voltammo sorpresi, intercettando subito gli occhi gialli di Road, apparsa quasi dal nulla all’inizio del corridoio dalle pareti nere. Il brillio inquietante di quelle iridi crudeli e quella sentenza perentoria mi impressero subito una pessima sensazione.  
- Come mai? – mi azzardai a chiedere, decisa a sfidare il suo sguardo ostile con la mia migliore tranquillità e moderazione.
- Ti interessa davvero saperlo? – chiese, con voce priva di inflessione, quindi, se possibile, ancora più terribile. Non acuta, non fanciullesca, ma vuota, oscura, senza tempo.
Strinsi i denti per non mostrare evidenti segni esteriori del timore che mi attraversava. Perché Road ora sembrava quasi voler incutere timore referenziale e, al di là del suo aspetto di bambina, ci stava anche riuscendo, purtroppo.
- Be’, noi andiamo… - commentarono quasi all’unisono gli altri due, passando cupamente i loro occhi da me alla mia interlocutrice. Nascondevano qualcosa.
- Perché? – chiesi, confusa da quel loro bizzarro tentativo di fuga.
Distolsero frettolosamente lo sguardo ed entrambi immersero le mani nelle tasche dei pantaloni aderenti, impacciati.
- Vi lasciamo parlare… - spiegò infine Debit.
- Non credo sia necessario… - tentai di dire, sconfitta evidentemente dalla Paura. Possibile che non avessi il coraggio di affrontarla da sola?
- Tanto dobbiamo chiamare Lulù… - ammise Jusdero, alzando solo per un istante gli occhi grandi e un po’ acquosi.
- Perché? – ripetei ancora, anche se non ero ansiosa di saperlo.
- Ci aveva chiesto di cercarti, perché voleva parlarti, ma a questo punto… - e Debit lanciò uno sguardo inquieto a Road che, serissima, si limitò ad annuire.
Non potei evitarmi di pensare che anche questo era un pessimo segno e non mi interessava se Road avesse intenzione di leggere anche questa mia oscura previsione. Sentivo già la sua mente premere violentemente per entrare nella mia e la rabbia tornava a mescolarsi soavemente con la Paura.

Anche quando i gemelli si allontanarono, la bambina non diede segno di voler parlare, ma in silenzio si diresse a passi leggeri nel salotto. La seguii altrettanto silenziosa, non sapendo esattamente né cosa aspettarmi né cosa dire.
Quando il portone scuro si chiuse con un tonfo, si sedette con grazia su una poltroncina viola e mi scrutò con la solita intensità da sensitiva.
Dato che la pazienza stava sfumando dal mio contegno, dopo aver deglutito cautamente ma silenziosamente, risposi a quella domanda di poco prima:
- In realtà normalmente non mi interesserebbe dov’è finito il Conte, ma dato che sembra che non me lo si possa dire, ora mi interessa… -
Quella affermazione ebbe almeno il merito di causarle una smorfia di fastidio. Certo meglio della precedente espressione vuota.
- Prepara una sorpresa. – sentenziò, cupa.
- Una bella sorpresa? – chiesi, tesa, per rompere il silenzio che sembrava voler riprendere il controllo di quella stanza.
- Si, certo. Di quelle che non si dimenticano. – rispose ancora, ma non c’era nulla di lieto nel suo volto. Tutti i suoi tratti, comprese le labbra sottili, erano tesi, pericolosamente sospesi sopra un fastidio accennato o, peggio ancora, un prevedibile scatto di ira.
Non sapevo quanto ancora potevo tirare la corda, ma non avevo scelta. Tacere non mi avrebbe aiutata a capirne di più o a combattere l’ansia.
Per nulla desiderosa di sedermi, cosa che invece di rilassarmi mi avrebbe fatta sentire in trappola, mossi qualche passo sospeso verso di lei.   
- Allora perché non mi sembri contenta? – chiesi, senza neanche tentare di mostrarmi innocente.
Il sottinteso nascosto in quella domanda era fin troppo evidente per lei. Perché se la sorpresa, evidentemente, era per me e me la preparava il Conte, non c’era davvero nulla di cui rallegrarsi, almeno per quanto riguardava la mia posizione. La piccola e diabolica Road, invece, in linea di massima avrebbe dovuto divertirsi da morire alle mie spalle. Il fatto che non lo stesse facendo mi incuriosiva quasi più di quanto mi atterrisse la notizia di un oscuro piano del nostro capo.
- Perché non sono d’accordo con lui. -
Sbattei gli occhi con stupore genuino. E la domanda sarebbe stata di nuovo “perché”, ma non me la fece neanche formulare.
- Il suo progetto è sbagliato, dall’inizio alla fine. Non ci credo per nulla. E ora sono stufa di nasconderlo. -
- Allora accordati con me… - dissi, d’istinto, senza ragionare neanche un istante su quello che le stavo proponendo.
Ecco, ero riuscita di nuovo a fare la figura dell’ingenua.
Un ghigno malvagio, il primo che le avessi visto fare in quel modo così inquietante, stravolse completamente il suo viso:
- E cosa ti fa pensare che questo comporti che siamo dalla stessa parte, “sorella”? -
Avvertii una dolorosissima fitta al petto e un forte formicolio di panico in tutto il corpo.
Ma non feci in tempo a pensare nulla, che la porta alle mie spalle cigolò, aprendosi.
Lulubell entrò nella camera con il suo solito piglio autoritario, ma con la minaccia scritta sul viso elegante. Cominciai a sperare di poter scappare, in qualche modo, subito, mentre il mio cuore perdeva l’ennesimo battito. La volontà di sapere si era spenta, sostituita velocemente dal desiderio di fuga.   
Road non mutò minimamente espressione, continuando a fissarmi, mentre la ragazza si posizionava al suo fianco, le braccia incrociate.
- Io sono dalla SUA parte. – specificò la bambina, come se la scena non fosse stata abbastanza eloquente.
- Quindi… ? – chiesi, ben sapendo che se avessi formulato una frase completa, la voce mi avrebbe tradita. Mi sentivo ghiacciare.
- Smetterò di fare finta di nulla, smetterò di compiere solo lievi gesti di dissenso e, infine, smetterò di fingere con te, Vivy. Da oggi siamo nemiche. – commentò Road, con una tranquilla alzata di spalle.
Per fortuna finalmente un po’ della mia presenza di spirito era tornata al suo posto, abbastanza da indurmi a prendere parte attiva all’assurdo momento che si stava svolgendo davanti ai miei occhi.
- Perché tutto questo…? – chiesi allora, guardando per abitudine sempre verso la bambina.
Ma la risposta arrivò da poco lontano.
- Perché ritengo che mi sia stato fatto uno sgarbo. -
Alzai lo sguardo per incontrare gli occhi gialli di Lulubell. Mi ricordai in quell’istante che probabilmente non avevamo mai parlato e che quindi forse non ci eravamo mai trovate faccia a faccia in quel modo. Eppure non aveva più importanza tutto quello che sapevo su di lei: il suo aspetto implacabile e rigido, la compostezza glaciale di ogni parola, la devozione da soldato con cui seguiva le indicazioni del capo-clan, la patina di perfezione che sembrava lucidare ogni giorno per mostrarsi, a detta dei gemelli che ogni tanto arrivavano a battere su quel chiodo, molto più devota alla causa di tutti gli altri Noah messi insieme.
Ora contava solo quello sguardo vivido, animato da una chiara e forte tensione d’animo, ma che sembrava pronto a mostrare ogni genere di emozione nella forma più prepotente e forte. Nelle iridi brillanti del colore diabolico e quasi tanto ardenti da rendere difficile fissarle, c’era solo odio, disgusto, astio. Rivolto a me, esclusivamente a me.
- Non capisco… - tentai di dire, scuotendo la testa per nascondere la verità: quella semplice occhiata sembrava incenerirmi e non riuscivo a sostenerla più di qualche istante.
- Oh, Vivy! – Road si intromise, con un’allegria contagiosa, nonostante l’atmosfera tesa che lei stessa era riuscita a creare – Non essere sciocca! Sono sicura che tu sappia perfettamente qual è il progetto del Conte per te, no? –
- Mi state parlando per enigmi… - borbottai a bassa voce.
- Lo stai pensando ora. “Vuole farmi diventare una degna Noah.” Brava, è vero. Ed è palese cosa sta usando per tentare di “corromperti”… -
Strinsi i denti perché altrimenti le avrei immediatamente urlato di uscire dalla mia mente. Il mio spirito combattivo stava tornando a vibrare nelle vene, ma la verità era che mi trovavo in una situazione di completa impotenza.
- Vedi, Vivy, io credo che non sia giusto usarti tutti questi riguardi. – sorrise ancora una volta di un ghigno crudele – Una spina nel fianco deve essere sradicata prima che faccia infezione. E’ vero. Ma urge cautela. Soprattutto se la si cerca di asportare con un bisturi. Anche il bisturi può fare molti danni, in mani non del tutto attente. E poi, se ci si fa male davvero, valeva la pena di preoccuparsi di un forellino, quando ci si è tagliati mezzo addome…? –
- Continuo a non capire la metafora… A parte il fatto che mi identifichi con una spina… - e una smorfia di fastidio probabilmente superò la patina di terrore.
- Non togliermi il divertimento facendomi svelare tutti i misteri… - e gli occhi le si ridussero in due fessure crudeli mentre il tono tornò ad essere poco più di un sinistro mormorio – Io non voglio che il Conte lo usi in questo modo. Non voglio gli succeda nulla. E’ ancora così instabile… E poi, non sono sicura che il dottore si renda conto delle conseguenze che può avere un qualunque gesto sbagliato con lui… Te l’ho già detto, no? Considero un bisturi molto più pericoloso di una generica minaccia. – mi rivolse una liberatoria scrollata di spalle – Tanto più che in molti casi il corpo espelle da solo le spine dalla pelle… -
Chiusi gli occhi, sperando per un istante di riaprirli in un altro luogo, in un altro mondo, in un’altra vita. Invece li riaprii sull’espressione ridente del piccolo diavolo che sedeva di fronte a me:
- Capito ora, Vivy? –
Mi sentii girare la testa, ma ebbi ancora la presenza di spirito di non scappare via dandogliela vinta. Non sapevo dove fosse esattamente nascosto il mio orgoglio, ma era un antro ben difeso dall’influsso della Paura.
- Non ti sto minacciando, comunque. Non ancora. Questo lo lascio fare a Lulù. – e rivolse un gesto alla ragazza ancora in piedi di fianco a lei.
D’istinto tentai ancora di guardare la mia nuova interlocutrice, senza molto successo. Feci in tempo, comunque, a percepire il lampo di muta soddisfazione che passò sul suo viso. Poi la sua voce fu dura e crudele, forse ancora più di prima, forse perché ora era cosciente di avere una qualche superiorità su di me:
- Ti è stato assegnato ciò che è mio. Ora ho dei doveri, ma appena mi sentirò abbastanza libera di agire, ti consiglio di non trovarti sulla mia strada. -
- Di cosa parli…? – chiesi al pavimento più che a lei.
Mosse due passi verso di me, obbligandomi mio malgrado ad alzare la testa:
- Il Conte mi ha dato un compito. Sono tenuta ad eseguirlo, ma anche ad interpretare le sue disposizioni, quando non sono del tutto precise. -
- Tu non ti faresti problemi a farmi del male…? – chiesi, osando una smorfia di scherno che però si spense subito.
- No. Non mi farò problemi ad ucciderti. Lui è MIO. –
E lo vidi, quello che mi era sfuggito poco prima, il motivo che stava alla base del suo odio e della sua stessa natura. La Lussuria folle, feroce, quasi animale. Un desiderio di possesso malato, degenerato e privo di scampo. E rivolto interamente all’arma che il Conte usava per comprarmi, al “bisturi” con il quale sperava di evitare che facessi infezione nella Famiglia, a colui che mi aveva assegnato al solo fine di ottenere la mia anima.
Rivolto all’uomo che amavo e che volevo al mio fianco…
Ecco allora, entrambe mi volevano lontane da Tyki, senza mezze misure, senza mediazioni, anche a costo di contrastare il Conte, che voleva unirci proprio al fine di inserirmi a viva forza nel mondo oscuro…
Road sapeva cosa speravo e non poteva accettare che il progetto del nostro capo-clan mi avvicinasse al suo “zietto” al punto che un loro ipotetico fallimento mi aprisse la strada a portare il mio amato via dalle tenebre insieme a me. Il gioco non valeva la candela e se io volevo fare la rivoluzionaria potevo farlo, ma da sola, senza osare trascinare nessuno con me. Questo era solo un avvertimento, certo, ma forse non ce ne sarebbero stati altri.
Lulubell, con quegli occhi di brace, era disposta a tutto. Se appena il Conte avesse allentato il guinzaglio che la legava per mezzo dei suoi ordini ben precisi, me la sarei ritrovata addosso, disposta a sbranarmi come una tigre, a costo di tenermi lontana dalla sua preda. Quell’uomo elegante e malizioso, lussurioso quanto bastava ad attirarla a sé, aveva fatto breccia nei suoi desideri ed ora non poteva essere altri che suo. Ad ogni costo…
- Con la mia sola esistenza vi ho rese mie nemiche… - sussurrai, volgendo la testa verso sinistra, alla bimba che sedeva ondeggiando le gambe sulla poltrona.
- Cominci a capire? Brava, ora sai. – sentenziò lei, netta.
Sentivo ancora gli occhi della più grande che mi fulminavano con quell’odio innaturale, ma, nonostante il fastidio che mi provocavano, la comprensione di ogni cosa mi rendeva a poco a poco più forte.
- E ora? Credi che mi inginocchierò ai tuoi piedi e chiederò perdono perché mi sento ancora una buona cristiana? Credi forse che sarò tanto impaurita da prometterti di smettere di lottare per ciò in cui credo? Credi che ti concederò il piacere di trattare chi amo come desideri? –
- Umh, ammetto che un po’ ci ho sperato… Ti facevo più intelligente… - rispose, sbeffeggiandomi.
Tuttavia, avevo finalmente ripreso coraggio, e, ignorando volutamente la provocazione, riuscii invece a contrastare apertamente colei che si trovava ancora in piedi di fronte a me. Mi dimostrai abbastanza risoluta da squadrarla con altrettanto disprezzo:
- Non permetterò a nessuno di competere con me. Se volete togliermi di mezzo, si, dovrete ammazzarmi. Ma dovrete riuscirci. Sono sopravvissuta a cose ben peggiori di una zitella isterica, comunque. Questo solo per avvisarti, Lulubell. -
Una lieve tensione della mascella mi fece intuire quanto si stesse impegnando per non scoppiare. Mi venne quasi da ridere: la donna lussuriosa stava tornando ad essere l’umile soldatino. E il Conte di certo non le aveva ordinato di squartarmi pezzo per pezzo, cosa che invece sembrava essere al centro dei suoi pensieri in quel momento.
- Riempiti la bocca parlando di lui come se fosse “tuo”, perché Tyki non è di nessuno. Io, che lo so, faccio del mio meglio e spero con tutte le mie forze di essere ricambiata. Perché io voglio essere “sua”, non accampare ridicoli desideri di possesso per limitare la sua libertà. E in ogni caso non mi farò da parte, non mi farò sconfiggere, non perderò contro di te. -
Feci solo un passo indietro, soprattutto per sottrarmi all’ombra della “gatta”, e rivolsi un’occhiata sferzante ad entrambe le mie avversarie:
- Se questo è quanto, me ne vorrei andare. -
- Vattene. – sentenziò Lulù, imponendosi poi di richiudere la bocca e voltarmi le spalle, prima di perdere definitivamente le staffe.
- Certo, per ora non c’è altro… Ma il divertimento comincia ora, è chiaro… - sorrise, tiepida, la bambina, con viso angelicato.
Uscii dalla stanza prima di rivolgerle la sberla per la quale mi prudevano le mani da alcuni minuti. L’unico gesto che poteva meritare una bambina così malvagia e magari poteva mettere a tacere per un po’ una creatura demoniaca.

Certo, che avevo Paura. Una terribile paura, tale da fermarmi il cuore. E avrei continuato ad averla e a sentirla crescere ogni giorno in più, nel dubbio perenne di essere ormai pronta a diventare la vittima designata della mia stessa “Famiglia”.
Ma se quella scena di intimidazione mi aveva dimostrato qualcosa, era che facevo bene a continuare a sperare. Perché la mia speranza aveva fondamento. Lo dimostrava ampiamente il modo in cui le altre due femmine di casa si erano sforzate di organizzare quello spettacolino al solo fine di fermarmi.
Solo a mente fredda ricordai quella stupida battuta dei gemelli: “Ma Lulù lo mette il dito…”. Avevo sbagliato a non darci peso, ma in fondo, cosa sarebbe cambiato? Di certo non potevo affrontarla apertamente per semplici insinuazioni, così come non aveva senso sperare che ciò avrebbe ottenuto qualche risultato. Non si poteva accampare una tregua o un’alleanza su un simile argomento, questo era evidente. Me o lei.
E improvvisamente non ero più certa che avrei davvero potuto vincere…



Dallas quasi saltellava, esaltato, nella mia direzione. Dire che fosse entusiasta probabilmente poteva considerarsi riduttivo.
- Victoire! Sono meravigliosi! Li hai già visti!? – mi investì, con un’allegria devastante, a pochi metri dall’entrata del teatro.
- Sono appena arrivata… - mi limitai a dire e cercai di superarlo sgattaiolando alla sua sinistra.
- Davvero! Non potevano farli meglio! La stampa è perfetta! L’incisione è divina! – insisteva, cercando a fatica di stare dietro al mio passo affrettato.
- Di cosa parli…? – chiesi.
Mi sentii prendere per il braccio: - Ma ti senti bene!? I manifesti della prima di domani! –
- Ah, quelli. – minimizzai, sottraendomi alla meglio dalla sua presa.
- Si può sapere cosa ti prende? Fino a ieri sembravi al settimo cielo, come normale, all’idea dell’opera di domani! – chiese, ora sinceramente preoccupato.
Perché se Dallas aveva imparato qualcosa di me, era che amavo il mio lavoro. Il resto continuava a sfuggirgli, soprattutto il fatto che continuassi a non aver alcuna intenzione di tradire il mio fidanzato con lui… Cosa che in effetti poteva irritarmi.
Nonostante il fatto che avesse allungato le mani per fermarmi non mi fosse piaciuto per nulla, era comunque evidente che la sua ansia per il mio comportamento era spontanea. Ma non avevo nessuna spiegazione da dargli…
Dovevo dirgli che la sera prima ero stata minacciata di morte da ben due demoni inquietanti e molto pericolosi e che la cosa mi lasciava ancora un po’ scossa? Dovevo dirgli che ormai ero quasi insonne da tre giorni, tormentata da un acuito conflitto interiore e, dopo l’esperienza del giorno precedente, dalla perenne sensazione di essere osservata e minacciata? Dovevo dirgli che avevo un disperato bisogno di rivedere Tyki, di essere sicura che lui fosse ancora dei nostri, una persona vera, e che non fosse già in pericolo di precipitare nel Piacere volgare che “la gatta” avrebbe volentieri aiutato ad alimentare?
- Sono solo un po’ stanca, Dallas… - mi limitai a dire, abbozzando un sorriso quasi credibile.
- Sarà… In questo caso, comunque, devi riguardarti… Vuoi che parli con l’impresario? Tanto sei già più che preparata per la rappresentazione. La prova generale è solo una simulazione e magari è meglio se la salti e ti riposi, almeno oggi. – chiese, apprensivo, muovendo una carezza melensa sulla mia guancia, gesto al quale risposi con una smorfia.
- Non è necessario. – conclusi, fissandolo con decisione.
Lui apparve imbarazzato di fronte al mio netto rifiuto delle sue cure e infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, distogliendo lo sguardo. Poteva fare tenerezza, è vero, ma si stava sbilanciando troppo nei miei confronti e non doveva permettersi di andare oltre il rapporto di lavoro e di amicizia. Quei gesti, invece, erano troppo accentuati ed evidenti da meritare solo un silenzioso rifiuto.
- Entra pure, Dallas… Ti seguo tra un attimo… - dissi, fingendo di aver visto, dall’altra parte della strada, qualcosa di interessante.
- Va bene, Victoire… - disse solo, leggermente irritato precedendomi a grandi passi nell’edificio illuminato.
Appena fu abbastanza lontano, emisi un lieve sospiro e mi aggiustai in un gesto meccanico i pettini che mi ero infilata tra i capelli. Altrettanto automaticamente andai davvero a guardare per un istante la vetrina opposta alle porte del teatro, ma non tanto per studiare le scarpe che vi erano esposte, piuttosto per scrutare la mia espressione. Proprio come immaginavo, sembravo un soldato pronto alla guerra: pupille dilatate, labbra serrate e tese, pallida e quasi livida dalla tensione. Come se non fosse bastato questo, la cipria e il fondotinta non coprivano in modo soddisfacente le occhiaie, che si distinguevano ancora, anche se non ci si poneva troppa attenzione. Sbuffai, questa volta con dispetto. Come si poteva fare finta di nulla quando l’aspetto parlava da solo?
In quel momento, un lampo brillante squarciò il cielo nuvoloso, seguito quasi subito da un rombo che, nonostante il segnale di avviso che l’aveva preceduto, mi fece sussultare. Già nel tardo pomeriggio il tempo si era fatto meno gradevole, ma nulla aveva fatto presagire una simile deriva, prima.
Non fui la sola a restarne turbata: tutti i passanti accelerarono il passo, soprattutto le dame dai lunghi e ingombranti vestiti da sera. La loro passeggiata serale stava probabilmente per essere rovinata da un bel temporale e i loro begli abiti ricamati erano in procinto di essere appesantiti, stropicciati e magari sporcati dalla pioggia e dalla fanghiglia che si sarebbe formata ai lati delle strade. Anche per loro, in fondo, le circostanze erano piuttosto sfavorevoli.
Non che la cosa mi consolasse molto dai miei problemi, ma era un inizio…

Attraversai la strada e entrai nel teatro mentre due inservienti stavano mettendo al riparo dal vicino acquazzone due grandi cartelloni che pubblicizzavano “La Carmen”.
Ricordando l’allegria di Dallas, mi attardai un istante a guardare i manifesti appesi ai due lati del banco della biglietteria. La sala d’ingresso era quieta, silenziosa, illuminata certo, ma di un lume artefatto, reso cupo dall’ombra nera che proveniva dall’esterno, dalle grandi finestre sulla facciata.
Ero concentrata squadrare la netta violazione alla richiesta mossa al mio datore di lavoro, quell’incisione enorme del mio busto che riempiva da sola metà del foglio pubblicitario e che io lo avevo pregato di evitare.
Per questo non udii i passi alle mie spalle, che probabilmente erano invece rimbombati pesantemente nell’atrio silenzioso.
Poi fu un soffio, viscido, strisciante come un serpente, osceno come una carezza volgare non richiesta e malvagio come una violenza perpetrata alla luce del giorno.
- Ecco la piccola strega… -
Non mi voltai. Non subito. E sbagliai, enormemente.
Solo che il campanello d’allarme fu tanto brusco da pietrificarmi e il riflesso che avrebbe portato chiunque a voltarsi subito verso un richiamo improvviso alle proprie spalle si spense in un brivido.

Una voce che sapeva di un passato da troppo tempo chiuso in un cassetto, ma indimenticabile. Il richiamo di un incubo, intensificato da quell’inflessione sadica e perversa che aveva assunto per quelle poche e semplici parole.
- Non mi ingannavo, dunque. La meretrice assetata di sangue… nemica del genere umano… rinnegata da Dio… -
Volevo voltarmi, ma non ci riuscivo. Più lo sentivo parlare, più la sua immagine fisica si mostrava ai miei occhi e mi impediva di muovermi. Insieme al flash inquietante del bianco di quelle vesti, rovinosamente macchiato di sangue…
- … la bella tentatrice… -
Pregai che sparisse. Soprattutto perché c’era qualcosa di ancora peggiore. Quel tono era stato ardito, autoritario, vanaglorioso, imperioso e disgustato, mai così volgare e roco.
In un istante, due mani si posarono sulle mie braccia e mi obbligarono a voltarmi.
E un lampo bruciante, congiunto ad un tuono potente, riempì la sala.
Era un uomo alto, robusto, dai radi capelli bianchi e dalla lunga barba ormai solo lievemente rossiccia. Una cicatrice passava sulla guancia, in una linea netta sotto il suo occhio sinistro.
Non volli incontrare il suo sguardo. Non volli mostrargli che avevo Paura.
- Ci rivediamo. Sei cresciuta, piccola strega. Anche più di quanto credessi… -
Un’inflessione acuta, rauca. Un’occhiata che percorse tutta la mia figura. Un sospiro e un mugugno di approvazione scosse lievemente la veste bianca, tesa sul petto.
Quelle mani pesavano ancora sulle mie spalle, inchiodandomi al suolo, ma cogliendo anche ogni mio piccolo tremito. Non potevo concedergli la mia debolezza…
- Voi siete invecchiato, invece… Invecchiato male, direi… - ribattei, dura, ma a voce tanto bassa da non risultare quasi udibile, contrastata anche dallo scrosciare intenso della pioggia, oltre i battenti ancora spalancati.
Combattere, dovevo combattere. Mi ripetevo questo verbo nella mente, ma ad ogni ripresa perdeva un po’ della sua forza.
E Padre Rouelle sorrise, scoprendo i denti marci e tutto ciò che le sue parole lasciavano solo intuire.
- Pungente e offensiva. Mi dovresti rispetto, ma non posso pretenderla da gente come voi. – rispose.
Però non si limitò a questa osservazione. Sporse il suo viso rugoso e insinuatore verso il mio, quasi a volermi rubare l’aria che respiravo già a fatica, quasi a ridurre ogni distanza e a imporre il suo controllo totale su di me. Mi sentii morire quando quelle mani violente scesero sulle mie braccia, scivolando verso il basso come una chiara minaccia.
- Ci sono poche cose che si possono pretendere da creature come voi… Del resto vi acconciate come donne affascinanti per predare gli uomini, no? Si vede che hai imparato da tua madre le vostre arti… Anche lei era una forte tentazione… -
Fu sentire nominare mia madre che improvvisamente mi riaccese.
Sgranai gli occhi e presi a divincolarmi, tirando finalmente fuori la voce:
- Non osate nominare mia madre! Voi, animale! Voi, dannato mostro! Uomo senza Dio! –
Appena avevano avvertito i miei tentativi di ribellione, le sue estremità si erano strette con più forza, quasi volessero spezzare i miei deboli arti. Ma quell’uomo rideva, sadico e per nulla intimorito. E non solo perché nella realtà dei fatti mi avesse davvero del tutto sotto il suo controllo…
- Urli? Vuoi chiamare qualcuno? – domandò, infingardo, attirandomi con uno strattone più vicino alla sua figura falsamente immacolata.
- Si! Lasciatemi andare! O vi faccio portare via! – urlai, ma con il tono incrinato dal terrore.
Una risata diabolica fu evocata dal frate. Un riso privo di gioia, animato da un divertimento comprensibile solo a chi amava vedere soffrire e sanguinare persone innocenti.
- Si, certo! – esclamò, ironico, per poi sussurrare vicino al mio orecchio, con un atteggiamento intimo che mi provocò un lancinante moto di disgusto – Così avrò una buona scusa per portarti via, proprio come era mia intenzione… E sai che ho l’autorità di farlo… - e si interruppe per un istante, per emettere un vago mugolio divertito – Forse non te ne sei accorta, piccola strega… No, piccola Villois… Ma il tuo vero aspetto di meretrice è affiorato sul tuo volto… -
La Paura era sovrana del mio corpo. La Paura era mostrata con i colori dei Noah senza che io potessi controllarla.
No, assolutamente. Non poteva essere.
Sentii da lontano il mio nome. Dallas stava correndo ad aiutarmi.
Ma non potevo farmi vedere così. Non dovevo…
- Lasciatemi! – gridai ancora, mentre i passi affrettati si facevano sempre più vicini.
Afferrai d’istinto le braccia protese verso di me e che ancora mi tenevano ferma. Ma non potrei spiegare cosa avvenne.
Per un istante vidi solo nero, profondo, intangibile. Nel momento in cui l’abisso riprese colore, Padre Rouelle mi aveva lasciata andare. E l’istinto fu allora più forte di ogni altra cosa. Anche se la gambe tremavano senza controllo, riuscii a mettermi a correre, più veloce che potevo, verso l’esterno, incurante del temporale.

Non andai molto lontano. Due isolati più avanti mi ritrovai malamente nascosta in un vicolo scuro, già bagnata fradicia e del tutto priva di forze. Mi coprii il volto con le mani e cercai di non pensare al potere oscuro che sentivo ancora scorrere sulla mia pelle. Pensai piuttosto alla pioggia che picchiettava sul mio abito e su ogni parte del mio corpo trovasse scoperta, senza tregua, aumentando sempre più la mia fiacchezza. Tentai di prendere fiato, soprattutto, ma la corsa mi aveva tolto quel poco di respiro che l’ansia di quell’orribile incontro mi aveva lasciato. La vista quasi mi si scuriva, come se l’apnea che non riuscivo a superare rischiasse di farmi perdere i sensi. Il cuore mi batteva troppo forte, sembrava volesse di consumare la mia stessa energia vitale e che presto si sarebbe trovato tanto stanco da fermarsi, per sempre. Appoggiandomi al muro, scivolai fuori dall’ombra e controllai che nessuno mi stesse seguendo.
Non avevo la forza di pensare, non riuscivo pensare a nulla.
Ora credo invece, che ci fosse molto su cui ragionare, immediatamente, per tentare di schiarirmi le idee. Per esempio, come quell’infido inquisitore fosse riuscito a trovarmi. Come fosse possibile che si ricordasse perfettamente il mio nome e cognome al punto da riconoscermi nella soprano di quel teatro così noto ma del tutto fuorimano.
Ma anche se avessi formulato quelle domande, ogni altro pensiero sarebbe stato scacciato da un solo improvviso, indelebile fatto casuale.
Non seppi mai come considerarlo, in realtà, ma sicuramente non un vero e proprio evento fortuito: era stato voluto e studiato. Ma Dio per aiutarmi? O dal Conte per tentarmi?

Proprio di fronte al breve vicolo nel quale mi ero rintanata e dal quale in quel momento stavo riemergendo, si trovava un locale rinomato. Subito dietro alla larga vetrata illuminata che dava sull’ampio corso, c’erano alcuni tavoli, ben visibili dall’esterno, soprattutto in una notte oscura come quella.
Presso una di quelle postazioni, sedeva un uomo affascinante che mai avrei potuto confondere con un altro al mondo.
Dal lato opposto, intenta in una piana conversazione, però, era accomodata una elegante donna dallo sguardo felino…
Lo scontro con la verità fu violento.
Il mio cavaliere era impegnato, non sarebbe venuto a salvarmi.



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Ehilà!!! Chi non muore si rivede!!! (E grazie a Dio non sono morta, quindi... XD)
Che dire, sono stati mesi piuttosto impegnativi e la mia mente ha sventagliato un po' ovunque...
Tranne che dove serviva una degna ispirazione per terminare l'opera cominciata... -_-
Quindi il capitolo che avete letto é stato un parto lungo, contrastato, che a lungo mi é sembrato uno scoglio che avrebbe chiuso per sempre l'esperienza con questo scritto...
Non é stato così per fortuna...
In questo senso, ringrazio infinitamente la mia Allieva, che non ha mai perso le speranze di vedermi riprendere in mano questo lavoro... ^_^ Thank you, my dear!!!

L'incontro a sorpresa è sempre stato nei miei piani (e in quelli del Conte, come immagino abbiate intuito), diversamente dalla scena "mafiosa" con Road e Lulu, che é nata in maniera abbastanza misteriosa in un momento di laspus (direi proprio così) di qualche mese fa, nel mio primo tentativo di rimettermi all'opera... Ma alla fine ci sta, mi sembra.
Del resto é anche vero che ho sempre voluto fare di Lulubel la rivale di Vivy... Per principio! XD

Per il prossimo capitolo, temo che l'attesa sarà lunghetta...
Non solo perché ho cominciato un'altra longfic (mi scuso molto), ma anche perché il tempo continua a non abbondare...
E nelle vacanze dovrò preparare un esame da dare a settembre...
Insomma, sarà un disastro... -_-

Però, ragazzi, aspetto recensioni, come sempre.
Perché chiaramente sono anche ciò che mi spinge a continuare a spremermi per scrivere qualcosa anche se tempo e ispirazione si assentano volentieri...
Quindi, se qualcuno ancora ricorda questa storia ed é stato felice di leggere la continuazione, me lo dica!!! Mi farà felice!!! ^_^

Bye-Bye!!!!


  
  
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