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Autore: AlexaHumanoide    02/06/2010    4 recensioni
Quando Bill, dall'altra parte alzò lo sguardo verso di lei, si immobilizzarono tutti e due a guardarsi negli occhi.
Forse saranno stati colpiti dal famoso "colpo di fulmine", pensai, ma cambiai subito idea quando vidi il vestito della mia migliore amica sporco di sangue.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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V: Giorno di merda.
 

Ogni singolo muscolo del mio corpo trasalì ed io rimasi perfettamente ferma. Non avevo capito bene cosa aveva detto quel dottore o meglio, non lo volevo capire.

"C-Cosa?", balbettai.

Eccole: le lacrime erano di nuovo lì, a pulsare per uscire.

"Mi dispiace signorina.", disse lentamente, appoggiando la mano sulla mia spalla. "Abbiamo fatto il possibile."
A quelle parole il mio corpo si rese conto della realtà e ricominciò a funzionare.

Senza guardare in faccia né a Tom, né al chirurgo, mi girai e riiniziai a correre, questa volta tra le vie di Amburgo.
L'aria fresca mi batteva in faccia e le lacrime iniziarono a uscire libere. L'unica cosa che sentivo era il mio cuore che batteva forte e che sapevo, in un momento all'altro sarebbe sparito.
Correvo tra la gente, senza sapere dove stavo andando. Era la prima volta ad Amburgo e forse anche l'ultima.
Un unica parola mi ronzava in testa; quella parola che mi aveva spaventato più di tutte: coma.
Viola non poteva essere in coma, no. Non se lo merita, non se lo merita affatto. Oggi doveva essere uno dei più bei giorni della sua vita e invece si era tutto trasformato in un incubo.

Perché avevano sparato?
 Chi aveva sparato?

Non sapevo dare una risposta a nessuna delle due domande. Non sapevamo niente.
Davanti a me vidi un parco. Iniziai a correre più veloce, anche se avevo il fiatone, per raggiungerlo. La milza pulsava, faceva male, ma mai come il cuore. Mi buttai per terra quando vidi sotto i miei piedi il verde dell'erba e mi rannicchiai, cercando di fare diventare il respiro regolare.
Chiusi gli occhi e mi venne in mente quella scena: il sorriso di Tom, la stretta della mano di Viola e poi lo sguardo tra di loro e... Il sangue. Però, ora che ci pensavo, mancava qualcosa all'appello. Un tassello fondamentale: gli spari.

Perché non si erano sentiti gli spari? C'era troppo casino, forse?

Quella, però, non era la domanda principale, che prevaleva tutte le altre.

Perché avevano sparato proprio a Viola?

Questa, era quella predominante.
Non aveva alcun senso sparare ad una ragazza solo perché fan di quella band, no? O, almeno, non lei. C'erano così tante oche da strozzare in quel posto, perché proprio Viola? Che cosa aveva fatto di male?
O forse...

La mia bocca si spalancò e mi alzai, appoggiando la schiena all'albero che avevo dietro. Giusto... Non ci avevo pensato.
Forse non era lei il bersaglio, non era lei quella che volevano uccidere, ma Bill Kaulitz. Un cantante pazzo e ricco. Lui, infatti, era stato colpito, operato e ora era in coma, come Viola.

L'assassino aveva sparato due colpi, non uno. Il primo, forse, non aveva centrato la persona interessata così aveva sparato ancora, ma perché uccidere un cantante di fama mondiale?

Qualche idea c'è l'avevo, ma tutte quante erano stupide. Idee da non-fan.
Comunque poteva essere anche tutto il contrario: volevano colpire Viola e hanno preso per sbaglio Bill. Sì, poteva essere, anche se a me sembrava improbabile.
Una cosa ora era scritta in grassetto nella mia mente, un obiettivo da raggiungere da sola... O con Tom.
Trovare il colpevole a tutti i costi.

Quando sbattei gli occhi, l'immagine di Tom arrivò davanti a me. Tutto il mio corpo, prima divenuto rigido, si rilassò di colpo e la testa si abbassò.

Tom.

Mi venne in mente quello che aveva fatto poco fa.

Perché l'aveva fatto? 
Cosa voleva da me, sesso?

Volevo delle spiegazioni, ma non adesso. Scossi la testa e mi alzai. La cosa più importante ora era Viola.
Iniziai a camminare e a provare di orientarmi. Cercai il sole per trovare qualche suggerimento per la direzione da prendere, ma non lo trovai alto nel cielo: era già sull'orlo dell'orizzonte.
Il tempo era volato troppo velocemente. Sembrava un secondo fa quando Viola aveva spalancato la porta della mia camera gridando come una pazza, perché dovevamo partire per vedere i Tokio Hotel, invece da quel momento erano già passate dieci ore e ci eravamo allontanate. Lei era su un letto di ospedale e io ero tra le strade di Amburgo.
Dovevo andare da lei, non doveva stare da sola.

La sera era calata sulla città, quindi mi dovevo muovere. Feci un giro su me stessa per trovare un punto di riferimento. Non lo trovai: mi ero persa.

"Scusi..", fermai un signore di mezza età che stava passeggiando nella mia direzione. "Posso chiederle un'informazione?"
L'uomo si fermò e mi guardò.

"Certo, signorina.", mi rispose.

"Grazie..", lo ringraziai. "Sa per caso dov'è il Grüne Hotel?"

Il vecchio ci pensò su e mi rispose indicandomi la nostra destra.

"Deve andare sempre dritto per questa strada.."

"Grazie mille, davvero..", gli strinsi la mano.

"Di niente signorina!"

Iniziai a camminare spedita nella direzione che mi aveva gentilmente indicato il signore. Guardavo i miei piedi muoversi regolarmente.
La mia mente era completamente vuota, non volevo pensare a niente. Alzai lo sguardo solo quando riconobbi le aiuole fuori dell'Hotel dove alloggiavamo.
Mi fermai e rimasi a guardare la porta girevole color oro. Il mio sopracciglio destro si alzò: perché ero venuta qui? Dovevo andare in ospedale, non in Hotel.

Sospirai, sto diventando pazza.

L'illuminazione arrivò: dovevo prendere le cose di Viola, ecco perché ero venuta automaticamente qui e poi, mi dovevo fare assolutamente una doccia, ero a pezzi. Una doccia mi avrebbe fatto bene.
Entrai nell'hotel e notai due valigie vicino al bancone della segreteria. Sgranai gli occhi: erano le nostre.

"Signorina Fitz?", mi chiamò la segretaria.

Mi avvicinai al bancone e mi appoggiai su di esso.

"Si, sono io.", sussurrai: mi era andata via la voce.

'Dimmi che non è come penso.', supplicai a me stessa.

"Abbiamo dovuto portarle giù le valigie, dovevamo fare la camera.", disse tranquilla.

Rimasi immobile.

"Vuol dire che la camera non è più disponibile?", chiesi con voce malferma.

"No, mi dispiace. L'avevate prenotata fino alle 19."

Non risposi e la signorina, che prima stava pigiando freneticamente i tasti della tastiere, alzò la testa verso di me.

"Non c'è nessuna camera libera?", chiesi.

Cercò qualcosa sul pc.

"No, mi dispiace..", scosse la testa orizzontalmente.

Il mondo mi cascò di nuovo tutto addosso, facendomi ancora più male di prima. Ora ero ancora più disperata.

"O-Ok, g-grazie.", balbettai e con passi meccanici uscii dall'Hotel.

Che giorno di merda. Oltre ad avere la migliore amica in coma, ora non avevo neanche un posto dove stare.
Mi sedetti per terra, con la schiena contro il muretto dell'aiuola e chiusi gli occhi, cercando di pensare ad una soluzione.

All'improvviso qualcosa di gelato mi toccò la spalla.

   
 
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