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Autore: Ely79    05/06/2010    2 recensioni
Romania. Terra di foreste e montagne. Di laghi e fiumi. Di storia e di magia. Di draghi. I draghi che Charlie e i suoi colleghi studiano. E tra queste maestose creature, la piccola Siglinde. Salvata da morte certa, cucciolo di una razza in via d’estinzione, entrerà nel cuore dei membri dello staff. Soprattutto in quello del giovane Weasley.
Genere: Avventura, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Charlie Weasley, Famiglia Weasley, Nuovo personaggio, Rolf Scamandro
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Charlie Wesley'
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Capitolo 30
Il trambusto si affievolì, man mano che le persone salivano ai piani superiori.
Poliana uscì dalla dispensa, soddisfatta della quiete recuperata. Fra le braccia teneva una cesta con le forniture per la cucina: uova, olio, mele, caffè, un paio di strofinacci puliti.
Non c’era traccia della Zaffiro, altra cosa che le procurò una piacevole sensazione.
Varcò la soglia, udendo a malapena lo scalpiccio provenire dalle camere da letto. Qualcuno parlottava concitatamente. Le era impossibile distinguere la voce, ma poco importava. Mise ogni cosa dove era stabilito, avendo cura di riposizionare quanto era stato lasciato fuori posto.
Rimirò la stanza, pulita ed accogliente. Il piccolo regno che era stato del suo uomo. Un profondo struggimento la colse, subito ricacciato indietro.
Raccolse la cesta dalla tavola e tornò verso la porta. Posò la mano sul pomello e spinse. Un fresco refolo la investì mentre rimetteva piede all’esterno. Nubi grigie si allontanavano, dopo aver solo minacciato di liquefarsi sui monti.
Sbrigate le ultime faccende, andò a sedersi accanto alla tomba di Ioan. Da quando non c’era più, trascorreva ogni minuto libero a fissare la lastra di basalto che ne custodiva il corpo. Gli parlava sottovoce, illudendosi che potesse sentirla, immaginando le sue risposte melense, assennate, tranquille, rassicuranti. La cosa che maggiormente temeva Poliana non era di dimenticare il suo volto, ma la sua voce. Quella voce che tante volte l’aveva ammansita e coccolata.
Un fruscio di passi nell’erba la distrasse dai suoi monologhi. Si volse impercettibilmente, irrigidendosi quando distinse chi produceva quel rumore. Chinò di scatto il capo, fissando il terreno senza vederlo realmente.
La rom sedette all’altro lato della lapide, nel prato. La veste color narciso si allargava nell’erba, fremendo alla lieve brezza. La collana di schegge d’ambra ticchettava fra le sue dita, mentre una lunga traccia vermiglia andava asciugandosi sulla manica dell’abito.
Tzara sentì il sangue ribollire per la disapprovazione. Non avrebbe dovuto sedersi tanto vicina al suo Ioan. Non ne era degna. Non ne aveva il diritto. Decise di ignorarla, ma per quanto tentasse, non poteva far a meno di scrutarla con la coda dell’occhio.
La sua presenza la metteva in agitazione. Non avrebbe dovuto trovarsi lì.
«Per quanto ancora fingerai che non esista?» domandò placida Iris, sfogliando una margherita.
«Per sempre, se non avessi aperto bocca» sputò l’altra, storcendo il naso.
Era la prima volta che le si rivolgeva senza insultarla e senza urlare come un’ossessa. La presenza delle spoglie del marito le impediva di lanciarsi nelle solite scenate. Avrebbe turbato il suo sonno eterno.
Tornò a concentrarsi sui fili d’erba e sull’ombra tremula che gettavano sulla tomba.
«Vuoi continuare ad ignorarmi, ife
«Non t’azzardare a chiamarmi a quel modo!» ringhiò, i lineamenti tirati in una maschera di disgusto.
«E come dovrei chiamarti? È ciò che sei» replicò semplicemente.
Le diede le spalle, continuando a spiarla dal riflesso nella finestra.
Una voce femminile le raggiunse, ovattata dai muri. Helia. Gridava. Poi, sommesso, il pianto di Sara.
La rom sospirò.
«Sai perché sono qui»
La donna fece spallucce ostentando indifferenza. Non voleva guardarla. Era certa che se l’avesse fatto, avrebbe usato qualcuna delle sue magie. La bacchetta avrebbe potuto ben poco contro quelle come lei.
«Lo sai, Poliana»
«Allora, visto che lo so, perché non fai quel che devi? Sbrigati» ringhiò voltandosi, ma continuando a mantenere basso lo sguardo. «Attendo da tempo che sveli a tutti quel che sei» soggiunse con malcelata ironia.
Iris non si mosse. Rimase seduta dov’era.
«Lo farò, stanne certa. Rivelerò ogni cosa. E allora dovrai farlo anche tu»
«Non devo svelare un accidente. Io sono me stessa. Me stessa e nessun’altra» obbiettò, masticando amaro.
La ragazza contemplò gli ultimi petali bianchi sfuggirle dal palmo della mano, portati lontano dal vento.
«Sagge parole» disse, accarezzando l’erba col dorso della mano.
Faceva un delizioso solletico sulla pelle.
«Cos’è? Ci stai ripensando?» la stuzzicò, inacidita.
La rom scosse il capo. Più per rassegnazione che per diniego.
«Me lo ricordi tanto, quando fai così. Testardi e ottusi allo stesso modo» sorrise. «Sempre a fare la voce grossa quando pretendete d’aver ragione»
Sembrava divertita mentre lo diceva.
«Non so di cosa parli»
«Oh, credo tu sappia di chi sto parlando» sottolineò, frugando il suo viso in cerca di un contatto.
Una smorfia nauseata si dipinse sul volto della guardiadraghi.
«Io non sono come lui»
«Al contrario. Ne sei ben consapevole ed ciò ti rende ancor più brusca con gli altri» osservò, raccogliendo un’altra margherita. «Voleva rivederti e chiederti perdono. Puoi star tranquilla che non attuerà mai questo desiderio. Non può più»
Ci fu una breve pausa, durante la quale il brontolio sguaiato di Norberta riecheggiò lungo i muri della sede. Stava chiamando la cucciolata di quell’anno.
«È morto?» chiese la studiosa, fingendosi indifferente alla risposta.
«Otto anni fa» confermò l’altra, ammirando una lama di sole farsi largo fra le nubi a sud-est. «Aveva appena saputo che vivevi qui, che ti eri fatta una famiglia. Voleva venire a cercarti. Non si è mai perdonato…»
«Non m’interessa» tagliò corto, tornando a sedere.
«Menti molto bene, ife. Non abbastanza per me»
Le mani di Poliana stringevano le ginocchia, tradendo l’agitazione.
«Ti ho detto di non chiamarmi così»
«Preferisci… sorella?» indagò, la voce piatta. «Due parole con il medesimo significato, dopotutto. Solo il suono le differenzia»
Finalmente alzò il capo, fissandola inorridita.
«Non preferisco nulla di ciò che esce dalla tua bocca, mostro!» strillò furente, minacciandola con la bacchetta.
Le iridi dorate della giovane ebbero un fremito, quasi fossero attraversate dalle nubi turbinose che fluttuavano sopra il fondovalle.
«Bada, Nuje» l’ammonì. «Non sono io quella che ha rinunciato»
Per la prima volta la voce di Iris aveva preso una nota cupa e cattiva. Dai lineamenti traspariva l’innaturale quiete del suo animo. Guardandola si aveva la sensazione che percepisse quella conversazione sotto una luce diversa.
«Uccidere Charlie non farà tornare in vita Ioan» sospirò amaramente.
«Lui… me lo ha portato via… è colpa sua…»
«Cerchi di trovare un altro colpevole perché ti pesa ammettere d’esserti pentita della tua scelta»
La mano che la teneva sotto tiro tremò. Un vecchio ricordo percorse la mente di Poliana. Una fitta lancinante, da togliere il respiro. La certezza tangibile di aver tagliato la propria anima in due. Aprire gli occhi. Sapere che le persone intorno non erano la sua famiglia come credevano d’essere. E Ioan che le sorrideva, che aveva seguito guidata da un istinto ancestrale e inequivocabile.
«Ti sbagli»
«No» insisté decisa. «Hai fatto in modo che Isterica ci trovasse e ci attaccasse, nella speranza di compiere la tua opera. O io o lui. Non t’importava chi, sarebbe andato bene comunque. Magari entrambi»
«Sarebbe stato meglio» convenne. «Sei venuta a rovinarmi la vita e lui ti ha dato una mano!»
«Stai mentendo a te stessa. Charlie non ti ha mai fatto del male e nel profondo sai che è così» riprese alzandosi. «Eravamo venute per te. La vita che hai scelto ti ha allontanata dalla nostra gente»
«Questa è la mia gente!» sbottò, battendosi le mani sul petto.
«Anche se ti presenti con quest’aspetto, appartieni a noi. Non lo puoi cambiare. A prescindere da ciò che è accaduto, dentro di te scorre il mio stesso sangue, anche se svuotato di gran parte del potere originario. Sei e rimani mia sorella, anche in questa condizione incompleta»
Tzara tornò a chinare il capo per nascondere la frustrazione che l’attanagliava.
«Io ho fatto una scelta» disse, facendosi forza per mantenere un contegno.
Dentro però, il suo cuore urlava infelice che lo lasciasse sfogare, che potesse riversare sul mondo tutto la sua amarezza e disperazione. Per un attimo la vista le si annebbiò. Avrebbe tanto voluto sentire le dita del suo uomo asciugarle le guance. Scacciò quella debolezza. Era sola. Nessuno l’avrebbe confortata.
«Vorresti non averlo fatto» sentenziò l’interlocutrice, velata di comprensione.
Le lacrime tornarono a pungere le palpebre di Poliana. Sì, era vero. Guardare impotente la vita del suo amato scorrere via, ascoltare i battiti del suo cuore affievolirsi, il respiro spegnersi in uno sconfinato silenzio, l’aveva portata a maledirsi per quella decisione scellerata. Una decisione che non contemplava la possibilità di ritornare sui propri passi.
«Il dolore ti ha accecata al punto che hai sperato di recuperare un po’ di felicità distruggendo la nostra»
«No» ma sapeva di mentire.
Solo poche ore prima aveva guardato Weasley allontanarsi di gran carriera, impaziente di rivedere la sua bella. Ed aveva gioito. Aveva attirato la Spinata nei pressi del convento, dove si sarebbero incontrati. La femmina era disorientata da una malattia e non aveva più il Tracciante: glielo avevano tolto dopo averne accertato la sopraggiunta sterilità. Nessuno avrebbe potuto prevedere quell’attacco insensato e improvviso. Senza scampo. Sperava con ogni fibra del suo essere di riceve quell’infausta notizia. Un morto. Due morti. Avrebbero ripagato il suo cuore martoriato.
«Nuje. Ife» chiamò piano Iris.
«Ti ho detto di non chiamarmi così!» gridò, lanciandole uno Schiantesimo.
La sfera azzurra guizzò lontano, rimbalzando contro la figura accosciata. Iris la seguì infrangersi lungo il declivio, rattristata.
«Tu… tu non sai niente!» singhiozzò Poliana, avvicinandosi. «Se lui non avesse accettato l’incarico di Silente, se si fosse rifiutato… non avremmo badato a quel che accadeva là! Mio marito non sarebbe andato in cerca di Dolohov e quel delinquente sarebbe morto comunque senza il suo incantesimo a mantenerlo in forze.  Ioan avrebbe dimenticato i Vinatorii… saremmo stati felici finalmente… Ma Weasley ha accettato… e Ioan lo ha seguito… e tu eri qui… a ricordarmi ogni volta che cosa avevo perso! Che lo aveva condannato io!»
«Ioan non ha seguito Charlie o Silente. Ha seguito i suoi ideali»
«Non pronunciare il suo nome, maledetta!» sbraitò. «Non doveva andare. Gliel’avevo detto… Avevo paura… Non sono stata capace di fargli cambiare idea. Non mi ha ascoltata. Weasley non doveva permettergli di andare! Non era la sua guerra! Cosa centrava lui? Non era per quella gente che doveva combattere!»
«Ha fatto ciò che riteneva giusto per mettervi al sicuro. Ha combattuto per te e per Adrian»
«Dovevo impedirglielo! Dovevo salvarlo! Io dovevo trovare un modo. E invece… è morto… la sua vita… era nelle mie mani e non l’ho salvato… non ho potuto… non potevo fare niente… avevo rinunciato… sono stata una stupida…»
 A poco a poco la sua voce veniva meno, tramutandosi in un gemito strozzato.
«Hai fatto una scelta. Ne hai pagato le conseguenze»
«Perché non hai fatto nulla? Tu potevi! Tu…»
Un’improvvisa serietà apparve sul viso di Iris.
«Una sola vita a cui legare la propria, Nuje. Una sola in eterno» disse, come se citasse un antico testo. «Se l’avessi fatto, avrei dovuto portarteli via entrambi, lui e Adrian, è la tradizione. E la tradizione deve essere rispettata. Avrei obbligato Ioan ad essere mio. Ti avrebbe dimenticata, non avrebbe saputo riconoscerti come la madre di suo figlio, ma avrebbe per sempre avvertito un vuoto incolmabile dentro di sé, che lo avrebbe spinto a domandarsi ogni giorno perché la felicità non gli apparteneva. Avresti perduto il sorriso di tuo figlio, rivolto a me, che avrebbe creduto sua madre senza comprendere il motivo della distanza che avrebbe percepito tra di noi. Non ci sarebbe stato alcun legame a tenerci uniti. Solo magia. Era questo che volevi per loro? Una vita infelice accanto a me?» domandò aspra. «E io? Che amore avrei potuto dargli, sapendo che Charlie è il solo che voglio e devo avere al mio fianco? Mi avresti obbligata al silenzio, ad un mutismo insensato e deleterio. Per un tuo capriccio, ci avresti distrutti tutti quanti»
Boccheggiò. Aveva figurato quello scenario tante di quelle volte durante le notti insonni, che sentirlo proporre da altri la feriva. Avrebbe sacrificato volentieri il suo cuore per saperlo vivo, ma aveva sperato restasse solo un’oscura elucubrazione della sua mente prostrata. No, non poteva vivere senza Ioan e senza Adrian. Ma Ioan non c’era più…
«Hai rinunciato alla tua essenza, ai tuoi doni, alla tua vera vita. Nessuno ti ha imposto di scegliere, l’hai fatto valutando ciò che per te era importante in quel momento e per questo motivo hai il mio rispetto. Hai amato Ioan dal primo istante, sapevi che era lui. Avevi percepito il Vashqqot. Essere parte della sua vita in eterno, ecco cosa desideravi. E per questo hai rinunciato alla parte di te che ti aveva spinto verso di lui. E che l’avrebbe potuto salvare. Colpevolizzarti ora non servirà a ridargli la vita, ti sta aiutando a perderla»
Qualcuno si schiarì la voce, attirando l’attenzione della rom. La macchia nera dello sticharion di Padre Viorel quasi si confondeva con l’ombra della foresta, lontana alle sue spalle.
«Il giovanotto è sveglio. Vorrà conoscere l’accaduto»
Il volto della gitana venne attraversato da un brivido. Sapeva di non potersi esimere dal rivelare ogni cosa e temeva ciò che ne sarebbe seguito.
Colei che chiamava ife, sorella, affogava nel mare della disperazione. Era stanca di resistere, di lottare.
«Sia come deve essere. Compi la legge» bisbigliò  Poliana fra i singhiozzi.
Invece di allontanarsi, la zingara l’abbracciò.
«Lo spirito degli antenati sa quanto vorrei compiere ciò che la legge mi richiede, soprattutto ora, dopo che hai cercato di uccidere Charlie. Il mio Charlie. Avresti dovuto limitarti a me. Ma nostro padre ti aveva perdonata per aver massacrato parte della sua anima» spiegò sottovoce. «Gli mancavi, Nuje. E in punto di morte, io e nostra madre gli giurammo che ci saremmo assicurate seguissi la tua via come desideravi, rinunciando alla condanna»
La guardiadraghi non l’ascoltava. La sua mente correva ad una sentenza incontrovertibile.
«Tu devi…»
«Non dirlo neppure. Per quanto desideri con tutta me stessa dilaniarti le carni nel modo più orribile e spargerle da qui al mare, non diverrò la carnefice di mia sorella. Né oggi né mai. Manterrò la parola data a nostro padre, perché sei ciò che mi resta della nostra famiglia. La tua pena è talmente grande, che i tuoi gesti non possono essere dettati da un desiderio autentico. Il male avvelena i tuoi pensieri. Ciò che credi odio è solo rimorso e paura. Sei confusa, Nuje, nessuno ti condannerebbe per questo. Nemmeno il Primo» rispose, sciogliendosi dall’abbraccio ma tenendole le mani ferme sulle spalle.
«Io voglio morire! Voglio raggiungerlo!» pianse, aggrappandosi a lei. «Non posso continuare questa mezza vita senza di lui… non sopporto più di respirare»
Volse il capo al sepolcro, desiderando con tutta sé stessa di poter giacere in quella stessa terra.
«E Adrian?»
«Mio figlio capirà»
«Nuje, lui ha bisogno di te e tu di lui» disse, asciugandole le lacrime. «In te e Adrian respira una parte di Ioan, quella che vi tiene vivi entrambi. Se uno di voi venisse a mancare, anche l’altro perirebbe. Vuoi fare questo a vostro figlio?»
«Lo rivoglio… È mio»
«E tu sarai sua. Per sempre» confermò Iris.
«Dovevo salvarlo. Era mio… dovevo dargli la vita» singhiozzò. «Era mio… e l’ho abbandonato… ho rinunciato a salvarlo… sono stata una sciocca. Uccidimi»
«Non potevi conoscere il suo destino. Era un bambino quando l’incontrasti. Temevi non capisse, come nostro padre. Volevi proteggere il vostro amore, il vostro futuro, rinunciando a te stessa. Ioan ti avrebbe amata comunque, il Vashqqot non mente»
«Non ho potuto aiutarlo… l’ho ucciso io»
«Hai vissuto così a lungo tra le persone che hai tanto ammirato, che ora parli con il loro stesso cuore» e così dicendo le fece sollevare il volto, ancora bagnato di lacrime amare. «Ho passato anni a discutere con Viorel del perché non avrei dovuto ucciderti. Volevo un altro motivo, oltre alla promessa. Non mi bastava più. Ebbene, ti stupiresti di quale superba logica si celi dietro la parola perdono»
La romena scosse il capo prima di accasciarsi come un sacco vuoto, il volto sprofondato fra le mani. La zingara le fece un ultima carezza prima di raggiungere Viorel. L’uomo attendeva paziente.
«Stalle vicino, se puoi»
Il sacerdote annuì affranto. Un debole lucore parlava della sua partecipazione al dolore di Poliana.
Rolf e Luna, nell’ingresso, non dissero nulla mentre la rom passava. Si limitarono a fissare la sua schiena sparire nelle scale, diretta alla stanza di Charlie.
«Avevi mai sentito di qualcosa del genere?»
La ragazza scosse la testa, facendo ondeggiare i grossi orecchini a ravanello.
«È…» e si bloccò, portando le nocche al mento in cerca d’ispirazione.
«Insolito?» suggerì Scamandro, conoscendo la sua predilezione per quel termine.
«Strabiliante! Un evento che mai avrei ritenuto possibile. Più improbabile persino di un incontro con un Ricciocorno Schiattoso!» esclamò estasiata. «Secondo te, nella biblioteca del Ministero potrebbe esserci qualche documento a riguardo? Segnalazioni, articoli di giornali Babbani, vecchie leggende…»
Il ricercatore rimase in silenzio, meditando sul da farsi.
«Invio la richiesta di accesso alla Sezione Proibita. Entro un paio di giorni Bucarest ci farà sapere»
«Entro due giorni potrebbe aver già raccontato lei ogni cosa. Sarebbe una richiesta inutile» osservò Luna, giocherellando con la collana che le aveva regalato il fidanzato.
I minuscoli Ippogrifi che la ornavano s’incastravano di continuo nei tappi dell’altra collana che indossava.
«Meglio comunque essere preparati, no?» chiese, convinto della sua approvazione.
Al primo piano, la luce entrava dalle porte spalancate delle camere da letto. La giovane emerse dagli ultimi gradini faticando a distinguere il piccolo ambiente. Stava per continuare la sua salita, quando Helia le andò incontro a passo di marcia, l’espressione stravolta ed incredula. La squadrò da capo a piedi diverse volte, bloccandole l’accesso alla scala a chiocciola.
«Non ho mai capito…» disse, con un filo di voce. «Dovevo immaginare… Tu… e Charlie…»
«Come avresti potuto?»
Non rispose ed allungò la mano. Le scostò i capelli, tentando di trovare la chiave del mistero. Le era impossibile capacitarsi d’essere stata all’oscuro di tutto, pur avendo ogni indizio di fronte al naso, mattino e sera.
«Ma io lo dovevo sapere» continuò, ancor più flebile.
Sorrise a quel suo intestardirsi. Helia era così dolce in quel momento.
«Credo che dentro di te l’avessi indovinato, o non mi avresti mai permesso di starle vicino»
Rimase a bocca aperta per qualche secondo, seguendo la mano che indicava Sara. La bambina cercava di divincolarsi dalle braccia del padre per raggiungerle.
«Tia! Tia!» trillava entusiasta.
Non aveva compreso quale tensione ristagnasse fra le mura domestiche. Sapeva solo che la sua zietta era lì. Andrea, titubante, la mise a terra e lei corse ad abbracciare la grande gonna gialla.
«Tia, abato! Abato!» pigolò, levando le manine in aria.
La rom guardò i genitori mentre la prendeva in braccio come desiderava.
«Tia» mormorò la bimba, cingendole il collo affettuosamente.
La coppia seguitava a tacere, intontita. Quel che avevano udito dalla bocca di Padre Viorel e da lei, li aveva turbati. Eppure, Grandi seguitava a ripetersi che andava tutto bene. Che, in un modo o nell’altro (quali fossero non sapeva), stavano assistendo al naturale evolversi delle cose. Di fronte a loro c’era la compagna di Charlie. Sì, la compagna, perché non sapeva come altro definirla.
«Và da tua madre, largatinha» fece quella che conoscevano come Iris, porgendola all’amica.
Sara protestò vivacemente, scalciando e agitandosi. Non voleva lasciare quell’abbraccio.
«Tranquilla. Tornerò. E giocheremo, se i tuoi genitori lo vorranno»
«Non dire assurdità» sbottò Andrea accostandosi. «Pensi che diremmo di no? Dopo tutto questo?»
«Tu devi restare con noi» fece Helia, facendole una carezza impacciata. «Sei di famiglia» aggiunse, mentre imboccava l’ultima rampa.
Salì gli ultimi scalini in punta di piedi ed entrò nella camera. Il responsabile le si fece incontro, portando un fagotto di bende insanguinate.
«Ti sta aspettando»
«Grazie, Stefan»
Mosse un passo verso il giaciglio, ma l’uomo l’afferrò per un braccio.
«Non so bene cosa stia accadendo o perché. Vorrò un chiarimento. Per il momento, non farlo stancare. È debole»
Grigore sembrava volerla rimproverare, ma scrutando quell’uomo dall’aria compassata seppe che non vi era niente di simile nelle sue intenzioni. Solamente la preoccupazione per un caro amico.
Respirò l’odore delle travi, scoprendovi sospeso quello dei loro amplessi, consumati al riparo del gelo invernale quattro mesi prima.
Charlie era steso nel letto, una vistosa fasciatura gli cingeva la spalla sinistra ed il petto. Il tatuaggio nero occhieggiava fra il candore ospedaliero delle bende e la fitta pioggia di efelidi del braccio. Lo sguardo febbricitante si posò su di lei non appena sedette al suo fianco.
Gli rivolse un sorriso tirato e ansioso.
«Prima di lanciarti in qualsiasi spiegazione, dimmi, qual’è il tuo nome?»
Gli occhi castani si posarono sulle mani che teneva in grembo, come se cercasse di trarne la forza per parlare.
«Ne ho molti. Mio padre mi diede nome Iris. Diceva che gli ricordavo quel fiore. Mia madre mi chiamava Ailath, che significa “preziosa”. La mia gente mi chiama Unne, “padrona dell’acqua”. Tu stesso mi hai dato diversi di nomi ed anche Helia…»
Lui le posò un dito sulle labbra, lasciandolo scivolare via un attimo dopo. Prese un profondo respiro, socchiudendo le palpebre appesantite dalla stanchezza.
«Come vuoi che ti chiami, d’ora innanzi?»
La sua voce era incerta per la gola riarsa. Un livido sulla fronte raccontava di una brutta caduta.
La giovane si specchiò in quelle pozze di cielo liquido, illuminandole con tutto l’amore che provava.
«Hai già deciso» sussurrò.
Questa volta fu Charlie a sorridere, mentre intrecciava le dita con le sue.


Prima di tutto: unringraziamento grande come tutta Hogwarts per chi ha letto e recensito le mie ultime one-shot! Non mi aspettavo piacessero tanto! Grazie di cuore.
E grazie a chi sta tenendo duro nell'attesa delle fasi finali di questa fic. Su coraggio, manca poco!
E dopo questa sbrodolata di gratitudine... okay gente, sono pronta alla pioggia di commenti all'ennesimo sconvolgimento che vi ho propinato.
Per penelope84: ma come non mi commenti il capitolo 29? Cattiva! Questo però lo commenterai, vero?
Per Circe: felice che il bacio alcolico e le “coccole” dei due innamorati fossero di tuo gradimento. Su Luna e Rolf attualmente non ho progetti, però chissà… mai mettere il freno all’immaginazione ed ai suggerimenti!
Per Gaea: caspita, sempre più sintetica! Dimmi, o mia fidata, non è che ti va di dare un’occhiata ai miei ultimi lavori?
   
 
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