CAPITOLO 29
I want to
recognise your beauty’s not just a mask…
… I
want to satisfy the undisclosed desires in your heart.
Muse,
Undisclosed Desires.
«Allora…
noi
andiamo, Candy.» disse Robert sporgendosi sul bancone, prima
di rivolgermi
un’occhiata divertita. Arricciai le labbra.
«Oh, okay. Ciao, Rob. E’ stato un piacere
conoscerti, Audry.» disse lei
raggiante, voltandosi per guardami.
«Sì, anche per me.» risposi imbarazzata,
portandomi una ciocca di capelli
dietro un orecchio.
«Ci vediamo, cugina.»,
sorrise
Robert, poggiando un gomito sul tavolo e rivolgendomi
un’occhiata colma di
malizia. Mi voltai a guardarlo riducendo gli occhi a due fessure e
fulminandolo
con lo sguardo. Gli tirai un pizzicotto sul fianco sinistro. Lui si
mosse, e si
massaggiò la parte dolorante sibilandomi un
“ahi”. Provai a tirargli un altro
pizzicotto, ma la sua mano fermò la mia, cacciandola via.
Credetti che quel
gioco finisse nel giro di pochi attimi, ma le sue mani indugiarono a
giocar con
le mie, fino ad intrecciare le nostre dita. Trionfante, sorrisi fra me.
«Non sparire, eh!» aggiunse Candy, fingendo di non
aver notato il piccolo
giocoso screzio.
«Okay.» ridacchiò lui carezzandomi il
dorso della mano con il pollice.
Candy mi strizzò un occhio, prima che ci allontanassimo,
uscendo dal locale.
L’aria frizzante pungeva sulla pelle accaldata del mio viso,
e fremevo per il
contatto delle nostre dita, ancora intrecciate fra loro.
Mentre ci dirigevamo verso l’auto, Robert rise.
«Ed ora cosa c’è?» domandai
alzando un sopracciglio.
Lui fece spallucce. «Niente.» sghignazzò.
Rotai gli occhi, sbuffando. «Se ridi per ciò che
penso io, non è di certo una
bella cosa. Molto imbarazzante, direi.» mugugnai chinando
appena il capo e
guardandomi la punta della scarpe, imbarazzata.
«Mi sa che ciò che penso io è
ciò che pensi tu.»
«Cosa pensi che io pensi?»
«Penso che tu pensi che io pensi cosa tu pensi.»
rispose aprendomi la portiera,
che così divideva i nostri corpi, e poggiò i
gomiti su essa.
«Quindi… tu pensi che io pensi cosa tu stia
pensando che io pensi?» chiesi
corrugando la fronte.
Lui rise. «Penso che non abbia senso.»
«Io penso che pensare faccia male.» ridacchiai
chinando appena il capo e
portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Sì, direi di si.» disse accarezzandomi
ciocche ribelli, prima di farle
ricadere sulla spalla.
«Ho sempre desiderato farlo.» mormorò
con voce calda.
«Cosa?» chiesi inclinando il capo e corrugando la
fronte.
«Questo.» mormorò premendo il palmo
della mano sulla mia guancia. Chiusi gli
occhi assaporando a fondo quel contatto, riponendolo accuratamente nel
cassetto
dei ricordi.
«Ho sempre desiderato riceverlo.» soffiai col fiato
corto. Quando la sua mano
scivolò dal viso, sfiorandolo piano con i polpastrelli.
Sentii la pelle
bruciarmi, piangeva il contatto perso, durato troppo poco. Ma, quando
aprii gli
occhi, pronta a salire in auto, il suo viso dannatamente vicino al mio,
mi
mozzò il respiro. Le sue labbra erano a pochi millimetri
dalle mie, potevano
sfiorarle. Il suo respirò caldo mi colpii in pieno viso,
dandomi alla testa.
«Ma più di tutto, Morel, ho sempre desiderato fare
questo.» mormorò prima di
premere le labbra sulle mie. Un semplice bacio, un posarsi di petali di
rosa,
ma che quasi m costò caro. Dovetti reggermi alla portiera
dell’auto per non
cadere.
Sorrisi. «Devi spiegarmi molto cose, Pattinson.»
mormori sfiorandogli la
mandibola con la punta delle dita.
«Abbiamo tanto tempo, Morel.»
«Mi piace.»
Sorrise e mi baciò ancora a fior di labbra, esattamente come
pochi istanti
prima. Si allontanò e, una volta entrata in auto, mi chiuse
la portiera.
Tremai, sorridente, e non era per il freddo.
I miei passi risuonavano ovattati grazie alla moquette del lungo
corridoio del
dormitorio. Tenevo la borsa con entrambe le mani mentre giocavo con il
manico di
pelle rigida. Fissavo la punta delle mie scarpe da tennis cercando di
evitare
di guardarlo e, così,
evitando di
aumentare il colore purpureo che mi colorava le gote. Il mio viso
sembrava
essere in fiamme, dannatamente scordante con il resto del corpo.
Anche lui, dal canto suo, era in silenzio. Non fiatava mentre guardava
dinanzi
a sé con sguardo concentrato. Non facevo che osservarlo con
la coda dell’occhio,
desiderosa di piccoli gesti o espressioni che potessero darmi un
pretesto
valido per voltarmi ed osservarlo.
Così, stanca, chiudendo un momento gli occhi, voltai il capo
e fui sorpresa di
incontrare il suo sguardo. Sul suo viso, un sorriso sghembo.
Corrugai la fronte. «Mi stavi per caso osservando?»
ridacchiai.
Lui scosse il capo. «No, certo che no… ma ho i
muscoli del collo che si muovono
da soli, mi spiace, ma non posso controllarli». Fece
spallucce.
Gli diedi una piccola spinta con la spalla. «Bella
questa.» osservai prima di
portarmi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Dannatamente bella.» mormorò e la sua
voce parve una lieve carezza, miele
sulla mia pelle.
Alzai lo sguardo su di lui ed abbozzai un sorriso imbarazzata, poi lui
si fermò
e guardò dietro di me. «Ci siamo.»
«Di già?» mugugnai voltandomi e
accorgendomi all’istante di ciò che avevo
pronunciato senza pensare. Strizzai gli occhi, dandomi della stupida.
Poi, mi
voltai.
«Intendevo… è passato in fretta il
tempo.»
Lui annuì sorridendo. «Certo, ovvio.»
Ridussi gli occhi a due fessure. «So a cosa stai
pensando.»
«Sul serio?»
«Certo.»
Lui sorrise ed incrociò le braccia al petto.
«Sentiamo.»
«Tu pensi che io si una totale imbranata e, date le
ultime… performance,
potrei anche darti ragione.
Ma, sai, Pattinson, mai fermarsi all’apparenza.»
annuii alle mie stesse parole
poggiandomi con una spalla allo stipite della porta.
Robert annuì piano col capo, con lo sguardo concentrato su
un punto indefinito
del mio abito. Poi alzò lo sguardo e scrollò le
spalle. «Sbagliato.», e
sorrise.
«No, non è vero.» sbuffai dandogli una
leggere spinta.
«Sì, è vero. Ritenta, Morel.»
disse con leggere malizia nella voce.
Aprii la bocca per parlare, ma la richiusi immediatamente rendendomi
conto che,
in realtà, non avevo nulla da dire.
«Ti serve una mano, Audry?» chiese innocentemente.
Arricciai le labbra. «No.» lo sfidai mettendomi
dritta ed incrociando come lui
le labbra al petto. «Allora,» esordii,
«tu stai pensando che… che… che io non
so a cosa tu stia
pensando!» esultando
puntandogli un dico contro, poggiandolo un attimo sul suo petto.
Sorride, ma scosse il capo. «Non ci siamo ancora.»
«Ah, no?» chiesi accigliandomi.
«No.» mormorò poggiando un braccio sullo
stipite della porta, quasi
sovrastandomi. Il suo profumo mi inondò i polmoni dandomi
alla testa. Cercai di
mantenere un minimo di controllo, ricordai all’istante le sue
labbra sulle mie,
una sensazione che mi si rivelò tanto potente da poterne
gustare il sapore
sulla lingua.
«Potrei dirti cosa sto pensando io.» mormorai con
bocca secca, annegando nel
mare dei suoi occhi.
«Uhm… e a cosa stai pensando, Morel?»
chiese. Il suo viso era vicinissimo al
mio, tanto che in un secondo avrei potuto annullare la distanza che era
a
separarci.
«Che vorrei baciarti.» soffiai col fiato corto.
«Guarda un po’,» mormorò
avvicinandosi piano, «è ciò che penso
anche io.», ed
annullò la distanza che vi era fra noi. Le sue labbra di
mossero piano sulle
mie, quasi avesse paura di romperle. Dolcemente si incastrano fra loro,
mentre
affondavo le mie mani fra i suoi capelli che, in quel momento, mi
parvero della
stessa consistenza della seta. Le sue, invece, si posarono delicate sui
miei
fianchi, attirandomi a sé.
Mi allontanai dal suo viso quel tanto che bastava per guardarlo negli
occhi.
«Mi stai viziando.» mormorai.
«Potrei dire lo stesso.»
«Sei stato tu a baciarmi ora… e prima.
Potrei…», ma non riuscii a terminare,
temendo una sua reazione.
E se quella sera fosse solo un episodio? Se avevo frainteso? Se il
giorno dopo
avesse fatto finta che non si fosse stato nulla?
«Potrei?» domandò con voce roca.
Deglutii rumorosamente. «Potrei desiderarne ancora
domani.» sussurrai
sfiorandoli la mandibola con i polpastrelli. Lui dischiuse le labbra
prima di
chiudere gli occhi.
«Come potrei non desiderarne altri, Audry.» disse
aprendo gli occhi e puntando
lo sguardo nel mio. Il mio cuore, a quelle parole, incespicò
prima di
accelerare vertiginosamente i suoi battiti. Mi morsi il labbro
inferiore
poggiando la fronte nell’incavo del suo collo.
«Hai un buon profumo.» mormorai sulla sua pelle
calda. Robert mi cinse le
spalle e mi strinse a sé, poggiando il mento sul mio capo,
io circondai con le
braccia il suo addome.
«Mi ignorerai domani?» chiesi chiudendo gli occhi e
poggiando le guancia sulla
sua spalla.
«Non ti ho mai ignorata, Audry. Non potrei farlo
mai.» sussurrò al mio
orecchio, carezzandomi i capelli.
Alzai il capo, per guardarlo in volto e sorrisi. «Che
situazione assurda.»
mormorai scuotendo il capo e poggiandomi ancora a lui, ma mi
allontanò da sé
tenendomi per le spalle.
«Che intendi dire?» chiese con l’ombra di
un sorriso.
Allungai le braccia sporgendo il labbro inferiore. «Ehi che
fai?» dissi
circondando con le braccia il suo addome e stringendomi a lui.
Sorrise sommessamente. «Sì, sei strana.»
«Forse.» dissi un risolino. «Comunque
intendevo dire che… tutto ciò è
strano...
e non mi dispiace.»
Rise. «Avevo avuto un sentore.»
«Shakespeare direbbe che è colpa della
luna.» aggiunsi.
Per qualche istante rimanemmo così, immobili, stretti
l’uno all’altra, prima
che mi allontanassi.
«Forse è meglio andare.» mormorai
guardandolo negli occhi.
«Lo credo anch’io.», abbozzò
un sorriso.
«Ci vediamo domani.» mormorai passandomi una mano
fra i capelli, cercando di
ignorare la parte di me stessa che urlava di trattenerlo.
«Sì. Buona notte, Morel.»
mormorò sfiorandomi il viso con una mano.
«Buona notte, Pattinson.» risposi ed attesi quel
bacio che non arrivò.
Corrugai la fronte e sbuffai. «Hai intenzione di non farlo
più?» chiesi quando
fece un passo indietro.
«Cosa?» chiese sorridendo.
«Lo sai.»
«No, non lo so. Perché non me lo mostri?»
Rotai gli occhi e sospirai, poi feci spallucce e mi avvicinai a lui,
alzandomi
sulle punte per baciarlo a fior di labbra.
«’notte». Mi allontanai e sorrisi.
Sul suo viso vi era un’espressione compiaciuta. Fece un
inchino e poi,
strizzandomi un occhio, si allontanò.
L’osservai con il cuore palpitante d’affetto ed
emozione, prima di entrare in
camera. Chiusi la porta e mi poggiai su essa lasciandomi poi cadere.
Con un
braccio poggiato su una gamba piegata osservai la stanza. Poggiai il
capo alla
porta e risi di felicità chiudendo gli occhi e osservando
l’immagine del suo
viso dipinta sulla palpebra chiusa del mio occhio.
La
radiosveglia suonò alle sette in punto e, mugugnando,
tastati il comodino
per poi spegnerla, facendo cadere tutto ciò che vi era
poggiato sul ripiano. Mi
portai il cuscino sulla testa, speranzosa di cadere ancora dolcemente
fra le
braccia di Morfeo, quando, una strana immagine, forse un ricordo, mi si
stagliò
davanti, come fosse… reale. Scattai a sedere e sgranai gli
occhi, per poi
strizzarli con forza. L’immagine, si rivelò
ancora, e capii che non era un
sogno che non era sciocca immaginazione che le sue labbra sulle mie
erano stati
reali, che, quel momento, non era frutto di una speculazione della mia
mente
che piano degenerava. No, era… era realtà.
Mi passai
una mano sul viso, poggiando il gomito sul ginocchio e sorrisi.
«Non
è possibile.» dissi prima di perdermi in un
risolino. «Non è possibile.»
ripetei.
Alzai lo
sguardo e mi voltai verso la finestra. Scesi dal letto e mi diressi
verso il vetro, poggiandoci sopra la mano. Un sole, timido come la luna
a
mezzanotte, illuminava il campus deserto, la strada trafficata da poche
auto.
Osservai un tre ragazzi rientrare nel dormitorio, ridacchiando fra loro
e
tirandosi spinte.
Sorrisi
senza rendermene conto. Mi sentivo il viso in fiamme, scossa ancora dal
ricordo della sera prima.
Sopirai
e, quasi saltellando, mi diressi in bagno per una doccia calda. Sotto
il getto d’acqua calda diedi il meglio di me stessa,
liberando la rockstar
nascosta da qualche parte in me. M’infilai un paio di jeans
scoloriti e una
maglia rossa, prima di afferrare la mia borsa e dirigermi al bar per la
colazione. Mi portai una ciocca di capelli dietro un orecchio, mentre
fischiettavo e mi dirigevo verso la stanza di Stephanie. Non cercarla,
in quel
momento, sarebbe stato folle.
Bussai
ripetutamente alla porta fino a quando delle imprecazioni mi fece
capire
che Stephanie era sveglia.
Di
scattò la porta si aprì e lei fece la sua
comparsa sulla porta,
perfettamente in… disordine.
«Sono
pronta.» disse chiudendosi la porta alle spalle.
Aggrottai
le sopracciglia. «Oh, vedo.» annuii.
«Ascoltami
bene… dieci minuto fa ero, con Alice
nel paese delle meraviglie.»
borbottò passandosi una mano fra i corti
capelli, cercando di darli un ordine.
Annuii
energicamente. «Ora mi è tutto chiaro.»
«Sei
allegra?» chiese quasi scioccata, guardandomi appena
terrorizzata.
«Potrei.»
risposi facendo spallucce e voltandomi per sorriderle.
Lei
sbatté le palpebre confusa, cercando quel tassello mancante
per poter
completare il quadro e capire finalmente cosa stesse accadendo.
«Non dovevi
uscire con Pattinson?» chiese grattandosi la nuca.
«Già.»
sorrisi.
All’improvviso
sgranò gli occhi. «Non dirmi
che…» sibilò gesticolando con le
mani.
Abbozzai
un sorriso e feci spallucce. «Io non ho idea di cosa tu stia
parlando.» mi voltai a guardarla e sperai che dal mio sguardo
capisse che non
volevo ulteriori domande, che l’argomento si concludesse in
quel momento.
Per
alcuni istanti i suoi occhi rimasero nei miei illuminandosi di gioia,
felicità. Chinai d’un tratto il capo, quasi
imbarazzata da ciò che lei aveva
letto nel libro dei miei occhi.
«Io
lo sapevo.»
«Che
sarebbe andata a finire così?» chiesi guardandomi
la punta delle scarpe da
tennis.
«Sì.
In fondo… ci ho sempre sparato e anche se non vuoi
ammetterlo, nemmeno a
te stessa, so che lo speravi anche tu.» disse mentre
scendevamo le scale,
dirette al pub per la colazione.
Non
risposi, conscia che forse aveva ragione… forse.
«Lo
rivedrai ancora?» chiese con fare dolce. Mi voltai a
guardarla ed accennai
un sorriso, quasi involontariamente, al ricordo del suo viso.
«Così
si dice.» risposi portandomi una ciocca di capelli dietro un
orecchio.
Mi era
sempre stato difficile, sì, parlare di ciò che
sentivo. Lo era stato con
mia madre, lo era stato con lei, la mia migliore amica. Non ero una che
esternava i proprio sentimenti con grande facilità, superare
il muro che
divideva il mio animo dal resto del mondo mi era quasi impossibile e,
per
quanto mi sforzassi di aprirmi, il tutto risultava impossibile.
«Bene.
Io lo sapevo!» canticchiò Stephanie facendomi
ridere.
Scossi il
capo prima di sospirare. «In fondo, me l’avevi
detto.»
Lei fece
un risolino prima di circondarmi le spalle con un braccio e stringermi
a sé.
«E
sai perché?»
«No.»
«Perché
ti voglio bene, Audry.»
*
05-06-10, ore 15.15:
grazie, di cuore.
Ti voglio bene.
Salve gente. Eccomi
qui, finalmente. E’ tardi e non ho molto tempo. Domani
mattina sono di “studio matto e disperatissimo”,
per cui ho deciso di postare
ora.
Non ho nemmeno il
tempo di ringraziare a modo. E’ un periodo difficile e il
tempo manca sempre.
Stupido quinto anno.
Perciò un
grazia speciale a:
Piccola Ketty, Ello, Xx_scrittrice_xX, lazzari, Nessi93, winnie poohina,
ginevrapotter, Sognatrice85, KeLsey, Bauci_Selvi, Fairwriter, CinziaBella1987,
Ryry_, candidalametta e uley.
Grazie, di cuore,
ragazze, davvero.
Vostra, Panda.