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Autore: Ale Kanou    04/09/2005    4 recensioni
“Da cosa sei scappata?” le chiese lui. Sanae per un attimo non rispose poi, guardando diritto davanti a sé aggiunse a bassa voce “Dai fantasmi del passato…”
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 20: Un tuffo nel passato


Dopo che il taxi la lasciò vicino al porto, Sanae si sedette sul muro del molo e prendendosi la testa tra le mani, cominciò a inspirare ripetutamente, cercando di calmarsi.

Provava il desiderio tremendo di piangere ma qualcosa glielo impediva. Continuava a rivedere nella sua mente l’immagine di un ragazzo che saliva la scalinata del club, parlando e sorridendo al compagno di squadra che camminava accanto a lui.

“TSUBASA…”

Anche il solo pronunciare quel nome la faceva stare malissimo. Perché…perché il destino si accaniva contro di lei? Non era già stata abbastanza punita in passato? Perché lo aveva dovuto rivedere; perché proprio adesso che la sua vita sembrava finalmente prendere una piega diversa?

“KARL…”

L’immagine del capitano tedesco si affacciò per un attimo nella sua mente, facendo ulteriormente aumentare la devastante angoscia che la stava attanagliando.

Rimase rannicchiata per ore su quel molo, con lo sguardo perso nel vuoto, senza rendersi conto che una leggera pioggerella aveva cominciato a cadere dal cielo.

Mille pensieri e immagini si accavallavano nella sua testa, mentre il passato riemergeva prorompente…



Fujisawa…

Come succedeva ormai da anni anche quella sera le tre manager della Nankatsu stavano sistemando il campo, mentre i ragazzi si cambiavano negli spogliatoi.

Sanae improvvisamente ebbe un mancamento e si appoggiò alla rete di recinzione. Immediatamente Yukari le fu accanto e la aiutò a sedersi su una panchina.

“Non ti preoccupare Yukari è stato solo un colpo di caldo.” Nakazawa aveva tentato di minimizzare l’accaduto non riuscendo però a convincere l’amica che, imperterrita, l’aveva accompagnata in infermeria.

Quando la dottoressa l’aveva incitata a spogliarsi, per un attimo Sanae era rimasta titubante, poi dopo l’ennesimo invito, si era decisa a togliersi la tuta.

Yukari nel frattempo aspettava fuori dalla sala visite preoccupata. Da mesi teneva sott’occhio l’amica; sapeva che per lei quello era stato un periodo molto duro: la partenza del numero dieci della Nankatsu per il Brasile l’aveva profondamente ferita.

Erano cresciute insieme e lei aveva vissuto in prima persona l’amore tormentato e mai ricambiato dell’amica per il loro capitano. Quante volte aveva asciugato le sue lacrime, esortandola a farsi avanti con lui e quante volte l’aveva ripresa anche con severità, vedendola incapace di reagire ad una situazione che sembrava non avere via d’uscita.

Ricordava ancora quando, due mesi prima della partenza di Ozora, loro tre manager, passando per caso sotto la finestra degli spogliatoi maschili, si erano ritrovate involontariamente ad ascoltare i discorsi che i giocatori stavano facendo.

Ishizaki sghignazzando stava chiedendo al suo capitano che cosa avesse intenzione di fare con Sanae “Dai Tsubasa…non fare finta di niente…lo sai che Nakazawa è innamorata di te da anni…e non è l’unica…”

“Lo so benissimo...ma per me Sanae è solo un’amica…e comunque io tra poco partirò per il Brasile...è quello che ho sempre voluto…”

La risposta del ragazzo aveva ammutolito gli altri calciatori e le ragazze ferme fuori dalla finestra. Yukari si era lentamente girata verso Sanae…l’espressione che aveva visto sul suo volto la sconvolse ancor più delle parole che aveva appena udito.

Si era aspettata di vederla disperata, in lacrime; in fondo il ragazzo di cui era innamorata da sempre aveva appena detto che non gli importava niente di lei, che come sempre era il calcio il suo unico pensiero.

E invece Sanae era rimasta immobile…il suo volto era una maschera imperturbabile; e poi senza aprir bocca, si era avviata verso il campo e aveva ricominciato a sistemare i palloni come sempre, come se nulla fosse successo.

E da quel giorno lei aveva cominciato ad avvertire un sottile cambiamento in Nakazawa…all’inizio lo aveva interpretato in modo positivo…credeva che finalmente la ragazza si fosse decisa a reagire, buttandosi il passato alle spalle.

Ma ben presto aveva dovuto ricredersi. La sua migliore amica era cambiata…non riusciva a spiegarsi in che modo…ma era cambiata…all’apparenza sembrava la Sanae di sempre, cortese e disponibile con tutti…ma in realtà…in realtà si era spenta…ecco tutto.

Dopo aver lasciato Sanae a rivestirsi, la dottoressa era andata da Yukari e con aria pensierosa le aveva chiesto il numero di casa dell’amica, aggiungendo “Tu sai se per caso Nakazawa in questo periodo ha qualche problema?” e di fronte alla faccia interdetta della ragazza aveva continuato “Voi due siete sempre insieme…hai notato qualcosa di strano? Non so…nel suo modo di mangiare per esempio…”

Yukari confusa, aveva scosso la testa e dopo averla salutata, si era diretta verso la sala visite. Entrandovi e trovandosi di fronte l’amica, rimase però ancor più interdetta: Sanae si stava infilando la tuta e con sgomento lei si ritrovò ad osservare la sua estrema magrezza…e in un attimo comprese le parole di poco prima della dottoressa.

Sanae, vedendo la porta aprirsi, aveva cercato di coprirsi velocemente ma inutilmente…Yukari l’aveva vista. Senza guardarla negli occhi, aveva finito di vestirsi e quando l’amica le aveva chiesto spiegazioni, lei era rimasta in silenzio.

“Sanae no…” Yukari aveva cominciato a piangere davanti a lei, rendendosi conto che il suo mutismo altro non era che la conferma di tutto “Io non avevo capito…”

Come aveva potuto non capire…come aveva fatto ad essere così cieca…la sua migliore amica stava male da tempo e lei non si era accorta di niente.

Sanae si era lasciata cadere sul lettino e con aria stremata le aveva detto sommessamente “Non è colpa tua…”…………………




Sentendo la pioggia farsi più insistente, Sanae si riprese e accorgendosi che si era fatto buio, si alzò incamminandosi nella direzione da cui era venuta.

Decise di non andare a casa però: sapeva che Karl e anche Genzo l’avrebbero cercata lì e lei non aveva il coraggio di rivederli per il momento.

Entrò in un bar poco distante dal molo e si sedette ad un tavolo in un angolo del locale, lontano dagli altri clienti. Guardò per un attimo fuori dalla finestra il mare che si stava increspando a causa della pioggia battente.

L’arrivo della cameriera interruppe i suoi pensieri; girandosi verso di lei e cercando di sorridere, ordinò un caffè.

Si ritrovò a fissare il liquido nero che fumando, girava vorticosamente nella tazza sotto di lei e pensò che anche lei in quel momento si sentiva come risucchiata in un vortice…un vortice di emozioni…vecchie e passate.

Si rivedeva ancora ragazzina…riusciva ancora a sentire la sensazione terribile che per mesi le aveva attanagliato lo stomaco ogni volta che si ritrovava a vomitare tutto ciò che aveva mangiato.

Non sapeva nemmeno lei come era cominciato il tutto: ricordava solo il dolore sordo che aveva provato di fronte alla frase pronunciata dalla persona che lei aveva amato incondizionatamente per anni “Lo so benissimo...ma per me Sanae è solo un’amica…”

Quelle parole avevano irrimediabilmente incrinato qualcosa dentro di lei. Lo aveva amato più di tutto…più di tutti…anche più di sé stessa…e alla fine era stata sconfitta da un pallone.

Da quel giorno cominciò ad odiarsi per aver permesso a sé stessa di soffrire per così tanto tempo…e cominciò ad odiare il suo corpo, a rifiutarlo…così come aveva fatto lui.

E senza rendersene conto si ritrovò intrappolata in un meccanismo perverso: più il suo corpo cambiava e più lei lo detestava e nel tentativo di cambiarlo ancor di più, si ritrovò a mangiare sempre meno.

Quando la madre e Yukari scoprirono la cosa, cominciarono a tenerla strettamente sotto controllo, ma lei a loro insaputa, trovò il modo per continuare la sua opera di distruzione: vomitando tutto ciò che le veniva dato da mangiare.

D’altra parte non aveva potuto fare altrimenti…ormai era troppo tardi…non era più solo la mente che rifiutava il cibo, ma tutto il suo corpo: qualsiasi cosa che tentava di ingoiare le provocava forti crampi e conati, obbligandola così a cacciarsi due dita in gola per cercare di alleviare quel terribile senso di malessere.

E poi era arrivato Genzo che aveva scoperto tutto…nel modo peggiore.

Lo aveva rivisto per caso appena rientrato in Giappone dalla Germania e aveva saputo che lui dopo averla rivista, aveva cominciato a tempestare di domande Yukari, nel tentativo di sapere che cosa le era successo.

Sia lei che l’amica in quel periodo avevano fatto di tutto per evitarlo ma alla fine lo avevano reincontrato ad una cena organizzata dalla squadra.

Sanae ricordava perfettamente quella sera: aveva fatto di tutto per non andare a quella cena, ma l’allenatore aveva insistito fino allo stremo con lei, obbligandola a partecipare in qualità di prima manager.

Genzo l’aveva osservata per tutta la sera e lei, per non alimentare ulteriormente i suoi dubbi, aveva cercato di comportarsi nel modo più naturale possibile.

E così si era ritrovata costretta a mangiare, suo malgrado. Dopo pochi bocconi però i crampi avevano cominciato ad attanagliarle lo stomaco… per un po’ aveva tentato comunque in tutti i modi di tenerli a bada, cercando di non prestarvi attenzione.

Nel frattempo i ragazzi al tavolo stavano parlando con Genzo della Germania e in generale delle esperienze calcistiche in paesi stranieri.

A quelle parole Sanae aveva sentito improvvisamente la bocca riempirsi di un reflusso acido e, non riuscendo più a trattenere i conati di vomito, si era alzata dal tavolo allontanandosi velocemente.

A Wakabayashi la cosa non era sfuggita e vedendo Yukari allontanarsi a sua volta con un’aria sconvolta, aveva seguito la ragazza lasciando gli altri giocatori intenti a parlare.

Genzo aveva poi cominciato a guardare in tutte le stanze alla ricerca delle due amiche; improvvisamente passando davanti ad un bagno, aveva sentito il rumore dell’acqua scrosciante e vedendo la porta socchiusa, l’aveva aperta.

Non trovandovi nessuno, dopo aver chiuso il rubinetto, stava per uscire quando, con la coda dell’occhio, vide qualcosa nascosto in un angolo della stanza. Lentamente si era avvicinato e resosi conto di quello che aveva davanti, aveva sentito il cuore stringersi in una morsa gelida.

Sanae se ne stava rannicchiata a terra con la testa tra le gambe e stava piangendo sommessamente.

Si era avvicinato a lei e prendendole il viso tra le mani l’aveva guardata dritta negli occhi: e tutti i dubbi che aveva covato in quei giorni in un attimo trovarono conferma.

Yukari era arrivata subito dopo e resasi conto di quello che era successo, accasciandosi sul pavimento e cominciando a piangere a sua volta, aveva detto disperata al portiere “Dobbiamo fare qualcosa per aiutarla…si sta distruggendo Genzo…”

Lui, prendendo Sanae in braccio l’aveva portata alla sua macchina, evitando di farsi vedere dagli altri ragazzi e, dopo aver chiesto alla seconda manager di avvisare la signora Nakazawa, l’aveva accompagnata a casa.

Quella notte insieme ai suoi genitori e a Yukari, era rimasto ad ascoltare le parole del medico che era accorso dopo essere stato contattato dalla madre della ragazza.

E alla fine, seppur con la morte nel cuore, si erano ritrovati tutti a concordare che, arrivati a quel punto, era necessario intervenire con la forza, ricoverando Sanae in una struttura adeguata.




Sanae serrò le mani intorno alla tazza ormai vuota…la stretta era così salda da far sbiancare le nocche delle sue dita.

Pensò ai mesi trascorsi in quella clinica…furono mesi terribili…i peggiori di tutta la sua vita.

All’inizio aveva rifiutato ogni tipo di cura, allontanando tutto e tutti da lei: i medici erano arrivati al punto di farle delle flebo per cercare di darle un po’ di nutrimento.

E in tutto quel tempo, Yukari e Genzo erano sempre stati presenti, insieme ai suoi genitori.

Genzo…
Cosa avrebbe fatto senza di lui? Quante volte lui l’aveva stretta a sé, mentre lei in preda a delle crisi pazzesche, simili a quelle da astinenza, lo pregava di farle vomitare quel poco di cibo che l’avevano costretta a ingerire.

E tra le sue braccia, tremante, aspettava che le crisi passassero, che la morsa allo stomaco e i conati di vomito la abbandonassero…e alla fine, stremata, spesso si addormentava piangendo, ancora stretta a lui.



“Signorina stiamo chiudendo, mi spiace.”

Sanae osservò la cameriera che si era avvicinata al suo tavolo; udendo le sue parole, si alzò e dopo aver pagato, chiamò un taxi e si fece riaccompagnare a casa.

Non trovò nessuno ad aspettarla. La cosa non la stupì…in fondo erano le due di notte quando richiuse la porta alle sue spalle.

Si spogliò e si infilò sotto le coperte. Non riuscì a dormire molto però…e non fu l’unica.

Ad Amburgo quella notte anche altri tre ragazzi non chiusero occhio, ciascuno perso nei propri pensieri.
  
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