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Autore: _Dubhe    06/06/2010    0 recensioni
Premetto che non scrivo da un bel pò, quindi scpero mi perdonerete eventuali sbavature o errori ortografici. Come suppongo gran parte di voi, sono rimasta scioccata dalla fine di TVD e, incapace di occupare il tempo in altro modo, ho cominciato a immaginare una storia utopistica di cui i protagonisti del telefilm fossero protagonisti. Premetto che ci sono spoiler fino all'episodio 1x22, la storia volgerà necessariamente in un senso unico che ha come cartello stradale [D/E].. claro?? Detto questo, divertitevi!!!
Genere: Romantico, Avventura, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Grazie mille a tutti per i commenti, siete fantastici! Vi chiedo anche scusa per l'attesa ma, purtroppo, visto che le ultime interrogazioni mi stanno dissanguando, non potevo fare altrimenti. Godetevi questo capitolo e poi ditemi che ne pensate, mi raccomando! So che finisce molto appeso come capitolo, ma c'est la vie! Alla prossima cari, grazie di tutto a tutti <3

[______________________________________________Ringrazimenti__]

 

 

 

Bussò circospetto alla grande porta di ciliegio, aspettando pazientemente sul portico e osservando la casa: non ci era mai stato e avrebbe preferito evitarlo ma, ormai, era pronto a tutto pur di risolvere la maledetta situazione in cui si trovavano. Certo che era proprio ironico un vampiro che bussava di sua spontanea volontà alla porta di una strega che, tra l’altro, non aveva fatto mistero di volerlo distruggere più di una volta. Chissà come stava Elena… lasciarla con Stefan era stata una sua scelta, ma questo non voleva dire che lo facesse stare meglio, affatto.

La porta si aprì e apparve Bonnie. La sua espressione mutò nella frazione di un secondo, le labbra si strinsero e gli occhi si ridussero a fessure: probabilmente stava valutando se ucciderlo subito o ascoltare prima cosa fosse venuto a fare. Grande dilemma, ragione in più per sbrigarsi. Damon si contorse le mani, gli occhi che sfuggivano il suo sguardo: non era il solito Damon a parlare lì, adesso, e il solo pensiero di quello che era capace di diventare per proteggere chi amava davvero lo terrorizzava più della sua ex fidanzata sadica. A Bonnie quel particolare non sfuggì ma, dato che era ancora all’oscuro di tutto, si limitò a scrutarlo con ancora più attenzione, in attesa.

“Senti, Bonnie.. – si decise finalmente lui, guardandola – So che non siamo mai stati grandi amici, te lo concedo, ma so anche quanto tieni ad Elena e quindi è per questo che sono qui, adesso, ad implorarti di darci il tuo aiuto. Elena è in pericolo e solo tu potresti essere in grado di proteggerla, mi capisci?”

“In pericolo? – ripetè la mora, facendo un passo avanti e lasciando il sicuro rifugio della sua casa – Potresti ripetere?”

La sua voce era chiaramente preoccupata, segno evidente che aveva colto un sottile filo di realtà nelle parole del vampiro. Damon non poteva semplicemente stare lì a chiacchierare, ogni secondo perso era un secondo in più che permetteva a Katherine di avvicinarsi ad Elena ed ucciderla. Guardò la strega con i suoi occhi di ghiaccio, magnetici, tendendole una mano e bisbigliando due sole parole.

“Fidati di me.”

Il salotto di casa Gilbert non era tanto affollato dai tempi del ballo degli anni ’50 di qualche mese prima, quando quel simpaticone di un vampiro maniaco era passato casualmente di lì con l’intento di uccidere la padrona di casa, per poi essere fermato e furtivamente ucciso dai Salvatore qualche ora dopo. Malgrado il contesto per certi versi fosse lo stesso, tutto era diverso da allora. Bonnie sedeva sul divano, con la testa di Elena sulle ginocchia, rannicchiata in posizione fetale ed avvolta da un plaid di lana; Stefan camminava avanti e indietro nella stanza, si fermava ogni tanto, come se fosse sul punto di dire qualcosa, ma poi ci ripensava e tornava a camminare, più buio e arrabbiato di prima. Damon sedeva sul bracciolo del divano, un bicchiere in mano, l’altra occupata a disegnare piccoli cerchi sulla spalla di Elena, senza che lei potesse accorgersene. Grazie a dio Jenna era in ospedale e non le toccava assistere a riunioni strategiche come quella, si ritrovò a pensare Elena, mentre si stringeva ancora più stretta nell’abbraccio dell’amica.

“Siete in due – parlò finalmente la strega, accusandoli in maniera evidente – e volete davvero farmi credere di essere stati tanto stupidi da permettere che accadesse tutto questo? Katherine non è Elena, tanto per cominciare, e non sappiano un bel niente di questa Isobel, che sbuca quasi come un angelo al momento giusto e al posto giusto: è una coincidenza forse? E l’avete anche invitata ad entrare, per la miseria!”

“Questa in realtà è stata una mia idea. – si giustificò Elena, alzando lievemente la testa – L’ho voluto io.”

“Ancora peggio! Non l’avete fermata!”

“Isobel o no, almeno al momento, non è lei il nostro problema, dobbiamo proteggere Elena da Katherine e da qualsiasi cosa lei possa farle e, conoscendola, non sarà nulla che potrà guarire col tempo, mi sono spiegato?”

Bonnie annuì grave, riflettendo con calma e accarezzando i capelli corvini dell’amica con gesti lenti e meccanici. C’erano tante cose che poteva fare per proteggere una sua amica, e l’idea più scontata era quella di farla dormire da lei, ma i vampiri avevano l’eternità dalla loro e non potevano vivere nel completo terrore per sempre. No. Doveva trovare una soluzione fra le tante formule che conosceva: era una strega potente, sapeva di potercela fare, doveva farcela a tutti i costi. Ma come? Bloccare la vampira dall’entrare in casa era fuori discussione: per quello aveva bisogno del suo sangue ed era ottimistico pensare di ottenerlo; distruggere il suo invito significava uccidere Elena, e non reggeva nemmeno un po’ come soluzione; ucciderla.. possibile; catturarla, meglio ancora, almeno avrebbe potuto divertirsi un bel po’. E mentre la sua mano correva distratta sul collo caldo dell’amica, le sue dita si impigliarono nella collanina che portava al collo: era piena di verbena, gliel’aveva detto la stessa Elena, qualche tempo prima, la proteggeva dall’essere soggiogata dal potere dei vampiri. Sorrise, soffermandosi sul pensiero che le stava passando in testa. I due Salvatore se ne accorsero e si limitarono ad osservarla con sguardo confuso.

“Almeno per adesso, direi, il problema primario è proteggere Elena, giusto? – annuì fra sé, senza badare agli sguardi sempre più confusi di quelli che la circondavano – Posso proteggerla,  ma questo lascerà il pericolo su Jeremy e Jenna.”

“Non se ne parla! – si scaldò l’amica, alzandosi su di un gomito e guardandola disperata – Non posso condannarli! Sono la mia famiglia, è per colpa mia che sono in pericolo. Siete tutti in pericolo per colpa mia.”

“Ma per piacere!!!” – esclamarono all’unisono Damon e Bonnie, per poi guardarsi di sbieco.

“Comunque è l’unica cosa che posso fare adesso, tesoro. Vorrei proteggerli ma non è nelle mie capacità, non adesso almeno. Loro sono all’ospedale, basta che tu dica a Jenna di sentirti poco bene e le chieda di restare qualche notte in più in ospedale. Lì saranno entrambi al sicuro. Fino ad allora nessun vampiro  potrà toccarti.”

Lo sguardo della strega corse involontariamente verso Stefan, quello di Stefan verso Damon che, malgrado sembrasse voler protestare, si limitò a trattenere un sospiro. Non gli importava. Se proteggere le persone a cui teneva significava sacrificare… sacrificarsi, non gli importava. Guardò Bonnie e si limitò ad un cenno con la testa.

“Il ciondolo di verbena è una difesa naturale, io lo renderò ancora più potente: almeno  finchè la situazione è critica, nessun vampiro potrà toccarla. Nel caso in cui la pelle di vampiro entri a contatto con la sua brucerà all’istante.”

Camminavano tranquillamente, Stefan a poca distanza da lei: Damon era stato categorico sul fatto che si sarebbe allontanato da Elena soltanto se gli avessero iniettato della verbena e l’avessero trascinato via a forza, quindi era toccato a lui accompagnare Bonnie. Le era grato per quello che stava facendo, visto che l’ultima volta che si erano parlati non si erano lasciati in maniera particolarmente amichevole. Riportarla a casa gli era sembrato il modo migliore di dimostrarle la sua gratitudine. E mentre il silenzio conduceva i loro passi per la via deserta, i tacchi della mora si bloccarono sull’asfalto bagnato. Il vampiro la gaurdò interrogativo, seguendo il suo sguardo, rendendosi solo allora conto che, davanti a loro, era ferma una ragazza alta, occhi scuri e capelli lunghi, ricci, raccolti in una coda. La giacca di pelle e gli stivali scamosciati. Ah, certo che le entrate ad effetto erano proprio il suo forte!

“Katherine.” – mormorò sorpreso.

“Katherine?” – gli fece eco Bonnie, gli occhi ridotti a due fessure, pronta a lanciare un qualche incantesimo.

“Katherine! – si burlò di loro la mora, facendo risuonare nel buio della notte la sua risata cristallina – Chi credevate che fossi? Suppongo che la vostra amichetta non andrebbe mai in giro da sola, ha due accompagnatori d’eccezione, perché rinunciarvi giusto?”

Bonnie non aspettò oltre: sulle punte delle sue dita comparve un fuocherello biancastro, quasi blu, inquietante. Dalla sua bocca fuoriusciva una cantilena lenta e melodica, quasi un canto. Con la forza di un leone lanciò la palla di fuoco sulla vampira che aveva di fronte. Fu un attimo. La vampira si limitò ad alzare una mano per proteggersi e lasciò che la palla colpisse un albero alla sua destra, senza procurarsi neppure un graffio. Fece qualche passo avanti, sempre più divertita.

“Mi hai preso per una stupida, Bonnie Bennett? Sai che ho avuto l’onore di conoscere la tua nonnia di nome Emily? Ah, la conosci! Beh, non era la prima strega che incontravo… e non ero stupida nemmeno allora. Se qualcuno è abbastanza forte da proteggerti, stai pure certa che potrà avere tutto il potere di distruggerti, un giorno. Io l’avevo capito..”

Tirò fuori una catenina dalla maglietta, sventolandola davanti ai loro occhi. Ci misero pochi istanti a capire: quando aveva fatto si che una strega la proteggesse dal sole, si era anche resa immune da qualsiasi altro potere che potesse distruggerla. Era immune alla magia. Avanzava verso di loro, come un felino che caccia la propria preda. Prima ancora che Stefan potesse reagire afferrò il collo della streghetta e la sollevò da terra.

“Te l’hanno mai detto che se non sei con me sei contro di me? E nessuno può permettersi questo lusso!”

Bonnie era sospesa qualche centimetro da terra ma l’aria già cominciava a mancarle, i polmoni chiedevano aria e la sua bocca si apriva spasmodica per cercare di respirare. Peccato che Katherine avesse dato per scontato che nessuno l’avrebbe salvata: un vampiro poteva anche essere meno forte di un altro vampiro più vecchio e quindi incapace di ucciderlo, ma metterlo fuorigioco per qualche secondo era un giochetto da ragazzi. Ripresosi dalla sorpresa, al biondo bastò un colpo ben assestato al petto della copia di Elena, afferrò Bonnie al volo e scappò. Correre non richiedeva un grande sforzo, arrivò sul portico di casa sua in un attimo. La depositò sulla sedia di legno, prendendole il mento con due dita.

“Stai bene?”

La ragazza sbattè gli occhi un paio di volte, massaggiandosi la gola con le dita affusolate. Stava respirando, era salva. Guardò Stefan, gli occhi ancora confusi, ma sinceramente riconoscenti.

“Mi hai salvato la vita.”

Lui si limitò a sorriderle, accarezzandole i capelli.

“Potremo aver avuto i nostri problemi, Bonnie, ma non ti lascerei mai morire, come puoi anche solo pensarlo? – le accarezzò una guancia, rassicurandola – TI considero un’amica, vorrei che lo capissi.”

La mora fissò il proprio sguardo in quello del biondo, il calore della sua mano sulla sua pelle che creava una zona di incredibile freddo, il brivido lungo la schiena. Lui parve accorgersene perché spostò la mano, prendendo quelle di lei e aiutandola ad alzarsi. La condusse davanti alla porta di casa – la solita ironia del “tanto io non posso entrare” – e fece un cenno con le spalle, come se capisse anche lui che era tutto qui. Era come se in quel breve istante in cui si fossero sfiorati avesse percepito qualcosa, ma fosse stato incapace di affrontarlo ed aveva preferito lasciarlo in sospeso. Aprì la bocca per parlare ma rinunciò, vedendola entrare in casa: doveva tornare da Damon al Pensionario Salvatore, dove aveva portato Elena ritenendo che sarebbe stata al sicuro.

“Aspetta, Stefan.. – lo richiamò la strega, facendolo di nuovo voltare – Ti andrebbe di… entrare?”

Lo lasciò basito: l’aveva invitato ad entrare? Era come dichiarargli apertamente che si fidava di lui, che era disposta ad affidargli la sua vita ora e per sempre. La osservò con occhi confusi, sorpreso dal suo dolce ma ingenuo sorriso. Non era capace di resistere. Varcò la soglia di casa Bennett e la porta si chiuse dietro di lui.

Ancora una volta Elena affidava la propria sicurezza agli altri: quante persone ancora avrebbero dovuto difenderla dal male? Quando sarebbe stata in grado di cavarsela da sola? Probabilmente mai. Che fregatura! Bonnie si era presa anche il ciondolo, adesso, e malgrado fosse certa che né Stefan né Damon avrebbero mai osato soggiogarla, c’erano molti altri che erano pronti a cogliere al volo l’occasione. Isobel le aveva mandato un sms dandole la buona notte, ricordandole di non preoccuparsi e di fidarsi di lei. Poteva davvero fidarsi di lei? SI rannicchiò ancora contro il braccio lo del divano: il fuoco scoppiettava allegro nel camino, riscaldandola. Avrebbe potuto dormire in qualche stanza della casa, ma quel posto le dava una certa sicurezza e un calore che, era certa, di non poter provare altrove. La camera di Stefan, poi, era fuori questione, quella di Damon figuriamoci! Lo stesso Damon che stava bevendo il suo bicchiere di burbon al suo fianco. Cercò di ignorarlo.

“Guarda che sei scomoda ti porto un cusicno.”

Nessuna risposta. Che testarda.

“Guarda che non mordo mica.. non te, comunque. Ok, brutta battuta. Però potresti anche parlare, continuare a fare la martire nel disagio e nel freddo non cambierà le cose.”

La mora continuava ad ignorarlo. Troppi discorsi. Sbuffò, afferrando la coperta sulla poltrona e sistemandogliela addosso. Le tolse prima uno stivale poi l’altro, senza che lei protestasse. Quindi la sollevò di peso per le braccia, sistemandosi sul divano e lasciando che l’incavo delle ginocchia le facesse da cuscino.

“Più comodo del bracicolo eh?”

“Devi smetterla. – protestò lei, ma non si mosse da quella posizione, che trovava indubbiamente molto comoda – Sai che sono tua amica, ma così mi costringi a porre limiti che non vorrei. Per favore, Damon. Mi rendi tutto più difficile.”

“Cosa c’è di difficile? Io, te, attrazione fatale! Insomma, parliamoci chiaro, quanto vogliamo ancora prenderci in giro? Siamo legati in qualche modo, me l’hai detto anche tu un tempo.”

“Era diverso – protestò lei – Non incominciare.”

Cominciare cosa? Era da tempo ormai che non faceva altro che restarsene lì, al suo fianco, senza minimamente condizionare le sue scelte. L’aveva lasciata libera di scegliere, libera di capire cosa fare, ma non poteva negare oltre quello che c’era fra di loro, era prendere in giro lui e prendere in giro se stessa, che era anche peggio. Era preoccupata per Stefan, e poteva capire fin lì, ma non poteva andare al martirio per suo fratello per tutta la vita. Avrebbe capito. Cioè, si sarebbe sbronzato, avrebbe riempito il suo amato fratellino di botte, avrebbe fatto un giro eremitico dell’Europa in bici, ma infine avrebbe capito.

“So che hai affrontato molto stanotte, ma non capisco quest’ipocrisia! – sbuffò lui, la solita voce ammaliante al suo orecchio – Insomma.. Elena, come devo fartelo capire? Vuoi un patto di sangue?”

“Non è divertente!” – protestò lei.

“No, non lo è. Sono innamorato di te, Elena.”

Lei sbarrò gli occhi chiusi, il riflesso delle fiamme sulle sue iridi. Ecco, adesso non si tornava più indietro.

   
 
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