Happy XMas
(WAR IS OVER. If you want)
Il
caffè era particolarmente amaro di mattina, soprattutto dopo
una notte infestata da informi incubi generati da ansie che avrebbero
fatto ridere un pollo allo spiedo.
Eppure
non riuscivo a superarle, certe paure: perché diamine mia
figlia se ne andava in giro da sola senza dirmi neanche dove fosse
diretta o con chi stava andando,
per giunta quando fuori faceva così freddo che era
impossibile ritornare a casa senza i piedi gelati?
Non mi
convinceva neanche il suo buonumore di ritorno da scuola
poiché per lei non era mai stato un luogo felice sotto molti
punti di vista, e come mamma c’ero passata in pieno e stavo
ancora affrontando la battaglia a testa alta ma con una gran noia nelle
ossa.
No,
non mi convinceva per niente il suo comportamento.
Alzai
il coperchio della zuccheriera e versai un altro cucchiaino di zucchero
nella tazzina, mescolai per bene e me lo portai con speranza alla
bocca. Sì, ora era bevibile finalmente!
Soddisfatta
trangugiai ciò che restava del mio caffè, mi
pulii la bocca ed andai a cercare Fernando per dirgli che stavo uscendo
ed andavo da Michael per una chiacchierata segreta.
Da
quando si era ripresentato davanti il cancello della mia casa la notte
di Halloween, era ritornato il Michael che avevo conosciuto da bambina
e, ciò che mi rese più felice, i suoi sentimenti
per me non erano mutati.
All’inizio
il ligio maggiordomo mi guardò con fare sospetto, poi la sua
espressione si rilassò e riprese a pulire un calice di
cristallo dal vecchio servizio di nozze di mio padre, sbuffò
sonoramente e mi disse che potevo andare tranquilla,
l’importante è che ritornassi per l’ora
di pranzo.
E come
sempre non accettava ritardi.
Gli
promisi che mi sarei comportata bene e che in meno di
un’oretta avrei sbrigato le mie faccende con Michael (anche
se non era assolutamente vero) e salii le scale saltellando per andarmi
a vestire.
Fui in
strada quindici minuti dopo e facendo ricorso al mio infallibile senso
dell’orientamento, riuscii a rintracciare l’immensa
villa di Michael tra quelle che spuntavano come funghi dalle colline di
Encino, rese irriconoscibili dall’inverno e bagnate talvolta
da un tiepido sole.
Nonostante
facesse freddo il clima era sopportabile, e l’avvento del
Natale rendeva tutto più allegro: Los Angeles si era
trasformata in un pacco regalo e alle migliaia di luci che
già la popolavano si erano aggiunte le lampadine colorate ed
i festoni appesi ad ogni porta invitavano ad entrare per gustarsi un
po’ di calore domestico.
Anche
noi avevamo addobbato per bene la nostra casetta sia dentro che fuori,
impiegandoci due giorni, ed alla fine assomigliava più ad un
budino di Natale che a una villa di Beverly Hills, ma in confronto ad
alcuni nostri vicini di casa la nostra era decisamente meno
appariscente.
La
villa di Michael invece più che volgare appariscenza
possedeva una maestosità invidiabile alla Casa Bianca: le
decorazioni erano state scelte con cura da una persona di buon gusto e
nonostante la loro abbondanza non mettevano a disagio chi le osservava,
anzi, li confortava.
Il
loro instancabile sfavillio era visibile da molto lontano e
perciò scorsi sotto di esso la reggia che mi interessava tra
le altre.
Affrettai
il passo speranzosa, con
i piedi che si stavano congelando nelle Converse nere e consunte e la
giacca a vento che non proteggeva granché le mie gambe: ma
perché non guardo mai quello che pesco
dall’armadio prima di indossarlo ed uscirci con conseguenze
poco piacevoli?
Scossi
la testa, rassegnata da me stessa.
Arrivata
all’entrata principale suonai al campanello della maestosa
villa di Encino e dopo aver constatato che non ero un paparazzo
né il sicario di qualche presunto
rivale di Michael Jackson l’ancor più
maestoso cancello si aprì per lasciarmi entrare.
Vista
dall’interno l’abitazione della famiglia Jackson
era ancor più grande di quanto sembrava: il giardino
sarà stato sì e no il triplo del primo e la villa
che si ergeva dinnanzi a me anche.
Pensai
che la grandezza del luogo serviva
per nascondere persone semplici e buone come Michael e la sua famiglia.
Naturalmente
esclusi certi elementi deplorevoli.
Man
mano che percorrevo l’enorme viale che attraversava il
giardino mi facevo più tesa: e di cosa poi? In fondo non
è la prima volta che visitavo casa Jackson ed i parenti di
Michael sanno bene che non ho alcuna relazione con lui, ci mancherebbe!
Forse
il mio nervosismo riguardava ciò di cui dovevamo parlare,
ovvero mia figlia.
Era la
prima volta dall’inizio dell’adolescenza che la
vedevo diversa e, buon segno o cattivo che sia, avevo bisogno di
qualche parere dal mio amico fidato, dopodiché avrei parlato
con Katie a quattr’occhi.
E
sarei riuscita a espiantare la verità dalla radice.
Okay,
Michael mi aveva vivamente consigliato di starle vicina in qualunque
momento ma se non mi complicavo la vita non ero contenta.
Quando
giunsi davanti il portone questo era già aperto.
Non mi
feci tanti scrupoli, pensando che fosse stato spalancato apposta per
me, ed entrai nella reggia.
L’interno
era molto più spettacolare dell’esterno, e persi
così tanto tempo ad osservare i festoni natalizi lungo i passamano delle scale ed i
bordi delle porte, i vari gingilli posizionati con gran cura su
scaffali di vetro, le fotografie sbiadite della famiglia incastonate in
cornici antiquate che conservavano ancora il loro fascino
d’altri tempi che non mi accorsi di un uomo ben vestito che
gentilmente si offrì di aiutarmi, vedendomi un po’
smarrita.
Io
sussultai e per poco non lasciai scivolare dal loro posto un
delicatissimo cavallino in cristallo che fortunatamente non
balzò via e cadde tra le mie mani.
Mortificata
come se avessi fatto la pipì al letto, rimisi a posto il
cavallino e la mia attenzione fu occupata solo dalla ricerca di
Michael, che il buon uomo mi aveva detto si trovasse in camera sua,
libero dagli impegni più importanti ed intento ad un lavoro
speciale che non aveva osato rivelare a nessuno.
Conoscendo
Michael sicuramente qualcosa di straordinario!
Dissi
al buon uomo di accompagnarmi davanti la stanza del mio amico non
ricordandomi la strada e con gentilezza lui mi ci guidò, e
congedandosi con una discrezione che solo i maggiordomi hanno mi
lasciò sola di fronte alla porta.
Non
bussai subito: stavo studiando come cominciare il discorso su mia
figlia con Michael quando pensai che non gli sarebbe importato nulla e
mi avrebbe aiutato volentieri in qualunque
mio turbamento.
Perciò
mi feci coraggio e bussai pianino
pianino.
Nessun
rumore.
Riprovai
e stavolta tesi l’orecchio per ascoltare: sapevo di non fare
bella figura ma la situazione era urgente.
Dai
leggeri rumori che provenivano dalla
stanza compresi che ci fosse qualcuno dentro, intento ad
una attività così travolgente da non udire
neanche il più impercettibile dei rumori.
Mi ero
sbagliata di grosso perché senza accorgermi di nulla la
porta si era aperta e si era andata a spiaccicare sulla punta del mio
naso, come se non fosse già orribile, e chi stava uscendo
dalla stanza mi guardava sorpreso e preoccupato allo stesso tempo.
Reggendomi
ancora il naso dolorante e barcollando qua e là per il
corridoio mi accorsi di Michael e mancò poco che andassi ad
inciampare non so neanche io dove,
per poi rizzarmi per bene in piedi come una brava bambina maldestra.
La sua
espressione era immutabile.
Io ero
nel panico più assoluto.
“Ehm…
Buongiorno Michael! Bella giornata,
non trovi?”
“Bellissima,
almeno c’è il sole. Ma…
Tu cosa ci fai qui?”
“Beh,
ecco… Volevo parlare con te di una cosa… Molto
importante, e perciò sono venuta qui,
a Encino, dove tu abiti, e mi hanno fatto entrare quando gli dissi che
io ero tua amica e non avevo alcuna intenzione di farti del male, poi
un brav’uomo si è offerto di condurmi davanti alla
tua stanza ed eccomi qui!”
“Ah
bene! Allora… È molto importante ciò
di cui vuoi parlarmi?”
Sospirai
sonoramente.
“Direi
di sì, caro Michael. Riguarda
mia figlia…”
Al
ricordo di Katie il volto liscio di Michael si increspò, la
bocca si assottigliò ed il suo sguardo cadde sul pavimento
appena tirato a lucido.
Mi
invitò ad entrare immediatamente nella sua stanza e dopo che
mi fui sistemata sul letto chiuse la porta a chiave e la
lasciò nella serratura.
Ebbi
tempo di osservare lo spazio attorno a me per vedere se ci fossero
delle prove del lavoro segreto di Michael ma non vidi nulla: i suoi
normali passatempi preferiti e null’altro.
Smisi
di guardarmi intorno quando lui sii accomodò di fianco a me
e mi guardò
dritta negli occhi: riusciva a leggerci dentro ciò che
volevo dirgli, l’angoscia che provavo in quei giorni, la
tremenda consapevolezza che qualcosa stava cambiando intorno a me?
Sicuramente
sì, ma i suoi occhi erano così scuri e
impenetrabili che si poteva facilmente sbandare nel percorso verso la
verità.
Rapita
dalle sue pupille non mi accorsi della sua mano che stringeva la mia,
incitandomi a parlare.
Rimasi
stupita da quel gesto che non ripeteva da tanto tempo e dopo aver
cacciato un sospiro cominciai la mia confessione.
“Da
un po’ di tempo Katie non è più la
stessa: tu l’hai conosciuta quando era ancora una bambina, ma
fin da subito ti hanno sorpreso la sua indipendenza, la sua
curiosità, la sua indicibile maliziosità ma non
gli hai dato molto peso poiché i bambini alla sua
età sono tutti così.
Quando
varcò i confini dell’infanzia per entrare
nell’adolescenza ero un po’ preoccupata per la
strada che avrebbe preso poiché il suo carattere era
più che intrattabile e si sa cosa combinano i figli
intrattabili ai genitori apprensivi.
Ho
sempre saputo perfettamente di essere una mamma troppo premurosa e
attenta per la mia piccola, e sapevo anche che troppo amore le avrebbe
fatto male… Ed ecco il risultato.
Fugge
l’amore, e non solo quello materno.
Ormai
a casa ci incrociamo solo nelle ore dei pasti e non ci scambiamo
nemmeno una parolina, la più cretina, insignificante parola
che esista.
Esce e
non mi dice neanche dove va, ritorna e fila in camera sua.
Però
quando la vedo spuntare dal portone il suo volto esprime
felicità: è felice,
capito, Michael?
È
felice di restare lontana dalla casa in cui è cresciuta,
lontana dalle persone che le vogliono bene, lontana da me, sua madre,
quella che ha sacrificato l’intera vita affinché
lei potesse vivere serenamente!
Ed ora
c’è qualcosa che la rende ancora più
felice, e non mi lascia condividere la sua felicità!
Vorrei
tanto capirla ma non posso. Sono un’illusa, Michael.
Una
stupida illusa.
E se
tu puoi, e soprattutto vuoi
aiutarmi, io te ne sarò grata, fino alla fine”.
Le
ultime parole morirono strozzate da un pianto nato più per
nervosismo che per tristezza, il nervosismo di non riuscire a capire
cosa frullasse in testa a quella pazza di mia figlia.
Mi ero
appoggiata alla spalla consolatrice di Michael e lui come al solito non
aveva fatto storie né mi aveva interrotto durante il mio
sfogo.
Ora
accarezzandomi i capelli ondulati e tenendomi ancora la mano pensava
sicuramente ad una risposta, un consiglio che mi avrebbe aiutato ad
affrontare la situazione.
E quel
consiglio arrivò.
“Io
penso che dovresti lasciarla camminare lungo la sua strada: ora non le
serve più il tuo aiuto per andare avanti e può
benissimo farcela da sola.
Una
sola cosa ti chiedo di fare, Fiorellino: quando lei vorrà
venire da te per piangere, per urlare o semplicemente per sfogarsi tu
non esitare a darle il tuo sostegno, a sopportarla, a consigliarla, a
consolarla, perché non c’è nessuno
migliore di te che può farlo.
Ricordatelo
sempre”.
“Va
- va bene, Michael. Ma cos’è che la spinge
così lontana da me? Qualcosa
che avrebbe dovuto evitare?”
“No,
assolutamente! Se
la rende felice può farle soltanto che bene.
È
qualcosa che lei non aveva mai sperimentato e della quale si pente
amaramente… No, non è la droga o
l’alcool, tranquilla!”
“Ma
se non ho neanche parlato”
“Il
tuo sguardo parla per te”
“Ah,
ecco. E…cos’è,
allora?”
“Oh
questo non posso dirtelo io, Fiordaliso! Io non sono infallibile, lo
sai, e potrei sbagliarmi. Aspetta che te lo dica Katie, così
sarete entrambe più sollevate”
“Okay.
Grazie, Michael!”
Lo
presi per il collo e quasi lo strozzai per quanta forza ci misi
nell’abbraccio tantoché dovetti mollarlo subito,
inerme sul suo bel letto imbottito.
Sorrisi
alla tenerezza che mi trasmetteva quel ragazzo semplice e generoso:
quante persone avrà aiutato e sostenuto nei suoi ventisette anni di vita
oltre me?
Rimanemmo
a guardarci per un po’, sperduti l’uno negli occhi
dell’altra, senza neanche toccarci.
Mi
bastava semplicemente il fresco tocco dei suoi occhi sul mio viso per
essere serena.
Naturalmente
quel sensazionale attimo di estasi doveva essere interrotto da qualcosa
di umanamente fastidioso ma indispensabile.
“Oh
santo cielo! Scusa, Mike, devo andare
a pranzo!”
Mi
alzai dal letto alla velocità di una stella cadente e corsi
lungo le scale ancora più velocemente, lasciando il povero
Michael ancora disteso sul letto, completamente basito.
Mi
stavo rimettendo il cappotto per uscire quando lo vidi scendere
lentamente le scale.
Gli
andai incontro per scusarmi del mio comportamento e lui
sembrò aver letto i miei pensieri perché mi mise
una mano sulla spalla e mi tranquillizzò dicendomi:
“Non fa niente. Vai pure a casa” e poi avvicinando
la bocca al mio orecchio: “Katie ti aspetta”.
Sorrisi
e lo abbracciai per l’ultima volta prima di aprire il grande
portone e sparire nel gelo di dicembre, con la consapevolezza che quel
giorno sarebbe stato un giorno migliore dei precedenti.
“Ma
ti rendi conto? È
ufficialmente finita!”
“Non
cantare vittoria, mancano ancora cinque mesi!”
“Ma
non mi riferivo alla scuola, Sandy!”
“Ed
a cosa?”
“Beh…
Se hai un po’ di pazienza te lo spiego”
“Io
ho tutta la pazienza del mondo quando si tratta di te, cara”
“Oh,
allora… Troviamo un posto appartato dove nasconderci”
Sandy
seguì Katie attraverso il cortile quasi deserto della
scuola, facendo piuttosto fatica per colpa delle sue scarpette scomode
che la madre le imponeva sempre di indossare e diede in un sospiro di
sollievo quando si mise seduta su una delle panchine che circondavano
l’edificio, anche se era piuttosto fredda.
Ma non
ci badò molto, e neanche Katie.
Voleva
solo ascoltare ciò che voleva dirle la sua migliore amica.
“Allora…
Di che cosa si tratta?”
“Non
mettermi fretta, diamine!”
“Ma
ti ho solo chiesto…”
“Non
importa, non devi mettermi fretta lo stesso!”
“Uffa,
e va bene!”
“Okay…”
Katie
si schiarì la voce ed osservo Sandy maliziosamente.
“È
da un po’ di tempo che io ed una certa persona ci incontriamo
e parliamo. Stiamo bene insieme ma ci manca ancora qualcosa per essere
davvero degli amici. Questa persona
la conosci bene, soprattutto per un particolare…”
“Stai
parlando del professor Johnson?”
Katie
diventò improvvisamente rossa come brace e si guardava
attorno nervosamente per assicurarsi che nessuno avesse udito il
terribile segreto tra lei ed il suo professore: non era normale che
fossero così intimi, soprattutto dopo che Katie si era
ripromessa di rovinarlo come uomo e come insegnante.
Sin
dall’inizio si erano prefissi che i loro incontri sarebbero
rimasti sconosciuti agli occhi ed alle orecchie di chiunque li
conoscesse, prima fra tutti la madre di Katie che sarebbe stata capace
di rinchiuderla dentro la sua stanza per il resto della sua vita, e non
voleva giocarsi per una semplice svista la sua giovinezza appena
iniziata.
“Cazzo,
non parlare a voce così alta, potrebbero sentirci!”
“Ma
io sto parlando pianissimo, sei tu che ti agiti per un
nonnulla!”
“Okay,
sono io che mi agito per un nonnulla, ma la tua voce è
comunque troppo alta!”
“Vabbè,
la mia voce è troppo alta, cosa devo dirti!”
“Niente,
stammi a sentire!”
“Okay”
“Allora…”
Riprese Katie, tirando un lunghissimo sospiro a mo’ della
mamma ed osservando in silenzio una impaziente
Sandy con il solo pretesto di vederla soffrire.
“Io
ti racconto tutto per filo e per segno, ma ad una condizione”
“E
quale?”
“Mantieni
il segreto. O ti farò passare la peggiore nottataccia della
tua vita!”
“Va
– va bene, inizia pure!”
Katie
sorrise sadica
all’amica e finalmente partì con la sua narrazione.
“Non
so bene come sia accaduto. So
solo che dalla notte di Halloween io e Johnson siamo amici.
Cioè, non proprio amici per la pelle, ma riusciamo a capirci
l’un l’altra,
comunichiamo con linguaggi diversi dai soliti e… Niente,
semplicemente stiamo bene insieme!
Non
pensavo che fosse così bravo e sensibile: a scuola non
dimostra assolutamente questa parte del suo carattere, come se volesse
nascondere la sua timidezza e la sua poca esperienza con eccellenti
doti di insegnamento e completo controllo della classe.
In
realtà il primo che vuole essere guidato è lui,
poiché si sente molto meno maturo di un ragazzino di tredici
anni; perciò mi ha preso come sua personale strizzacervelli.
Lo
aiuto a comprendere i suoi problemi ed a risolverli e lui sta
cominciando a migliorare sotto le mie direttive, anche se penso che me
lo faccia apposta per rendermi contenta.
E poi
mi ha narrato la sua storia ma era meglio se si stava zitto!”
Sospirò
stancamente ed abbassò la testa.
“Sono
troppo felice per essere sua
amica…”
Katie
cominciò a giocare distrattamente con l’orlo della
gonna mentre Sandy la osservava sovrappensiero, indecisa su come
controbattere al discorso dell’amica.
Dopotutto
non era un argomento delicato.
E poi
la lampadina della ragione le si accese con un allegro scoppiettio.
“Ma
Katie, che assurdità stai dicendo? Proprio perché
sei felice dovresti trasmettere la tua felicità a chi non ne
ha ma ne ha infinitamente bisogno, proprio come il nostro professore! E
solo essendo consapevole di farlo veramente felice tu riuscirai ad
allontanare il brutto malessere che alloggia nel tuo cuore senza
permesso di soggiorno!”
“La
vedi facile, tu. Non hai un cervello, anzi due
cervelli, a cui pensare. E poi posso anche restituirgli la sua
felicità di una volta ma non potrò far nulla per
la sua condizione terrena: non hai visto in che posto abita, la casa a
malapena riesce a contenere lui e suo figlio…”
“Ha
un figlio?”
“Sì.
È piccolo e si chiama
John”
“Oh…”
I
brillanti occhi di Sandy fissarono per qualche secondo il suolo
ghiaioso sotto di lei. Stavolta non sapeva proprio cosa rispondere.
“Non
ci ha mai parlato molto della sua famiglia. Avrei dovuto aspettarmi una
situazione del genere…”
“Già”
“Sembra
così sicuro di sé… Ed invece
è molto fragile”
“Molto,
sì”
“Mi
raccomando, stagli
vicino!”
“E
che cosa sto facendo ora?”
“Ah
giusto! Beh… Sai cosa
dovresti fare?”
“Cosa?”
“Io
penso che lui sia ormai diventato completamente indipendente da te e
dai tuoi consigli. Dimostragli che anche tu tieni a lui!
Così non avrai più la scusa di essere troppo
felice per una persona come lui e sarai finalmente contenta, mentre
lui, poiché si sente ricambiato dalla ragazza che gli ha salvato, per così dire, la
vita, sarà ancora più felice di prima! Allora, che te ne pare?”
Stavolta
era Katie quella che si stava spremendo le meningi: l’idea di
Sandy le piaceva ma non sapeva come metterla in pratica.
Pensò
al particolare rapporto che univa lei a Joe, alla prima volta in cui
lui la invitò a casa sua senza alcun pensiero malizioso e
come lei, forse per ignoranza o compassione, aveva accettato.
Da
quel momento era stato sempre lui a chiamarla, e lei senza protestare
giungeva nella sua modesta abitazione, sola ma con una gran voglia di
aiutarlo.
Eppure
lei non l’aveva mai cercato, per quanto l’altro
avesse bisogno della sua presenza…
“Ho
trovato!”
Si
dette una pacca sulla fronte con la sua amica che la osservava
perplessa, ma invece della lampadina della ragione spuntò un
bel livido.
Beh,
meglio di nulla!
“Da
quando abbiamo cominciato a frequentarci è sempre stato lui
a cercarmi, mentre io me ne fregavo altamente e soddisfacevo soltanto
il suo bisogno di compagnia… Ma non ho mai pensato a me!
Non mi
sono mai chiesta se mi piacesse veramente conversare con lui,
l’importante è che stesse
bene con sé stesso.
E poi
non l’ho mai invitato a casa mia nelle vesti di un bravo
amico, e neanche ad uscire per le vie della città.
Penso
che gli farà piacere…”
Gli
occhi di Katie si illuminarono di una luce che aveva poco a che fare
con la sua tipica maliziosità e nascondevano un forte e sano
ottimismo.
“…
Una bella passeggiata per Los Angeles il giorno di Natale! Noi due,
soli, insieme alla città! Come
ti sembra?”
“Molto
promettente, devo dire! Però, se qualcuno che conoscete vi
vedrà? Cosa
dovrà pensare?”
“Nulla,
semplicemente che siamo grandi amici! Secondo te io vado a mettermi con
un uomo di dieci anni più vecchio di me? Ma per favore!”
“Giusto,
sono una stupida a pensare certe cose! Scusami!”
“Di
niente, tesoro”
Katie
sorrise all’amica e lei la ricambiò quando la
campanella suonò la fine della ricreazione e dovettero
ritornare alle lezioni noiose ed infinite di sempre; fortunatamente
quello era l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di
Natale, dovevano sopportare ancora quattro ore e poi avrebbero avuto
quasi tre settimane di assoluta libertà.
Per
Katie sarebbe stata l’evoluzione di un’amicizia
già consolidata e preziosa.
Non
voleva neanche pensare alla strana sensazione che le prendeva lo
stomaco ogni volta che lui le si avvicinava od ai suoi occhi burrascosi
che l’avevano conquistata dalla prima volta.
Non
voleva dare un nome diverso al loro rapporto se non quello di
“amicizia”.
Desiderava
essere solo sua amica.
Solo
sua amica…Solo sua amica…
Sua
amica…
No,
nulla di più.
Strano
a dirsi, ma sentiva un freddo tremendo alle gambe.
Forse
perché indossi la gonna, cretina?
Può
darsi… Però non è normale lo stesso.
Perché
Katie in tutta la sua vita non aveva mai tremato di freddo
né di paura.
Ed ora
invece un semplice appuntamento, oltretutto con un uomo innocuo che non
avrebbe fatto del male neanche ad una mosca, la spaventava!
Certo,
lo conosceva da quasi quattro mesi, ma quello era il loro primo
appuntamento ufficiale e tutto
ciò che era ufficiale la
rendeva nervosa.
Cominciò
a saltellare in tondo sul marciapiede per generare un po’ di
calore in corpo, non preoccupandosi minimamente dei passanti che la
osservavano perplessi, poiché ognuno aveva la sua vita ed i
suoi impegni ed una ragazzina che aspettava un suo amico
saltellando sul ciglio del marciapiede non era nulla di
interessante da vedere, neanche il giorno di Natale, quando tutti erano
impegnati nei preparativi per la cena e si stupivano nel vedere un
essere umano solo e ansioso sul marciapiede umido, come era lei.
Guardò
l’orologio: erano le cinque meno dieci.
Dai, manca
poco, Katie. Ancora qualche minuto ed arriverà.
Sì,
arriverà…
Stava
per esibirsi in una versione del Moonwalk che avrebbe fatto
rabbrividire il povero Michael al solo fruscio delle suole della scarpe
sull’asfalto quando sentì una pacca sulla spalla
che la invitava a voltarsi, e lei appunto si voltò,
riconoscendo quelle mani, quegli occhi, quel sorriso che le lasciavano
una macchia di compassione nel cuore, tanto grande da invaderlo quasi
del tutto.
Come
aveva fatto a vivere per tutto questo tempo senza conoscerlo?
“Ciao”
“Ciao.
Come state, è da molto che
aspettate?”
“No,
sono appena arrivata!”
Ma se
sei qui da mezz’ora!
“Okay”
Joe le sorrise teso, ben sapendo cosa
doveva dirle, ma le cose semplici erano quelle che meno gli riuscivano
ed in circostanze simili ancora peggio.
“Ah
a proposito… Buon Natale!”
“Buon
Natale anche a te”
Ecco,
gliel’aveva detto! Nulla di più facile.
Ora
però veniva la parte peggiore…
“Vi
va se iniziamo a camminare?”
“Certamente”
Si
ritrovarono l’uno di fianco all’altra, immersi in
una folla illuminata da colori ed emozioni, tutti differenti tra di
loro, volti sorridenti, spiritosi, euforici, preoccupati o spensierati.
E
nessuna di quelle brave persone che si erano preparate al meglio per
assistere alla Messa mattutina come cristiani
modello ed avevano cucinato con le loro curate mani il
pranzo di Natale, guadagnandosi i complimenti dei parenti e degli
amici, od avevano cantato a squarciagola le carole insieme ad un
piccolo coro posizionato davanti alla propria casetta riccamente
decorata, notava le decine di cartoni ed umide pattumiere che
infestavano gli angoli più impensabili della
città, abitate da individui sudici e arrabbiati col mondo,
che si accontentavano di poco ma avevano bisogno di molto.
Alla
vista di uno di loro Katie si irrigidì nel cappotto
imbottito e senza aspettare nulla e nessuno si fermò e
frugò nelle tasche in cerca di qualche centesimo, anche un
insulso nichelino, per placare la sua insana solidarietà.
Finalmente
riuscì a trovare dieci centesimi, che le sembravano
più pesanti di un rotolo di banconote da cinquanta, si
avvicinò al triste barbone e glieli mise nel cappello che
porgeva alla gente con la mano tremante e l’ombra negli occhi.
Non
appena sentì il tintinnio della monetina contro le poche
altre che era riuscito a racimolare il suo viso si illuminò
e regalò uno stanco sorriso alla sua benefattrice, che lo
ricambiò.
“Buon Natale, signorina”
“Buon
Natale a lei” rispose Katie mesta.
E dopo
aver salutato il malcapitato ritornò da Joe, che si era
fermato ad aspettarla appoggiato ad un palo dell’autobus, e
manco a dirlo aveva un grandissimo sorriso stampato in faccia.
“Sono
molto contento del vostro gesto, Katherine. Avete dato a quel
pover’uomo un barlume di speranza nel giorno che è
per noi il più felice di tutto l’anno, mentre per
lui purtroppo no. Sono fiero di
voi”
“Grazie,
ma non ho fatto nulla di speciale. Mi faceva pena, ed ho pensato che
potevo vivere benissimo senza quei venti centesimi in tasca, mentre per
lui erano indispensabili. Chiunque
l’avrebbe fatto”
“Chiunque
con una generosità ed una sensibilità pari alla
vostra, Katherine”
“Chiunque
con un minimo di pietà”
“Voi
non conoscete la pietà. È
ben diversa dalla solidarietà”
“Come
no…”
“Delle
volte siete proprio cocciuta!” mormorò Joe
divertito, e Katie ridacchiò sotto i baffi per il successo
ottenuto: era riuscita a farlo stare zitto finalmente!
“Ehm,
ci sediamo un attimo, per favore? Sono
un po’ stanco”
“Okay,
non preoccuparti”
Occuparono
la prima panchina che avvistarono e lui ci si lasciò andare
sospirando, massaggiandosi la testa con gli occhi chiusi.
Katie
non si stupì del suo comportamento, poiché
l’aveva visto ancora più spossato di quanto non
fosse ora e sperò che il malessere gli passasse prestissimo.
Odiava
vederlo così.
E al
massimo poteva diminuirgli lo stress psichico ma non quello fisico.
Cominciò
a sentire uno strano caldo nel ventre, che gli
saliva pian piano fino ad arrivare alle guancie e lì si
trasformava nella prova inconfutabile della sua paura.
Paura
per cosa poi?
Lei
non aveva mai avuto paura.
Provò
a distrarsi osservando la strada, la folla, il cielo ma nulla.
Aveva
un problema.
Ed
anche grosso.
“Alla
fine siete riuscita a parlare con vostra madre?”
La
voce calma e rilassante di Joe la riportò sulla Terra
dolcemente fino a ritrovarsi seduta sulla stessa panchina gelida dove
consumava la sua sofferenza.
“Eh…
Sì. Sì, oggi abbiamo parlato: le ho spiegato
molte cose che lei da molto tempo non riusciva più a capire
di me. Le ho parlato della scuola, dei miei amici, dei miei
interessi… Ed ho parlato anche di te!”
“Di
me?”
“Esatto. All’inizio non voleva credere che io
fossi diventata amica di un professore, e per giunta che insegnava
matematica, ma poi si è ricreduta e mi ha detto
“Beh, mia piccola Katie, hai fatto proprio centro!
Sta certa che ora non avrai
più problemi con le equazioni e non ci romperai
più l’anima di insulse parolacce uscite dalla tua
perversa mente!”, e poi abbiamo cominciato a ridere entrambe,
e ci voluto un bel po’ prima che ci fermassimo! È stato bellissimo”
concluse sospirando col sorriso sulle labbra.
“Lo
credo. Vostra madre, da quelle poche volte in cui ci siamo visti ai
ricevimenti scolastici, mi è sembrata una donna molto
originale. Ed anche molto buona e
generosa”
“Lo è. Solo ora
comincio a capire qualcosa del suo carattere: prima la prendevo sempre
in giro, e le poche volte che le davo ragione era per farla stare zitta
e non sentirmi ripetere sempre le stesse cose! Ma è una
grande donna. Sì…”
Al
serafico sorriso di Katie, Joe si sentì anch’egli
esplodere il cuore.
Smise
di fissarla e si concentrò sulla punta delle sue eleganti
scarpe di cuoio: aveva completamente perso la facoltà di
esprimersi chiaramente e se avesse provato ad aprir bocca ne sarebbero
uscite parole deformate da fastidiosi balbettii nervosi.
Diede
in un bel sospiro e si fece coraggio: doveva dirle una cosa molto importante.
E non
poteva tirarsi indietro, assolutamente!
“Signorina
Katherine…”
“Sì?”
“Scusate
se vi faccio questa domanda senza alcun pudore, e certamente penserete
di me che sono un impiccione, però…Voi...”
E qui
Joe iniziò la lunga sfilza di sospiri epici.
“Siete
stata mai innamorata nella vostra vita?”
La
domanda colse Katie completamente alla sprovvista: ed ora
cosa
doveva dirgli?
No.
No,
non poteva farlo.
Doveva
cercare in tutti i modi di non agitarsi così da non uscire
allo scoperto. In fondo era lei che
l’aveva invitato ad una bella passeggiata romantica il giorno
di Natale, era lei che cercava un
modo per ricambiare i suoi sentimenti, era sempre lei
che doveva fare il primo passo.
Ed
anche se lui era l’uomo…
Doveva compiere il suo dovere!
“Ehm,
veramente…”
Il
problema è che non sapeva cosa rispondere.
Davvero
una cazzata!
Ma
cosa mi importa, tanto prima o poi lo verrà a sapere! In
quale modo non lo so, però è inutile fingere
ancora!
“Veramente
sì. Sono cotta da un bel
po’ di tempo, non mi ricordo bene da quanto”
“Avete
mai provato a confessargli i vostri sentimenti?”
“No.
Non ne ho mai avuto il coraggio. Non ho paura di lui, tanto del fatto
di non essere la ragazza adatta a lui. Sembra
così maturo in confronto a me”
“Non
dite così, non è vero!”
Allo
sguardo sgomento di Katie, Joe si interruppe e la guardò
spaventato, come se in realtà avesse davanti una bestia
feroce sul punto di assalirlo per colpa della sua sbadataggine che si
presentava sempre nei momenti meno opportuni.
“Cioè…”
cercò di spiegare, ma la ragazzina si era calmata ed ora non
aveva più alcuna intenzione di sbranarlo.
Seppe
perciò che poteva rispondere alla sua affermazione
diversamente.
“Secondo
me… Il vostro amore non è come voi lo vedete:
magari è rappresentato da una persona dolce e riservata, che
aspetta soltanto di ricevere affetto e consolazione. E se voi sareste
in grado di renderlo felice certamente non vi lascerà mai
più”
“Come
fai a dire queste cose? Ti pare tanto facile strappargli un sorriso?
Ormai è troppo tardi…
Non ho potuto fare niente per lui…”
“Perché
dite così? Come al solito
vi sbagliate in pieno!”
“Perché
è la verità! Per quanto io
mi sia impegnata per aiutarlo, non sono riuscita a far nulla,
perché non mi sono resa conto prima che la sua condizione
era irreparabile! Sono stata un’illusa. Ed ora ne vedo le conseguenze”
“Mi
dispiace contraddirvi ancora, ma io non voglio che vi lasciate annegare
nelle vostre stesse colpe… Perché non ne avete.
Avete reso questa persona (ragazzo o uomo che sia) la più felice di tutto l’universo
semplicemente esistendo e standogli accanto. Penso che in questo
momento sia molto grato nei vostri confronti”
“Lo
credete davvero?”
“Sì”
“E
pensate che lui non si offenderà se… Se gli dico
che dal primo momento in cui ci siamo incontrati io
ho finto di odiarlo perché avevo paura di innamorarmi di
lui? Continueremo ancora ad essere amici come prima?”
“Beh,
penso che non se la prenderà assolutamente. Vi
perdonerà e vi chiederà di stare per sempre
accanto a lui, come due bravi innamorati”
“Ancora
un’altra domanda! Se non ti
dispiace, naturalmente…”
“Potete
farmi tutte le domande che volete, Katherine”
“Oh
bene!”
A
Katie cominciò di nuovo ad ardere il ventre come se avesse
inghiottito del carbone ardente, o peggio ancora, dello stufato di
carne al peperoncino di Fernando (che ha la maledetta abitudine di
mettere il peperoncino da tutte le parti) e non sapeva bene da cosa
dipendesse questa odiosa sensazione: forse aveva mangiato troppo a
pranzo, ed ora si sentivano le conseguenze.
Però
il peperoncino non aumentava i battiti del cuore fino a renderlo
indomabile…
“Gli
dispiacerà se gli
do’ un bacio? Uno di quelli piccoli, sulle labbra, senza
troppa bava né lingue attorcigliate tra di loro?”
“Penso
che lo fareste il ragazzo più felice di tutta
“Anche
se è un bacio rubato?”
“Anche
se è un bacio rubato”
Katie
ridacchiò sotto i baffi, constatando con stupore che la sua
testa e quella di Joe si stavano pericolosamente avvicinando, fino a
che le fronti si toccarono e l’uno sentì sulla
propria pelle il sudore dell’altra e viceversa.
I
capelli che catturavano la luce incontrarono quelli che la fuggivano.
Le
labbra caste e profumate di fragola trovarono le accoglienti ed esperte
e guidate da un gioco di irrefrenabile amore, cominciarono a conoscersi
meglio, assaporandosi e scoprendosi a vicenda, ma senza schiudersi in
una morsa fatale per entrambe, poiché un coinvolgente
scambio di sapori avrebbe rotto la romantica e pura magia che aleggiava
intorno ai possessori delle labbra.
Due
individui così differenti da essersi trovati per caso seduti
su una panchina lungo una via affollatissima ormai sgombra da qualsiasi
pericolo, da qualsiasi guardone che potesse sconvolgere la loro
passione tenuta a freno dal giusto pudore del primo bacio.
Ed
eccomi ritornata a rompervi le palle!!XD
Come
state, miei sopravvissuti?^__^ Bene, spero, perché devo
darvi una bella notizia!!
(Oh finalmente!!XD
NdTutti)
Ahahahah
spiritosi..-.-“
Comunque
è davvero una bella notizia poiché dopo quasi un
anno in cui vi ho tenuti con il fiato sospeso, vi ho fatto piangere,
arrabbiare, ridere e quant’altro scoprirete finalmente la
verità!!
Sì, capirete cos’è questa razza di
sorpresa il cui pensiero non vi ha fatto dormire la notte, e
conoscerete molte cose sulla vita di Michael che nessuno (neanche uno
di quei paparazzi da strapazzo, che il cielo li
fulmini!<___<) ha mai raccontato per tutto il tempo in
cui Michael ha vissuto su questa Terra!!
Eheh
siete curiosi??:D Allora
seguitemi fino alla fine e se perderete la via io vi ci
ricondurrò senza tanti complimenti!!^_^ Letteralmente vi
prenderò per la collottola e vi trascinerò fino a
quando non sarete in grado di reggervi da soli in piedi,
dopodiché vi spingerò per la schiena e, se
dovrò, vi caricherò sulla schiena ignorando i
vostri calci ed i vostri pugni!!ù__ù
Siete
ancora interessati all’ammutinamento??*___*
Bene,
vedo che non ci sono mani alzate! Perciò posso continuare!!
Ah,
c’è un’altra cosa che devo dirvi:
l’ultima parte di questo capitolo, che dovrebbe essere la
più bella e la più significativa (poi vedrete
ù_ù) mi è venuta in realtà
uno schifo immane!!O__O
Perciò, se volete leggerla bene, altrimenti potete anche
farne a meno!XD
E
posso dirvi anche qualcosina che non riguarda la storia di per
sé, è un’accortezza che ho preso io per
renderla meno pesante e monotona: la suddividerò in due o
tre parti, ( ma io opto per le tre) nelle
quali cambieranno di gran lunga gli eventi ed i personaggi
(tranquilli, alcuni rimarranno!^^) e vi prometto che vi
piacerà ancora di più di prima!! Farò
un miscuglio esagerato, tenetevi pronti!!XD
Oooh
ma il titolo di questo capitolo??
Avanti, non ditemi che non conoscete “Happy XMas (War Is Over)” di
John Lennon perché altrimenti vi fucilo, ed al diavolo
l’amore e la pace nel mondo!!ù__ù Bene,
sto calma..°__° In fondo ora vi devo salutare
perché la mia mente vuole riposare e voi dovete leggere,
giustamente!! (Se se, contaci..-.-“ NdTutti)
Ma
oggi siete proprio tremendi eh??O__O
Mi volete proprio male, santo cielo!!
E
visto che non sono apprezzata io me ne vado!ù__ù
*si infila il cappotto di pelliccia di alce e scompare nella nebbia*
Arrivederci!!ù___ù Ed
al prossimo capitolo, che sarà naturalmente un capitolo di
passaggio! (lo ammetto, non vedo l’ora di finire la mia
storia!XD)
Tantissimi
saluti, e soprattutto BUONE VACANZE *__*, dalla vostra .*.*Looney.*.!!
P.S.:
Ah sì dimenticavo!!
(Che sbadata che
sono!!XD) Ringrazio tutte le dolci fanciulle che hanno letto e
recensito (anche se solo la cara Romy ha
recensito..ç__ç) con l’augurio che
questo capitolo gli piacerà!!^___^