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Autore: Beatrix_    08/06/2010    9 recensioni
Il duca di Gramont sembrava una persona davvero importante; trattava chiunque con maniere spicciole, guardando tutti dall’alto in basso. Ricordo subito ciò che pensai la prima volta che lo vidi: “è la persona più antipatica del mondo, speriamo davvero che se ne vada presto!”
Un nuovo personaggio arriverà a sconvolgere le vite, ancora giovani, di Oscar e Andrè e li obbligherà a fare i conti con se stessi e con il loro rapporto.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Villa Jarjayes – 15 Aprile 1774


OSCAR: Raggiunsi in fretta la camera di Andrè e bussai piano. Non ero ancora mai stata nella sua nuova stanza. Da quando l’avevano trasferito, con l’arrivo del duca, non avevo ancora avuto occasione di andare a vedere dove l’avessero alloggiato.

Mi aprì la porta e quando vide che ero io fece un grande sorriso. Mi abbracciò, chiudendosi la porta alle spalle e mi baciò. Rimanemmo fermi lì, dietro la porta chiusa, per un tempo che non seppi quantificare, poi mi decisi a rompere l’incanto: l’ansia mi divorava da dentro e dovevo assolutamente parlargli. Che parole avrei usato? Come sarei riuscita a fargli capire che non ci avevo assolutamente ripensato, che il problema era un altro? Pensai che, se davvero mi amava come diceva, avrebbe capito in ogni caso.

“Andrè i-io... devo parlarti di una cosa che mi è venuta in mente e insomma...” annaspavo, in cerca dei termini migliori, tormentandomi le mani per il nervosismo.

Lui sorrise, un po’ apprensivo, e mi invitò a sedermi. Si allontanò e io potei vedere per la prima volta la sua camera. Era grande, anche se non grandissima: probabilmente avevano giudicato inutile allestire qualcosa di enorme per una permanenza relativamente breve, nonostante l’importante titolo nobiliare e l’immensa fortuna che adesso possedeva.

L’anticamera era piuttosto piccola, e spoglia, mentre nella camera, bene illuminata, il letto a baldacchino trionafava proprio nel mezzo. Ad un lato c’erano una scrivania ed un comò sulla stessa parete, mentre nell’altro angolo...

“Hai un pianoforte?!?” chiesi stupita. “Sì!” rispose lui con un sorriso orgoglioso. “E che te ne fai? Mica sai suonarlo?” lo presi un po’ in giro.

“No, ma così quando vieni qui puoi suonarlo tu” mi disse invitandomi a provarlo. Io mi sedetti ed iniziai a suonare la prima cosa che mi venne in mente: una sinfonia di Mozart che conoscevo a memoria. Andrè si sedette vicino a me e rimase in silenzio ad ascoltarmi, come sempre accadeva, rapito anche lui dalla melodia.

“Devo portarti qualche spartito” commentai, pensosa, quando ebbi terminato il pezzo.

“Suona ancora...” mi chiese lui, guardandomi con un’espressione strana sul viso. Io sorrisi e attaccai un altro brano dello stesso autore.

Suonare mi faceva stare bene, e dimenticavo i dubbi e i problemi. Suonai fino a quando non mi sentii troppo stanca, fin quando quasi non mi si chiudevano gli occhi. Avrei voluto suonare ancora, perché vedevo che Andrè ne era felice, ed io mi distraevo dai miei pensieri ma cominciai, per il sonno, a sbagliare le note, e giudicai più saggio fermarmi. 

Andrè mi si avvicinò e si sedette sul mio sgabello, abbracciandomi: “Allora” mi sussurrò piano “di cosa volevi parlarmi?”.

Fu come svegliarmi da un lungo sonno. D’un tratto recuperai tutta la memoria della serata, e tutto ciò di cui avrei dovuto parlare ad Andrè.

“Oh, ci sono così tante cose che devo dirti perché, insomma...” iniziai, confusa ed incerta.

“Riguarda tuo padre, e la conversazione che avete avuto questa sera?” cercò di venirmi in aiuto “anche...” mormorai io “Vuoi parlarmene?” mi chiese ancora.

Per me fu una liberazione. Gli narrai per filo e per segno il nostro breve dialogo, e quello che io avevo capito su mio padre, e mi diedi della sciocca per non aver compreso prima: “...io non so, davvero, come lui possa considerarmi una sua proprietà, un oggetto! Ora lui ha deciso che per il mio bene devo sposare te, e non importa nulla che io sia d’accordo o meno!” terminai la mia invettiva, ancora ansante.

Andrè mi sorrise e mi carezzò i capelli con una mano, per poi scendere sul mio viso, su una guancia e sul collo. Rimase in silenzio, perché sapevamo bene che era vero ciò che avevo detto e non c’era molto altro da aggiungere; lui capiva, e mi era vicino, così, silenziosamente, come lo era stato da sempre.

“E poi c’è un’altra cosa...” aggiunsi io, mormorando piano. Non avrei voluto dirglielo, ma sapevo bene che il pensiero mi avrebbe perseguitata tanto da non farmi dormire di notte se non avessi chiarito in questo momento.

“Andrè, tu cosa pensi di me?” gli chiesi alzandomi dallo sgabello del pianoforte e rimanendo in piedi, davanti a lui, che quasi si sbilanciò per la sorpresa di non avermi più come appoggio.

“In che senso cosa ne penso di te? La domanda mi pare un po’ troppo generale...” era sovrappensiero, forse aveva capito che per me l’argomento era serio.

 

ANDRE’: “Intendo, come mi vedi... come donna”.  Sapevo che ci saremmo arrivati. Ed in fondo ero contento che il discorso fosse uscito questa sera, sebbene fosse già molto tardi e sebbene le spiegazioni sarebbero state lunghe e anche dolorose, sapevo che da quel momento in poi avremmo potuto lasciarci alle spalle tutti i fantasmi del passato e vivere, insieme, serenamente.

“Mi stai chiedendo se dovrai indossare corpetti e acconciarti i capelli ogni giorno per tutto il resto della tua vita? Mi pare che sia stata tu a mettere un bel vestito per venire al ballo, appena pochi giorni fa...” la vidi arrossire ed assumere un’espressione corrucciata, e per smorzare la tensione feci un sorriso “Eri molto bella, quella sera, anche se magari non te l’ho detto per...sai, per paura che tu capissi quanto mi piaci” questa volta fu lei a sorridere, un po’ imbarazzata ma pur sempre con spontaneità.

“Vedi, Oscar, da quando siamo cresciuti, per me è stato sempre impossibile vederti come un ragazzo. Io ho sempre e solo visto la tua parte femminile, il tuo esser donna, anche negli abiti che indossi. Ciò non toglie che i tuoi comportamenti, i tuoi atteggiamenti e modi di fare “maschili”, facciano parte di te. Tu sei così: ti piace tirare di spada, fare lunghe cavalcate, ma non c’è contraddizione tra questo e il tuo esser donna, credimi.”

Sapevo che il mio discorso non era stato chiaro come avrei voluto: maledissi per l’ennesima volta il mio essere impacciato e sperai che lei capisse, che quello che avevo detto potesse rassicurarla. Tutto quello che riuscii ad ottenere, invece, fu solo maggior confusione.

“Andrè, ma io sono bella?” mi chiese tra il perplesso e l’ansioso. Io sorrisi, di nuovo “Sei bellissima; sei bellissima così, in questo istante perfetto, senza tacchi e senza belletto, sei splendida”.

Lei sorrise di nuovo e venne a sedersi vicino a me, sul letto, cercando il mio abbraccio: “Cioè...” chiese piano “vuol dire che potrò fare a meno di indossare vestiti lunghi tutti i giorni? E di occuparmi dell’andamento della casa e... Andrè, non mi fraintendere: io lo farei volentieri se questo fosse l’unico mezzo per... per stare con te perché ora ho capito cosa voglio ed io, prima di tutto, voglio te però... mi sembrerebbe di non essere più me stessa...”[1] concluse nervosamente, giocando col colletto della mia camicia.

“Sono perfettamente d’accordo con te, amore, non saresti più te stessa se cambiassi completamente abitudini e... saresti anche molto più noiosa!” le dissi ridendo e baciandole piano i capelli. Lei si girò, con un sorriso e mi baciò le labbra, dapprima piano, poi sempre più profondamente; chiusi gli occhi e ci ritrovammo sdraiati sul mio letto. L’abbracciai stretta, e con una mano cominciai a carezzarla.

Si fece strada in me quella sensazione che, dal pomeriggio, avevo cercato di scacciare: il desiderio. La volevo, ed ora era qui, sdraiata sul mio letto, così tenera e arrendevole, sussurrava il mio nome con gli occhi chiusi. Continuando a baciarla portai una mano alla sua camicia, cercando di sciogliere il primo laccio che mi capitò sotto mano. Si slegò docilmente ma lei aprì gli occhi, un’espressione di sorpresa e di timore dipinta sul volto: “A-andrè, per favore n-no... c-cioè, io ho....” si fece di brace “io ho paura” mormorò piano, cercando di non guardarmi.

“Paura?” chiesi io, cercando di sorridere e di dissimulare l’imbarazzo per quella che temevo fosse stata una brutta figura e un maldestro tentativo.

“Cioè, sì, insomma....” si tirò sù appoggiandosi sui gomiti e rimase muta, a guardare altrove.

“Paura di cosa?” le chiesi piano, dolcemente. Lei rimase in silenzio ed io non sapevo cosa dirle. Maledissi mentalmente mia nonna, per non avermi insegnato qualcosa di più, per non avermi spiegato... In fondo non sapevo sull’amore fisico molto più di lei, e non avrei potuto rassicurarla in nessun modo razionale.

D’un tratto sentii la sua mano sulla nuca e le sue labbra accostarsi alle mie. “Niente, scusami” mormorò piano, cercando di distendersi sul letto, mentre io le facevo scivolare una mano intorno alla vita.

La baciai a lungo ma non era più come prima. Era tutta tesa e la sentivo irrigidirsi sotto le mie mani. Aveva davvero paura, anche se io non capivo che cosa ci fosse da aver paura, ma così non potevamo proprio continuare.

Mi lasciai cadere al suo fianco, distesi entrambi di traverso sul letto. Lei si girò con un’espressione indecifrabile sul viso, ma molto prossima alle lacrime, per l’imbarazzo, per la paura, per la vergogna.

Io le sorrisi, portando una mano a carezzarle il volto. “Amore, ti giuro che non c’è nulla di cui aver paura però... però in fondo non è importante che succeda questa sera, no? Fra poco ci sposeremo e vivremo insieme tutta la vita, che spero sia lunga e felice, non c’è bisogno che noi, adesso, sta sera...” cominciai a farfugliare perché adesso mi ero imbarazzato anch’io.

Lei si strinse a me, nel mio abbraccio, alzò la testa e mi guardò un po’ dubbiosa. “Davvero Andrè?”

“Sì, davvero...” risposi sorridendo un po’ “Ne sei proprio convinto?” chiese lei, cominciando a farmi il solletico. Mi contorsi sul letto e cominciammo a ridere insieme come due matti. Poi riuscimmo ad afferrare i cuscini e in men che non si dica avevamo disfatto tutto il letto, rotolandoci dalle risate.

Tornò la calma, e la sentii sbadigliare. “Oscar...” la chiamai piano “Sì?” mi rispose lei, molto assonnata, girandosi appena verso di me. “Perché non resti qui, stanotte? Voglio dire, a dormire, sai... come quando eravamo bambini” forse avrei potuto risparmirmi il richiamo ai ricordi d’infanzia, ma volevo che rendesse bene l’idea.

Lei mi sorrise solamente, in un muto assenso e io l’abbracciai. Mi augurò la buonanotte ed in un attimo era nel mondo dei sogni. Io no, non riuscivo a dormire, non riuscivo a far nient’altro che guardarla, in contemplazione. Mi aveva fatto tenerezza, prima, con le sue paure così sciocche ma così da lei. Così da lei che non aveva paura di un duello, di comandare un esercito. Mi venne da ridere. Ora era qui, addormentata tra le mie braccia e senza un pensiero al mondo. La vita era bella, davvero bella, e pensai di aver finalmente raggiunto la felicità completa.

 

Villa Jarjayes – 16 Aprile 1774


OSCAR: Alzai il viso sprofondato nel cuscino, ferita da un impertinente raggio di sole che aveva giudicato opportuno infastidirmi fino a svegliarmi.

Andrè dormiva ancora al mio fianco, un braccio steso a circondarmi la vita. Sorrisi e cercai di alzarmi senza svegliarlo, per andare a tirare meglio le tende.

Rimasi un secondo in contemplazione, nella stanza semibuia, ripensando alla sera prima, a quello che aveva detto il Duca e al discorso di mio padre, alla serata passata in camera di Andrè, al pianoforte e... arrossii, ricordando cos’era successo dopo.

Era stato più forte di me. I racconti che da anni andavano facendo le mie sorelle mi avevano terrorizzata e tante e tante volte avevo pensato che non avrei mai fatto una cosa del genere.

Ora la situazione era cambiata ma era rimasta la paura, di cosa di preciso non sapevo neppure io. A chi potevo chieder consiglio? A nanny? No, mi sarei vergognata troppo. A mia madre? Ma se non ci parlavamo neppure?! Ad Ophélie? Mi aveva terrorizzata proprio lei, ne sarei uscita ancora più demoralizzata...

Ero stata così felice, la sera prima, che Andrè mi avesse capita e non mi avesse costretta a fare... cose che non mi sentivo di fare. O almeno speravo che lui avesse capita e credevo che avrebbe saputo aspettarmi... in fondo, a Versailles, nessuno l’avrebbe giudicato male se avesse deciso di concedersi una... distrazione.

In quel momento Andrè aprì gli occhi, si girò verso di me e mi sorrise ancora assonnato: no, non sarebbe mai stato capace di fare una cosa del genere; non avrebbe mai potuto, pensai rassicurata.

“Amore, vieni qui” biascicò con la bocca impastata dal sonno. Io gli sorrisi e tornai nel letto caldo, a stringermi fra le sue braccia.

“Che ore sono?” mi chiese cercando di svegliarsi ma facendosi subito conquistare dal torpore che si era reimpadronito anche di me.

“L’ora di alzarsi” risposi nascondendo il viso sulla sua spalla. “Allora dovremmo alzarci” rispose, indolente. Rimanemmo un po’ in silenzio, solo abbracciati.

Avrei potuto chiederglielo. Avrei potuto chiedergli se ci era rimasto male per la sera prima ma se da un lato avevo paura di sembrare paranoica, dall’altro non volevo una sfilza di rassicurazioni, che, pensate o meno, sarebbero arrivate puntuali. Così rimasi semplicemente lì, nel suo letto, al caldo, beandomi del tepore.

“Ti porto la colazione?” mi chiese Andrè, carezzandomi i capelli. “No, vengo anch’io con te, tanto fra poco verranno a chiamarci... ti ricordi? Dobbiamo andare a Versailles...”

“Ah, già!” rispose lui, facendosi prendere dal panico: “verranno a chiamarci...senti, sai che devi fare? Ora vai in camera tua e magari... disfa il letto” cercò di suggerirmi arrossendo “io ti aspetto al piano inferiore così facciamo colazione, va bene?”

“Va bene” risposi io e, dopo avergli dato un lungo bacio, scivolai fuori dal letto e tornai di soppiatto nella mia camera, proprio quando tutto il palazzo si stava svegliando.

Mezz’ora più tardi, scendevo nella sala della colazione, dove trovai Andrè ad attendermi con cioccolata calda e biscotti. Gli sorrisi e lui ricambiò, ma avemmo solo un attimo di intimità: pochi secondi dopo si unirono a noi mio padre e il duca, anche loro di buonumore, parlando di tutto quello che ci aspettava quel giorno a Versailles.

Andrè, di tanto in tanto, mi fissava sconsolato da sopra la sua tazza di the, divertendosi, non visto, a prendere in giro suo nonno. Io mi sentivo felice.

 

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Dunque. Non saprei spiegare esattamente tutti i viaggi mentali che mi hanno portata, alla fine, a scrivere questo capitolo come l’ho scritto. Riflettendoci però a mente fredda, ho pensato che Oscar, nel manga, dice più o meno le stesse cose a 34 (trentaquattro!) anni, perciò non mi è sembrata troppo forzata come scena...

Per quanto riguarda la forma non sono completamente soddisfatta: forse c’è qualche ripetizione o qualche frase che poteva essere scritta meglio, ma in linea di massimo non mi pare faccia nemmeno troppo schifo...

Grazie mille a tutte coloro che leggono e recensiscono, mi fa sempre molto piacere leggere i vostri commenti! :D

 

@Bay, baby80: No, no, non avevo nessuna intenzione di separarli per queste incertezze di Oscar, né di far venire a lei dei dubbi “seri” su Andrè; mi scuso se si è capito il contrario. Infatti è tornato subito il sereno! :-)

 

@pry: Mi hai quasi fatto venire voglia di scriverla quella scena, magari usando uno stile diverso e inserendola poi o... boh, non so, ma quasi quasi, tempo permettendo, ci lavoro su! :D Parlando del generale, beh, credevo di averlo reso molto comprensivo secondo il suo punto di vista. Insomma, lui non si rende conto di non capire e questa è già un’attenuante, no? Per quanto riguarda il tuo appunto: sai che ci avevo pensato anch’io? Quindi non sei pignola... poi però ho pensato che per tutto il resto della storia avevo scritto di e ho lasciato questa forma diciamo “italiana”.

 

@baby80: Il cambio di cognome ad Andrè è volutamente “cacofonico”. Ho pensato che inserendo nelle parole del generale quel nome risultasse meglio l’insensatezza e lo “sbaglio” di quelle parole.

 

 

[1] Forse questo è uno dei momenti di questa storia in cui Oscar è maggiormente OOC. Mi sono chiesta a lungo se la Oscar dell’anime, anche da più grande, avrebbe potuto fare un ragionamento simile e non ho ancora trovato risposta. Quali sacrifici avrebbe sopportato per stare con Andrè? Sono stata indecisa fino all’ultimo se lasciare quella frase e alla fine l’ho lasciata ma il pensiero ancora non mi convince del tutto...

  
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