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Autore: Isangel    08/06/2010    6 recensioni
Un matrimonio combinato. Un odio profondo. Un amore dissoluto.
Sicilia, seconda metà dell’Ottocento. Marianna è una contadina ventenne allegra e impavida, amata da tutti gli abitanti di Santoro, il villaggio in cui è nata e cresciuta. Orfana di madre da quando aveva dodici anni, Marianna vive con il padre vedovo e lavora nei campi con la madrina Pinuzza, moglie del pescatore Calogero, e sua figlia quattordicenne, Tiziana.
L’arrivo inaspettato di don Pietro Ripamonti, il nuovo padrone delle terre su cui si estende il paese dalla morte del padre, getta nello scompiglio la sua vita. Il villaggio è sotto le tormentose angherie dei suoi cortigiani e l’unico modo per calmare le acque è offrire uno sposalizio. Essendo l’unica donna nubile del quartiere, Marianna si sacrifica per sposare il giovane e dissoluto conte.
Pietro è più che felice di accettare Marianna come sua sposa, avendole già messo gli occhi addosso.
L’odio che la ragazza nutre per il marito oscura completamente il desiderio che lui prova sin dall’inizio. I rapporti tra i due sono tesi e complicati: lui, dominatore stoico e deciso, non riesce a sottometterla e lei, fiera e indipendente, non ha intenzione di lasciarsi calpestare.
Solo quando entrambi abbasseranno l’ascia di guerra, a bordo di una barca sul mare sotto il cielo di luglio, le prospettive cominciano a cambiare.
Pietro vede Marianna come la sua unica donna, la sola per cui nutre un rispetto profondo e sincero. Marianna comprende più che mai che quello che riteneva il demonio in terra è una persona con un cuore, sepolto dall’antico dolore per la morte dell’amata sorella, Laura.
Entrambi si amano appassionatamente, in un amore senza veci e denso di possessione urticante e bruciante. Un amore malato che sarà diviso da un’imminente tragedia, in cui Pietro vede la sua unica donna nelle vesti di un angelo paradisiaco. E quando tutto finisce, entrambi capiscono ciò che da molto tempo temono.
Perché non è difficile lasciarsi incantare dai dolci occhi di Marianna, celesti come il cielo di luglio.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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Come il cielo di luglio

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2.
Marianna Bruno è bramata inconsapevolmente da Pietro Ripamonti


L’estate era una delle stagioni che Marianna preferiva in assoluto. Canticchiando fra sé un dolce canto popolare, alzò gli occhi al cielo. Osservò gioiosa lo sfondo turchese, limpido e sereno, senza alcuna nuvola che potesse minacciare il suo dolce equilibrio. Un leggero venticello cominciò a diffondersi per il latifondo, portando un udibile sollievo tra i contadini.
Eppure, nonostante il tempo fosse meticoloso, Marianna avvertiva che qualcosa non andava. Stranamente, non udiva nessuna signora spettegolare, né gli uomini intonare una filastrocca con le loro voci forti e allegre. Tutto era cupo e minaccioso. Si accigliò, decisamente in ansia.   
“Marianna!”, tuonò Tiziana, correndo verso di lei.
Marianna si distrasse dai pensieri sempre più complessi e pose tutta la sua attenzione sull’amica. “Che c’è? Mi sembrava di averti già salutata e accompagnata questa mattina”, scherzò, concentrandosi sul mais da raccogliere.
“Appunto! Mi sono dimenticata di chiederti che cosa ti metterai stasera!”, disse Tiziana, quasi urgentemente.
Marianna si bloccò, totalmente presa alla sprovvista. “Perché, stasera che c’è?”
Tiziana sbuffò, spazientita. “Ma come, Marianù! La festa del raccolto, ricordi?”, chiese, retorica.
Marianna quasi avvertì il meccanismo che fece scattare il suo cervello. “Non ricordavo che ci fosse la festa del raccolto”, disse, corrucciata.
Tiziana ridacchiò appena, scostandosi una lunga ciocca corvina dal viso. “Sei sempre la solita distratta, Marianna. È impossibile che non te ne ricordi, non si parla d’altro da una settimana!”
Marianna si strinse nelle spalle, facendo attenzione che il cesto di vimini non le cascasse a terra. “Sarà, ma io non me lo ricordavo”
Tiziana scosse la testa, esasperata. Divertita, Marianna non poté fare a meno di ridere alla buffa faccia dell’amica, trascinandola in un vortice di ilarità.
Picciridde, qua si lavora, non si ride mica!”, le riprese Pinuzzza, che stava passando proprio in quel momento tra le lunghe fila di granturco.
“Mamma, diglielo a Marianna che stasera c’è la festa del raccolto!”, esclamò Tiziana, faticando a trattenere le risa.
Marianna sorrise all’espressione assolutamente sorpresa della sua commara. “Davvero non lo sapevi? Marianù, mi preoccupi assai!”
“In questo periodo mi sto distraendo un po’”, ammise Marianna, una luce birichina negli occhi azzurri.
“L’ho notato, bambina. Calogero ha ragione, pensi troppo”, sospirò la donna, stringendo ancora di più la falce.  
“Non credo che ci andrò”, disse Marianna, il tono lievemente scocciato.
“Scherzi? Stasera ci saranno tutti! Sarà divertente, dai!”, insistette Tiziana, scandalizzata dall’affermazione dell’amica.
“Ma…”
“Tiziana ha ragione, Marianna. Forse è bene che ti svaghi un po’”, notò Pinuzza, gentile.  
Marianna sbuffò, per niente amichevole. “Siete proprio delle comari insopportabili”
Pinuzza, sorridendo, raggiunse presto le donne della sua veneranda età e Marianna la seguì con lo sguardo. Le donne erano inquiete, come se fossero disturbate da qualcosa di losco e impensabile. Sembravano un’enorme congrega politica, tutte con gli occhi infossate e le rughe di preoccupazione stampate sul volto. Beh, di certo non per la festa imminente. Quelle più che altro lo sarebbero state le sue coetanee, se non fossero già tutte sposate e con marmocchi al seguito. Marianna non capiva e questo la irritava a morte.
“Dai, torniamo a lavorare”, propose a Tiziana, la mente in fibrillazione.


* * *


Pietro Ripamonti ammirò quasi incantato il magnifico palazzo che si ergeva fiero sullo scoglio, dichiarando la sua perenne e invincibile presenza. Quel paesaggio non gli era per niente famigliare, prova schiacciante del fatto di non essere mai stato a Santoro.
Stefano aveva fatto davvero le cose in grande, questo glielo doveva concedere.
L’abitazione, essendo stata in disuso per molto tempo, aveva impiegato ore per riprendere l’aspetto di una dimora calda e accogliente. Pietro non aveva perso tempo. Aveva già assunto il mastro e dei servitori, in modo di non perdersi in dettagli insignificanti.
Non si aspettava niente di speciale da un villaggio dimenticato da Dio, ma dovette ricredersi. La vista era magnifica. Lo lasciò senza fiato, cosa alquanto impensabile per un tipo difficile come Pietro, insensibile perfino al fantomatico panorama di Palermo.
Pietro si era spesso chiesto perché suo padre non avesse curato quel latifondo. Dalla sua morte, aveva scoperto ipoteche nuove e sconosciute, addirittura mai accennate in famiglia. Probabilmente nemmeno sua madre ne era a conoscenza.
Ma Santoro gli piaceva, sarebbe potuto restare più del necessario. Quando lo studio fu nuovamente abitabile, si stabilì lì con tutti i suoi bagagli di libri. Solo, Pietro afferrò una delle borse e cavò un piccolo ritratto. Sospirò non appena mise a fuoco il volto etereo e sorridente di Laura. Ricordava con precisione quegli occhi verdi come l’erba di maggio perennemente allegri, così simili a quelli della mamma, la voce vellutata, i soffici capelli scuri, i suoi sbuffi… ma Laura non c’era più. Pietro sapeva perfettamente che, se fosse stata ancora viva, avrebbe scalato mari e monti per seguirlo e stargli vicino. Perché, nonostante fosse più piccola di lui di appena tre anni, si sentiva sempre in dovere di proteggerlo. Lei, forte come una tigre e delicata come una rosa. Lei, sua sorella.
Pietro appoggiò delicatamente il ritratto e asciugò con violenza la lacrima che, involontariamente, aveva solcato la sua guancia.  


* * *


Pietro apprese della festa solo dal nuovo mastro Filippo Madantoni, assunto per la sistemazione di villa Ripamonti sulla scogliera di Santoro. La scoperta avvenne in modo assolutamente casuale, in una normalissima conversazione di cortesia. Aveva cercato di distrarsi in tutti i modi dalla tristezza che lo aveva improvvisamente assalito, ma finora nessun metodo fu abbastanza soddisfacente. Non ce la faceva davvero più. La testa gli scoppiava, una morsa ferrea e gelida gli serrava la gola e le lacrime minacciavano di sgorgargli da un momento all’altro. Se un servo lo avesse visto in quello stato deplorevole, sarebbe morto di vergogna.
L’unica soluzione che il suo cervello elaborò abbastanza velocemente era di dare un’occhiata alla festa per distrarsi. Riluttante, si costrinse a pensare che fosse la sola possibilità.
Chiese la cortesia di accompagnarlo a Madantoni, tutt’altro che felice di quella terribile compagnia. Trovava che quel Pietro Ripamonti fosse un uomo inquietante e severo, troppo vecchio per la giovane età che effettivamente aveva. Lui sì, che incuteva timore.  
Si incamminarono per le strade buie e scoscese del paese, fianco a fianco. L’imponenza di Pietro non era solo caratteriale. Il suo metro e novanta sovrastava di gran lunga Madantoni, più basso di almeno venti centimetri.
Pietro udì la ballata già da diversi metri di distanza e le sue labbra si schiusero in un ghigno. Non era di certo la musica classica a cui era abituato, ma tutto sommato era orecchiabile.
“Che cosa si festeggia esattamente?”, chiese, le braccia dietro la schiena.
“La raccolta del granturco, Voscenza”, rispose semplicemente quello, stringendosi nelle spalle. “Da anni si festeggia questo tipo di feste. Si svolgeva anche ai tempi in cui governava la buonanima di vostro padre”
La mascella di Pietro si irrigidì pericolosamente, ma Madantoni parve non farci caso.  
Buonanima… papà era tutt’altro che una buonanima.
La via si allargò, lasciando uno sbocco finale in una piazza brulicante di gente. Le danze erano già state inaugurate, motivo di sollievo per Ripamonti, che non aveva intenzione di essere riconosciuto. Se suo padre fosse stato in vita, lo avrebbe bastonato per essersi mescolato ad una massa di sudici contadini. Ma non lo era, quindi tanto valeva non dare luce a certi pensieri.
I suoi occhi scuri vagarono sulle figure aggraziate che danzavano al centro della piazza, incoraggiate dal battito allegro e altisonante delle mani.
Fu in un attimo.
Una ciocca di capelli ricci, castano scuro. Un lembo di pelle dorata. Meravigliosi occhi celesti come il cielo di luglio.
La vide. E rimase folgorato.
La ragazza danzava sensuale come un’odalisca, la bocca schiusa in un radioso sorriso. Un nodo stretto e insidioso attorcigliò lo stomaco di Pietro. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, tanto era bella e luminosa come una dea. Era piccola, ma formosa, i lunghi boccoli scuri che le arrivavano appena sopra il fondoschiena. I fianchi si muovevano aggraziati e sinuosi, risvegliando in Pietro un desiderio sordo e irrazionale, antico come il mondo.
“Chi è quella donna?”
Madantoni sobbalzò alla voce roca e involontariamente lasciva di Pietro, che non distoglieva un secondo lo sguardo dalla creatura angelica. Fissò lo stesso punto. Non appena riconobbe l’oggetto del desiderio del suo padrone, gli venne la pelle d’oca. “Marianna Bruno, Voscenza”
“La conoscete?”, chiese Pietro, guardandolo attentamente.
Madantoni annuì. “Certo, Voscenza. Conosco tutti gli abitanti di Santoro. È sempre stata una brava picciridda, la Bruno. È bellissima, ha preso tutto dalla buonanima di sua madre Lucia –che Dio la benedica-, che è morta quando avrà avuto dieci o più anni. Suo padre Michele è uno dei contadini più lavorativi che conosca. Gran bella donna, Voscenza, bella e buona. Allegra come poche, la ricordo bene, non le si spegne mai il sorriso!”  
Pietro sospirò appena, intuendo perché Madantoni si stesse dilungando così tanto sulle qualità caratteriali e non su ciò che gli premeva di più. “È sposata?”, domandò, immaginandosi già la risposta. Era quasi ovvio che una donna del genere appartenesse già a qualcuno.
Madantoni si irrigidì, temendo il peggio. Ciò non sfuggì a Pietro, che attese pazientemente la risposta. Passarono dieci secondi, intervallati dalla musica spensierata, indipendente alla loro conversazione vergognosa.
Marianna sorrideva e volteggiava, la gonna lunga che oscillava al tempo delle voluttuose anche.
“Allora?”, lo spronò Pietro, minaccioso.
“No, Voscenza”, mormorò Madantoni, talmente piano da temere che Ripamonti non lo avesse udito. Ma ovviamente intuì dal suo sorriso serafico che non era così.
“Che cosa… strana. Stento a credere che una bellezza così rara e dalle molte qualità non sia stata ancora maritata”, osservò Pietro, incrociando le braccia al petto.
Curioso, davvero. Non riusciva a crederci un granché, ma sapeva che Madantoni, se avesse dovuto mentirgli, gli avrebbe detto esattamente il contrario.   
“Non è come sembra, Voscenza”, sussurrò Madantoni, ancora mortificato. “Marianna Bruno ha molte qualità, è bella, sagace e intelligente, ma sa quello che vuole. I pretendenti non le sono mai mancati, sin da quando è diventata una signorina a tredici anni. Eppure lei vuole scegliere quello giusto, piuttosto rimane zitella. Non so se Voscenza mi capisce…”
“Ho capito perfettamente”, ribadì Pietro, ferreo. Si umettò le labbra, in un gesto inconsapevolmente osceno. “Non sono certo che il padre le permetta una cosa del genere”
Pietro pensò involontariamente a Laura.
Laura. Sua sorella, sangue del suo sangue.
Un ricordo che fece molto male. Di nuovo. Gli sfuggì un sospiro.
Madantoni si strinse nelle spalle ossute, una smorfia scettica sulle labbra. “Michele Bruno ha larghe vedute. E poi credo che desideri la figlia come compagnia un domani”
“Capisco”, disse semplicemente Pietro.
Guardò Marianna Bruno, specchiandosi lontanamente in quegli occhi sereni come il cielo di luglio.
La desiderava.
Pensieri osceni gli offuscarono la mente.
I suoi gemiti, la sua bocca sulla sua, le carni dorate che circondavano la sua essenza con il loro calore, i ricci sparsi sul cuscino bianco, gli occhi azzurri spalancati dal piacere che lui le procurava…  
Pietro si eccitò. E in quell’istante capì che Marianna Bruno doveva essere sua, solo sua.

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Eccomi qua con il secondo capitolo. Perdonate la lunga attesa, ma la scuola e lo studio continuo mi hanno impedito di postare.
Come vedete, la situazione si sta evolvendo. Abbiamo scoperto qualcosa di più sul misterioso Pietro Ripamonti. Ha visto Marianna e… la desidera intensamente.   
Nel prossimo vi sarà la vera e propria svolta (che immagino sappiate già quale XD. Addio effetto sorpresa! ;P).
Grazie per i complimenti sulla mia scrittura, ne sono rimasta meravigliosamente felice! Con la terza persona non sono molto pratica e sto tirando fuori il meglio di me stessa. Sono contenta di esserci riuscita!
Grazie alle persone che hanno inserito questa storia tra le preferite e le seguite!  Grazie anche a yle_cullen (ciao tesoro! Controlla tua –mail, o riposto al messaggio! ;) E grazie mille!), ___Ivy___ (addirittura fan number one? Grazie, sono commossa, cara!), Alice Joy (grazie tesoro per l’incoraggiamento e per i tanti complimenti! Carpe diem! Eh, eh ;)), _Elisewin_ (anche io amo i romanzi storici, in particolare quelli ambientati nell’Ottocento! Grazie mille!), lorenzablu (spero di non averti deluso con questo capitolo!), SmartiesYO (grazie mille, anche per i complimenti sullo stile! Io in terza persona non è che sia molto capace di scrivere!) ed essebi (ma mi credi che quel libro ce l’ho in casa, ma non l’ho mai letto? Credo che dovrei iniziare. In casa ho tantissimi libri e ogni tanto ne saltano fuori di nuovi, tanto che questo non sapevo nemmeno che esistesse e fosse ambientato in Sicilia! Che stordita che sono! No, mi sono ispirata solo per l’epoca e il luogo a “La zia marchesa” di Agnello Hornby. Te lo consiglio, è stupendo!)  per aver recensito!
Un abbraccio a tutti, e alla prossima!
  
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