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Autore: Abby_da_Edoras    09/06/2010    1 recensioni
Autrice: Lady Arien. Trama: la mia storia segue le vicende del film "King Arthur" di Antoine Fuqua, ma nella mia versione i cavalieri non muoiono nella missione contro i Sassoni e restano uniti a creare un nuovo Paese, la Britannia. Ho introdotto anche un amore omosessuale (senza scene hard) fra Tristano e Galahad, che sono i miei personaggi preferiti. Spero che la ff vi piaccia.
Genere: Drammatico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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I cavalieri sarmati proseguivano la loro lenta marcia dietro il convoglio, ma nei loro volti non si leggeva la gioia che sarebbe stato logico trovarvi, visto che il viaggio intrapreso li avrebbe ricondotti finalmente nella natia Sarmazia

I cavalieri sarmati proseguivano la loro lenta marcia dietro il convoglio, ma sui loro volti non si leggeva la gioia che sarebbe stato logico trovarvi, visto che il viaggio intrapreso li avrebbe ricondotti finalmente nella natia Sarmazia. A ondate giungeva loro il suono lontano dei tamburi e dei corni sassoni, poi ad essi si unì quello che sembrava il rumore di una battaglia, grida di guerra e cozzare di armi: evidentemente lo scontro fra i Sassoni e i Britanni uniti agli Woad aveva avuto inizio. Subito i loro cavalli presero a nitrire e a strattonare furiosamente le redini, sembravano scalpitare per la voglia di unirsi al combattimento e i loro padroni non riuscivano più a trattenerli.

“Cavalieri” esclamò Bors, ridendo, “devono essere proprio i cavalli a rammentarci il nostro dovere?”

Erano le parole che tutti attendevano. Gli uomini si riunirono, scambiandosi sorrisi e sguardi soddisfatti; Lancillotto fece fermare il convoglio e tutti raggiunsero in fretta il carro che conteneva gli equipaggiamenti. Prima di armarsi, Tristano si rivolse al suo falco, il compagno fedele che lo aveva sempre seguito in tutte le sue avventure e che stava tranquillamente appollaiato sul suo braccio.

“Vai, ora sei libero” mormorò affettuosamente, avvicinando il viso all’animale. Poi lo incitò a volare via e per un po’ lo seguì con lo sguardo, mentre il volatile si spingeva sempre più in alto nel cielo limpido. Già, almeno lui sarebbe stato davvero libero…

Gli altri erano impegnati a indossare le corazze e a scegliere le armi e non si avvidero del gesto di Tristano ma Galahad, naturalmente, lo notò e si avvicinò al compagno.

“Perché lo hai fatto? Quando la battaglia sarà finita e avremo sconfitto quei maledetti Sassoni lui potrà ritornare da te” gli disse, mentre un brivido gelido gli attraversava la schiena. Forse Tristano aveva liberato il falco perché sapeva che quel combattimento gli sarebbe stato fatale, che i nemici questa volta erano troppo forti?

Il guerriero si accorse della domanda inespressa negli occhi angosciati del ragazzo e gli scompigliò i capelli con un gesto affettuoso.

“L’ho liberato proprio perché non voglio che ritorni da me” spiegò. “Mi ha servito fedelmente per tanti anni, è stato un amico leale e fidato ed è per questo che io gli ho ridonato la libertà, esattamente come Artù ha fatto con i suoi cavalieri. Noi abbiamo scelto di rinunciare alla nostra libertà e alla nostra patria per ritornare a combattere al suo fianco, però questa è una decisione che abbiamo preso spontaneamente e non riguarda il falco, che ha tutti i diritti di andarsene dove più gli piacerà. Questo noi non potremo più farlo, lo sai, vero?”

Galahad annuì lentamente. Nell’eccitazione del momento aveva dimenticato cosa significava veramente tornare indietro: non si trattava solo di aiutare un amico contro un popolo crudele e spietato; una volta tornati da Artù non sarebbero più potuti ripartire per la Sarmazia, sarebbero dovuti rimanere fra i Britanni e dare vita ad un nuovo popolo. Tristano vide la tristezza negli occhi del giovane e lo strinse rapidamente a sé.

“Anche tu sei libero, Galahad” gli sussurrò dolcemente. “Non sei costretto a venire con noi, so quanto desideri ritornare in Sarmazia…”

Per tutta risposta il ragazzo lo abbracciò forte.

“Non m’importa di tornare in Sarmazia se tu non ci vieni: la mia casa adesso è dove sei tu!” affermò con decisione. Tristano gli sorrise intenerito e poi entrambi si recarono al carro degli equipaggiamenti per indossare le corazze e prendere le rispettive armi.

 

In cima a Badon, in sella al suo cavallo, Artù osservava i Sassoni dispiegarsi nel campo di battaglia, mentre il vessillo da guerra sarmata, il dragone, sventolava in alto sopra di lui. Improvvisamente udì il rumore di cavalli al galoppo alle sue spalle e ben presto si trovò accanto i compagni di tante battaglie, schierati alla sua destra e alla sua sinistra, sorridenti e armati di tutto punto. L’uomo, commosso, non riusciva quasi a credere ai propri occhi. Li fissò lungamente uno per uno.

“Vorrei che foste lontano, in salvo,” mormorò con la voce rotta dall’emozione, “ma vi sono grato di cuore per essere tornati.”

I cavalieri sarmati erano ognuno al proprio posto; Artù alzò la mano destra in un segnale convenuto e gli Woad risposero. Tutto era pronto.

Inaspettatamente, però, Tristano afferrò una freccia, la incoccò e prese la mira in silenzio. Gli altri lo guardarono, stupiti, ma c’era qualcuno che solo lui vedeva: Geoffrey, il britanno che si era venduto ai Sassoni. In quel momento stava spiando le mosse dei cavalieri dalla cima di un grande albero che sorgeva nella piana sotto di loro per poi riferire tutto a Cerdic. Il valente arciere era riuscito a scorgerlo, anche se Geoffrey si era nascosto tra i rami; la sua freccia partì fulminea e trapassò il cranio della spia, che piombò a terra con le braccia e le gambe scomposte.

“Adesso non potrà più riferire ai Sassoni le nostre mosse!” esclamò soddisfatto Bors. “Sei davvero formidabile, Tristano!”

Galahad non disse nulla, ma i suoi occhi erano pieni di orgoglio e ammirazione sconfinati.

Con un grido di battaglia, Artù sguainò la spada e la levò in alto; subito gli altri lo imitarono e unirono le spade alla sua, in un tacito giuramento.

 

La battaglia era cominciata: Ganis e gli altri giovani del villaggio avevano appiccato il fuoco alle balle di fieno disseminate lungo le mura della fortezza e iniziarono a spingerle giù dagli spalti, facendole rovinare sopra i Sassoni che vi erano entrati, decisi e sicuri di poterla conquistare in breve tempo. Mentre il fumo nero si levava, soffocando e accecando i nemici, i legionari di Marius che avevano scelto di rimanere e gli uomini del villaggio si gettarono su di loro, ansiosi di combattere. Intanto, dalla foresta, a un ordine di Merlino, gli arcieri Woad capeggiati da Ginevra fecero partire un fittissimo tiro di frecce contro i Sassoni. Quelli che sopravvivevano ai dardi erano finiti dalle spade, le lance e le mazze dei mercenari.

“Adesso tocca a noi!” esclamò Artù, lanciandosi al galoppo giù dalla collina seguito dai suoi cavalieri. I guerrieri sarmati sbucarono come fantasmi in mezzo al fumo e alle fiamme e falcidiarono i soldati di Cynric e Cerdic a decine; dietro di loro venivano gli spaventosi Woad, urlanti e spietati, pronti a uccidere e mutilare chiunque capitasse loro a tiro. In breve l’esercito che aveva tentato di infiltrarsi nella fortezza fu annientato.

Cerdic e Cynric, però, non si trovavano nella fortezza. Avevano inviato uno schieramento di fanti in avanscoperta pensando che i Britanni fossero più facili da sconfiggere, ma avevano tenuto con loro, di là dal Vallo, il grosso dell’armata. A un ordine di Cerdic, l’esercito sassone si schierò e cominciò ad avanzare nella piana. Gli uomini di Cynric, che si trovavano davanti, videro i corpi straziati e mutilati dei loro compagni a mano a mano che proseguivano, poi si accorsero anche di un’altra cosa: stavano camminando su una sostanza vischiosa che sembrava fango.

“Mio signore” disse uno dei fanti a Cynric, “stiamo avanzando in mezzo alla pece…”.

“Chiudi il becco, idiota! Che razza di soldato sei se hai paura di sporcarti con un po’ di fango?” urlò in risposta il Sassone.

“Ma non è fango, mio signore, è…”

In quel momento Artù sollevò la spada che sfavillò nel sole. A quel segnale, Ginevra e i suoi fecero partire decine di frecce incendiarie, mentre Merlino diede ordine di trasportare fuori dalla foresta le catapulte già armate dei loro micidiali proiettili e di farle scattare. I dardi e le sfere di fuoco solcarono il cielo e si abbatterono contro i nemici, per la maggior parte impantanati nella pece. In pochi istanti i guerrieri sassoni si trovarono avvolti dalle fiamme, mentre da ogni parte sbucavano cavalieri sarmati, mercenari o Woad per infilzare quelli che erano scampati al fuoco. Quando le frecce incendiarie si esaurirono, anche Ginevra e i suoi arcieri sguainarono le spade e si gettarono nella mischia, pronti ad un combattimento corpo a corpo.

Cerdic continuava ad avanzare, nonostante il suo esercito e quello di suo figlio avessero già subito delle gravissime perdite. Rianimati dal suo coraggio, i Sassoni superstiti gli si assieparono intorno e ripresero a combattere.

“I loro cavalli! Colpite i loro cavalli!” ordinò Cerdic, dopo che Artù e i suoi uomini avevano caricato più volte le armate sassoni e avevano inflitto loro perdite ingenti. Gli arcieri sassoni presero di mira le cavalcature dei Sarmati, che stramazzarono a terra: Artù e gli altri cavalieri dovettero così continuare la battaglia appiedati, lottando faccia a faccia con il nemico, in mezzo alle fiamme, al fumo nauseante, ai corpi mutilati, alla polvere e alle grida di guerra.

Ginevra e le sue guerriere stavano combattendo contro Cynric e i suoi uomini; a un certo punto la giovane Woad, esausta, si ritrovò attaccata da due Sassoni: riuscì ad abbatterne uno, ma l’altro la gettò a terra colpendola col piatto della lama e si avvicinò per decapitarla. In quel momento, però, quattro delle sue guerriere accorsero gridando, circondarono l’uomo e lo colpirono da ogni parte, facendolo a pezzi.

Ginevra rivolse la propria attenzione a un avversario ben più degno di lei: Cynric in persona. Il guerriero era soddisfatto di combattere contro di lei, che sembrava ormai stremata dalla fatica; era convinto di poterla eliminare facilmente e di riabilitarsi così agli occhi di suo padre, dopo i tanti fallimenti. In realtà, però, la giovane si dimostrò subito un osso duro: nonostante la stanchezza riusciva a muoversi velocemente e lui non era in grado di colpirla. Ci furono numerosi assalti e Cynric stesso rimase ferito da un colpo della Woad, ma alla fine riuscì a colpirla in faccia e a gettarla a terra. Si sarebbe avventato su di lei per finirla se, in quel momento, non fosse intervenuto Lancillotto con una spada in ciascuna mano. Il cavaliere aveva visto la ragazza a mal partito e si era slanciato in mezzo ai nemici per soccorrerla, abbattendo numerosi Sassoni al suo passaggio.

Cynric, che non era il più coraggioso degli uomini, vedendo un simile avversario si allontanò senza tante cerimonie, lasciando che di lui si occupassero i suoi soldati. Mentre fuggiva, però, intravide la possibilità di ribaltare il combattimento in proprio favore. Raccolse da terra una balestra e mirò alla schiena di Lancillotto, che in quel momento era impegnato in uno scontro con un guerriero sassone.

Stava per scoccare il dardo fatale ed era tanto impegnato a pregustare il momento in cui avrebbe riferito al padre di aver abbattuto il valoroso cavaliere sarmata da non accorgersi che Dagonet era sopraggiunto alle sue spalle. Disgustato dal gesto meschino del sassone, il sarmata brandì la sua enorme spada con entrambe le mani e con un colpo deciso decapitò Cynric. La testa del figlio di Cerdic rotolò nella polvere senza che nessuno vi facesse caso: Ginevra e Lancillotto stavano lottando fianco a fianco per eliminare gli ultimi soldati che avevano intorno e Dagonet, compiuto il proprio dovere, ripulì la spada per terra e si avviò verso nuovi nemici.

La fine di Cynric fu ingloriosa esattamente come lo era stata tutta la sua vita.

 

   

 

 

             

   
 
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