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Autore: WrongHysteria    11/06/2010    1 recensioni
Essere sognatori non sempre è un pregio... perché ci sono gli incubi. E spesso sono senza uscita.
Genere: Generale, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3:
La vecchina

Alex arrivò al portone di casa, afflitta, con Karen al suo fianco. Cercò le chiavi senza troppa convinzione.
Avrebbe voluto tornare indietro nel tempo e salvare il suo prezioso basso.
Con le lacrime agli occhi, continuò a cercare. Dove diavolo aveva messo le chiavi?
La sua amica la guardava, perplessa e dispiaciuta.
 << 'Fanculo >> esclamò Alex, lasciandosi cadere contro la porta. All'improvviso, quella si aprì.
Salutò Karen con un cenno ed entrò, posò la custodia dietro il muro principale e corse in camera sua. Lanciò la borsa, scalciò gli anfibi, indossò una morbida felpa grigia lasciata lì da suo fratello chissà quando e si infilò sotto il piumone, rannicchiandosi come quando era bambina. Il suo strumento musicale era tutto ciò che per lei contava al mondo, ed era andato distrutto.
Odio profondo per quella vecchia bacucca.
Gliel'avrebbe fatta pagare, si promise, guardando nel buio. O magari le avrebbe fatto acquistare un altro basso: naturalmente, i suoi genitori non gliene avrebbero mai regalato uno, dopo la fine che aveva fatto questo. Si immaginò mentre lo seppelliva dietro casa, drammaticamente. Non sarebbe stata una cattiva idea.
Le mancava già.
Si rialzò e scese le scale, diretta verso la custodia. Si inginocchiò. Il basso la guardava con aria malinconica, sembrava quasi che soffrisse. Alex sbatté le palpebre più volte, tentando di non piangere, e lo sollevò. << Mi dispiace di non essermi presa cura di te, >> gli mormorò. Pensò di essere pazza. Stava facendo una tragedia per nulla, forse. << Ti vendicherò, piccolo mio. >> lo strumento giaceva tra le sue braccia. Sembrava più fragile di ciò che era; dopotutto, era sopravvissuto a decine di cadute. Ma, evidentemente, non alla giungla presente per strada. Lo portò sul divano per osservare meglio la spaccatura. Era come vedere la ferita di un caro parente, se non peggio. 
Cercò di ricordare dove avesse messo la borsa, aveva bisogno del cellulare. Voleva telefonare alla sua Sarah e spiegarle cos’era successo, per essere consolata e coccolata da una voce familiare. Ed eccola, la sua borsa, finita chissà come sotto al tavolo. Si accucciò e tentò di arrivarci con una mano. Quando riemerse, aveva la felpa coperta di polvere. Sperò che Steve non ricordasse l’esistenza di quella felpa, o che non gli importasse molto di essa. Aprì la cerniera dorata e frugò nella borsa, destreggiando freneticamente le dita fra biglietti del tram, portamonete, spille e scontrini. Finalmente estrasse il cellulare: lo schermo lampeggiava ad indicare ch’era scarico. Sbuffò e ripartì con la spedizione nella borsa, alla ricerca, stavolta, del caricabatterie. Lo trovò dopo diverse ricerche, troppo annodato per essere vero. Districarlo fu un’impresa quasi impossibile; quando ebbe finito, il cellulare non dava più segni di vita. Vagò per casa in cerca di una presa libera e la trovò solo ai piedi delle scale. Inserì la spina, collegò il cellulare e lo appoggiò sul primo gradino. Poi si sedette al suo fianco e si guardò intorno.
Il numero del negozio di musica! Ma certo, forse loro avrebbero potuto riparare il suo basso. Tornò alla borsa; le pareva d’averlo scritto su un foglietto o qualcosa del genere, il giorno in cui era andata a comprarsi, per l’ennesima volta, dei plettri.
Aprì di nuovo la cerniera e sbirciò l’interno della borsa con aria dubbiosa. Decine di biglietti, appallottolati e spiegazzati, la fissavano con aria minacciosa, in mezzo a migliaia di oggetti non ben identificati. Sporse il labbro inferiore in un broncio, poi sospirò e immerse le mani in quel caos. Tirò fuori un foglio spiegazzato, che una volta doveva essere bianco ma ora era giallognolo: il numero della pizzeria dell’altro isolato. No. Lo appallottolò distrattamente e lo lanciò alle sue spalle. Post-it giallo: il numero della madre di Sarah per le emergenze. Nemmeno. Post-it verde: “comprare indelebile rosso”. Chissà di quanto tempo prima era. Cartina della città. Ma quanta roba c’era lì dentro?
Un biglietto attirò la sua attenzione. Era color avorio, ruvido, grande quanto un biglietto da visita ma dagli angoli strappati. C’era scritto te lo riparo io. 35, Milltorn Road. Lo fissò con aria interrogativa, piegando il capo verso destra come quando pensava. La grafia era troppo aggraziata ed ordinata per essere sua. Sembrava quella di sua nonna. Forse era stato scritto con la stilografica.
Alzò le spalle. Chissà dove l’aveva preso e a cosa serviva. Lo lanciò alle sue spalle e proseguì.
Dopo un’ora, la borsa era vuota e il numero del negozio di musica svanito nel nulla. Avrebbe dovuto andare fin là, ed erano parecchi isolati. Sbuffò.
Vide un foglietto avorio in fondo alla tasca sulla destra. Lo estrasse. Spalancò gli occhi.
Diceva Te lo riparo io. 35, Milltorn Road. Non l’aveva accartocciato solo un’ora prima?
Dubbiosa, lo strappò e lo lanciò nel mucchio dietro di lei; poi raccolse la carta e la portò in cucina, nel contenitore apposito.
Tornò ai piedi del tavolo per riportare ogni cosa nella sua borsa. Un foglietto giaceva sul fondo. Il solito Te lo riparo io. 35, Milltorn Road. Alex ostentò un’aria perplessa. Forse le conveniva andarci.
 
Milltorn Road, per chi viveva in quella città da tempo, era la via delle stranezze. Ogni negozio era particolare, difficile da trovare altrove, piccolo e con proprietari sttrambi. Alex non l’aveva mai amata particolarmente in quanto negozietti del suo genere erano stati chiusi pochi anni prima, sostituiti da ristoranti cinesi e cartolerie pidocchiose.
Quando fece capolino dall’angolo della strada, la prima cosa che notò fu l’odore di pesce. Il caldo soffocante, causato dal sole che era spuntato giusto per infastidirla, la fece pentire di non essersi messa qualcosa di più corto dei jeans al ginocchio. Toccò la catena sulla sua coscia destra: bollente. La custodia del basso rimbalzava sulla sua schiena ad ogni passo, ricordandole che il nero trasmette calore – troppo calore. E dire che fino a ieri pioveva! Ottobre, eh?
Respirò a fondo; l’aria non sembrava mai abbastanza. Tolse il giubbotto di pelle, scoprendo la T-shirt bianca dei Kiss, e lo appoggiò sul braccio. Milltorn Road, numero? Frugò nella tasca sinistra, alla ricerca del biglietto. 35. entrò nella via e la sua testa iniziò a voltarsi a destra e a sinistra, destra e sinistra, come in un incontro di tennis, alla ricerca del numero giusto. Ecco, 35.
Un’insegna troneggiava sulla porta a vetri in legno. Leggerla era impossibile: le scritte blu erano così vecchie da risultare totalmente illeggibili. Alex appoggiò una mano sulla maniglia. Un cartello attaccato con del nastro adesivo dall’interno diceva “Aperto”. La scrittura era la stessa che c’era sul biglietto. Era sulla strada giusta. Girò il pomello d’ottone ormai opaco e la porta si aprì con un cigolio.
Un odore speziato la accolse; ovunque nella stanzetta angusta c’erano stoffe coloratissime e dall’aria etnica. Ogni superficie disponibile era ricoperta da vasi e vasetti di polveri sconosciute. Ogni mobile era in legno. Il bancone era proprio in fondo al negozio, e dietro di esso vi era una porta verde e graffiata da chissà cosa. Alla sua sinistra, ciò che sembrava un mucchietto di stracci se ne stava immobile, a fissare il muro.
 << Salve, sono qui per... >> esordì Alex, muovendo un passo sul parquet impolverato e sconnesso. Quando il mucchietto si girò, rimase a bocca aperta. << Tu! >>
La vecchietta ricambiò il suo sguardo sorpreso con un sorriso tranquillo ed un lieve accenno, facendo tintinnare gli enormi orecchini che le deformavano orrendamente i lobi. I capelli bianchi ondeggiavano ad un ritmo tutto loro, come se ci fosse stato un vento invisibile. Alex si soffermò sulle rughe profonde che le solcavano il viso e sulle braccia dalla pelle cadente, secondo lei tipiche degli anziani. Doveva avere intorno ai settant’anni. L’ampia gonna arancione ricordava quella di una hippie e così pure i sandali di pelle marrone, di quelli che le persone stupide mettono con le calze. La camicia bianca sotto gli innumerevoli scialli sembrava sporca e bucherellata, forse dalle tarme. Gli occhi neri, simili a spilli, la fissavano dandole la stessa sensazione pungente.
 << Io, >> disse la vecchina, con una voce sgradevole. Bassa, gracchiante, ad Alex ricordò Axl Rose quando non cantava. Non era neanche tanto femminile.
 << Ho trovato il tuo indirizzo nella borsa. Ora mi aggiusti il basso. >> Alex era ancora tranquilla, ma per poco. Già odiava quella donna.
 << Te lo posso aggiustare con delle proprietà magiche. Ma costa parecchio. >> La vecchina allungò una mano verso una mensola posta a fianco della porta, tenendo un dito sotto le etichette per poterle leggere meglio.
 << Dovrei farmi sistemare la cosa più chiara che ho da una zingara? Con una magia? >> La ragazza scoppiò a ridere. – Ma nemmeno per sogno! – Si chiese perché fosse entrata in quel negozio e stesse parlando con una vecchia pazza che ancora credeva nella magia.
 << Io voglio aiutarti. Hai talento e solo rompendoti lo strumento avrei potuto... >>
 << Hai fatto apposta? Io ti... ti... ti... >> ad Alex prudevano le mani. Mai aveva provato istinti omicidi verso una vecchia. Pazza. (le piaceva come soprannome XD n.d. Mary)
Ella avanzò di un passo con un barattolo alto e stretto in mano, con un tappo di sughero. – Se mi fai mettere questa, posso...
 << Ma VAFFANCULO! >> urlò Alex, ed uscì come una furia dal negozietto, borbottando “vecchia pazza di merda”.
 
Ormai si stava facendo buio. Chissà dov’era Alexandra.
Forse era andata al negozio di musica, a farsi aggiustare o cambiare il basso da un commesso competente. Ma inutile.
La vecchia zingara sorrise tra sé. Una chance l’aveva concessa. E non solo non era stata presa in considerazione, ma era stata insultata e sminuita.
Aiutare un giovane talento non le interessava più. La piccola impertinente doveva pagare. Sarebbe tornata da lei in ginocchio, una volta capita di chi fosse la colpa. E lei non l’avrebbe più aiutata.
Mescolò due polveri diverse in una ciotola di terracotta, poi aggiunse delle foglie secche e profumate e le pestò. Mescolò ancora. << Elamei. Tilamei. Tinei. >>
Prese un po’ del composto ottenuto e lo soffiò in aria. << Tilamei. >>
La polvere brillò un istante. Poi, lentamente, si adagiò sul parquet impolverato, si infilò tra le fessure e sotto la porta.
La mano rugosa girò il cartello del negozio da “aperto” a “chiuso
   
 
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