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Autore: kiku77    12/06/2010    15 recensioni
Seguito di "Le Conseguenze dell'amore" - Dal primo cap:"Erano sposati da tre anni. E tutto nella loro vita era di nuovo cambiato; stravolto dal destino. Kumiko, nata sotto una cattiva stella, aveva attraversato altro dolore: un dolore molto più profondo di quello che già aveva sopportato prima del suo matrimonio. Genzo ne era stato testimone: silente, come le pietre, come il ghiaccio che non si scioglie e che sotto il sole splende indifferente"
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Kumiko Sugimoto/Susie Spencer
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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“Maria venne quindi fecondata

dalla sua cecità,

per non aver mai voluto guardare in fronte il peccato,

e fu questa ignoranza divina

che la pose al centro

di ogni privilegio materno”

POEMA DELLA CROCE

Alda Merini

 

 

“E’ bellissimo quando lo facciamo così…”

Genzo, parlandole all’orecchio, si era leggermente sollevato per guardarle il volto e per riuscire ad accarezzarle il petto.

Kumiko lo fissava, ancora piena di piacere.

Lui lasciò scivolare la mano lungo il fianco per poi spingerle la gamba affinché si divaricasse ancora un po’: voleva premerle dentro, fino all’ultimo. Lei si inarcò leggermente, in estasi.

Il seme si era completamente disperso al suo interno ed era quello, dopo l’orgasmo, il momento più bello.

Non c’era bisogno di parlare, di spiegare. Bastava fissarsi e perdersi, uno dentro l’altra.

Era quasi l’alba, di una mattina d‘ottobre. Avevano fatto l’amore tutta la notte. E dopo poco l’avrebbero rifatto; fino a quando la luce del giorno non sarebbe stata a metà della finestra. In autunno era quello il segnale di quando dovevano smettere. Loro non guardavano mai l’orologio: si basavano sulla luce, sulle stagioni, sui ritmi del corpo di Kumiko, che era diventato fragile e prezioso come un amuleto.

Erano sposati da tre anni. E tutto nella loro vita era di nuovo cambiato; stravolto dal destino.

Kumiko, nata sotto una cattiva stella, aveva attraversato altro dolore: un dolore molto più profondo di quello che già aveva sopportato prima del suo matrimonio.

Genzo ne era stato testimone: silente, come le pietre, come il ghiaccio che non si scioglie e che sotto il sole splende indifferente.

 

Una volta in Spagna, dopo poco tempo, lei aveva scoperto di essere incinta.

La notizia era stata festeggiata con una gita bellissima in campagna, insieme a Tsubasa, Sanae e i bambini.

Il piccolo Taro si era divertito a giocare e a disegnare animali immaginari con Ryo, mentre Genzo, pieno di felicità, non aveva fatto altro che guardare sua moglie senza riuscire ad esternare ciò che provava. Lui era fatto così e Kumiko cercava di imparare a conoscere i suoi pensieri dal suo volto.

Nessuno, in quelle giornate felici, avrebbe potuto immaginare l’inferno che si sarebbe scatenato di lì a poco.

Al terzo mese di gravidanza, Kumiko aveva avuto una minaccia d’aborto.

C’era già passata, ma la prima volta, per Taro, era stato completamente diverso.

Ora invece, quel bambino era stato, in un certo senso, “cercato”: era desiderato e voluto, perciò il pericolo di perderlo faceva più paura.

Da subito le fu ordinato di stare a riposo e lei aveva seguito scrupolosamente le indicazioni del medico.

Era rimasta a letto, anche se stare senza far niente, era sempre stato complicato per lei. Ritrovarsi chiusa nella sua stanza, senza poter lavorare, senza seguire Taro come sempre aveva fatto nella sua vita, era stato faticoso e frustrante. Ma il bambino che portava in grembo era il sigillo all’amore tra lei e Genzo, e aveva visto nel portiere la sua apprensione e preoccupazione. Si era impegnata con tutta se stessa quindi, per resistere e aveva cancellato con una croce sul calendario i giorni che passavano, aspettando con ansia la data prevista per il taglio cesareo: troppo pericoloso, infatti, pensare di fare un parto naturale.

Kumiko aveva trascorso il tempo a leggere libri di cucina e riviste su piante. Sanae le aveva tenuto compagnia e l’aveva aiutata in tutto, specialmente con la casa e con Taro, che intanto si era ben inserito a scuola e aveva cominciato a giocare nel Barcellona, conquistandosi la maglia numero dieci. I dirigenti che seguivano i vari settori giovanili, ne avevano subito riconosciuto il talento e tutti già si aspettavano grandi cose da lui.

Il bambino cresceva e sembrava sereno, anche se non lo si poteva dire con certezza. Forse per via della vicinanza al padre, o per un’innata predisposizione caratteriale, più passava il tempo, più di Genzo acquistava la parte oscura. Silenzioso e serio, non era più il bambino spensierato e simpatico di prima.

Kumiko cercava di parlargli molto, raccontandogli di lei, dei suoi pensieri, nella speranza di attrarlo a sé, ma vedeva crescere sul suo volto, la stessa inesorabile espressione del padre. A quella non c’era soluzione: lei lo sapeva.

 

Un pomeriggio di luglio, alzandosi per andare in bagno, aveva sentito una fitta e aveva capito: non c’era più tempo. Mancavano quattro giorni alla data stabilita, ma il bambino aveva deciso di nascere in quel momento.

Per un attimo aveva pensato all’ennesimo castigo, ma aveva cercato di restare calma e aveva telefonato a Sanae.

L’amica, in fretta e furia aveva chiamato un’ambulanza, e in assenza di Tsubasa e Genzo, in ritiro pre-campionato, aveva accompagnato Kumiko all’ospedale, lasciando i bambini con la madre di Pinto.

Le acque si erano rotte e perdeva sangue.

Sanae, scrutando sotto e togliendole definitivamente le mutande, aveva visto la testa di capelli del piccolo.

“Dio mio, Kumiko!” aveva gridato, rivolgendo poi lo sguardo all’infermiera.

Kumiko aveva temuto che la vita l’abbandonasse: aveva sentito delle voci chiamarla e non le erano sembrate sconosciute.

“I morti mi chiamano” aveva sussurrato, mentre il sangue sgorgava, e divaricata, aveva ormai mezza testa del neonato fuori.

Sanae piangeva e cercava di tenerla sveglia.

 

In sala operatoria, fu tutto talmente veloce che il dolore, se pur lancinante, fu più forte nel ricordo che in quello stesso momento: una volta sdraiata sul lettino, con il divaricatore, le avevano spinto fuori il bambino. Nella fretta, parte della placenta era esplosa nella cavità uterina. I medici, per ripulirla ed evitare infezioni, l’avevano massacrata.

Kumiko, a distanza di tempo, ricordava benissimo il suono degli utensili che le scavavano dentro e le succhiavano la vita; aveva sentito l’odore della morte da talmente vicino che aveva sorriso, perché almeno il bambino era nato, e Genzo ne sarebbe stato felice. Sarebbe morta per lui anche fino alla fine. Ogni giorno senza Genzo era stato infatti, di gran lunga più duro di tutto quel rumore di metallo che sfrega contro le tube, dentro l’utero.

Ma forse la stella cattiva, o quella strega di sua nonna che dagli Inferi guardava, avevano pensato che ancora non fosse il momento e, con un po’ di trasfusioni, un filo di vita era rimasto in lei.

L’avevano salvata.

Avevano salvato lei e il bambino.

Sanae, vedendo Tsubasa giungere con Genzo e i bambini, aveva pianto.

Il portiere aveva tremato come una foglia.

Taro era rimasto accanto a lui e aveva smesso di parlare.

C’era silenzio. Sgomento. Paura.

Il medico si era avvicinato e aveva sorriso.

“Congratulazioni… è una bambina… una bellissima bambina”.

In quel momento gli uomini  si erano guardati e Tsubasa aveva lasciato Sanae per poter stringere la mano a Genzo: lui sembrava un blocco di marmo e le labbra erano violacee. Allora Sanae l’aveva fatto sedere e gli aveva accarezzato la testa cercando di rincuorarlo.

I bambini si erano raggruppati intorno a Taro per proteggerlo e come al solito Ryo gli aveva cominciato a raccontare di come fanno i ragni a tessere la tela.

Taro si era messo a piangere senza far rumore; aveva capito che sua mamma aveva rischiato la morte e aveva temuto di non poterla vedere.

Kumiko si era risvegliata dopo diverse ore e con la bocca asciutta e gli occhi lontani, aveva chiesto proprio di lui, di Taro. Il bambino le si era avvicinato, con un po’ di timore. Lei aveva mosso la mano, invitandolo a prendere posto sul letto.

“Mamma…” aveva detto, mettendosi di nuovo a piangere.

“Stai un po’ qui con me, amore?” aveva chiesto lei, per distogliere l’attenzione.

Taro aveva fatto cenno di sì con la testa e lei dopo poco si era riaddormentata.

 

Avevano  deciso di chiamare la piccola, Manel, che nello Sri Lanka è un nome molto in uso fra le donne e significa “fiore di loto”; Kumiko aveva voluto darle un legame con Michiko e niente le era parso più bello.

Era davvero stupenda. Purtroppo però, era anche molto inquieta: piangeva di continuo e non dormiva molto. Voleva essere sempre cullata e tenuta in braccio.

Dopo una settimana in ospedale, in cui Kumiko aveva cercato di recuperare un po’ le forze, il rientro a casa era stato traumatico. Taro, terrorizzato dall’idea che la madre potesse morire da un momento all’altro, non si staccava da lei e aveva insistito per dormire nel lettone.

Il problema era che Manel piangeva sempre e la notte era un calvario. All’inizio, per non turbare il bambino, Kumiko l’aveva lasciato dormire con lei. Ma dopo una decina di giorni passati nel caos totale, Genzo aveva fatto la voce grossa e aveva ordinato a Taro di obbedire senza fare storie. Erano stati costretti ad andare a dormire da Sanae, perché paradossalmente, se durante il giorno Manel riusciva a stare calma almeno tre, quattro ore, di notte si scatenava in pianti a dirotto e Kumiko trascorreva il tempo a cullarla avanti e indietro per la stanza. Il più delle volte, verso le cinque del mattino, stremata, si metteva a piangere anche lei. Sentiva che dentro Manel c’era qualcosa che non andava; le somigliava molto. Troppo.

Eppure, appena riusciva a farla addormentare, sentiva di non potersi staccare da lei: Kumiko non prendeva sonno e restava  a guardarla incantata. Anche se non poteva dirlo a nessuno e forse era un pensiero troppo soggettivo per essere vero, le sembrava molto più bella di qualsiasi altra bambina.

E sapeva che anche Genzo la pensava allo stesso modo. Il portiere, sempre più silenzioso e sulle sue, passava tutto il tempo che poteva con la bambina: lei gli aveva rapito il cuore.

 

Erano stati mesi lunghi e difficili.

L’unica cosa che sembrava non essere cambiata per niente era il calcio: il Barcellona era la squadra più titolata di Spagna e sia Genzo che Tsubasa, erano stati protagonisti dei molti traguardi raggiunti. Anche con la Nazionale le cose erano migliorate molto.

Per Genzo e Kumiko invece, come coppia, era di nuovo tutto da ricostruire.

Ricominciare a fare l’amore era stato a dir poco drammatico. Per molto tempo lei aveva fatto di tutto per negarsi.

Alla fine, vedendo in Genzo la frustrazione e un desiderio disperato, aveva ceduto. Non aveva provato niente però: troppa paura di restare incinta di nuovo e troppo dolore a sentire qualcosa che le entrava dentro. Il ricordo del metallo che la incideva, che le scavava dentro, era ancora una ferita che sanguinava. Lui però non capiva. Non sapeva.

Alla prima occasione Kumiko, con una scusa che faceva acqua da tutte le parti, gli aveva chiesto di accompagnarla dal ginecologo. Durante la visita era rimasto fuori, con il giornale sportivo a coprirgli il volto, a nascondergli l’ansia. Poi era stato chiamato dentro: Kumiko infatti aveva pensato che se gliel’avesse detto lei, forse non l’avrebbe creduta. Perciò aveva immaginato che detto dal primario della clinica, avrebbe avuto un altro effetto.

Infatti per Genzo fu come cadere a terra.

“Vista la situazione, vi consiglio vivamente di non avere altri figli. E’ tutto teoricamente a posto, ma i rischi di un’altra gravidanza questa volta non so a cosa potrebbero portare…”.

Il dottore poi aveva cominciato a parlare delle varie precauzioni che si potevano adottare e, vedendo che nessuno dei due rispondeva, alla fine aveva preso il ricettario scrivendo qualcosa e porgendo a Kumiko una scatola.

Genzo non aveva ascoltato tutto: si era fermato al “non avere altri figli”. Lui non aveva mai pensato molto ai bambini. Ma stando a stretto contatto con Sanae e Tsubasa e, soprattutto, dopo aver conosciuto Taro, i bambini gli sembravano ormai l’unica cosa per cui valesse veramente la pena vivere, a parte il calcio. Non ne aveva mai parlato con Kumiko; forse per pudore. D’altra parte loro non parlavano; non avevano quasi mai parlato. Era sempre stato il sesso a farli comunicare. Così, in quel momento, l’idea di non avere altri figli, anzi, di non dover avere altri figli, gli parve assurdo e ingiusto.

Kumiko aveva preso un lungo respiro. Adesso lui lo sapeva. L’avrebbe accettato?

Erano usciti dallo studio senza parlare e in macchina Genzo si era nascosto lo sguardo con il berretto, accendendo la radio. Kumiko aveva stretto la scatola con le pillole, guardandole con sospetto: sapeva che non le avrebbe tollerate.

Infatti la pillola la rendeva debole e la deprimeva. Aveva provato a cambiarla ma non c’era stato niente da fare. Si sentiva gonfia e triste, come se fosse un’estranea dentro il proprio corpo.

Una mattina di gennaio, più o meno quando Manel aveva sei mesi, Kumiko aveva smesso di prenderla e prima che Genzo uscisse di casa per gli allenamenti, gliel’aveva detto.

“Da oggi non prenderò più la pillola; dopo chiamo il dottore e glielo dico. Non voglio finire neanche questa scatola… sto troppo male, Genzo”.

Lui aveva ingoiato un pezzo di mela e aveva guardato Taro, intento a sciupare i biscotti della colazione come era suo solito.

“E quindi, come facciamo?” aveva chiesto lui.

C’era stato un attimo di silenzio ed imbarazzo. Nessuno dei due avrebbe preso in considerazione altri metodi: fu chiaro da subito.

“… quindi, niente… staremo attenti… come fanno in tanti… starai molto attento, Genzo” aveva detto infine Kumiko, gelandolo con uno sguardo.

 

Era facile a parole. Soprattutto per lei.

Genzo era stato sempre molto attento nella sua vita. In tutto, sesso incluso.

Ma questo, prima di conoscere Kumiko. Di fatto, con lei, non lo era mai stato. Quando l’amava, si perdeva. Era stato in fondo questo il motivo che l’aveva spinto a scappare, all’inizio. Per sei anni. Quando stava con lei, perdeva la ragione, l’autocontrollo. Era nel sesso che riusciva a raccontarle dei suoi silenzi, delle sue paure, dei suoi pensieri più nascosti.

Lì per lì, non aveva risposto ed era rimasto perplesso. Aveva cercato però di rimuovere la questione dalla sua mente, troppo presa in quel periodo, dal campionato, il cui girone d‘andata stava volgendo al termine.

Manel nel frattempo si era leggermente calmata; di notte aveva cominciato a dormire un po’ di più e piuttosto, se era una giornata no, lo manifestava durante le ore di luce.

Tutto era ritornato a uno stato di “normalità” e Genzo, intorno a marzo, aveva ripreso a dormire regolarmente con Kumiko.

Fu allora che non ci fu più scampo.

Genzo l’aveva spogliata con lentezza e si era fermato a contemplare quel corpo che ancora, a distanza di tempo, gli sembrava un miracolo della natura. Lei invece si era sentita brutta. Sola. Incompresa.

Riprese ad amarla e con fatica aveva imparato a restare lucido: attento, appunto.

Kumiko si era resa conto di quanto Genzo l’amasse: anche se spesso i loro discorsi erano semplici scambi quotidiani, legati ai bambini o alla gestione della casa e degli impegni, sentiva che lui ci stava mettendo tutto se stesso e dopo il fastidio iniziale che era durato diverse settimane, tornò a provare piacere.

Si guardavano a lungo, come a scrutarsi, a parlarsi senza dirsi niente ed erano momenti così intensi che si dilatavano nel tempo.

Lui era diventato un po’ più freddo nella vita di tutti i giorni; più freddo di quanto già non fosse. E a lei, di colpo era tornata la paura; quella paura che le faceva il suo volto, imperscrutabile, irraggiungibile.

Fu forse per questo, per il timore di perderlo (e Kumiko sapeva che per perdere Genzo sarebbe bastato un alito di vento), che decise di non negargli proprio tutto. Così, appena le finiva il ciclo, cominciò a donarsi a lui completamente. Senza attenzione, senza freni.

Certo non filava sempre tutto liscio, perché quelle notti d’amore non si potevano calcolare. Kumiko non aveva mai avuto le mestruazioni regolarmente. E poi Genzo era sempre via, quindi capitava spesso che la fine del ciclo coincidesse con la partita in trasferta, con un ritiro o un impegno sportivo. A volte ci scherzavano su e sdrammatizzavano; ma quando tutto s’incastrava, ecco che Genzo non le dava respiro e la prendeva come all’inizio della loro storia.

L’amava senza limiti e ogni volta sembrava che lo facessero come se potesse essere l’ultima. Erano momenti speciali. Unici.

Esattamente come era stata quella notte.

Incastrati l’uno nell’altra, continuavano a guardarsi senza fiatare. La luce saliva e di lì a poco avrebbero dovuto smettere.

“Torniamo indietro?” le chiese Genzo ributtandola sotto e afferrandole le mani con un po’ di forza.

“Fino all’inizio?” chiese lei, aprendo meglio le cosce.

“Fino all’inizio…”

“E dopo?” chiese ancora lei, cercando una parola in più.

Ma Genzo non rispose: era troppo impegnato a non sciupare quei pochi momenti che gli restavano per godere fino in fondo dell’amore della sua vita.

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Ciao a tutti…

E’ una storia complicata, questa. Quasi distorta. D’altra parte non potrebbe essere diversamente, visto che c’è Kumiko…

Vorrei ringraziare di cuore tutte le persone che hanno letto, seguito, recensito “Prospettive”. Grazie alle persone che l’hanno inserita fra le storie preferite, da seguire, ricordare. Grazie a Anthy e Benji79 per averla recensita affinché potesse essere inserita fra le storie scelte.

Grazie alle persone che hanno recensito l’ultimo cap della ff (“Prospettive”, intendo): a ciascuna ho inviato una mail di ringraziamento e spero che tutte l’abbiano ricevuta. Colgo l’occasione per ringraziare coloro che mi hanno risposto.

Grazie anche a chi continua a leggere le mie ff precedenti; a tal proposito ringrazio Marychan82 per aver inserito “Le conseguenze”, come invito alla lettura nel programma recensioni.

Grazie già da ora, a chi vorrà leggere questa nuova storia…

A presto

 

 

 

 

 

 

   
 
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