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Autore: Akrois
- Titolo: die Krähe
- Titolo del Capitolo: 03 “Della fuga, dell’errore,
del dolore.”
- Personaggi:
- Genere:
Triste, Sentimentale, Storico.
- Rating: giallo.
- Avvertimenti: One-short,
AU.
- Conteggio
parole: 349
- Note: Ultimo capitolo. Anche se a
notare i commenti ho sconvolto tutte le mie lettrici con questa storia dei
“tre capitoli” xD purtroppo non ce la faccio a farla durare di
più ç.ç mi sembrerebbe di allungare troppo il brodo, comprendetemi
ç.ç
AH, una nota: sì, in effetti mi piacerebbe
svilupparla come originale (*-*). In realtà il mio desiderio sarebbe
vedere un film su una storia simile. Non proprio la mia, ma comunque una storia
così. Solo io penso che sarebbe davvero un bel film?
Comunque questo capitolo è una merda. Non mi
piace il finale. Ed è troppo drammatico. Sembra il tipico finale
giapponese (avete presente quando tutto và male? Peggio.).
Tschau: è la forma germanizzata di
“Ciao”.
Julleuchter : è
un candelabro rituale che veniva dato agli uomini delle SS per il solstizio
d’inverno.
03
Della fuga, dell’errore, del dolore.
Chiude gli occhi. Inspira. Espira.
Bene, i polmoni vanno. Apre lentamente gli occhi,
aspettando che essi si abituino al buio, cercando di definire i contorni della
cella.
Si puntella al muro dietro di sé ignorando il
dolore alle braccia e alle spalle, alzandosi molto lentamente. Riesce a sentire
il calore del sangue che cola lungo le gambe nude, gocciolando a terra.
C’è anche altro che macchia le sue gambe, ma è meglio che
non ci pensa.
Mettersi dritto non gli mai sembrato così
difficile, nemmeno quando lui e Ludwig sono sbronzi e cercano di tenersi su a
vicenda e invece cadono a terra come idioti e ridono e si baciano e…
No, non deve pensare a Ludwig. Sicuramente quei
tizzi là sono in grado di leggere il suo nome nei suoi pensieri e lui
non ha sopportato una settimana di tutto quello per fargli sapere il suo nome
così facilmente.
Suona di nuovo il campanello. Bussa alla porta.
Suona il campanello. Bussa alla porta. Campanello. Porta.
Bestemmia.
Sbatte il pugno con forza contro la porta,
sbraitando ingiurie contro Feliciano
cheèdaunasettimanachequellostronzoèsparitoenonglihadettonullasaràandatoadivertirsiconlospagnoloneèsicuro.
Si volta furibondo, marciando fuori
dell’edificio con gran clangore degli stivali chiodati. La sua tanto
agognata vacanza sta andando a farsi fottere per colpa di Feliciano e la cosa
lo fa giustamente imbestialire.
Sbraita qualcosa al portiere dell’edificio,
sputacchiandogli in faccia che quando quello stronzo d’un Vargas
tornerà a casa dovrà dirgli che Ludwig l’ha cercato e che
quando torna gli spezza le ossa.
Non ascolta neanche le parole timorose
dell’uomo ed esce dal palazzo col viso paonazzo, fumando di rabbia.
Cammina calmo per il corridoio, pregustandosi una
seratina divertente. È sempre divertente estorcere confessioni ai
prigionieri.
Poi gli hanno detto che quel prigioniero è
particolarmente coriaceo: sono dieci giorni che cercano di fargli sputare fuori
il nome dell’amante e ancora non ci sono riusciti.
Sorride allegro, pensando a quale metodo
potrà usare per fargli sputare quel nome. Potrebbe usare il classico
metodo delle tenaglie. O magari il bastone spezzato (ma a quanto gli hanno
detto gliene hanno servito in abbondanza per tutto il tempo). O magari qualcosa
di più raffinato, tipo quel suo collega che affama le persone per giorni
e poi le riceve davanti ad un piatto di stufato fumante, promettendo loro di
farli mangiare se parleranno.
In genere mangiano una pallottola, però.
Apre la porta sorridendo - Buongiorno!- esclama
tutto allegro muovendo un passo nella stanza.
Allegria che muore all’istante quando si trova
davanti il volto contuso di Feliciano – Vargas!- oh, nella foga si
è dimenticato l’”Herr”, pazienza. Chiude la porta con
un tonfo, avvicinandosi al corpicino sottile buttato in un angolo della cella
(ma quanto puzza poi quella cella? Sembra una stalla per maiali) allunga le
mani verso di lui, bloccandosi a pochi centimetri dal suo corpo – Vargas,
Vargas, ma cosa vi è successo? Cosa ci fate qui?- domanda tremante,
inginocchiandosi accanto a lui. Feliciano volta lentamente il viso–
Tschau, Herr Hauptsturmführer Beilschmidt.- sussurra con tono tremante,
stendendo le labbra martoriate in un sorriso – Cosa ci fate qui?
Ludwig tira un pugno al muro e impreca quando
l’intonaco del soffitto gli cade sulle spalle. Sulla parete ci sono i
segni rossastri del sangue delle sue nocche, a perpetua memoria della sua
idiozia.
Non si doveva fidare dell’italiano. Glielo
avevano detto che gli italiani sono una razzaccia, gente fifona di cui non ci
si può fidare.
Cade a terra e si scompiglia i capelli con le mani,
blaterando a mezza voce insulti.
- Dove sei?- sussurra poggiando la fronte contro il
muro – Dove sei?
- Non c’e la faccio più. - sussurra
Feliciano steso al centro della cella. Gilbert resta inginocchiato accanto a
lui, stringendone la mano – Dovete sopportare, Herr Vargas.- sussurra
l’uomo carezzando la mano pallida e ferita.
- Presto smetteranno di farvi del male.
Intercederò io, vi farò liberare…- - Ma non smetteranno di
cercare il mio amante, non è vero?- sussurra Feliciano guardando il
soffitto.
- Hanno di sicuro trovato lo Julleuchter a casa mia. Sanno che è dei vostri. Non avranno
pace finché non avranno ucciso me- una lacrima gli scivola sul viso
– e trovato lui.
Gilbert lo guarda. Vorrebbe dirgli che lui sa, sa
tutto. Che lui ha sempre saputo, ma non ha mai detto nulla.
Che sapeva di lui e Ludwig, che era spesso ubriaco
ma non stupido.
Vorrebbe dire al piccolo italiano steso a terra che
gli ha voluto bene, tanto bene da morirne e voler fa finta di non sapere,
proteggere quella piccola bolla di cristallo in cui loro due volevano vivere.
Una lacrima gli si blocca tra le ciglia, mentre pensa a cosa farà il
fratello. Ludwig non riuscirebbe a sopravvivere a una cosa simile.
- Portatemi fuori di qui.- sussurra Feliciano
stringendo appena la sua mano – Fatemi uscire di qui. – dice con le
lacrima che rigano il viso – Altrimenti io… Lui… Vi
prego…-.
Gilbert trema e annuisce, ricacciando indietro le
lacrime – Vi farò uscire, Herr Vargas. Vi farò uscire
questa notte stessa. - promette baciandogli la fronte.
Entra nel palazzo con passo incerto, dondolando
pericolosamente da una parte all’altra. Si avvicina al portiere a capo
chino, cercando di non far vedere la faccia disastrata – Herr
Vargas…- mormora piano – è tornato?
L’uomo scuote la testa.– La ringrazio.
Hail Hitler.- sussurra Ludwig allungando stancamente un braccio in una parodia
di saluto, battendo i tacchi senza troppa convinzione. L’uomo lo imita.
Si volta, dirigendosi verso la porta e sente la voce
incerta del portiere – Non credo che tornerà mai. - alza gli occhi
al cielo – E come mai? È tornato in Sicilia? Il francese è
venuto a prenderlo? S’è n’è andato con lo spagnolo?-
domanda con un ghigno sbieco sul volto – No, Mein Herr.- balbetta
l’uomo – Circa dodici giorni fa è stato portato via dalla
Gestapo.-.
- Ah.- sussurra Ludwig – Dalla Gestapo.- il
mondo si fa nero all’improvviso. L’ultima cosa che sente è
il grido del portiere e il duro impatto del pavimento contro la sua nuca. Poi,
un rilassante oblio.
Lo afferra un braccio, caricandoselo sulla spalla
– Siete scuro che funzionerà?- sussurra Feliciano coprendosi col
cappotto dell’altro – Certamente. - afferma Gilbert fingendo una
totale sicurezza in sé. Figuriamoci, persino il suo cervello di gallina
arriva a capire che come piano fa acqua da tutte le parti. Ma è la
migliore –ed unica-idea che gli è venuta, quindi tanto vale
chiudere gli occhi e sperare che vada tutto bene.
Feliciano gli sorride – Vi ringrazio. -
sussurra. Gilbert sorride e sposta il viso da una parte avvertendo le lacrime
scorrere lungo le guance – Figuratevi. Dovevo farlo.- dice tentando un
risolino stridulo – Per voi e mio- si blocca. Feliciano lo guarda –
Per vostro?- - Niente!- esclama Gilbert trascinandolo lungo uno stretto
corridoio (ecco, la porta, la porta è laggiù, manca così
poco davvero pochissimo) – Per vostro fratello?- Feliciano stringe una
mano sulla stoffa della divisa di Gilbert, reprimendo un singhiozzo – Voi
sapevate tutto, vero?-.
- Non è che avete fatto molto per non farvi
beccare. - sussurra Gilbert tremando - La prossima volta state più
attenti.- si raccomanda sorridendo – Se mai ci sarà una prossima
volta.- dice Feliciano abbassando il capo e lasciandosi trascinare fuori della
porta.
Ah, l’aria della notte è fresca e
frizzante e sembra quasi ripulire le sue ferite. Respira e sorride –
Certo che ci sarà!- esclama Gilbert – Adesso ti porto da lui,
così potrete andarvene in Svizzera e lì-
Feliciano si butta di lato, alzando le mani nel
tentativo di evitare quella pioggia di schegge d’osso e sangue e robaccia
viscida che salta ovunque. Cade a terra sulle ginocchia e davanti a lui Gilbert
sembra cadere a una lentezza inverosimile.
Arranca fino a lui piangendo – Gilbert- pigola
allungando le mani e cercando febbrilmente di raccogliere tutto quel Gilbert
sparso sulla terra polverosa – Gilbert, mi dispiace, mi dispiace, mi
dispiace, mi dispiace, mi dispiace…- ripete quel “mi
dispiace” come un mantra. È talmente impegnato in quello che quasi non si accorge della bocca di un fucile puntata al suo collo
– Idioti.- sibila una voce.
Lo sparo riecheggia nella Berlino notturna,
infilandosi come un gas malefico nella finestra dell’ospedale in cui il
povero Beillschmidt è stato ricoverato per accertamenti.
Ludwig sgrana gli occhi alzandosi di scatto dal
lettino, voltandosi verso la finestra.
- Voi chi diavolo siete?- sbotta l’uomo
abbronzato con aria scocciata – No, anzi, non me lo dite, non me ne frega
nulla. Siete qui per mio fratello? Che ha combinato quel cretino?- dice
l’uomo incrociando le braccia sul petto nudo. Ludwig sorride quasi
– Ecco, vede, quo fratello è…- la gola si secca
all’improvviso e la lingua non
sembra volersi muovere per pronunciare quelle poche
parole.
- Vostro fratello è…-
si porta una mano al cuore, respirando affannosamente. Ma è sicuramente
il sole, già, il caldo sole della Sicilia.
Anche se gli
sembra di provare un curioso déjà-vù. Non si era sentito
così anche quando gli avevano detto che Gilbert era morto nel tentativo
di far evadere il prigioniero Vargas? O anche quando gli avevano detto che
Feliciano era stato portato via dalla Gestapo?
Tenta di essere
serio, sorridere e far finta di nulla, ma nessuna delle tre gli riesce
particolarmente bene e sembra solo pazzo – Morto.
Si accascia a
terra con un rantolo, la mano stretta a livello del cuore.
L’italiano
corre verso di lui gridando assieme agli altri uomini sparsi in mezzo alle
spighe. – Oddio, è morto, è morto!- esclamavano gli uomini
e le donne torcendosi le mani, terrorizzati all’idea di dover spiegare
cosa ci fa un tedesco morto nel loro campo – È morto di crepacuore.
– dice Lovino fissandolo con gli occhi appannati dalle lacrime. Ah,
quello stupido di Feliciano.
Perlomeno non sarebbe
stato troppo solo.