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Autore: BigMistake    15/06/2010    1 recensioni
Dal Prologo: "Un nano ed un elfo, in groppa allo stesso destriero. Definire tale cosa rara, sarebbe soltanto blasfemia. Eppure successe alla fine della Terza Era, quando la Quarta albeggiava altisonante sulle teste della Terra di Mezzo. [...] Proprio in quel viaggio conobbero, a caro prezzo un popolo nascosto, Gwath - Ombre, venivano chiamate, e si mostravano come spettri nella notte. Mai avevano agito al di fuori delle loro terre, ma i tumulti che avevano scosso Mordor e tutti gli abitanti delle Terre dell’Est, ovviamente le avevano costrette a “cacciare”, se così possiamo definire la loro una caccia, ben oltre il loro piccolo recinto fatto di alberi e oscurità." Sarìin, il bardo racconta una storia agl'avventori di una taverna, i cui protagonisti presero parte alla Compagnia che salvò la Terra di Mezzo da un'imminente fine. Grazie per la vostra attenzione e buona lettura!
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO I: Mani benedette!

Molti cavalli più piccoli di quelli di Rohan dalla corporatura slanciata e fragile all’apparenza, brucavano nascosti oltre il sentiero che conduceva fuori da quella foresta colma di esseri ostili alle Ombre e ben più forti di loro.  Attendevano pazienti i loro padroni che, con i due sfortunati ospiti, intrapresero velocemente la via per le Terre Brune attraversando un guado dell’ Anduin, il grande fiume, con la sicurezza di chi più volte aveva percorso tale sentiero. La sterpaglia ingrigita dai colori fumosi dell’oscurità avanzava incerta nell’oblio, soccombendo al celere accampamento eretto tra due  piccoli promontori collinosi che formavano una sorta di gola strozzata. Legolas resistette quasi tutto il viaggio ma la perdita di sangue aveva già offuscato i suoi sensi ed imperlato la fronte di sudore. Il nano venne assicurato ad un palo principale di in una tenda, sorvegliata da due non eccessivamente alte guerriere. Ebbene si, miei signori, quelle erano delle guerriere e non baldi giovani come si poteva pensare. La terra brulla offriva una vista migliore ed il nano poté osservare meglio chi lo stava tenendo prigioniero. L’esiguo tempo che gli fu concesso, non gli permise tuttavia di ammirare le loro fattezze ma gli consentì comunque di distinguere le loro forme rese ancor più evidenti dalle succinte pelli che lasciavano scoperte gran parte della loro epidermide olivastra.

“Puah, donne!” un grumo di saliva cozzò contro il pavimento fatto di nuda terra del suo improvvisato giaciglio, o meglio seduta data la posizione obbligata dalle mani assicurate attorno all’albero maestro del temporaneo riparo. I suoi continui tentativi di scarcerazione furono vani e scemarono con la stanchezza che stava sopraggiungendo. “Altro che Gentil Sesso! Sono peggio delle serpi, avventarsi su due combattenti privandoli della possibilità di difendersi! Se avessi con me la mia ascia probabilmente gli impartirei una bella lezione di lealtà!” borbottava da ore ormai senza che nessuno intervenisse nel farlo tacere. Gli scocchi di lame lanciate nel vento erano rudi e forti, valenti frecce risuonavano costanti. Le guerriere non smettevano mai di combattere, ogni momento era perfetto per un buon allenamento. Le pelli che ricoprivano l’uscio si scostarono ed una figura bella ed aitante entrò nella allora dimora del nano, lasciandolo per la prima volta senza parole. Le gambe tornite e muscolose erano coperte semplicemente da stivali dalla forgia maschile fino a metà polpaccio dando bella mostra di se, allacciata alla vita una pelle era legata celando giusto le pudenda, una sottile fascia stringeva il florido seno, schiacciandolo nell’imitazione di un petto virile. Nessun monile si trovava al suo collo a differenza dei capelli in parte intrecciati a piccole piume colorate e perle che risaltavano il loro colore corvino sulla pelle bronzea rasentante la perfezione. Due occhi scuri, vividi e impenetrabili scrutavano il Portatore della Ciocca in silenzio, ripagato con uno altrettanto carico. La donna si mosse avanzando di un passo chiudendo  la bocca del nano che, impalata, si era aperta alla mercé degl’insetti.

“Chiudi la bocca nano, non vorrai che le mosche facciano il loro nido all’interno di essa!” il suo accento suonava strano ma il nano, ripreso da quell’incanto procurato dalla visione della donna, iniziò a borbottare, scatenando la risata della sua momentanea ospite, tornata eretta nella sua scarsa statura se confrontata all’elfo, enorme paragonata al popolo delle rocce. Nella sua voce riconobbe Callial, la guerriera che dava ordini su ordini alle sue sottoposte.

“Perché ci tenete prigionieri, megera?” disse con un vezzo sprezzante sputando ogni singola parola come un veleno rovente.

“Hai paura nano?” il sopracciglio nero della donna si arcuò in tono di scherno.

“Paura io?” trasalì il nano, sobbalzando inviperito da tale oltraggio “Signora, voi state parlando con Gimli, figlio di Glòin, membro della Compagnia dell’Anello, conosciuto anche come Spargi – Sangue, ho molti amici potenti non vi consiglio di trattenerci troppo a lungo! ” ogni parola era detta con un volume crescente ma la donna non parve intimorita da quella velata minaccia. Piuttosto il suo viso si contorceva nel tentativo di nascondere una risata, cosa che fece ancor di più adirare il nano, ormai completamente fuori di sé.

“E chi sono, questi potenti amici, di grazia?” chiese scimmiottando un inchino e simulando il verso di una dama di corte. Da quella posizione astrusa, il nano osservò una strana cicatrice sul seno destro, una bruciatura, anche se non si soffermò sull’analisi della forma e dell’effettiva gravità della vecchia ferita.

“Volete dei nomi? Vi accontenterò madama!” marcò quest’ultima parola, plagiando la derisione  della donna “Sicuramente conoscerete Re Elesar , unico sovrano di Gondor, Faramir, suo capitano e governatore, Eòmer, Re di Rohan, lo stesso elfo che viaggiava in mia compagnia è un personaggio di spicco: Legolas Thranduilion, principe nelle sue terre. Cara signora, mi dispiace avvertirvi che non tarderanno a cercarci, gli alberi ci sono stati testimoni e di voi non rimarrà che un misero cumulo di cenere sulle mappe!” affermò deciso concludendo così la lista di amici da invocare e che avrebbe dilungato con altri nomi.

“Di certo nomi altisonanti, mastro nano, non dubito di questo. Ma consentitemi un dubbio: come si può cancellare dalle mappe ciò che non esiste?” il nano rimase basito da tale asserzione, confrontando con ciò che fino ad allora aveva veduto. Ovviamente la lingua assolutamente sconosciuta, i loro modi di fare tutto induceva a pensare a dei fantasmi. Lo sconforto lo sorprese ma la sua scorza dura nascose assai bene la vera natura di tale apprensione. La donna era sempre più sicura di sé appariva scaltra e calcolatrice, le parole forbite discostavano dall’aspetto selvaggio. “Avete detto che il vostro amico è un principe, bene questa notizia è buona!” Il volto trasfigurò in un sorriso a metà, come se avesse la consapevolezza di un obbiettivo raggiunto  “E ditemi è anche un guerriero?” il nano si sorprese delle domande e dell’interesse scaturito verso il suo amico, temeva che le risposte, qualunque esse fossero state, non avrebbero comunque condotto a nulla di positivo.

“Perché cotanto interesse, nei confronti dell’elfo?” disse cercando di deviare il quesito. Callial non si aspettava un simile comportamento e per tanto si tolse la finta cordialità che l’aveva caratterizzata fino ad allora. Un demone apparve in quei bracieri ardenti specchio della sua anima nera, con uno scatto estrasse il suo pugnale di scorta che teneva infoderato allo stivale destro e mantenendo la lama lungo il braccio, puntò il suo filo contro la tozza gola del nano coperta dalla folta barba.

“Ti ho fatto una domanda nano, vedi di rispondere. È il vostro amico un guerriero, si o no?” la follia omicida riversava in quei tizzoni neri che si muovevano nervosi affondando nello sguardo accorato della povera creatura in sua balia. Gimli non mostrò timore o paura e la donna fu costretta a stringere una mano sul collo del nano per ottenere una risposta.

“Il più valente!” disse strozzando un respiro che mancò l’aria dai polmoni. “Anche lui ... ha fatto parte della compagnia …” le parole uscivano sempre più smorzate dalla presa ferrea che avvinghiava sempre più alacremente il povero collo del nano. Un sorriso pacifico tornò sul volto della donna che dopo qualche istante lasciò il nano tossire alla ricerca del fiato mancato. Il colorito paonazzo dell’incarnato, smorzò le sue tinte porpora non appena il sangue ebbe la via libera per defluire. Tra i singhiozzi e i colpi di tosse, riuscì però a chiedere della salute dell’amico “Ma … cof … cof … come sta?” la fatica in quelle poche parole non placò la sua sete di aria che aumentò con un picco, per poi ritornare in pochi istanti ad essere meno forte ed impetuosa.

“Adamante si sta prendendo cura di lui, mastro nano! Non temete le sue mani sono benedette, presto vi verrà a trovare ed insieme trascorrerete un po’ di tempo nelle segrete di  Agalath | Palazzo Oscuro | !” la risata profonda che colse il petto della donna risuonò nella tenda come se fosse il riverbero del vento. Gimli non riuscì a fare altro che chinare il capo sconfitto. L’ignoto aveva già preso possesso più volte il suo cuore eppure c’era sempre qualcosa di conosciuto a confortarlo. Orchi, Huruk-hai, lo stesso Signore Oscuro erano nemici di cui conoscevano potenza e forza. Ma questa legione di giovani guerriere erano veramente degli spettri che né sulle mappe, né sugl’antichi scritti avevano vita. Quale la sorte degl’eroi quando le vicende che li inondando sono caratterizzate dal nulla? Ed ora il nano era prigioniero e l’elfo agonizzava tra le mani di una strega. Legolas era steso su di un fianco, contro un giaciglio morbido. La sua ferita era stata tamponata con dei brandelli di pelle proveniente dal manto di Adamante, unica cosa a disposizione del momento per una medicazione provvisoria. La ragazza entrò di soppiatto notando che le palpebre dell’elfo erano socchiuse in un tormentato riposo reso ancor più arduo dalla sua smorfia di sofferenza.  Portava la consueta maschera di cuoio ad occultare quelle fattezze eccessivamente riconoscibili o forse per mal celare una delicata bellezza diversa da quella delle sue compagne d’armi, con la loro pelle scura ed i lineamenti esotici tipici delle sue terre. I capelli li manteneva sciolti a coprire ancora di più quello che doveva rimanere segreto ed una morbida veste di cuoio cingeva il corpo esile ma muscoloso, sindrome di un arduo allenamento, fino alle cosce prominenti. La modesta statura era inferiore persino a quella della sua gente. Sembrava molto più piccola e fragile e per questo sua madre la chiamava Chillah, che nella lingua arcaica della sua popolazione significava minuta. Le bende temporanee erano ormai inutili, imbevute di sangue secco misto a quello fresco. Si genuflesse accanto alla schiena dell’elfo e con dell’acqua tiepida pulita lavò il suo corpo, assicurandosi di levare la polvere e lo sporco che avrebbero sicuramente accusato infezione. Osservò attentamente all’interno di essa notando che un piccolo lembo di stoffa si era incrostato. Le esili dita lo estrassero e rapidamente confrontò i lembi con lo strappo subito dalla veste dell’elfo. Coincidevano e il sollievo prese posto dell’angoscia. Pulì con cura e approfonditamente la ferita che ancora gettava sangue e siero. La doveva cauterizzare ma non poteva se dormiva. Con una mano prese ad accarezzargli il volto tentando di svegliarlo. Conosceva la bellezza ultraterrena del Popolo delle Stelle, ma il suo vago ricordo apparteneva ad un era ormai lontana. Le labbra morbide e vellutate, la pelle serica, i capelli mai arruffati o scompigliati. La rappresentazione della perfezione. L’elfo mugolò e la mano della ragazza rimase ferma, indugiando sulla gota fredda. Quando quest’ultimo aprì gli occhi il primo istinto fu quello di rimanere incantato dalla figura che aveva di fronte. I lunghi capelli castani carezzavano con morbide onde quel viso perlaceo nascosto dalla maschera che aveva già visto, non c’era più il pesante manto a ripararla dai suoi occhi e lui se ne compiacque.

“Vi dovete svegliare elfo, purtroppo la ferita non si è chiusa e per cauterizzarla ho bisogno che siate cosciente, non voglio cogliervi impreparato nel sonno, sarà un  procedimento doloroso e vorrei il vostro consenso!” Legolas si contorse girandosi con la schiena contro il suo giaciglio, la mano di Adamante scivolò dal suo viso ma un piccolo verso lamentoso pervase l’ambiente. “Se non la chiudo morirete, non temete vi somministrerò un unguento che vi farà sentire meno dolore ma ho bisogno che voi stringiate i denti e rimaniate in piedi.”

“Perché v’interessa la mia sorte, non ho nemmeno il diritto di morire in pace?”

“Voi …” Adamante strozzò in gola quel tono penante che stava fuoriuscendo dalle sue labbra, l’elfo lo notò e subito si rivolse a lei che strizzava le ciglia rivolgendo il volto verso un piccolo focolaio acceso “ … servite a Callial vivo, una volta che avrà ottenuto quello che vuole sarete libero e così il vostro amico!” gli occhi di Adamante tornarono attenti su quelli grigi dell’elfo. Ne era sicuro: non aveva mai visto uno sguardo tanto limpido e profondo di quello. Lo spingeva a fidarsi oltre ogni logica di quella ragazza, in fondo stava solo cercando di salvargli la vita.

“Posso sapere cosa vuole da me?” chiese alzando il busto per permettere alla guaritrice di curarlo. Adamante per la prima volta lasciò spazio ad un lieve sorriso, mostrando appena i denti bianchi attraverso le rosee labbra. L’elfo rimase intento ad osservarla mentre con cura cominciò ad estrarre alcuni strumenti avvolti in candida seta. Erano piccole aste in metallo lucido alla cui estremità c’era un bottone dello stesso materiale. Un piccolo manico in legno nero si trovava sull’altro capo. Le mani si muovevano esperte senza degnare più di uno sguardo Legolas che stizzito dall’improvviso silenzio incalzò la domanda, mantenendo pur sempre la sua intonazione pacata “Vi ho fatto una domanda!” gli occhi della ragazza esitarono saettando tra gli strumenti tintinnanti. Li afferrò decisa posizionandoli minuziosamente contro il fuoco. Poi si rivolse all’elfo che quasi si trovò spiazzato dall’improvvisa serietà della ragazza.

“Ed io non posso rispondervi, saprete a tempo debito per cosa siete stato chiamato!” nella tenda tutto tacque, escluso lo scoppiettio scalpitante del piccolo fuoco che arroventava i bottoni di metallo delle aste. Legolas dedusse, dopo aver studiato le movenze della giovane fanciulla, che solo una persona con molta esperienza medica poteva cauterizzare un ferita come la sua con una fiamma. Una strana sensazione di freddo lo colse impreparato, proprio dove l’entrata della freccia aveva lasciato il suo segno e un rigolo vermiglio iniziò la sua lenta strada sulla pelle lattea del torace. Adamante, nonostante le nudità ostentate, non sembrava a disagio come avrebbe dovuto essere per una gentil donna. Continuava a cospargere la poltiglia viscida e scura sulla spalla, attenta a non abusare nei dosaggi.

“Mi è permesso sapere almeno con cosa mi state imbrattando?” chiese sardonico l’elfo . Gli occhi nocciola di Adamante si spostarono per un attimo su quelli grigi del bell’elfo che con poca diffidenza prese a trattare la ragazza.

“È un estratto dalle bacche di Belladonna, serve a addormentare la parte lesa, successivamente aiuterà anche la sua cicatrizzazione.” Spiegò cauta Adamante. La voce dolce, infossata nei meandri delle vibrazioni più liete, era ancor più armonica accostata all’orecchio sensibile di Legolas. “Dopo che avrò finito dovrete bere questo infuso.” Si pulì le mani con un panno per poi afferrare una piccola ampolla di vetro molto sottile incastonata in un’armatura di metallo che ritraeva un tralcio di edera rampicante. Il tappo era assicurato attraverso una catenella rilucente e su di esso una foglia ricurva con tre punte era posata. “Vi servirà per dormire!”

“Chi mi assicura che quello che mi state somministrando non sia veleno?” la calma ostentata con tale disinvoltura non distruggeva il filo tagliente delle parole appena pronunciate. Ma Adamante non tradì emozione alcuna, rimase assolutamente impassibile avvolgendosi in un aura professionale di guaritrice.

“Vi ho spiegato che nessuno vuole la vostra morte!” si spostò piegando il ginocchio per porre a favore lo stivale in cui era nascosto un pugnale bianco, assolutamente unico di manifattura. In un primo momento Legolas ebbe il terrore che volesse porre fine a quella agonia, ma poi l’affermazione della ragazza tornò a rassicurarlo con il ricordo del primo rimbrotto. Lo volevano vivo. La Belladonna cominciava impetuosa il suo effetto con un formicolio pressante che aveva preso a circolare lungo l’epidermide fino all’altezza della nuca. Un senso di stordimento assoluto ebbe la meglio, assieme all’inebriamento dei sensi che si persero totalmente. Adamante osservò lo stato di ubriachezza che l’unguento aveva creato. Avvolse la lama del pugnale con una fascia e s’accostò all’elfo che aveva preso la sua testa ciondolante.

“Tenete questo fra i denti!” Legolas tentennò con la mano prima di afferrare il morso creato attraverso quel pugnale. Adamante  prese il primo ferro. La punta piatta appariva rossa, arsa come un carbone troppo vicino al fuoco. Il calore che sprigionava era percepibile persino da lontano. Legolas osservò lo strumento arroventato mentre accoglieva il morso tra le sue labbra, trattenendo tra i denti il morbido spessore creato dalla stoffa. La guaritrice si posizionò con la mano a contrapporre con forza la spalla in modo che non potesse allontanarsi. Non gli permise nemmeno di cogitare su quello che stava per avvenire che la punta calorosa si era scontata contro lo strato niveo della pelle dell’elfo. L’urlo di dolore era attutito dal pugnale, ma si poteva udire nettamente. Con un movimento rapido prese il secondo ferro ed incise la sua pelle sul davanti. Dopo qualche secondo quando la ferita era completamente chiusa gettò anche questo a terra. In uno slancio spontaneo prese la testa dell’elfo carezzandola dolcemente mentre ancora tremante lasciò cadere il morso. Sussurrava parole inconfondibili alle orecchie puntute dell’elfo. Quella era la lingua del Popolo delle Stelle, ma era troppo sofferente per potersi sorprendere. Le braccia presero a cingere la vita della fanciulla.

“Adamante …” bisbigliò al suo orecchio come ormeggio  a quel tremendo spasmo che s’irradiava dalla spalla in tutto il corpo, sentendo il peso dei millenni accompagnarlo in quell’abbraccio. La ragazza si divincolò dall’elfo che invece tentava di trattenerla, ma la difficoltà per le problematiche fisiche si fecero ben presto sentire. Solo un gemito per quello che le stava strappando: la vicinanza di quell’esile corpo contro il suo.

“Non pronunciate mai più il mio nome ne va della mia vita!” il tono era solenne ma l’elfo non capì la ragione per tale diniego. “Non chiedete oltre, ora bevete questo!” aprì l’ampolla e riversò attraverso le labbra dell'Eldar il suo contenuto. Aiutò Legolas a stendersi dopo averlo finito di medicare con una stretta fasciatura di garze imbevute di acqua di rose, coprendolo poi con le coperte. Sistemò i suoi attrezzi pulendoli e racchiudendoli nella borsa. L’elfo l’osservava mentre il filtro soporifero stava iniziando a trascinarlo nel’antro del sonno. Prima che i sensi lo abbandonassero del tutto, la guaritrice s’avvicinò al suo giaciglio. Le sue labbra vellutate si posarono sulla fronte asciutta dell’elfo e con una carezza sussurò al suo orecchio:

Quel kaima, cund! | S - Dormi bene, principe! | ” e con quelle parole la mente di Legolas scivolò nel dormiveglia. Adamante si sentì stranamente sollevata, da tempo non percepiva quella splendida sensazione vibrarle tra le ossa. Sicuramente da quando quella notte stava per sfuggire dal triste destino che poi si era rivelato inevitabile. Una figlia di regina non può scappare.

Testar! Callial cal dende! | Mia signora, Calial ti attende! | ” pronunziò una delle guerriere, inviata nell’attesa che terminasse con il prigioniero. La maggior parte non conosceva un linguaggio diverso dal parlato arcaico. Solo a menti superiori come quelle dei gradi maggiori del femmineo esercito o alle figlie con un’eredità di sangue forte come Callial ed Adamante era permessa la conoscenza delle terre al di là del recinto. La fanciulla slegò la maschera mentre con passo svelto si appropinquava alla tenda di residenza di Callial. Appena varcò la soglia notò la donna agitarsi, percorrendo un sentiero immaginario di pochi passi. Adamante richiamò la sua attenzione con un colpo di tosse. Riconosceva in lei quel modo di fare, lo aveva vissuto nel passato più e più volte. I suoi repentini cambi d’umore avevano caratterizzato la maggior parte della sua infanzia, quanti scherzi crudeli e vendette inventate nella fervida e sadica fantasia di Callial l’aveva costretta al silenzio con una madre troppo accondiscendente con la figlia maggiore.

“Adamante! Sorella mia, portate buone notizie?” Callial si gettò sulla sorella prendendole le spalle per incitarla a parlare.

“Callial!” abbassò la testa in segno di rispetto, lei non voleva rischiare di incorrere nelle ire della volubile sorella “Il vostro Tessalon starà bene, ho chiuso le sue ferite che hanno smesso di sanguinare ma avremmo notizie certe soltanto quando riaprirà gli occhi!”

“Lo sapevo, lo sapevo! Le vostre mani sono benedette dalla Signora Artemis!” la gioia di Callial era ancor più di quello che sperava la fanciulla dalla pelle candida. “Ma perché non portate la maschera? Non vi sarete mostrata?” le mani della guerriera strinsero le spalle violentemente della sorella di sangue, non di battaglia.

“Non temere, sorella mia!” la calma che contraddistingueva Adamante la trascinava in stadi di collera sempre più avanzati. Callial aveva un punto debole che risiedeva nella sua incapacità di governare il suo animo. La sua irruenza intemperante ed incontenibile l’aveva costretta in giovane età a stroncare parecchie vite. “Non gli ho mostrato il mio aspetto!”

“Bene!” soffiò quella parola per poi riprendere a sorridere come una bambina di fronte allo scrigno della madre aperto e luccicante, pieno di monili preziosi con cui fantasticare di essere una regina. In fondo era così. “Cosa ne pensate?”

“Penso che sia perfetto, sorella! Ho esaminato le sue vesti, è di alto rango!”

“Lo so! Ho parlato con il nano! Mi ha detto che è un principe ed un guerriero!” la fanciulla sobbalzò alla notizia della visita dell’altalenante sorella al nano. Cominciò a chiedersi cosa gli avesse fatto e se fosse ancora in vita. Troppe volte il suo umore danzante l’aveva costretta a nascondere i cadaveri, soprattutto da quando la loro madre aveva intrapreso la decadente via della vecchiaia, non potendo più seguire la figlia con costanza. “Non preoccuparti, sta bene, l’ho solo minacciato!” risposte Callial con una smorfia infastidita dalla tensione palesata dalla sorella. La notte riprese il suo corso e Callial, troppo eccitata per la nuova conquista, concesse soltanto poche ore di riposo alla sorella che comunque non avrebbe sfruttato. Adamante covava qualcosa nel cuore e ben presto ne avrebbe pagato le conseguenze.

Miei signori, questa era Adamante, sorella di Calial la Spietata, le sue mani furono benedette e con esse la stessa fanciulla. Chillah la madre la chiamò ma la sorella mai volle affibbiarle tale appellativo, perché sapeva che nonostante il suo aspetto fragile davanti a sé aveva un’avversaria temibile e che poteva sottrarle il potere e sogni di una vita.

 

Note dell'autrice: Salve! Spero che questo capitolo risollevi un po' le sorti. Certo io vengo da un fandom molto più blasonato di questo, dove le visite schizzano ed in mezz'ora sei in quinta pagina,  però, a me, serve davvero sapere se vi piace questa storia e se devo cambiare qualcosa, o se fa totalmente schifo. Da un lato adoro questo strano silenzio che gira e la calma che vi risiede. Questo mi permette di essere libera di scrivere sopra ogni cosa, ma dall'altro sono molto timorosa, ripeto, per la paura di incappare in qualche errore grossolano.

spiegazioni tecniche: Adamante e Callial appartengono ad una popolazione di guerriere donne: ricorda niente? Comunque si nascondono soprattutto agli abitanti occidentali, e hanno religione, lingua e legislazioni completamente diverse da quelle fino ad allora conosciute. Ne sapremo di più, andando avanti con la storia. Le due sorelle sono molto diverse persino in aspetto: una con la pelle scura, occhi neri, capelli corvini. L'altra pelle pallida, occhi nocciola, capelli castano biondi. Dia damante scopriremo altre cose del suo aspetto che probabilmente vi faranno capire cosa si cela dietro quella maschera e perchè la sorella non vuole che si mostri a Legolas. Un'altra cosa: le parole scritte in sindarin vengono specificate da un S nella traduzione mentre la lingua di Adamante e Callial viene evidenziata dall'italico (meglio conosciuto come corsivo)

Vi auguro una buona lettura!

Sempre vostra

Malice.

   
 
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