PERCHÈ TUTTO IL RESTO È ARIA E
POLVERE
Massimo
cercò inutilmente di ricomporsi. Per cosa poi, si chiese. Vengo onorato
perché uccido e mi preoccupo di non dare a vedere che l’ho fatto.
Eppure l’aveva sempre fatto, aveva sempre cercato di darsi un tono di
serenità quando incontrava l’imperatore o i suoi
superiori…quando la sera, annebbiati dal sangue e ubriachi di morte i
suoi uomini cantavano attorno al fuoco, nelle notti fredde della Germania, alla
luce della luna filtrata dai pini e degli scintillii gialli degli occhi dei
lupi i soldati cercavano di dimenticare…e allora cantavano e ballavano,
in una sorta di festino che avrebbe dovuto rallegrare ma che per molti era
mirato allo stordimento dei pochi sensi di colpa che sopravvivevano a quella vita…e
che di notte strisciavano in superficie come il sangue da una
ferita…quelle notti erano qualcosa di meno lucido e sano del battersi,
qualcosa di più corrotto e contorto…tanto che alcune notti Massimo
avrebbe preferito continuare a combattere che prendervi parte. Forse era
proprio per questo, per cercare di essere un po’ meno lì per
tentare di non pensare che cercava di dare l’impressione di non avere
niente da rimproverarsi, niente di triste a cui non pensare.
Ma quella
sera era diverso. Quella sera non poteva mancare…l’Imperatore era
venuto in visita all’esercito…e lei ci sarebbe stata. E allora non
avrebbe avuto bisogno di sforzarsi di non pensare alle battaglie dei giorni
precedenti.
Spostò
il lembo leggero di stoffa rossa che lo separava dalla tenda dei generali, dove
da qualche minuto essi si erano raccolti insieme con l’imperatore per
aggiornarlo sulle vittorie degli ultimi 6 mesi. Marco Aurelio alzò gli
occhi sul nuovo arrivato, e gli spuntò un sorriso. “Ah,
Massimo…cosa dobbiamo fare con te? Tu ci togli ogni dubbio sulla riuscita
della battaglia…da quando sei diventato generale, Roma dorme sonni fin
troppo tranquilli.” Aggiunse bonariamente. Massimo sorrise di rimando, un
sorriso che non aveva nulla di forzato o formale ma che conservava il dovuto
rispetto. “Mi hai fatto chiamare, Cesare?”
“Già…giusto. Il capo dei barbari ci ha fatto un dono, un
dono che troverei ingiusto tenere per me. L’ho fatto portare nella tua
tenda, volevo avvertirti per evitare spiacevoli conseguenze al trovarti un
simile regalo senza avviso al tuo ritorno in tenda…suppongo che lo
troverai meno insolito di quanto non l’ho trovato io…ma spero
perdonerai la mia poca dimestichezza con queste cose…e in fondo tutte le
cose a noi nuove sono insolite in terra straniera, ma mai quanto in patria…e
gran parte di questa terra lo sta diventando, grazie a te… Ma non voglio
tediarti oltre né trattenervi oltre dai festeggiamenti…mi stavate
illustrando le nostre ultime conquiste, giusto?”
E Massimo
si unì agli altri generali attorno alla tavoletta di cera con gli
approssimativi tracciati di accampamenti e battaglie, scheggiata e indurita da
tutto quello che aveva passato ma ancora intatta, che ricordava così
tanto i soldati la fuori.