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Autore: pIkKoLa_EmO    22/06/2010    4 recensioni
Lui portava un jeans larghissimo, una maglietta bianca ancora più larga ed una cuffia nera con sopra un cappellino bianco. I rasta biondi erano legati in una coda. Aveva un paio d’occhi nocciola che di certo non passavano inosservati. Non era male, Alex dovette ammetterlo, e se non fosse stato per quel primo incontro decisamente fuori dal comune, e per quel suo sguardo così incredibilmente presuntuoso, ci avrebbe fatto un pensierino. “Che cos’è quella faccia? Devo ricordarti che sei tu che mi sei caduta addosso. Non è mica colpa mia!” Alex sgranò gli occhi volutamente “Si che lo è, mi hai distratta” Il ragazzo fece spallucce. “Lo prenderò come un complimento” Lui la guardò in cagnesco e lei ricambiò “Non lo è” Un ultimo sguardo assassino ed entrambi tornarono sui loro passi. Ma prima di arrivare al piano sottostante Alex sentì un rumore di chiavi alle sue spalle e si voltò. 'Complimenti Alex, bel modo di socializzare col vicinato' pensò vedendo quel ragazzo entrare nell’appartamento di fronte al suo.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Cazzo Bill, ti sbrighi? Inizio a rompermi i coglioni!” urlò Tom davanti alla porta del bagno, superando di gran lunga il rumore dell’acqua che continuava a scorrere ininterrottamente.

 

“Fanculo” Lo scorrere dell’acqua della doccia ovattò la finezza di Bill.

 

Nell’ultimo periodo non avevano neanche una giornata libera e quella mattina si sarebbero incontrati con David alle dieci e mezza per un photoshoot. Peccato che l’orologio segnasse già le dieci e ventinove. Georg e Gustav erano fuggiti a gambe levate appena si erano resi conto che la situazione avrebbe inevitabilmente generato un’apocalittica lite tra Kaulitz, quindi li aspettavano allo studio fotografico.

 

A salvare la porta del bagno che Tom avrebbe distrutto di lì a poco fu lo squillare del cellulare di Bill. “Rispondi!” gridò sotto il getto dell’acqua.

 

“Esci e rispondi tu!” urlò Tom contrariato.

 

“Tom!”

 

“Ma vaffanculo!”

 

“Rispondi!”

 

“No!”

 

Poi sbuffò, dirigendosi verso il cellulare. “Lo faccio solo perché mi fai pena”

 

Aprì lo sportellino senza prestare attenzione al numero, farfugliando un “Pronto?” annoiato.

 

Una voce femminile si sovrappose immediatamente alla sua “Bill …”. Era una voce roca e metallica, seppur acerba.

 

Tom ebbè un sussulto. Improvvisamente gli sembrò di non sentire più né lo scorrere dell’acqua, né un qualunque altro rumore che non provenisse da quel telefono.

 

Sentì il caos più silenzioso esplodergli dentro. In un solo momento provò una serie di emozioni talmente vasta e disparata da stordirlo, anestetizzarlo. Gli sembrava quasi di non provare niente. Istintivamente, avvertì una fitta di gelosia, ma non se ne rese nemmeno conto tra le miliardi di sensazioni che provò nei pochi istanti di silenzio che seguirono.

 

E poi il tono della sua voce. Era flebile. Era tutto ciò che Tom non avrebbe mai voluto sentire. Si sentì una merda, così schifosamente impotente.

 

“Sta facendo la doccia”. La sua voce era piatta, vuota, come se avesse dovuto liquidare una sconosciuta qualunque.

 

Prima di quella frase, lei non aveva distinto la sua voce, avendovi sovrapposto la propria. Ma nel momento in cui parlò, Tom sentì il respiro di Alex fermarsi.

 

Riprese a respirare solo dopo qualche secondo, ma non disse nulla, né attaccò.

 

“Che hai?” chiese lui. Per quanto si sforzasse, non ci riusciva. Non riusciva ad ignorarla. Da quando si erano conosciuti l’aveva scoperta poco a poco, aveva incominciato a capirla, senza nemmeno rendersene conto, seguendo un istinto naturale che in qualche modo faceva ancora parte di lui.

 

Alex non riuscì a trattenere un singhiozzo sommesso “Niente”

 

Rieccola. Come sempre. Non sopportava quel suo stare costantemente sulla difensiva. Non sopportava il fatto che lei non capisse un cazzo. Non capiva che lui non voleva farle del male. Non faceva che nascondersi. “Stai-”

 

“No” lo interruppe risoluta.

 

Si che stai piangendo. Gli faceva rabbia. Non voleva che stesse così. Ma lei non voleva farsi aiutare da lui, testarda ed orgogliosa come sempre. “Sei solo una stupida”

 

“Vaffanculo” rispose gelida.

 

Rimasero in silenzio, come tante altre volte, come in tanti altri loro discorsi bloccatisi a metà.

 

Tom chiuse lo sportello del cellulare. Era arrabbiato con lei. La odiava. La odiava per tutto il male che si stava facendo da sola, costringendosi ad una vita che non voleva.

 

La odiava, ma quella lacrime riuscivano a fargli del male. E non poteva sopportare il pensiero di restarsene lì con le mani in mano.

 

 

---

 

 

Aveva ragione lui. Era solo un stupida.

 

Non era il tipo di persona che cedeva spesso alle lacrime. Era sempre stata sicura di essere indistruttibile, di poter superare qualunque cosa. Ricordava di aver pianto si e no tre o quattro volte durante la sua adolescenza. E peraltro non si era mai trattato di pianti disperati, ma di poche semplici lacrime, che aveva lasciato scorrere in silenzio e soprattutto costantemente da sola.

 

Ma in quel momento non ce l’aveva proprio fatta a stare sola. Aveva avvertito il bisogno di parlare con qualcuno, e, pur avendolo conosciuto poco tempo prima –e tra l’altro in circostanze piuttosto insolite-, Bill le era sembrato la persona più indicata.

 

E invece aveva risposto lui. E l’aveva sentita quasi piangere, per la seconda volta.

 

L’orgoglio bruciava, e sapeva benissimo che non era solo quello a farle male, ma era decisa a non pensarci. Mai più.

 

Quella sera avrebbe dovuto indossare il vestito scelto qualche giorno prima e ritornare ufficialmente al suo dovere, che avrebbe continuato a svolgere per tutta la vita. Poteva sembrare ipocrita vista dall’esterno, e lei stessa talvolta si chiedeva come potesse essere così infelice in una vita dove le bastava chiedere per ottenere. Ma era così e basta, era la realtà. Quella sera avrebbe accettato tutto ciò che più odiava al mondo, davanti a chi non aspettava altro che vederla vivere secondo un protocollo, e, soprattutto, davanti a se stessa.

 

E sopprimere la voglia di fuggire da tutto questo, il desiderio di essere portata via da lì, quella sera appariva più difficile di quanto lo fosse mai stato.

 

Quello non era il suo posto.

 

 

---

 

 

Tom, stavolta puoi seriamente definirti un coglione.

 

Il panorama non era male. La città sotto di lui, oltre il parapetto, era totalmente immersa nell’oscurità della notte, interrotta da un mare di monotone luci bianche e rosse. Si era spesso trovato a pensare a quante vite come la sua e quanti problemi diversi ci fossero in ognuna delle macchine che andavano e venivano velocemente lungo la strada. Sotto di lui, in quel momento ce n’erano fin troppe, tante da farlo sentire un minuscolo granellino di sabbia.

 

Si, Tom, sei un enorme, ciclopico, grandissimo coglione.

 

Il cielo era limpido. Le nuvole si erano fatte da parte per lasciare spazio a quei puntini luccicanti tanto amati dalla gente nei quali Tom non aveva mai trovato niente di vagamente poetico o attraente. Gli sembravano solo delle squallide luci in un cielo altrettanto squallido.

 

Il cielo di Vaduz.

 

Un coglione, un coglione, un coglione.

 

Ciò che stava facendo non era da lui. Sarebbe stato da lui mandarla a fanculo dopo la prima scopata e seguitare col suo giro di troiette dalle tette più grandi delle sue. E invece era lì. Era lì per lei. Era lì per una ragazzina che, origini regali a parte, era esattamente come tutte le altre.

 

Non aveva un piano –e di certo non poteva bussare il campanello della casa reale. Non aveva un’idea precisa di cosa ci facesse lì. Non aveva alcun motivo di sperare che tutto ciò potesse avere uno scopo.

 

“Allora alza il culo e fa qualcosa”

 

L’aveva fatto. Aveva alzato il culo, aveva liquidato i ragazzi senza dare spiegazioni, aveva preso il primo treno che aveva trovato ed ora era lì, a nemmeno un centinaio di metri dall’ingresso del palazzo, situato in alto rispetto al resto della città, senza un piano, senza un’idea e senza uno scopo.

 

Mentre cercava una soluzione, fu la soluzione a venire da lui in giacca e cravatta.

 

 

---

 

 

Gli ospiti dovevano essere già arrivati da un pezzo. Probabilmente mancava solo lei. Quel dannato vestito la faceva sentire compressa e quei tacchi le sembravano dei trampoli. Tuttavia, prese un respiro profondo. Era pronta.

 

Qualcuno bussò con eleganza alla porta. “Avanti”

 

Jeorge entrò, chiudendosi la porta alle spalle, con un’aria insolitamente impacciata “Alex?”

 

Lei imprecò sotto voce, piegata su se stessa, cercando di infilare la seconda scarpa. “Mh?” si tirò su interrogativa, battendo il piede a terra per far aderire meglio la scarpa.

 

“Sei attesa fuori dal palazzo”

 

“Fuori?” chiese alzando un sopracciglio, sapendo all’interno dell’enorme sala da ricevimento tutte le persone che avrebbero potuto attenderla.

 

“Esatto"

 

Alex fece spallucce, dirigendosi verso la porta “Chi è?”. Da che mondo è mondo Alex non aveva mai potuto avere amiche che in quel momento non fossero degne di trovarsi nel salone con gli altri ospiti.

 

Jeorge non rispose. Si schiarì la voce, assumendo un tono esageratamente serio “Cerca di non farti vedere da nessuno mentre esci e, se te lo chiedono, io non c’entro niente”

 

“Perché?” chiese bloccandosi davanti alla porta.

 

“Fallo e basta”

 

Alex gli lanciò un’occhiata obliqua, annuendo in un modo non particolarmente energico. Aprì finalmente la porta per poi uscire, seguita da Jeorge, che si diresse al piano sottostante. Per fortuna la sua camera, al secondo piano, era abbastanza lontana dalla sala, al primo piano, dove si trovavano gli ospiti. Per non attraversarla, doveva per forza sfruttare un’uscita secondaria.

 

Sgattaiolò più silenziosamente possibile lungo l’interminabile corridoio che la separava dalla meta. Raggiunse ed aprì l’enorme porta –piuttosto esagerata per essere considerata ‘un’uscita sul retro-, trovandosi così in un estesissimo giardino. Attraversò anche quello, ignorando gli sguardi interrogativi di alcuni addetti alla sicurezza, fino a trovarsi fuori dal palazzo.

 

Tirava un vento tiepido e la luna era di un insolito colore bronzeo. Alex guardò diritto davanti a sé.

 

Ed in quell’esatto istante sentì ogni muscolo del suo corpo immobilizzarsi.

 

Distante qualche decina di metri da lei, con lo sguardo basso, c’era tutto ciò che temeva.

 

E quando, pur se da lontano, Alex incrociò i suoi occhi, sentì le ginocchia minacciare di cedere.

 

 

---

 

 

Eccola.

 

Tom ed Alex restarono immobili, come se avessero visto un fantasma, continuando a fissarsi da lontano, protetti da quella distanza, che ormai era diminuita troppo perché potessero avere la forza di tirarsi indietro. Ora dovevano annullare quello spazio ed affrontarsi.

 

Alex si morse le labbra, esitante. Basta. Non poteva più fuggire. Incominciò a camminare lentamente verso di lui, continuando a guardare davanti a sè.

 

Barcollava su quei tacchi che la rendevano alta quanto lui. Un vestito celeste in un tessuto vistosamente costoso la fasciava dal petto fino metà delle cosce, aderendo perfettamente al suo corpo, mettendo in risalto la vita -molto sottile proporzionata ai fianchi-, per poi spiegazzarsi morbidamente, scendendo liscio sulle gambe, fino alle scarpe color perla, delle quali s’intravedevano solo le estremità. I capelli erano tirati indietro e legati in uno strano incrocio di trecce –tra le quali si intravedevano a malapena alcune ciocche rosso fuoco-, lasciando liberi solo due boccoli neri ai lati, che le sfioravano il viso.

 

Si fermò davanti a lui, mentre due grandi occhi dello stesso celeste del vestito, leggermente truccati di un bianco opaco, brillavano alla luce di alcuni lampioni poco distanti, velati da lunghe ciglia nere. Una marea di domande le attraversavano la mente, ma lei le lasciava scorrere, senza dire una parola.

 

“Engel io …” Non sapeva cosa dirle. Quegli occhi erano una tortura. Lo fissavano così statici, così vuoti, privi di  una qualunque sfumatura che potesse fargli capire cosa volesse sentirsi dire. Quegli occhi erano impregnati di una diplomatica finzione, che in poco tempo aveva completamente inghiottito quella luce ribelle e forte che Tom aveva imparato a riconoscere. Quegli occhi non erano i suoi, quella ragazza così superficialmente bella non era lei.

 

Non sapeva come agire. Era stato così avventato da non trovarsi minimamente preparato a quel momento. In realtà, aveva fin troppe cose da dire, ma gli sembravano tutti orribilmente banali ed insignificanti. Cose che si fecero comunque spazio prepotentemente in un flusso disordinato e frenetico di parole “Io volevo solo fare la cosa giusta. Per una volta” l’immobile vuoto di quegli occhi si trasformò per un istante in un vuoto luminoso, simile a quello delle stelle “Ti prego, non guardarmi così. Io non dovrei essere qui, lo so, ma … merda, non lo so nemmeno io cosa mi dice la testa … è una cosa assolutamente ridicola ... è che … è che a me fa male se tu soffri … non lo so il perché, é una cazzata colossale, ma mi fa male. Io voglio che tu stia bene. Quando ho sentito la tua voce al telefono io … non lo so … io volevo solo essere qui con te. Non lo so che cazzo mi hai fatto, tu non hai assolutamente niente che le altre non hanno, non … non capisco cosa ci sia in te, ma ... io credo di … non lo so, cazzo, non ci capisco-”

 

Tom si bloccò. Piombò il silenzio.

 

Alex aveva mosso pochi passi veloci ed inaspettati verso di lui ed ora era lì. Lo stringeva forte, circondandogli il collo con le braccia. Semplicemente, senza dire una parola. Era stanca di tutte quelle parole. Era stanca di tutti quei problemi, di tutte quelle complicazioni. Era stanca di fingere di non aver bisogno di quel gesto. Era stanca di fingere che la sua presenza lì, in quel momento, non le facesse bene. Era semplicemente stanca.

 

Lui era arrivato fin lì solo per lei, e questo le bastava.

 

Tom non avrebbe mai pensato che sarebbe stato così semplice. Non avrebbe mai pensato di sentire tutte le sua paure, tutte le sue esitazioni, tutte le sue incertezze, praticamente tutto, svanire in un solo istante. E tra l’altro con un gesto così semplice. Ed era una sensazione stupenda. Le cinse a sua volta i fianchi.

 

Da parte di entrambi, c’era una sottile e quasi impercettibile violenza in quella stretta. Una violenza che veniva da un tremendo ed immediato bisogno di stare semplicemente bene quanto più possibile in un solo istante. Eppure, mentre le dita gelide di Alex gli sfioravano il collo, Tom poteva sentirla tremendamente piccola e fragile tra le sua braccia.

 

Non avevano nemmeno la più pallida idea di quanto tempo fossero rimasti così, quando un pensiero attraversò improvvisamente la mente di Alex. Spostò il viso dalla sua spalla, guardandosi intorno circospetta “Vieni” si staccò da lui e lo afferrò per un polso, guidandolo velocemente verso il palazzo.

 

“Dove?” chiese lui seguendola.

 

Alex si voltò per un secondo senza fermarsi “Vieni e basta”

 

Camminarono velocemente sulla strada fatta di grandi pietre rotonde, aggirando l’ingresso. Entrare era fuori discussione. “Se qualcuno ci vedesse insieme credo che mia madre ci cuocerebbe a fuoco lento”.

 

Tom inciampò in una spietra sporgente, ritrovando per miracolo l’equilibro, evitando di percorrere il resto della strada in maniera circense “Perché? Sono così poco raccomandabile?”

 

“Hai anche il coraggio di chiederlo?”

 

Impiegarono qualche minuto per percorrere dall’esterno tutta la lunghezza del palazzo, per poi trovarvisi alle spalle. Lì l’aria era impregnata dell'odore dell'erba appena tagliata che si sostituì gradualmente alle pietre sotto ai loro piedi. E, in un paio di minuti, qualche albero qua e là si trasformò in una vegetazione sempre più fitta.

 

“Engel, dove cazzo mi stai portando?” chiese Tom, schivando goffamente un paio di alberi, circondato ormai da un bosco dove avrebbero tranquillamente potuto girare un film horror con tanto di luna piena.

 

Alex rallentò barcollante, voltandosi verso di lui “Qui ci vedono al massimo gli scoiattoli” si guardò intorno soddisfatta, camminando lentamente all’indietro. Era una vita che non metteva piede in quel posto, e non si sarebbe mai aspettata, dopo essersi trasformata in ciò che era, di avvertire nuovamente quel senso di libertà che provava da bambina.

 

“Personalmente non mi farei scrupoli a squartarne uno, se dovesse fare da spia”. Gli alberi erano quasi completamente spariti, permettendo alla debole luce lunare di filtrare, rischiarando quel buio totale. Tom doveva ammettere che quel posto aveva un qualcosa di estremamente inquietante, ma evidentemente lei ci era abituata.

 

“Condivido”

 

Camminando all’indietro, Alex inciampò in una radice, barcollando comicamente sui tacchi, per poi riacquistare apparentemente l’equilibrio. Ma nel farlo, mise un piede in fallo e scivolò su uno di quei tacchi infernali, ritrovandosi col fondoschiena per terra, trascinando con sé Tom, che cadde sulle ginocchia “Cazzo!”

 

“Engel, la smetti di cadere di continuo? Comincio a pensare che tu lo faccia apposta” Tom si sistemò accanto a lei sghignazzando.

 

Alex appoggiò la testa alla ruvida corteccia dell’albero sulle cui radici era praticamente volata “Se avessi avuto un minimo di senso dell’equilibrio ti saresti risparmiato questo viaggetto”.

 

Lui le rispose con un sorriso appena accennato. Effettivamente, era dal giorno in cui si erano conosciuti che non facevano che cadersi addosso nei momenti meno opportuni, finendo sempre col litigare verbalmente o sotto le lenzuola.

 

“Deve esserci un certo lavoro dietro a tutto questo: sembri quasi una femmina”

 

Lei gli assestò una gomitata dritta nello stomaco, alla quale Tom rispose imprecando sommessamente. “Stronza”

 

Alex sorrise candidamente. Non aveva ancora ragionato seriamente su ciò che stava accadendo. Era successo tutto troppo velocemente e semplicemente perché potesse esserne realmente consapevole.

 

Tom la scrutava in un modo strano, attento, sotto la debole luce della luna. Quello era un sorriso vero. Un sorriso che, portando al superfluo quel trucco e quei boccoli, la rendeva bella. Ma non bella come tutte le altre con cui era andato a letto. Lei non era perfetta, non aveva un viso perfetto, né un corpo perfetto . Era bella in un modo che non riusciva a definire. Bella in un modo semplice, di una bellezza che conferiva una luce particolare ai suoi occhi, una bellezza che in qualche modo illuminava e riscaldava con un sorriso. In lei c’era qualcosa in più. Qualcosa per cui valeva la pena di essere lì.

 

Le sfiorò la guancia con la punta delle dita, lasciando la mano sul suo viso. Per la prima volta, quel brivido che percorse i loro corpi non fece male.

 

Alex si rabbuiò improvvisamente, senza staccare gli occhi da lui “Che succederà adesso?”

 

Era la peggior domanda che avrebbe potuto porgli. Voleva solamente godersi quel momento, senza pensare a ciò che sarebbe accaduto dopo “Lo chiedi a me?”. Lei abbassò lo sguardo.

 

“Torna a Berlino” disse esitante.

 

Alex tornò di scatto a fissarlo “Io …”

 

“Insomma, una vita normale” Alex sentì le dita di Tom, ancora sul suo viso, contrarsi lievemente. Dischiuse le labbra come per dire qualcosa, ma si bloccò. I suoi occhi attendevano speranzosi ed impazienti di sentirsi dire qualcosa, pur non sapendo esattamente cosa.

 

“Engel io non posso prometterti niente. Non posso dirti che andrà tutto bene, non posso dirti che sarà tutto rose e fiori. La vita là fuori, senza nessuno a spianarti la strada, è tosta. Ma tu lo sei di più, lo so. E, per quanto mi riguarda, non posso nemmeno prometterti che non sbaglierò mai. Anzi, te lo dico subito: sbaglierò, ti deluderò, e probabilmente anche tanto. Non sono perfetto e non lo sei nemmeno tu. Io non posso prometterti che farò il massimo del massimo. L’unica cosa che ti prometto è che farò del mio meglio. Ora sta a te capire se sei pronta o no a tutto questo” si fermò per un attimo, come se avesse avuto improvvisamente paura di continuare “Se ti fidi o no di me”

 

Alex lo fissava immobile, come se non stesse ascoltando, mentre il suo sguardo assumeva tutta l’aria di un rifiuto. Tom sentì il sangue raggelarsi nelle vene.

 

Poi inaspettatamente, i suoi occhi si illuminarono. Era un sorriso “In qualche modo i miei se ne faranno una ragione”. E nel momento in cui pronunciò quella frase, Alex capì quanto realmente lo desiderasse.

 

Tom rispose con uno dei suoi sorrisi sfavillanti. Si rese conto di quanto fossero stati stupidi. Era sempre stato tutto così semplice, erano sempre stati l’uno di fronte all’altra, niente li aveva mai realmente bloccati se non loro stessi. Quelle risposte erano state a portata di mano dalla prima volta che le loro labbra si erano incontrate, ma loro non avevano mai avuto il coraggio di cercarle. Erano stati degli stupidi.

 

“Hai preso un nuovo vizio?” disse sottovoce, mentre Alex si mordicchiava il labbro inferiore. Finalmente, poteva vedere i suoi occhi brillare di nuovo.

 

Alex fece spallucce, dischiudendo le labbra “Hai mai provato a contare i tuoi difetti?”

 

Nell’inconscio desiderio di Tom di avvicinarsi a quell’azzurro marino, senza che nemmeno potessero rendersene conto, la distanza tra i loro visi stava diminuendo lentamente.

 

“Dovrei?” sussurrò, mentre una mano gelida si posava sul suo viso.

 

“Beh, nel frattempo potrei volare a Bora Bora e farmi una nuova vita”

 

Ora Tom sentiva più che mai quel profumo che aveva sempre trovato fin troppo delicato per poter parlare di lei.

 

“Niente male come idea. C’è un certo via vai di cameriere qui intorno. Durante la tua assenza saprei come ammazzare il tempo”

 

“Fottiti”

 

“Fanculo”

 

Tom soffiò una risata. Stavano per baciarsi e non potevano fare a meno di insultarsi a vicenda.

 

Il silenzio intorno a loro era tale che potevano avvertire distintamente i battiti accelerati dei loro cuori. Le loro labbra si sfiorarono delicatamente. Chiusero gli occhi.

 

Fu come una liberazione. Fu un bacio lento, un bacio che non si erano mai permessi il lusso di scambiarsi prima di allora. Sorrisero lievemente, mentre le loro labbra si allontanavano e si riavvicinavano. Le loro lingue si intrecciavano come se stessero lottando l’una contro l’altra.

 

Alex ebbe l’irrazionale impressione che la superficie ruvida e dura dietro di lei potesse colare a picco da un momento all’altro, spinta dalla forza che sentiva in quel bacio apparentemente così debole e leggero.

 

Tom allontanò le labbra dal suo viso, si fermò a guardarla per un istante, per poi ristabilire con più forza quel contatto. Il desiderio si faceva lentamente spazio in quel bacio, rendendolo man mano più impetuoso.

 

Alex sapeva che non si sarebbero fermati. Ed aveva paura, paura di sbagliare. Aveva paura, perchè era ben consapevole che dopo quella notte non sarebbe mai riuscita a tornare indietro.

 

Tom scese con le labbra sul suo collo. Sentiva il suo respiro sulla pelle.

 

“Kaulitz, dimmi che questa volta stiamo facendo la cosa giusta, ti prego” disse quasi supplicante, senza riuscire a smettere di respirare affannosamente, come se avesse appena tagliato il traguardo di una corsa chilometrica.

 

Tom avvicinò le labbra al suo orecchio, facendola rabbrividire “Come ti senti?”

 

La ragione non seppe rispondere a quella domanda. La sua mente, per quanto si sforzasse di canalizzare quei pensieri e quelle sensazioni, non riusciva a trovare una definizione decente per spiegare come si sentiva in quel momento.

 

Fu il sentire quelle mani sulle sue, quel respiro sulla sua pelle, quelle labbra così vicine al suo viso, quel corpo aderire così perfettamente al suo. Fu il modo in cui riusciva a sentirlo a darle una risposta. E quella parola arrivò alle sue labbra prima ancora che potesse realmente realizzarne il senso “Bene”.

 

Bene. Semplicemente. Non c’era bisogno di aggiungere altro. Stava bene e basta.

 

Tom portò il viso a un soffio dal suo. I loro occhi s’incatenarono, mentre distese le labbra in un sorriso. “Allora stiamo facendo la cosa giusta” le sussurrò.

 

Alex sorrise di rimando, riassaporando le sue labbra, mentre un paio di mani sicure ed esperte tiravano giù quel vestito ormai superfluo, riscaldando possessivamente ogni millimetro di pelle scoperta che incontravano.

 

Finalmente poteva averla davvero. In tutti i sensi possibili ed immaginabili.

 

Finalmente erano lì. Liberi da tutto, ma soprattutto da se stessi. Senza scappare, senza che uno dei due si tirasse indietro, senza lottare contro l’orgoglio. Senza la paura di lasciansi andare. Senza pensare che sarebbe tutto finito da un momento all’altro. Senza pensare a tutto il resto. Senza pensare a niente. Erano lì, dando voce all’istinto innato che li aveva portati fino a quel punto. Erano lì e basta. Perché essere altrove, lontano l’una dall’altra, sarebbe inevitabilmente andato contro natura.

 

 

 

 

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Incredibile, ma vero. E’ proprio finita.

Bene, se siete arrivate fin qui vi devo un ‘Grazie’ ciclopico. Dovrei spedirvi un fascio di rose rosse e magari cantarvi una serenata sotto casa U_U. Anche perché ogni capitolo è stato un parto, lo so -.-“

 

Con la fine di questa storia dico anche addio a pikkola_emo, che adesso è OutOfTheSystem. So che è un dettaglio insignificante, ma questo nickname mi sta esageratamente sui coglioni XD.

 

Ri-grazie a tutte quelle che hanno aggiunto alle preferite, recensito, o anche solo letto questa storia. Grazie davvero.

 

Bene, ora addio e buona vita a tutte =)

  
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