“Cazzo Bill, ti sbrighi?
Inizio a rompermi i coglioni!” urlò Tom davanti alla porta del bagno, superando
di gran lunga il rumore dell’acqua che continuava a scorrere
ininterrottamente.
“Fanculo” Lo scorrere
dell’acqua della doccia ovattò la finezza di Bill.
Nell’ultimo periodo non
avevano neanche una giornata libera e quella mattina si sarebbero incontrati con
David alle dieci e mezza per un photoshoot. Peccato che l’orologio segnasse già
le dieci e ventinove. Georg e Gustav erano fuggiti a gambe levate appena si
erano resi conto che la situazione avrebbe inevitabilmente generato
un’apocalittica lite tra Kaulitz, quindi li aspettavano allo studio
fotografico.
A salvare la porta del
bagno che Tom avrebbe distrutto di lì a poco fu lo squillare del cellulare di
Bill. “Rispondi!” gridò sotto il getto dell’acqua.
“Esci e rispondi tu!” urlò
Tom contrariato.
“Tom!”
“Ma
vaffanculo!”
“Rispondi!”
“No!”
Poi sbuffò, dirigendosi
verso il cellulare. “Lo faccio solo perché mi fai pena”
Aprì lo sportellino senza
prestare attenzione al numero, farfugliando un “Pronto?” annoiato.
Una voce femminile si
sovrappose immediatamente alla sua “Bill …”. Era una voce roca e metallica,
seppur acerba.
Tom ebbè un sussulto.
Improvvisamente gli sembrò di non sentire più né lo scorrere dell’acqua, né un
qualunque altro rumore che non provenisse da quel
telefono.
Sentì il caos più
silenzioso esplodergli dentro. In un solo momento provò una serie di emozioni
talmente vasta e disparata da stordirlo, anestetizzarlo. Gli sembrava quasi di
non provare niente. Istintivamente, avvertì una fitta di gelosia, ma non se ne
rese nemmeno conto tra le miliardi di sensazioni che provò nei pochi istanti di
silenzio che seguirono.
E poi il tono della sua
voce. Era flebile. Era tutto ciò che Tom non avrebbe mai voluto sentire. Si
sentì una merda, così schifosamente impotente.
“Sta facendo la doccia”.
La sua voce era piatta, vuota, come se avesse dovuto liquidare una sconosciuta
qualunque.
Prima di quella frase, lei
non aveva distinto la sua voce, avendovi sovrapposto la propria. Ma nel momento
in cui parlò, Tom sentì il respiro di Alex fermarsi.
Riprese a respirare solo
dopo qualche secondo, ma non disse nulla, né attaccò.
“Che hai?” chiese lui. Per
quanto si sforzasse, non ci riusciva. Non riusciva ad ignorarla. Da quando si
erano conosciuti l’aveva scoperta poco a poco, aveva incominciato a capirla,
senza nemmeno rendersene conto, seguendo un istinto naturale che in qualche modo
faceva ancora parte di lui.
Alex non riuscì a
trattenere un singhiozzo sommesso “Niente”
Rieccola. Come sempre. Non
sopportava quel suo stare costantemente sulla difensiva. Non sopportava il fatto
che lei non capisse un cazzo. Non capiva che lui non voleva farle del male. Non
faceva che nascondersi. “Stai-”
“No” lo interruppe
risoluta.
Si che stai piangendo.
Gli
faceva rabbia. Non voleva che stesse così. Ma lei non voleva farsi aiutare da
lui, testarda ed orgogliosa come sempre. “Sei solo una stupida”
“Vaffanculo” rispose
gelida.
Rimasero in silenzio, come
tante altre volte, come in tanti altri loro discorsi bloccatisi a
metà.
Tom chiuse lo sportello
del cellulare. Era arrabbiato con lei. La odiava. La odiava per tutto il male che
si stava facendo da sola, costringendosi ad una vita che non
voleva.
La odiava, ma quella
lacrime riuscivano a fargli del male. E non poteva sopportare il pensiero di
restarsene lì con le mani in mano.
---
Aveva ragione lui. Era
solo un stupida.
Non era il tipo di persona
che cedeva spesso alle lacrime. Era sempre stata sicura di essere
indistruttibile, di poter superare qualunque cosa. Ricordava di aver pianto si e
no tre o quattro volte durante la sua adolescenza. E peraltro non si era mai
trattato di pianti disperati, ma di poche semplici lacrime, che aveva lasciato
scorrere in silenzio e soprattutto costantemente da sola.
Ma in quel momento non ce
l’aveva proprio fatta a stare sola. Aveva avvertito il bisogno di parlare con
qualcuno, e, pur avendolo conosciuto poco tempo prima –e tra l’altro in
circostanze piuttosto insolite-, Bill le era sembrato la persona più
indicata.
E invece aveva risposto
lui. E l’aveva sentita quasi piangere, per la seconda
volta.
L’orgoglio bruciava, e
sapeva benissimo che non era solo quello a farle male, ma era decisa a non
pensarci. Mai
più.
Quella sera avrebbe dovuto
indossare il vestito scelto qualche giorno prima e ritornare ufficialmente al
suo dovere, che avrebbe continuato a svolgere per tutta la vita. Poteva sembrare
ipocrita vista dall’esterno, e lei stessa talvolta si chiedeva come potesse
essere così infelice in una vita dove le bastava chiedere per ottenere. Ma era
così e basta, era la realtà. Quella sera avrebbe accettato tutto ciò che più
odiava al mondo, davanti a chi non aspettava altro che vederla vivere secondo un
protocollo, e, soprattutto, davanti a se stessa.
E sopprimere la voglia di
fuggire da tutto questo, il desiderio di essere portata via da lì, quella sera
appariva più difficile di quanto lo fosse mai stato.
Quello non era il suo
posto.
---
Tom, stavolta puoi
seriamente definirti un coglione.
Il panorama non era male.
La città sotto di lui, oltre il parapetto, era totalmente immersa nell’oscurità
della notte, interrotta da un mare di monotone luci bianche e rosse. Si era
spesso trovato a pensare a quante vite come la sua e quanti problemi diversi ci
fossero in ognuna delle macchine che andavano e venivano velocemente lungo la
strada. Sotto di lui, in quel momento ce n’erano fin troppe, tante da farlo
sentire un minuscolo granellino di sabbia.
Si, Tom, sei un enorme,
ciclopico, grandissimo coglione.
Il cielo era limpido. Le
nuvole si erano fatte da parte per lasciare spazio a quei puntini luccicanti
tanto amati dalla gente nei quali Tom non aveva mai trovato niente di vagamente
poetico o attraente. Gli sembravano solo delle squallide luci in un cielo
altrettanto squallido.
Il cielo di Vaduz.
Un coglione, un coglione,
un coglione.
Ciò che stava facendo non
era da lui. Sarebbe stato da lui mandarla a fanculo dopo la prima scopata e
seguitare col suo giro di troiette dalle tette più grandi delle sue. E invece
era lì. Era lì per lei. Era lì per una ragazzina che, origini regali a parte,
era esattamente come tutte le altre.
Non aveva un piano –e di
certo non poteva bussare il campanello della casa reale. Non aveva un’idea
precisa di cosa ci facesse lì. Non aveva alcun motivo di sperare che tutto ciò
potesse avere uno scopo.
“Allora alza il culo e fa
qualcosa”
L’aveva fatto. Aveva
alzato il culo, aveva liquidato i ragazzi senza dare spiegazioni, aveva preso il
primo treno che aveva trovato ed ora era lì, a nemmeno un centinaio di metri
dall’ingresso del palazzo, situato in alto rispetto al resto della città, senza
un piano, senza un’idea e senza uno scopo.
Mentre cercava una
soluzione, fu la soluzione a venire da lui in giacca e
cravatta.
---
Gli ospiti dovevano essere
già arrivati da un pezzo. Probabilmente mancava solo lei. Quel dannato vestito
la faceva sentire compressa e quei tacchi le sembravano dei trampoli. Tuttavia,
prese un respiro profondo. Era pronta.
Qualcuno bussò con
eleganza alla porta. “Avanti”
Jeorge entrò, chiudendosi
la porta alle spalle, con un’aria insolitamente impacciata
“Alex?”
Lei imprecò sotto voce,
piegata su se stessa, cercando di infilare la seconda scarpa. “Mh?” si tirò su
interrogativa, battendo il piede a terra per far aderire meglio la
scarpa.
“Sei attesa fuori dal
palazzo”
“Fuori?” chiese alzando un
sopracciglio, sapendo all’interno dell’enorme sala da ricevimento tutte le
persone che avrebbero potuto attenderla.
“Esatto"
Alex fece spallucce, dirigendosi verso la porta “Chi è?”. Da che mondo è mondo Alex non aveva mai potuto avere amiche che in quel momento non fossero degne di trovarsi nel salone con gli altri ospiti.
Jeorge non rispose. Si
schiarì la voce, assumendo un tono esageratamente serio “Cerca di non farti
vedere da nessuno mentre esci e, se te lo chiedono, io non c’entro
niente”
“Perché?” chiese
bloccandosi davanti alla porta.
“Fallo e
basta”
Alex gli lanciò
un’occhiata obliqua, annuendo in un modo non particolarmente energico. Aprì
finalmente la porta per poi uscire, seguita da Jeorge, che si diresse al piano
sottostante. Per fortuna la sua camera, al secondo piano, era abbastanza lontana
dalla sala, al primo piano, dove si trovavano gli ospiti. Per non attraversarla,
doveva per forza sfruttare un’uscita secondaria.
Sgattaiolò più
silenziosamente possibile lungo l’interminabile corridoio che la separava dalla
meta. Raggiunse ed aprì l’enorme porta –piuttosto esagerata per essere
considerata ‘un’uscita sul retro-, trovandosi così in un estesissimo giardino.
Attraversò anche quello, ignorando gli sguardi interrogativi di alcuni addetti
alla sicurezza, fino a trovarsi fuori dal palazzo.
Tirava un vento tiepido e
la luna era di un insolito colore bronzeo. Alex guardò diritto davanti a
sé.
Ed in quell’esatto istante
sentì ogni muscolo del suo corpo immobilizzarsi.
Distante qualche decina di
metri da lei, con lo sguardo basso, c’era tutto ciò che
temeva.
E quando, pur se da
lontano, Alex incrociò i suoi occhi, sentì le ginocchia minacciare di
cedere.
---
Eccola.
Tom ed Alex restarono
immobili, come se avessero visto un fantasma, continuando a fissarsi da lontano,
protetti da quella distanza, che ormai era diminuita troppo perché potessero
avere la forza di tirarsi indietro. Ora dovevano annullare quello spazio ed
affrontarsi.
Alex si morse le labbra,
esitante. Basta. Non poteva più fuggire. Incominciò a camminare lentamente
verso di lui, continuando a guardare davanti a sè.
Barcollava su quei tacchi
che la rendevano alta quanto lui. Un vestito celeste in un tessuto vistosamente
costoso la fasciava dal petto fino metà delle cosce, aderendo perfettamente al
suo corpo, mettendo in risalto la vita -molto sottile proporzionata ai fianchi-,
per poi spiegazzarsi morbidamente, scendendo liscio sulle gambe, fino alle
scarpe color perla, delle quali s’intravedevano solo le estremità. I capelli
erano tirati indietro e legati in uno strano incrocio di trecce –tra le quali si
intravedevano a malapena alcune ciocche rosso fuoco-, lasciando liberi solo due
boccoli neri ai lati, che le sfioravano il viso.
Si fermò davanti a lui,
mentre due grandi occhi dello stesso celeste del vestito, leggermente truccati
di un bianco opaco, brillavano alla luce di alcuni lampioni poco distanti,
velati da lunghe ciglia nere. Una marea di domande le attraversavano la mente,
ma lei le lasciava scorrere, senza dire una parola.
“Engel io …” Non sapeva
cosa dirle. Quegli occhi erano una tortura. Lo fissavano così statici, così
vuoti, privi di una qualunque
sfumatura che potesse fargli capire cosa volesse sentirsi dire. Quegli occhi
erano impregnati di una diplomatica finzione, che in poco tempo aveva
completamente inghiottito quella luce ribelle e forte che Tom aveva imparato a
riconoscere. Quegli occhi non erano i suoi, quella ragazza così superficialmente
bella non era lei.
Non sapeva come agire. Era
stato così avventato da non trovarsi minimamente preparato a quel momento. In
realtà, aveva fin troppe cose da dire, ma gli sembravano tutti orribilmente
banali ed insignificanti. Cose che si fecero comunque spazio prepotentemente in
un flusso disordinato e frenetico di parole “Io volevo solo fare la cosa giusta.
Per una volta” l’immobile vuoto di quegli occhi si trasformò per un istante in
un vuoto luminoso, simile a quello delle stelle “Ti prego, non guardarmi così.
Io non dovrei essere qui, lo so, ma … merda, non lo so nemmeno io cosa mi dice
la testa … è una cosa assolutamente ridicola ... è che … è che a me fa male se
tu soffri … non lo so il perché, é una cazzata colossale, ma mi fa male. Io
voglio che tu stia bene. Quando ho sentito la tua voce al telefono io … non lo
so … io volevo solo essere qui con te. Non lo so che cazzo mi hai fatto, tu non
hai assolutamente niente che le altre non hanno, non … non capisco cosa ci sia
in te, ma ... io credo di … non lo so, cazzo, non ci
capisco-”
Tom si bloccò. Piombò il
silenzio.
Alex aveva mosso pochi
passi veloci ed inaspettati verso di lui ed ora era lì. Lo stringeva forte,
circondandogli il collo con le braccia. Semplicemente, senza dire una parola.
Era stanca di tutte quelle parole. Era stanca di tutti quei problemi, di tutte
quelle complicazioni. Era stanca di fingere di non aver bisogno di quel gesto.
Era stanca di fingere che la sua presenza lì, in quel momento, non le facesse
bene. Era semplicemente stanca.
Lui era arrivato fin lì solo per lei, e questo le
bastava.
Tom non avrebbe mai
pensato che sarebbe stato così semplice. Non avrebbe mai pensato di sentire
tutte le sua paure, tutte le sue esitazioni, tutte le sue incertezze,
praticamente tutto, svanire in un solo istante. E tra l’altro con un gesto così
semplice. Ed era una sensazione stupenda. Le cinse a sua volta i
fianchi.
Da parte di entrambi,
c’era una sottile e quasi impercettibile violenza in quella stretta. Una
violenza che veniva da un tremendo ed immediato bisogno di stare semplicemente
bene quanto più possibile in un solo istante. Eppure, mentre le dita gelide di
Alex gli sfioravano il collo, Tom poteva sentirla tremendamente piccola e
fragile tra le sua braccia.
Non avevano nemmeno la più
pallida idea di quanto tempo fossero rimasti così, quando un pensiero attraversò
improvvisamente la mente di Alex. Spostò il viso dalla sua spalla, guardandosi
intorno circospetta “Vieni” si staccò da lui e lo afferrò per un polso,
guidandolo velocemente verso il palazzo.
“Dove?” chiese lui
seguendola.
Alex si voltò per un
secondo senza fermarsi “Vieni e basta”
Camminarono velocemente
sulla strada fatta di grandi pietre rotonde, aggirando l’ingresso. Entrare era
fuori discussione. “Se qualcuno ci vedesse insieme credo che mia madre ci
cuocerebbe a fuoco lento”.
Tom inciampò in una
spietra sporgente, ritrovando per miracolo l’equilibro, evitando di percorrere
il resto della strada in maniera circense “Perché? Sono così poco
raccomandabile?”
“Hai anche il coraggio di
chiederlo?”
Impiegarono qualche minuto
per percorrere dall’esterno tutta la lunghezza del palazzo, per poi trovarvisi
alle spalle. Lì l’aria era impregnata dell'odore dell'erba appena tagliata che
si sostituì gradualmente alle pietre sotto ai loro piedi. E, in un paio di
minuti, qualche albero qua e là si trasformò in una vegetazione sempre più
fitta.
“Engel, dove cazzo mi stai
portando?” chiese Tom, schivando goffamente un paio di alberi, circondato ormai
da un bosco dove avrebbero tranquillamente potuto girare un film horror con
tanto di luna piena.
Alex rallentò barcollante,
voltandosi verso di lui “Qui ci vedono al massimo gli scoiattoli” si guardò
intorno soddisfatta, camminando lentamente all’indietro. Era una vita che non
metteva piede in quel posto, e non si sarebbe mai aspettata, dopo essersi
trasformata in ciò che era, di avvertire nuovamente quel senso di libertà che
provava da bambina.
“Personalmente non mi
farei scrupoli a squartarne uno, se dovesse fare da spia”. Gli alberi erano
quasi completamente spariti, permettendo alla debole luce lunare di filtrare,
rischiarando quel buio totale. Tom doveva ammettere che quel posto aveva un
qualcosa di estremamente inquietante, ma evidentemente lei ci era abituata.
“Condivido”
Camminando all’indietro,
Alex inciampò in una radice, barcollando comicamente sui tacchi, per poi
riacquistare apparentemente l’equilibrio. Ma nel farlo, mise un piede in fallo e
scivolò su uno di quei tacchi infernali, ritrovandosi col fondoschiena per
terra, trascinando con sé Tom, che cadde sulle ginocchia
“Cazzo!”
“Engel, la smetti di
cadere di continuo? Comincio a pensare che tu lo faccia apposta” Tom si sistemò
accanto a lei sghignazzando.
Alex appoggiò la testa
alla ruvida corteccia dell’albero sulle cui radici era praticamente volata “Se
avessi avuto un minimo di senso dell’equilibrio ti saresti risparmiato questo
viaggetto”.
Lui le rispose con un
sorriso appena accennato. Effettivamente, era dal giorno in cui si erano
conosciuti che non facevano che cadersi addosso nei momenti meno opportuni,
finendo sempre col litigare verbalmente o sotto le
lenzuola.
“Deve esserci un certo
lavoro dietro a tutto questo: sembri quasi una femmina”
Lei gli assestò una
gomitata dritta nello stomaco, alla quale Tom rispose imprecando sommessamente.
“Stronza”
Alex sorrise candidamente.
Non aveva ancora ragionato seriamente su ciò che stava accadendo. Era successo
tutto troppo velocemente e semplicemente perché potesse esserne realmente
consapevole.
Tom la scrutava in un modo
strano, attento, sotto la debole luce della luna. Quello era un sorriso vero. Un sorriso che, portando al
superfluo quel trucco e quei boccoli, la rendeva bella. Ma non bella come tutte
le altre con cui era andato a letto. Lei non era perfetta, non aveva un viso
perfetto, né un corpo perfetto . Era bella in un modo che non riusciva a
definire. Bella in un modo semplice, di una bellezza che conferiva una luce
particolare ai suoi occhi, una bellezza che in qualche modo illuminava e
riscaldava con un sorriso. In lei c’era qualcosa in più. Qualcosa per cui valeva
la pena di essere lì.
Le sfiorò la guancia con
la punta delle dita, lasciando la mano sul suo viso. Per la prima volta, quel
brivido che percorse i loro corpi non fece male.
Alex si rabbuiò
improvvisamente, senza staccare gli occhi da lui “Che succederà
adesso?”
Era la peggior domanda che
avrebbe potuto porgli. Voleva solamente godersi quel momento, senza pensare a
ciò che sarebbe accaduto dopo “Lo chiedi a me?”. Lei abbassò lo
sguardo.
“Torna a Berlino” disse
esitante.
Alex tornò di scatto a
fissarlo “Io …”
“Insomma, una vita
normale” Alex sentì le dita di Tom, ancora sul suo viso, contrarsi lievemente.
Dischiuse le labbra come per dire qualcosa, ma si bloccò. I suoi occhi
attendevano speranzosi ed impazienti di sentirsi dire qualcosa, pur non sapendo
esattamente cosa.
“Engel io non posso
prometterti niente. Non posso dirti che andrà tutto bene, non posso dirti che
sarà tutto rose e fiori. La vita là fuori, senza nessuno a spianarti la strada,
è tosta. Ma tu lo sei di più, lo so. E, per quanto mi riguarda, non posso
nemmeno prometterti che non sbaglierò mai. Anzi, te lo dico subito: sbaglierò,
ti deluderò, e probabilmente anche tanto. Non sono perfetto e non lo sei nemmeno
tu. Io non posso prometterti che farò il massimo del massimo. L’unica cosa che
ti prometto è che farò del mio
meglio. Ora sta a te capire se sei pronta o no a tutto questo” si fermò per un
attimo, come se avesse avuto improvvisamente paura di continuare “Se ti fidi o
no di me”
Alex lo fissava immobile,
come se non stesse ascoltando, mentre il suo sguardo assumeva tutta l’aria di un
rifiuto. Tom sentì il sangue raggelarsi nelle vene.
Poi inaspettatamente, i
suoi occhi si illuminarono. Era un sorriso “In qualche modo i miei se ne faranno
una ragione”. E nel momento in cui pronunciò quella frase, Alex capì quanto realmente lo
desiderasse.
Tom rispose con uno dei
suoi sorrisi sfavillanti. Si rese conto di quanto fossero stati stupidi. Era
sempre stato tutto così semplice, erano sempre stati l’uno di fronte all’altra,
niente li aveva mai realmente bloccati se non loro stessi. Quelle risposte erano
state a portata di mano dalla prima volta che le loro labbra si erano
incontrate, ma loro non avevano mai avuto il coraggio di cercarle. Erano stati
degli stupidi.
“Hai preso un nuovo
vizio?” disse sottovoce, mentre Alex si mordicchiava il labbro inferiore.
Finalmente, poteva vedere i suoi occhi brillare di nuovo.
Alex fece spallucce,
dischiudendo le labbra “Hai mai provato a contare i tuoi difetti?”
Nell’inconscio desiderio
di Tom di avvicinarsi a quell’azzurro marino, senza che nemmeno potessero
rendersene conto, la distanza tra i loro visi stava diminuendo
lentamente.
“Dovrei?” sussurrò, mentre
una mano gelida si posava sul suo viso.
“Beh, nel frattempo potrei
volare a Bora Bora e farmi una nuova vita”
Ora Tom sentiva più che
mai quel profumo che aveva sempre trovato fin troppo delicato per poter parlare
di lei.
“Niente male come idea.
C’è un certo via vai di cameriere qui intorno. Durante la tua assenza saprei
come ammazzare il tempo”
“Fottiti”
“Fanculo”
Tom soffiò una risata.
Stavano per baciarsi e non potevano fare a meno di insultarsi a vicenda.
Il silenzio intorno a loro
era tale che potevano avvertire distintamente i battiti accelerati dei loro
cuori. Le loro labbra si sfiorarono delicatamente. Chiusero gli
occhi.
Fu come una liberazione.
Fu un bacio lento, un bacio che non si erano mai permessi il lusso di scambiarsi
prima di allora. Sorrisero lievemente, mentre le loro labbra si allontanavano e
si riavvicinavano. Le loro lingue si intrecciavano come se stessero lottando
l’una contro l’altra.
Alex ebbe l’irrazionale
impressione che la superficie ruvida e dura dietro di lei potesse colare a picco
da un momento all’altro, spinta dalla forza che sentiva in quel bacio
apparentemente così debole e leggero.
Tom allontanò le labbra
dal suo viso, si fermò a guardarla per un istante, per poi ristabilire con più
forza quel contatto. Il desiderio si faceva lentamente spazio in quel bacio,
rendendolo man mano più impetuoso.
Alex sapeva che non si
sarebbero fermati. Ed aveva paura, paura di sbagliare. Aveva paura, perchè era
ben consapevole che dopo quella notte non sarebbe mai riuscita a tornare
indietro.
Tom scese con le labbra
sul suo collo. Sentiva il suo respiro sulla pelle.
“Kaulitz, dimmi che questa
volta stiamo facendo la cosa giusta, ti prego” disse quasi supplicante, senza
riuscire a smettere di respirare affannosamente, come se avesse appena tagliato
il traguardo di una corsa chilometrica.
Tom avvicinò le labbra al
suo orecchio, facendola rabbrividire “Come ti senti?”
La ragione non seppe
rispondere a quella domanda. La sua mente, per quanto si sforzasse di
canalizzare quei pensieri e quelle sensazioni, non riusciva a trovare una
definizione decente per spiegare come si sentiva in quel
momento.
Fu il sentire quelle mani
sulle sue, quel respiro sulla sua pelle, quelle labbra così vicine al suo viso,
quel corpo aderire così perfettamente al suo. Fu il modo in cui riusciva a
sentirlo a darle una risposta. E quella parola arrivò alle sue labbra prima
ancora che potesse realmente realizzarne il senso “Bene”.
Bene. Semplicemente. Non
c’era bisogno di aggiungere altro. Stava bene e basta.
Tom portò il viso a un
soffio dal suo. I loro occhi s’incatenarono, mentre distese le labbra in un
sorriso. “Allora stiamo facendo la cosa giusta” le
sussurrò.
Alex sorrise di rimando,
riassaporando le sue labbra, mentre un paio di mani sicure ed esperte tiravano
giù quel vestito ormai superfluo, riscaldando possessivamente ogni millimetro di
pelle scoperta che incontravano.
Finalmente poteva averla
davvero. In tutti i sensi possibili
ed immaginabili.
Finalmente erano lì.
Liberi da tutto, ma soprattutto da se stessi. Senza scappare, senza che uno dei
due si tirasse indietro, senza lottare contro l’orgoglio. Senza la paura di
lasciansi andare. Senza pensare che sarebbe tutto finito da un momento
all’altro. Senza pensare a tutto il resto. Senza pensare a niente. Erano lì,
dando voce all’istinto innato che li aveva portati fino a quel punto. Erano lì e
basta. Perché essere altrove, lontano l’una dall’altra, sarebbe inevitabilmente
andato contro natura.
-----
Incredibile,
ma vero. E’ proprio finita.
Bene,
se siete arrivate fin qui vi devo un ‘Grazie’ ciclopico. Dovrei spedirvi un
fascio di rose rosse e magari cantarvi una serenata sotto casa U_U.
Anche
perché ogni capitolo è stato un parto, lo so -.-“
Ri-grazie
a tutte quelle che hanno aggiunto alle preferite, recensito, o anche solo letto
questa storia. Grazie davvero.
Bene, ora addio e buona vita a tutte
=)