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Autore: Mia    10/09/2005    7 recensioni
Questa ff è nata per un concorso del forum – Un sedicenne alle prese con eventi troppo grandi per lui, che lo travolgono e lo fanno riflettere.
Genere: Generale, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Agognata sera

Pensieri di un sedicenne

Quella sera di settembre

 

Come desideravo che quella sera arrivasse.

Lo bramavo con tutto me stesso, fin nel più profondo del mio cuore, od almeno questo credevo…

Ora invece ritengo che non fosse affatto il mio cuore a desiderare che quell’agognata sera di settembre arrivasse, ma bensì il mio orgoglio, associato alla mia virilità, sempre che a sedici anni di virilità si possa parlare.

Ora come ora la definirei più stupidità ormonale.

La mia impazienza e la mia curiosità mi facevano fremere, provocandomi talvolta una sensazione languida dalle parti dello stomaco, chiudendolo come in una morsa e dandomi l’impressione che qualcuno lo stesse strizzando come uno straccio bagnato.

Mi ero prefissato un preciso obiettivo, aiutato e sostenuto dai miei sedicenti amici; amici gelosi e scontenti; amici che non si erano mai accontentati di quello che ero io; amici che si fingevano tali solo per interesse o compassione; amici che volevano cambiarmi.

Nonostante dentro di me sapessi bene quanto ipocriti fossero questi miei amici, li avevo ascoltati, come spesso capita ai più, per essere da loro accettato, cosa a cui tutti noi, più o meno inconsciamente, teniamo molto; li ascoltai e mi prefissai questo insano traguardo che nessuno avrebbe potuto impedirmi di superare; nessuno, neppure mio padre.

Mio padre… il padre che tanto mi ama e che io tanto amo… lo stesso che ora non riesco più a guardare in faccia senza che i sensi di colpa mi invadano e che l’imbarazzo mi infiammi, privandomi anche dell’uso della parola. Il padre che ormai finge che io non esista, evitando di parlarmi o cercando di non ritrovarsi mai nella stessa stanza con me; il padre che io vedo chiaramente di aver deluso, cosa che mi affligge terribilmente più di qualsiasi rimprovero o di qualsiasi indifferenza da parte sua, poiché l’ultima cosa che desideravo al mondo era deludere mio padre, ma ho miseramente fallito.

Come allora desideravo con tutto me stesso, ardentemente, impazientemente, che quella sera arrivasse, adesso invece vorrei tanto che non fosse mai arrivata, che nulla di tutto questo fosse successo e che l’inferno nel quale sono sprofondato ora sia solo un incubo dal quale mi risveglierò domani mattina, sobbalzando forse, ma che mi farà poi tirare un sospiro di sollievo, permettendomi di dire la liberatoria frase: “Era solo un sogno”.

Invece so fin troppo bene che questo purtroppo non è un sogno, ma bensì la dura realtà, la quale mi è crollata addosso tutta in una volta con una potenza impressionante, risvegliandomi come da una sorta di torpore nel quale vegetavo fin dalla nascita, scuotendomi profondamente e privandomi bruscamente della mia adolescenza, nonché della mia innocenza. Ora che entrambe mi sono state tolte, provo un’immensa nostalgia e darei qualsiasi cosa per riaverle indietro: ciò che un tempo disprezzavo e desideravo superare il più in fretta possibile, ora è diventato per me il tesoro più prezioso ed irraggiungibile, irreperibile, irrecuperabile. Non riavrò mai indietro ciò che mi è stato tolto; il cancello che si è chiuso dietro di me non si riaprirà mai più.

 

Io e mio padre abbiamo litigato tanto quando lui è venuto a sapere quello che era accaduto; non ricordo ci fu mai fra noi una discussione più accesa.

Le frasi terribili che ci scambiammo ora mi rimbombano nella mente, provocando un’eco insopportabile che risveglia il mio senso di colpa.

Ma sono troppo orgoglioso per chiedere scusa a mio padre, perciò i rimorsi mi attanagliano lo stomaco, il quale si contorce terribilmente, provocando conati che cerco a fatica di reprimere.

Mia madre, venutolo a sapere, era stata da un lato molto più comprensiva, ma da un altro, molto più dura e fredda.

Ora fatichiamo a parlarci ed io è da almeno un mese che non oso guardare mio padre negli occhi per paura che lui possa vedere dentro i miei e scoprirvi un’innocenza sfiorita, un’adolescenza affrettata, cose dalle quali lui aveva sempre cercato di proteggermi, di salvaguardarmi con i suoi ammonimenti.

Quando mi parlava di certe cose, io non lo ascoltavo, oppure mi spazientivo, asserendo che non ci fosse bisogno di affrontare certi discorsi, poiché ero perfettamente in grado di decidere da solo cosa fare.

Lui allora mi guardava sospirando e se ne andava scrollando il capo in segno di diniego, gesto che mi irritava ancor di più, poiché ai miei occhi appariva come un’offesa alla mia presunta maturità.

 

È incredibile a volte come tutto possa cambiare in una sola serata, in pochi attimi. Un momento ti senti maturo, responsabile, in grado di gestire da solo la tua vita, e l’attimo dopo tutto ti crolla addosso con una potenza che la fisica non è in grado di spiegare, né di descrivere, poiché nessuna formula potrà mai contenere in sé gli effetti devastanti di questi cambiamenti.

Ebbene, questo è quanto è successo a me.

Da quando Laura è venuta qui, dopo mesi che non ci vedevamo né parlavamo più, e mi ha detto cosa il nostro gesto aveva comportato, non sono più lo stesso; non riesco ad esserlo e non lo sarò mai più.

Tutto ad un tratto, i problemi che una volta mi sembravano abnormi, irrisolvibili ed insormontabili, sono diventati piccoli e sciocchi, quasi privi di importanza.

Inoltre dentro di me è per sempre crollato un mito: il mio.

Io che mi ero sempre detto maturo e responsabile, in grado di decidere da solo cosa fare della mia vita, solo ora mi rendo conto di quanto fossi, e di quanto sia stato, stupido.

Laura mi aveva detto chiaramente fin da subito che il nostro rapporto non avrebbe potuto funzionare, che sarebbe stato impossibile fare andare a buon fine tale relazione, ma io non avevo voluto ascoltarla, sicuro di essere diverso, superiore.

Adesso non saprei dire se insistei per amore o solo per vanità.

Ricordo che i miei amici quasi non riuscivano a credere che io mi fossi messo con una ragazza più grande di me e per di più così bella; loro avrebbero dato qualsiasi cosa per essere al mio posto.

Fu forse per invidia o per cattiveria che mi spinsero a fare ciò che feci, toccando con astuzia diabolica un tasto delicato del mio essere un maschio adolescente.

Ricordo molto bene quella calda serata di settembre, illuminata da molte stelle e da un quarto di luna; sono passati solo tre mesi e mezzo da allora, ma mi pare un’eternità.

Avevo portato Laura fuori a cena in una pizzeria a portata del mio portafogli, come ormai era mia abitudine il sabato sera; terminata la cena, a base di pizza ai peperoni, invece di riaccompagnarla a casa sua, l’avevo condotta da me.

A casa mia ero sicuro non ci fosse nessuno, poiché i miei genitori erano fuori a cena a loro volta e mio fratello a casa di qualche suo amico.

Laura mi lanciò uno sguardo stupito ed interrogativo quando la introdussi nel mio salotto deserto; io le sorrisi per tranquillizzarla, ma ottenni il risultato opposto e cioè la spaventai, portandola a chiedermi il motivo che mi aveva spinto a condurla fino a lì, invece di riaccompagnarla a casa come ogni sabato sera.

Non mi sentii per niente in imbarazzo quando mi pose questa domanda, e le risposi con franchezza che il motivo per cui l’avevo portata a casa mia era che volevo fare sesso con lei.

Dopo questa mia affermazione, Laura si sedette lentamente sul divano, con le mani sulle ginocchia ed un’espressione seria e greve sul volto: evidentemente si aspettava questa risposta da me, poiché non sembrava stupita. Quando si fu ripresa, si voltò verso di me che mi ero seduto accanto a lei sul divano, mi guardò intensamente ed infine mi chiese il perché di questa voglia.

Fu il mio turno di stupirmi; infatti mi sembrava che la risposta fosse ovvia, la risposta più ovvia del mondo: perché l’amavo. Od almeno questo le dissi, ma forse il vero motivo era che volevo assolutamente dimostrare ai miei amici di essermi portato a letto una ragazza prima di loro. Inoltre questo mio merito sarebbe stato notevolmente accresciuto dal fatto che Laura fosse più grande di me.

Questa mia risposta colpì, come mi aspettavo, un lato del suo cuore di ragazza, ma l’altra metà rimase fredda, sospettosa: difetti questi che, sebbene io abbia avuto a che fare con poche donne nella mia vita, riconosco come limiti propriamente femminili.

Dopo qualche attimo di silenzio, mi disse, fortunatamente con meno freddezza di quanta ne celasse il suo sguardo, che non avevo bisogno di arrivare a tanto per dimostrarle che l’amavo; aggiunse che il sesso era un passo importante nella vita delle persone e che la prima volta avrebbe potuto essere meravigliosa, così come terribile, stava a me trovare la giusta alchimia fra la persona ed il momento.

Ascoltai questo discorso solo a metà, e quella metà parecchio di malavoglia, dato che mi era già stato fatto almeno un centinaio di volte da mio padre.

Inoltre mi dava molto fastidio ascoltare la mia ragazza parlare di sesso a quel modo; infatti, nonostante sapessi molto bene che per lei non era la prima volta, non volevo pensarci per non essere assalito da un’assurda gelosia.

Quando Laura ebbe terminato questo suo discorso, mi guardò intensamente ancora una volta, quasi cercasse di leggere nel mio cuore la verità.

Fu forse qualche cosa nei miei occhi che le fece cambiare idea, portandola ad aggiungere l’opzione della scelta.

Mi disse con un sospiro d’incertezza che, se ero proprio sicuro di quello che volevo, lei era disposta ad accontentarmi.

Io naturalmente, senza minimamente pensare a quello che facevo, le dissi di essere pronto e che tutto quello che desideravo era lei.

Non so perché accettò. Forse lei, tutto sommato, era più innamorata di me di quanto lo fossi io.

Mi ripeteva sempre che, da quando stava con me, si sentiva bene, felice, e che provava sentimenti ed emozioni che mai nessun altro le aveva trasmesso.

Anche io sentivo di amarla dentro di me, ma quel gesto fu dettato più dall’orgoglio che non dall’amore. Forse per questo la sensazione che provai fu un piacere misto ad imbarazzo e rimorso, sensazione per nulla piacevole.

Lo facemmo sul letto dei miei genitori, cosa che mi sono guardato bene dal dire quando mio padre lo venne a sapere.

Mia madre aveva cambiato le lenzuola proprio quel giorno, e l’odiato odore dell’ammorbidente alle rose avvolse i nostri corpi nudi, distesi l’uno sopra l’altro.

Mai avrei creduto che una simile esperienza potesse suscitare in me un tale incontrollabile imbarazzo, accompagnato da miliardi di sensazioni nuove, eccitanti, mai provate prima.

Mi sentii un verme quando, percependo il corpo di Laura sotto di me, fui invaso da una sensazione violenta di piacere, la quale comportò un’eiaculazione precoce. Prima d’ora le mie polluzioni notturne non mi avevano mai imbarazzato, ma in quel momento desiderai scomparire, sprofondare in una voragine di vuoto.

Mi alzai e chiesi convulsamente scusa a Laura, ringraziando silenziosamente il buio che avvolgeva la stanza, il quale le impediva di scorgere l’evidente imbarazzo dipinto sul mio viso.

Quando lei mi ebbe rassicurato, garantendomi che non era niente e che non dovevo preoccuparmi, aggiunse che, se non me la sentivo, non eravamo obbligati a farlo.

Questa sua frase mi ridestò improvvisamente: ora che mi ero spinto fino a lì, non potevo rinunciare, fallire.

Con voce ferma, forse troppo aggressiva, pronunciai un forte e secco “no”.

Dopo questo breve momento di imbarazzo, recuperammo da dove eravamo rimasti: dopo quello spiacevole episodio, l’iniziale sensazione di piacere si era affievolita notevolmente, per lasciare spazio all’impaccio e ad un’impressione di rimorso attanagliante.

Quando ebbi finito, mi staccai da lei quasi fosse stata infetta e mi sdraiai al suo fianco, stanco per lo sforzo, reso ancor più insopportabile dal peso opprimente che si era posato sulla mia coscienza.

Laura mi posò delicatamente una mano sul torace e mi accarezzò, quasi volesse rassicurarmi: non risposi a questo suo gesto, ma scendendo dal letto e cominciando a vestirmi, le dissi di fare altrettanto, ché l’avrei riaccompagnata a casa sua.

Faticai a guardarla negli occhi mentre camminavo affianco a lei per la buia strada asfaltata, la quale aveva lo stesso colore del mio umore.

In più di un’occasione, Laura cercò di prendermi la mano, ma io abilmente evitavo che questo succedesse, o fermandomi per allacciarmi una scarpa ancora perfettamente allacciata, od accelerando il passo. Scoraggiai così qualsiasi suo futuro tentativo di riprovare a compiere quel dolce gesto.

La casa di Laura non era eccessivamente lontana dalla mia, ma quel giorno la distanza sembrava essere raddoppiata ed il tragitto fu poco piacevole.

Quando fu arrivata, prima di rientrare, mi guardò intensamente negli occhi e mi chiese, con i suoi modi dolci ed affabili che sempre mi imbarazzavano, poiché mi davano la sensazione di essere un bambino rispetto a lei, se fossi sicuro di aver fatto la scelta giusta.

Rendendomi conto solo in quel mentre del comportamento che avevo inconsciamente adottato fino a quel momento, cercai di recuperare.

Risposi con un’ostentazione di falsa sicurezza e tranquillità, di essere più che sicuro di aver fatto la scelta giusta e, detto questo, mi chinai su di lei e le presi quasi violentemente le labbra per baciarla. Non so se lo feci per darmi una maggior sicurezza o solo per nasconderle il mio imbarazzo e la mia insicurezza; fatto sta che lei parve soddisfatta e rientrò in casa con un sorriso sul volto.

Pochi giorni dopo questa esperienza, Laura venne da me e, con gli occhi lucidi e la voce rotta, mi disse di volermi lasciare.

Non mi fornì una spiegazione particolare ed io, troppo scosso da quella richiesta, non gliela chiesi.

Prima di andarsene, mi restituì il braccialetto d’argento che le avevo regalato il giorno in cui, timidamente, le avevo finalmente chiesto, dopo tanto tempo trascorso insieme come amici, di mettersi con me, fuori dal negozio di antiquariato dove lavorava per pagarsi gli studi di lettere all’università.

Ancora oggi lo porto al braccio destro come il più caro ricordo del mio primo amore; poiché Laura fu il mio primo, vero amore.

Soffrii per settimane intere a causa della nostra separazione, che avevo sperato invano non dovesse mai arrivare.

Il fatto che mi deprimessi a quel modo per essere stato scaricato, fece ridere i miei gretti amici, che si burlarono di me per tutta la durata del mio abbattimento, contribuendo ad aumentare le mie sofferenze.

Cominciavo a pensare che non sarei mai riuscito a trovare una ragazza come Laura, quando Stacey entrò nella mia vita, riempiendola nuovamente di felicità.

Con lei ho vissuto bellissimi momenti, i quali mi fecero dimenticare ciò che era successo con Laura. Purtroppo anche questa storia è durata ben poco.

 

Alcuni giorni fa, Laura si è presentata a casa mia con una strana espressione sul volto; espressione che non mi piacque per nulla.

Le lanciai un’occhiata sommaria e stupita: notai che si tormentava le mani con nervosismo.

Era strana: aveva un’espressione triste e greve sul viso, il quale si presentava terribilmente pallido e smunto.

Mi disse con voce tremante di volermi parlare con urgenza; nei suoi occhi scorsi uno sguardo di profonda tristezza.

Vedendola così, non potei fare altro che permetterle di entrare, annuendo.

Si sedette sul divano con un sospiro e l’aria stanca; io mi accomodai sulla poltrona, alla sua sinistra.

Per parecchio tempo, nessuno dei due parlò; quel silenzio mi spaventò, ma non riuscii a fare niente per romperlo.

Laura, seduta alla mia destra, continuava a tormentarsi le mani in grembo con inquietudine straziante, che mi mise ancor più in agitazione; solo dopo questi lunghi attimi di silenzio, parlò.

Con velocità impressionante, quasi senza mai prendere fiato, Laura mi ricordò, con imbarazzo che le imporporò leggermente le guance diafane, quella sera di settembre.

Sentendo quelle parole, fui come riportato in vita: me ne ero quasi dimenticato, o forse avevo voluto dimenticare, in modo da poter dedicare tutto il mio corpo e la mia mente a Stacey.

Annuii lentamente; quella terribile sensazione mi attanagliava sempre di più lo stomaco, provocandomi un disagio immenso, che mi impediva di stare fermo sulla poltrona.

Quando le ebbi fatto intendere che avevo ascoltato, lei mi vomitò in faccia tutta la verità, lasciandomi tramortito: mi disse di essere incinta di mio figlio.

Fu quello il momento in cui tutto mi crollò addosso con potenza indescrivibile.

Ci misi un poco per comprendere fino in fondo il significato di quelle parole. Mi sembrava impossibile, assurdo.

Io che, da adolescente quale ero, mi sentivo immortale, intoccabile, ora ero più vulnerabile di un uccello ferito.

Se avevo creduto che la vita potesse passarmi davanti come un film del quale io non facevo parte, in quel momento mi ricredetti, trovandomi davanti alla crudele realtà.

Non ascoltai una sola parola del seguente discorso che mi fece Laura, fra un singhiozzo e l’altro: sebbene sentissi un ronzio di sottofondo, parecchio somigliante alla voce di lei, ero troppo immerso nei meandri della mia mente, della mia coscienza e dei miei sensi di colpa per ascoltare.

Mi riscossi solo quando sentii la parola “genitori”, pronunciata con un accento interrogativo forte che mi ridestò.

Vidi che Laura mi stava fissando con il suo solito sguardo intenso e perforante, gli occhi lucidi di pianto.

Confuso, le domandai cosa avesse detto, allora lei mi ripeté la domanda. Voleva sapere quando lo avrei detto ai miei genitori.

Mi spaventai: voleva che dicessi tutto ai miei genitori; non poteva volere che io dicessi tutto ai miei genitori; non potevo dire tutto ai miei genitori; non volevo dire tutto ai miei genitori.

Rimasi immobile, quasi paralizzato da questa richiesta, alle mie orecchie così inconcepibile, così assurda.

Infine, dopo parecchi minuti trascorsi nel più totale silenzio, parlai per la prima volta, ma ciò che dissi non fu nulla di più interessante del monosillabo atono più noto ed usato: “no”.

Parve non capire, lo discersi dalla sua espressione, ma io non avevo recuperato ancora del tutto l’uso della parola, perciò non fui in grado di aggiungere altro; mi limitai a scuotere lentamente la testa, con gli occhi socchiusi.

Dovevo essere diventato terribilmente pallido, perché Laura si precipitò verso di me, posandomi una mano sulla fronte e chiedendomi se mi sentissi bene.

Non riuscii a rispondere neppure a questa domanda.

La notizia mi aveva sconvolto così profondamente che Laura si sentì in colpa: scoppiò a piangere di nuovo, portandosi una mano alla tempia destra e bisbigliando fra i singhiozzi che le dispiaceva.

Le dispiaceva?!

Mi sentii un verme: lei era dispiaciuta, quando ero stato io a metterla incinta; io le avevo rovinato la vita.

Per causa mia, avrebbe dovuto rinunciare agli studi che si era prefissata di portare a termine con tanto entusiasmo; avrebbe dovuto lavorare il doppio e guadagnare neanche un quarto del denaro che il mantenimento di un neonato richiede… inoltre, non sarebbe stato più possibile per lei abortire, poiché erano già passati più di novanta giorni dal concepimento.

Mi si chiuse lo stomaco, e quasi mi sentii mancare l’aria.

Nonostante questo mio pentimento, non riuscii a parlare, né a rassicurarla, facendola andare via in lacrime.

Con quella rivelazione, la mia adolescenza se ne era andata, seguita dalla mia innocenza.

Da un giorno all’altro, ero diventato un ragazzo padre.

 

Fu difficile per me tenermi dentro quel segreto e, in breve tempo, i miei genitori lo vennero a sapere.

Fui io stesso a riferire loro la verità, pur sapendo a cosa sarei andato in contro: non volevo dirlo, ma se me lo fossi tenuto dentro ancora a lungo, sarei esploso.

Aspettai di essere da solo con i miei genitori: mio padre e mia madre erano seduti a guardare la TV sul divano, mentre mio fratello Kevin era ancora a scuola.

Mi avvicinai lentamente e parlai con indolenza, titubanza e timidezza; mai prima d’ora mi era capitato di rivolgermi così a mio padre: di solito gli parlavo da pari a pari, poiché mi ritenevo adulto e maturo, mentre ora, che forse lo sono più di quanto non lo fossi allora, esito e balbetto davanti a lui.

Non rammento neanche più il mio approccio, ho scordato le parole che utilizzai, ma ricordo perfettamente che mio padre scattò in piedi e mi guardò stralunato, incredulo, mentre mia madre si portava una mano davanti alla bocca.

Dopo quell’attimo di apparente smarrimento, mio padre esplose, inveendo contro di me, perfino insultandomi, reazione quella dettata dalla rabbia, dalla delusione e dalla paura: sì, perché anche lui, ne sono sicuro, ha paura.

Ed io ero lì, immobile davanti a lui, e non reagivo in alcun modo, incapace di dire una sola parola in mia difesa.

Le sue imprecazioni mi investirono con violenza: mi disse che ero un’irresponsabile, un adolescente immaturo e che gli ormoni mi avevano dato al cervello.

Mi chiese con ira se avessi pensato mai alle conseguenze che questo mio gesto avrebbe potuto portare, alle malattie che avrei potuto prendere, ed alla responsabilità che mi sarei dovuto assumere.

La risposta era semplice: no, non ci avevo pensato. Nonostante mi fosse stato abbondantemente ripetuto, ed io avessi sempre risposto, indispettito, che lo sapevo benissimo, non ci avevo pensato nel momento più opportuno…

Incassai queste affermazioni senza rispondere, ed anche le successive frecciatine di mia madre, se possibile ancora più dolorose e velenose.

Mentre mio padre urlava e strepitava, lei mi parlò con calma e freddezza, con un tono apparentemente solidale, ma dalla sua bocca uscirono le frasi più pungenti, frasi che ho preferito dimenticare.

Quando ebbi subito abbastanza rimproveri ed umiliazioni da parte dei miei genitori, trovai finalmente dentro di me la forza di reagire.

Tentai di giustificarmi, di difendermi, ma ci misi meno impeto di quanto non volessi adoperarne, perciò fallii.

Ora viviamo da estranei nella stessa casa: evitiamo di parlarci e di vederci; credevo di avere toccato il fondo, ma i miei guai erano appena cominciati.

 

Spiegare a Kevin il motivo della rabbia dei nostri genitori nei miei confronti non fu facile.

Cercai di mantenere l’espressione severa ed autoritaria del fratello maggiore che solitamente gli riservavo, ma il tremore delle mie mani ed il mio pallore mi tradirono.

Gli parlai con voce tenue, incerta ed inferma; voce che non riconobbi come mia.

È imbarazzante parlare di certe cose ad un ragazzino di quattordici anni che ti osserva con gli occhi sbarrati e alla fine del discorso proferisce con voce mutata ed aria incredula, ma non per questo meno interessata: “Hai fatto sesso con la tua ragazza?! E com’è stato?”

Questo fu il primo ostacolo da superare e fortunatamente non inciampai, ma il secondo si presentava troppo insormontabile. Il suo nome era Stacey.

Da giorni mi vedeva strano, pallido, taciturno, distante: aveva cominciato a preoccuparsi per me ed a chiedermi come stessi e cosa avessi.

Io avevo mentito, dicendole che la mia era solo stanchezza, nulla di più, ma ogni volta che la guardavo, gli ormai noti rimorsi mi attanagliavano, facendomi soffrire ancora di più.

Non avrei retto a lungo; non sarei riuscito a tenermi dentro quella verità ancora per molto: dovevo dirlo a Stacey.

Lei per me era importante, non volevo perderla, ma cominciai subito a mettere in conto questa possibilità.

Avevo deciso di incontrarla in un piccolo bar dove servivano favolosi frullati alla fragola che lei adorava.

Mentre osservavo l’ambiente, mi davo dell’imbecille: come speravo di poter comprare Stacey?

Metterla a suo agio e di buon umore non avrebbe cambiato i fatti, né avrebbe cancellato la mia colpa.

Quando arrivò, il poco colore sul mio viso sparì, per lasciare posto ad un pallore spettrale.

Lei ordinò il frullato alla fragola ed io attesi che l’avessero portato prima di parlare, sebbene lei insistesse.

Se affrontare l’argomento con Kevin era stato difficile, con Stacey fu una tortura.

Come aveva fatto Laura con me, cominciai a parlare velocemente, senza quasi prendere fiato fra una frase e l’altra.

Quando arrivai al dunque, la vidi sbiancare, dopo avermi lanciato un’occhiata incredula.

Io continuai, credendo che, se mi fossi interrotto, non sarei più stato in grado di continuare; mentre parlavo, Stacey scuoteva la testa, con gli occhi chiusi.

La sua bocca si muoveva e, sebbene non ne uscisse alcun fonema, io riuscii a leggere sulle sue labbra parole come: “No, non è possibile; non può essere vero…”

Quando ebbi finito, la osservai: scuoteva ancora il capo ed appariva profondamente turbata.

Indugiai qualche secondo ed infine tesi la mia mano verso la sua, pronunciando sottovoce il suo nome, quasi volessi rassicurarla, ma ottenni solo l’effetto contrario.

Lei si alzò di scatto, ritirando la mano, quasi fosse disgustata dal contatto con la mia.

Pagò il frullato e, mandandomi al diavolo come solo una ragazza sa fare, uscì dal bar.

Io, dimenticando la mia dignità maschile ed il mio stupido orgoglio, la seguii, supplicandola di aspettare e di riflettere.

Non volle ascoltarmi.

Non badai agli sguardi delle centinaia di passanti posati su di noi, né ai nostri toni di voce, inopportuni da utilizzare in un’affollata via del centro, mi limitai solo a seguire Stacey, pregandola di perdonarmi.

Lei era troppo importante per me: non volevo perderla. Ma ormai era troppo tardi: l’avevo già persa.

Non ha più voluto vedermi da allora, né parlarmi: anche per lei sono diventato un estraneo.

 

Adesso sono seduto qui, nel letto estraneo di questa casa estranea.

Mi guardo attorno, girando gli occhi lentamente.

È da parecchio tempo che non parlo più con nessuno, né con mio padre, né con Stacey. Evito i miei amici, poiché ho paura di lasciarmi sfuggire qualche frase di troppo.

La verità mi opprime, mi divora assieme al mio rimorso, ma io ormai li affronto entrambi con freddezza.

Ho cercato di essere mite e farmi perdonare: nessuno ha accettato le mie scuse, né mi ha dato il suo perdono; ora perciò non cercherò più la loro approvazione.

La mia colpa mi rimarrà addosso come un marchio a fuoco per tutta la vita, ma io sono preparato a questo.

Ho sbagliato ed ora mi assumo le mie responsabilità.

Pensandoci bene ora, nella solitudine della buia camera da letto, questa esperienza, avendomi tolto qualche cosa, me ne ha date delle altre; la capacità di raziocinio che possiedo adesso, la freddezza, tanto simile a quella di mia madre, la capacità di assumermi finalmente le mie responsabilità, sono tutte doti che non possedevo.

La mia adolescenza è sfiorita per lasciare spazio ad una maturità acerba, ottenuta passando attraverso sofferenze che mai avrei immaginato di poter provare.

Chissà se, un giorno, ciò che mi ha procurato tanti dolori, non possa darmi altrettanta gioia?

Solo ora, per la prima volta, comincio a pensare alla creatura che dimora nel ventre di Laura come a mio figlio. Il mio egoismo fino ad adesso me lo aveva fatto dimenticare, ma ora è da qualche giorno che penso a quella creaturina, riuscendo a guardare a lei anche con un certo affetto.

 

Come desideravo che quella sera arrivasse.

Quando arrivò, bramai con tutto me stesso che non fosse mai arrivata.

Non finirò mai di pentirmi di ciò che ho fatto, ma può darsi che riesca a trarre felicità anche da un errore; accettando il fatto di essere un ragazzo padre.

  
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