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Autore: PotterWatch    25/06/2010    2 recensioni
– Non è tutto, Sire. È mio doloroso incarico riportarvi un'ultima, tragica notizia... –
Il messaggero non ha la forza di mantenere il capo eretto.
– Mio Sovrano... Raja Birbal è morto assieme a loro –.
Delhi, febbraio 1583. La fine di una storia, di un'Amicizia, sopravvissuta fino ad oggi. Racconto molto romanzato ispirato alle favole di Akbar e Birbal.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota pseudo-storica.
Akbar il Grande (1542-1605) fu il terzo imperatore della dinastia Moghul. Sovrano molto amato e appassionato uomo di cultura, durante il proprio regno Akbar fondò un circolo intellettuale, il Naveratna, parola sanscrita che significa “Nove gioielli”. Il circolo era composto da lui e da funzionari eruditi e fedeli; tra questi si trovava Mahesdas Bhatt, soprannominato Birbal (grande cervello).
Birbal lavorò alla corte di Akbar dal 1556 fino alla morte, e fu per lui un fedele consigliere e carissimo amico. La sua grande intelligenza e abilità nell'inventare soluzioni per ogni tipo di problema gli valsero una grandissima fama che ancora dura: Akbar e Birbal sono infatti i protagonisti di una vastissima serie di favole folcloristiche indiane estremamente popolari, tramandate di generazione in generazione.
Birbal cadde in battaglia circa vent'anni prima della morte di Akbar, mentre combatteva contro alcune tribù afghane che minacciavano le frontiere dell'impero Moghul. Si tramanda che la sua morte sia stata il frutto di un tradimento; pare che la pericolosa manovra di entrare nella gola – e quindi in un vicolo cieco dove gli avversari erano perfettamente organizzati – gli fosse stata comandata da un ministro invidioso della sua posizione e del suo rapporto privilegiato con Akbar.
Dopo aver avuto la notizia, l'imperatore si rifiutò di mangiare, bere e presentarsi alla corte per due giorni interi.

L'unica edizione italiana delle favole di Akbar e Birbal è la traduzione, svolta da Marcella Maiocchi, dell'antologia di Eunice de Souza, autrice ed insegnante indiana.


Petali d'avorio


Un lenzuolo di seta sembra essere sceso sulla terra, dove le nivee pennellate della nebbia lavano via l'oro dal bagliore del sole.
Nel dolce canto dell'inverno, Delhi chiama a sé il silenzio e la quiete perché i suoi abitanti gioiscano di una nuova pace, timida e sottile, il cui cuore batte al ritmo della vita quotidiana. La serenità è nei gesti, nelle profondità degli sguardi, ed accompagna il rullare lontano dei tamburi del tempo.
Tra le strade quasi deserte della città solo pochi mercanti, rannicchiati e infreddoliti sotto le loro tende, si curano del guizzo scuro che passa tra di loro, o della scia di polvere che aleggia sopra le impronte degli zoccoli. Il pelo nero e lucente del cavallo ricorda ancora le fredde dita di un'atmosfera lontana, quasi ignota, e porta con sé il peso delle parole.
Il messaggero imbocca la via per la reggia senza fiatare. I suoi passi sono decisi, eppure tremano di più ad ogni gradino. Di freddo, di stanchezza, d'angoscia  e, mentre leva lo sguardo alla cima della scalinata, di grande dolore.
Le sete e gli arazzi non hanno lo stesso fascino di sempre. Tutto, ai suoi occhi, sembra essere accarezzato da un pallido sospiro d'oblio.
Tuttavia, Salim sa come affrontare quella sensazione. L'ha già provata  l'ha provata ogni volta che, attraversando quei tappeti, ha portato con sé la consapevolezza di dover annunciare una disgrazia.
­–
Akbar, mio Sovrano ­– si inchina senza fiato, cercando la forza e le parole nella brezza proveniente dalle vetrate. Il trono dorato è lì a pochi passi, ora immagine del potere e dell'amarezza al tempo stesso.
Bentornato, amico mio. Ti ascolto –.
L'imperatore, come al solito, sorride. Salim non ha mai smesso di ammirare la sua forza, la sua impassibilità di fronte ad ogni evento, ogni decisione difficile  ­– ogni cattiva notizia.
Vengo dall'Afghanistan, come certo immaginate, sire – risponde flebilmente. – Zain Khan mi ha incaricato di raggiungervi e di aggiornarvi, come è nostro dovere, sugli ultimi avvenimenti riguardo alla guerra condotta con coraggio dal nostro esercito in quei territori –.
Akbar ha evidentemente colto la nota di ansia malcelata nella sua voce. Si erige in tutta la sua altezza, con un profondo respiro, e lo invita a proseguire con un cenno.
Credo di capire che non siano buone notizie – osserva con un tocco d'amarezza. – Se è così, Salim, ti invito a riferirmi quanto devo sapere senza timore –.
Ebbene, sarà così, mio Sovrano –.
I suoi occhi sussultano ancora verso il basso, prima di incontrare i fieri lineamenti di Akbar. Non è l'attesa a inquietarlo, non più: è la sua fine, e il terribile peso del messaggio ancora conservato dietro le sue labbra.
C'è... c'è stata una terribile strage nella gola di Malandari, Signore. Nel pericolo e nel terrore, in ogni occasione, il valore dei nostri uomini è stato tale da non potersi esprimere a parole. Nonostante ciò, Sire... le perdite sono state gravissime. Molti dei migliori tra i nostri soldati sono deceduti combattendo laggiù, per difendere la loro patria. –
Il silenzio è calato in tutta la sala. Persino i servi attendono immobili, tesi nell'atto di chinarsi o di porgere una carta a qualche funzionario.
 
Non è tutto, Sire. È mio doloroso incarico riportarvi un'ultima, tragica notizia... –
Il messaggero non ha la forza di mantenere il capo eretto.
Mio Sovrano... Raja Birbal è morto assieme a loro –.
Akbar tace. Tuttavia, Salim lo sa, il suo silenzio significa molto più di qualsiasi risposta.

Quella mattina, la corrente dello Yamuna era insolitamente tranquilla, come in un naturale segno di rispetto per la vedova inginocchiata sulla riva. Akbar e Birbal passarono di fianco alla piccola famiglia quasi inosservati, due taciti spettri chiusi al di fuori del loro dolore.
La donna sembrava aver perso, nell'osservare le ceneri del marito disperdersi in acqua, tutto l'incanto della sua giovinezza. Alcune ragazze in lacrime le stringevano le braccia, mentre gli uomini, gli occhi vitrei persi nell'orizzonte, guardavano lontano.
Akbar ritornò sui suoi passi tacendo, quasi cieco ai lunghi sguardi del suo consigliere. Solo molto tempo dopo – cogliendo di sorpresa persino lui – l'imperatore riuscì a parlare di nuovo.
Dicono che le donne piangano molto più di noi uomini perché sono deboli – sussurrò al vento, osservando le cime degli alberi. – Cosa ne pensi, Birbal? –
L'hindu rifletté per diversi istanti prima di rispondere.

Ha lottato alla stregua di un eroe. Ve lo posso giurare... l'ho visto con i miei stessi occhi, Sire –.

Si dice anche, mio Signore, che le lacrime siano segno di debolezza. È per questo, forse, che le donne sono considerate deboli –.
Un profondo sospiro interruppe Birbal. Gli servì una lunga pausa, ricamata d'aria e di vento, per poter riprendere il discorso.

Eppure io non sono d'accordo, Sua Maestà. Ho vissuto nel mondo già abbastanza per pensarci sopra. Come tutto ciò che proviene dall'uomo, Sire, ritengo che le lacrime abbiano un valore –.
Akbar si arrestò d'improvviso, volto verso il suo compagno.
Spiegati con calma, Birbal – sorrise dolcemente. – Io ti ascolto –.

Da diversi minuti, ormai, gli occhi di tutti sono puntati sulla figura del re. È fermo, quasi impietrito, senza dare alcun segno di voler parlare o muoversi. Tuttavia, Salim ha lavorato per più di trent'anni alla corte di Akbar il Grande 
per un messaggero fedele e attento, questo è più che sufficiente per avvertire la violenta tempesta in atto nel petto e nella mente del sovrano. Non è la prima, né sarà l'ultima, anche se è una delle poche ad averlo travolto con una tale energia. Ciò che è nuovo ai suoi occhi, ciò che non ha mai visto, è il velo lucente che sta accarezzando le iridi nere dell'imperatore, ancora sottile, ma già lucido e potente.

– Le lacrime, o Sire, non ci offendono, ma ci liberano. Sembrano un'onta, e sono invece una gioia nel dolore, una liberazione che agli uomini forti e coraggiosi è raramente concessa. Vengono dal fango e dalla terra, ed hanno la lucentezza dell'avorio. Sono gioielli, mio Signore, i più umili e splendidi che ci sia dato di vedere su questa terra –.

Akbar aveva ascoltato senza poter proferire parola. Un altro nuovo mondo si celava dietro quelle parole, un tesoro di gemme forgiate da quella mente stupefacente.

La guerra a quelle gemelle maree salate ha continuato lungo tutto il filo dei pensieri di Akbar, e continua anche quando – forse egli stesso non sa, forse è solo Salim a saperlo – brucianti petali bianchi iniziano a solcare il marmoreo viso del re.
Né Akbar, né il messaggero, né altri nella stanza si muovono.

È indubbiamente vero, Birbal – mormorò infine. – Sei un poeta e, come tale, vedi il mondo in un modo diverso – .
Quando il consigliere si voltò di nuovo verso Akbar, una perla vergine era scivolata lungo la guancia del sovrano. La guardò confondersi 
con la rugiada, lungo i fili d'erba, e rise.
Sono contento di averti donato un gioiello, mio Signore – .

Salim è confuso. Non riesce più a scorgere il fondo di quell'animo sconvolto 
la bufera è in tregua, le acque sono torbide, e solo ora Akbar si alza dal trono, fuggendo a passi gravi e lenti le espressioni costernate dei cortigiani.
La porta dorata si richiude davanti a tutti loro, lasciandoli soli con i loro dubbi e i loro pensieri.
Ma Salim non ode il parlottare sommesso che si diffonde sotto il soffitto in un audace crescendo, non si cura degli sguardi interrogativi che lo trafiggono da tutte le direzioni. Non vuole sapere cosa pensino, né cosa domandino; perché al fiume impazzito del suo sangue è mischiata la sottile consapevolezza di aver visto compiersi un miracolo. Il miracolo più comune, eppure il più meraviglioso; un miracolo reso unico al mondo dalla pelle di un viso regale, divino ed umano assieme, insanguinato di dolore per la morte del più caro e fedele amico che abbia conosciuto.


_____

Non aspettatevi accuratezza storica. Purtroppo, è un fattore che non dovrebbe mai mancare, ma le fiabe di Akbar e Birbal sono realistiche quanto questa storia, e mi pareva giusto e bello rispettare quello spirito di leggenda e affetto che le pervade. Amo le Amicizie capaci di durare oltre la vita umana ed oltre i secoli, e la loro è certamente una di queste.
Quanto alle meravigliose fiabe, sono perle di saggezza antica. Le ho ritrovate oggi in una piccola biblioteca di scuola, e le ho amate di nuovo, ora come nove o dieci anni fa. A mio parere è una vergogna che non siano note quanto le fiabe dei fratelli Grimm o di Andersen.
Lascio a voi tutti i commenti. Grazie.


Illustrazione di Stefania Pravato
   
 
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