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Autore: Evie08    25/06/2010    3 recensioni
Sono tornata,come promesso, con il tanto atteso seguito di "The Voice Of Heart" che ho intitolato - come potete vedere- "Damned Souls".
In questo nuovo 'volume' ne succederanno delle belle... ma davvero...
Leggete per saperne di più!!
Dal capitolo 4--"Forks"--:
“Josephine, ti rivedrò?”
“La città è molto piccola…”, fui molto vaga.
Sorrise.
“Nel caso voglia aiutare il destino, di chi devo chiedere?”
“Josephine Heart. Qualcuno in città saprà dirti di lei”.
“Nel caso tu voglia aiutare il destino chiedi di Kevan Uley. Qualcuno, giù in riserva, saprà dirti di lui”.
Uscii da quella porta riprendendo la corsa da dove l’avevo lasciata.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlisle Cullen, Edward Cullen, Nuovo personaggio, Sorpresa, Volturi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Voice Of Heart'
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1.  Tormento

edpov
Edward POV

Fissavo le foto sul caminetto.
Diversi visi si succedevano sotto il mio sguardo distratto.
Alcuni sorridenti, altri irrigiditi da una lunga posa; foto di matrimoni, nascite, battesimi, eventi lieti, altalene e bambini.
E ultima, la nostra.
La foto del nostro matrimonio.
Mia moglie ed io abbracciati, ma soprattutto innamorati.
Mi voltai e vidi il sogno di una vita: la mia Josephine che stringeva tra le sue fredde braccia un bambino bellissimo, dai grandi occhi acquamarina.
Lei lo cullava dolcemente, mentre lui le stringeva avido l’indice portandoselo alla bocca.
Josephine sorrideva felice. Un sorriso che non le avevo mai visto indossare.
Dolce, delicato, materno.
Guardava quella piccola creatura con una devozione totale: lei era presa da lui, e lui da lei.
Quasi fui geloso di tutte quelle attenzioni, anche se sapevo sarebbero durate molto poco.
“Non può restare qui, lo sai vero?”, esordii rompendo il silenzio.
Josephine non rispose, ma in cambio mi rivolse uno sguardo straziato dalla consapevolezza.
Tornò a guardare il piccolo senza mai smettere di cullarlo.
“Dobbiamo chiamare la polizia. E’ giusto che il piccolo trovi famiglia al più presto…”, continuai.
“E se… e se la sua famiglia fossimo proprio noi?”,  Josephine parò senza alzare lo sguardo.
La guardai perplesso.    
“Pensaci: potrebbe essere un segno del destino! Noi che non potremmo mai e poi mai generare, troviamo una sera per caso, un pargoletto di al massimo un paio di mesi davanti la porta di casa. Se non è questo un segno del destino…”.
“Destino…”, sussurrai tra me e me.
“Se non fosse stato per il destino, noi non saremmo qui, adesso, insieme. Pensaci Edward.”, cercava di convincermi con tutte le sue forze.
“Josephine, che vita potremmo dare noi ad un bambino umano? Siamo dei mostri! Te ne rendi conto si o no?”.
“Certo, ma non per nostra volontà! Non è stata colpa nostra… Oh, Edward! Dio ce l’ha mandato e sarà lui ad aiutarci.”.
“Se ci fosse stato un Dio noi non saremmo finiti in queste condizioni! Siamo dei dannati Josephine! Dio non ci aiuta a priori… non lo farà mai! E’ stato lui ad abbandonarci nel momento del bisogno; lui ci ha condannati all’immortalità eguagliandoci ai suoi angeli maledetti.
Non siamo altro che feccia e rifiuti per lui.
Se ci avesse voluto aiutare, non ci avrebbe ridotti così.
Questa vita è una schiavitù insopportabile…”.
Sentii il gelo dei suoi occhi su di me.
Guardai il suo volto, una leggera smorfia di dolore lo contraeva.
Guardavo come le mie parole l’avevano ferita.
Avrei voluto ritrattare, solo per veder svanire quell’espressione afflitta.
Ma non potevo, anzi non volevo.
Io credevo a tutto quello che avevo detto, ad ogni singola parola.
Non potevo.
Lenta e inesorabile, Josephine mi si avvicinò stringendo il bambino al petto, come se volesse proteggerlo da me, il terribile mostro che voleva portarle via il suo sogno.
Nei suoi occhi leggevo la delusione e qualcos’altro… dolore, forse?
Si allungò rendendo nullo lo spazio che ci divideva e mi diede un bacio.
Leggero come la brezza estiva, caldo come il sole.
Sapeva di ultimo.
Si staccò da me con un singhiozzo.
“Questa vita è una schiavitù insopportabile…”, citò le mie parole in un sussurrò appena percettibile.
“Josephine, non intendevo..”
“Ssh”, mi zittì posando un dito sulle mie labbra dischiuse, “hai detto anche molto per stasera. Ne riparliamo domani. Se c’è ancora qualcosa da dire. Buona notte”.
La guardai allontanarsi da me, salire le scale.
La sentii aprire la porta della sua stanza, chiudere la finestra, sedersi sul letto.
Piangere.
E tutto con l’oggetto del suo nuovo amore accanto.
Non credevo che un giorno l’avrei fatta soffrire così.
Senza prendere il cappotto, inforcai la porta e uscii da quella casa.
L’atmosfera era troppo pesante ed io avevo bisogno di pensare.
Pensa pensa pensa pensa Edward!
Che confusione!
L’aria gelida mi prese alla sprovvista lasciandomi senza fiato.
Mi fermai al centro della strada a prender fiato.
Respirai a fondo e mi incamminai nuovamente senza una meta precisa.
Attirato dalle sue luci, entrai in un bar frequentato da brutti ceffi.
Sentivo i loro occhi cisposi tenere d’occhio ogni mio passo, ed i commenti sul mio abbigliamento fin troppo elegante si sprecavano.
Mi sedetti al bancone.
“Cosa ti porto?”, disse una voce esile in contrasto con quell’ambiente così rozzo.
Alzai lo sguardo e vidi che era una donna, minuta, non particolarmente bella, ma con un sorriso conciliante e sereno.
“Whisky.
“Che aria triste…”, commentò portandomi la mia ordinazione.
Mi strinsi nelle spalle senza darle retta.
Ero riuscito ad isolarmi a tal punto da non sentire i pensieri di chi mi stava accanto.
O meglio, ero riuscito a confinarli nell’angolo più buio della mia mente.
Notai che guardava la fede al mio anulare sinistro, sconsolata.
“Peccato… ci avrei fatto volentieri un pensierino…”
Quel pensiero sfuggì al mio controllo costringendomi a guardarla.
Era poco più che una bambina, lavorava in quel postaccio e non faceva solo la barista.
“Problemi di cuore?”, sussurrò il quel baccano.
“Ad avercelo un cuore…”, buttai giù un po’ di whisky.
Normalmente mi sarebbe scoppiata a fuoco la gola.
Non sentivo nemmeno quello stupido fastidio.
“Che dici! Tutti abbiamo un cuore!”
“Si… con la differenza che il tuo batte e il mio no”.
Mi guardò un attimo sbigottita sbarrando i grandi occhi nocciola per poi scoppiare in una sonora risata, che attirò l’attenzione degli altri uomini seduti al bancone.
Si fece seria allungando una mano verso di me.
La posò sul mio petto all’altezza del cuore.
“Hai ragione… non batte.”, disse intristendosi all’improvviso.
Mi concentrai nuovamente sul mio whisky.
Quella conversazione non mi interessava.
Nella mia mente lampeggiava un’immagine nitida, che faceva male.
Gli occhi colmi di dolore di mia moglie.
“Tornerà da te”, disse la ragazza rompendo il silenzio tra noi.
“Come?”
“Stai soffrendo per una donna è talmente ovvio. Tornerà da te. Ne sono sicura.”
“No, lei non è mai andata via. Sono io che le sto facendo del male..”
La ragazza mi prese la mano sinistra e la strinse al suo petto.
“Se ti fa soffrire così tanto.. allora non ti merita..”, baciò la mia mano più volte.
Ritrassi la mano.
“Oh, mi dispiace.”, sibilò lei arrossendo violentemente.
Pagai il mio whisky e feci per andarmene.
“Ehi, comunque io sono Sophie”.
Annuii e uscii da quel locale.
Continuai a vagare per tutta la notte alla ricerca di una risposta alle mie mille domande.



    
CHIEDO UMILMENTE PERDONOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!
PERDONATEMI!!!!!!!!

Per chi non l'avesse capito: mi sto scusando per la mia assenza PROLUNGATISSIMA!!
Vi prometto che non succederà piùùù...
Comunque.. avete visto che bel casino che vi ho creato?? Ne succederanno delle belle... questo è solo l'inizio.

Non ho tempo per ringraziare tutti, uno per uno (lo farò con il prossimo capitolo promesso) e vi ringrazio tutti tutti tutti!
Lettori, commentatori tutti insomma!

Un grazie particolare a Sabry che mi ha costretta a finire questo chappy oggi!

Vi voglio bene!

Commentate commentate commentate!

Besos

Evie 
   
 
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