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Autore: yesterday    25/06/2010    22 recensioni
Non è mai una scelta vantaggiosa condividere una stanza di quattro metri per quattro con il tuo ex ragazzo. Soprattutto se l'ex ragazzo in questione è Akito Hayama, e siete più o meno in pessimi rapporti.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Fuka Matsui/Funny, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.00: Constant: thing or value that always stays the same



Akito Hayama e Sana Kurata, l’uno addosso all’altra sul pianerottolo qualsiasi di un condominio qualsiasi in centro ad Osaka.
Un anno dopo.
Come introduzione potrebbe anche sembrare avvincente, non fosse per un piccolo, minuscolo, tralasciabile dettaglio: Sana Kurata sono io.
La stessa che ha passato un anno dietro le sue folli convinzioni di “separazione da ambedue le parti agognata”, varie ed eventuali.
Non idee - convinzioni.
Ero convinta che un anno fosse un lasso di tempo sufficientemente lungo da permettermi di stabilire dei paletti - cioè, di instaurare una convivenza civile basata su un innegabile affetto reciproco. Ben nascosto, ma fondamentalmente presente.
Ecco, affetto. Non qualcos’ altro.
Ero convinta che gli amori non tornassero - Fuka me lo diceva sempre, mai innamorarsi due volte della stessa persona.
Che poi, non sapevo nemmeno se lo fossi, innamorata intendo. Akito era lì, io ero lì, ci eravamo appena urlati addosso quanto la nostra storia fosse ormai un lontano ricordo, e.. l’avevo baciato. Mi aveva baciata.
Ci stavamo baciando probabilmente da ore - non che avessi controllato, orologio alla mano. La mia attenzione verteva altrove.
E, ciliegina sulla torta, non avevamo alcuna intenzione di smettere.
Dopo equivaleva ad una scelta forse scomoda. Dopo equivaleva ad una definizione - cos’era successo durante quelle ore, su quel pianerottolo, accanto alle buste della spesa? - che entrambi avevamo paura di affrontare.
« Oh » e noi eravamo tanto concentrati a perderci uno nelle labbra dell’altra da non accorgerci nemmeno di quell’esclamazione estranea.
« Oh! » il tono era indubbiamente più alto, ma momentaneamente l’udito - come gli altri sensi - era fuori uso. Troppo impegnativo usarlo.
« Tsu-Tsuyoshi.. » un respiro « ..voglio un pizzicotto. Qui, sul braccio. » pausa, altro respiro « O almeno, dimmi che stai vedendo anche tu quello che vedo io. »
In quel preciso istante riaprii gli occhi e indietreggiai, basita: accanto a me torreggiavano un’Aya e un Tsuyoshi alquanto scioccati.
« Sana?! » sputò tra le labbra tremanti, come a confermare che non si trattasse di uno scherzo.
Perché Sana, la sua Sana, predicava da un anno quanto le divergenze con Hayama non fossero superabili.
E Sana, la sua Sana, in normali condizioni non sarebbe mai stata a fare quel che senz’ombra di dubbio stava facendo quell’altra Sana.
Mi limitai ad annuire, più a me stessa che a lei.
Chiuse gli occhi ed inspirò forte.
« Noi entriamo.. Vero, Akito? » prese parola Tsu, visibilmente scombussolato. Si sobbarcò il non indifferente peso dei sacchetti della spesa, gli caddero le chiavi, le prese di nuovo - le mani gli tremavano leggermente.
Aprì con difficoltà la porta e si schiarì la gola.
Solo in quel momento Akito comprese l’antifona e, in un all-inclusive di faccino confuso e una mano tra i capelli - al posto mio - raggiunse l’inseparabile amico e si chiuse la porta alle spalle.
Espirai.
Aya si sedette sul primo gradino, gli occhi appena riaperti e l’espressione di vacua attesa.
« Sana » ripeté « ti prego. »
Cercai la voce, persa chissà quante ore prima assieme al respiro.
« C-Cosa? » mi accomodai accanto a lei, eliminando dalla memoria il vivido ricordo di chi si fosse seduto al posto suo giusto qualche ora prima.
E soprattutto di cosa fosse accaduto dopo.
« Ti prego, dimmi che non ho le allucinazioni. Dimmi che quello che ho visto poco fa è vero. Dimmelo. » suonava quasi disperato.
« A-ehm, diciamo che.. » iniziai, ma Aya era tanto sconvolta da decidere di saltare i convenevoli, interrompendomi.
« E’ successo davvero? »
Deglutii. « ..Sì. »
Chiuse gli occhi - io mi chiesi distrattamente quale dovesse essere la mia espressione, di nuovo. Magari sembravo una perfetta cretina - ero una perfetta cretina - o magari una cretina beota, meglio ancora.
Lo shock si tramutò presto in qualcos’altro: guardai nuovamente verso Aya e non riuscii a non notare il sorriso che si era allargato sul suo viso.
« Oh, Sana, te l’avevo detto! » urlò quasi, battendo le mani, ed immaginai che non stesse saltellando solo per non destare sospetti ai vicini circa la nostra sanità mentale.
« Ho come l’impressione che me la sentirò ripetere spesso, questa frase. » scossi la testa, disegnando dei cerchietti immaginari sul gradino.
« Mmh. »
Sperai che la conversazione si chiudesse lì - ma ovviamente sbagliavo.
« Sana? »
Cominciavo a perdere la pazienza, lei e le sue dannate domande di rito!
“Senti, sono ancora sotto shock pure io, okay? Non è.. Non l’avevo messo in conto, quindi lasciami abituare all’idea, chiaro?” le avrei volentieri riversato addosso, se solo ne fossi stata in grado. Ma di certo non lo ero, così mi limitai a ripetere: « Sì? »
« Kami, io.. Io non me l’aspettavo. Cioè, ci credevo all’inizio, ma ormai avevo anche perso le speranze. Cosa farai adesso? »
Eccola, la domanda più difficile.
Ricordo che spesso definivo Aya la mia coscienza. E il motivo era sempre più palese.
« Non ne ho la più pallida idea. »
« Sana! » mi rimproverò « come puoi dirmi una cosa del genere? Quello è Akito, accidenti »
Gli occhioni dolci avevano lasciato posto ad un’espressione indignata.
Aggrottai le sopracciglia, in richiesta di spiegazioni.
Aprì bocca - ma la richiuse subito dopo. Scosse la testa.
Seguivo come un automa i suoi gesti secchi dettati dalla sorpresa.
« Una parola soltanto » espirò.
« Quale? »
« Mi chiedo spesso come fai a non arrivarci » le sue spalle crollarono.
Mi sentii punta nel vivo: non era la prima a ripetermi che scaltra non era l’aggettivo che più mi si addiceva.
« Me lo chiedo anche io » buttai lì, tergiversando.
Aya però non aveva smetto di sorridere. Mi pose una mano sulla spalla e con l’espressione più beata in viso mi confessò uno dei suoi desideri più grandi: « Sogno di dirti questa frase da secoli. Riprenditelo, Sana. Riprenditelo. »


***

 

Aya fu tanto gentile da invitare Fuka a cena, ovviamente. Sperava che la buona novella equivalesse ad un qualsiasi tipo di ricongiungimento serio, o forse voleva soltanto godersi la scena: inutile dirlo, nascondere qualcosa a Matsui era matematicamente impossibile.
Non sapevo ancora come, ma lei l’avrebbe scoperto.
Se non altro, comunque, riuscii ad evitare Akito per tutto il tempo. Era una situazione assurda, a ben pensarci, mi sentivo terribilmente inadeguata.
E probabilmente Hayama condivideva tutte le mie sensazioni, dal momento che si isolò in camera - io badai bene ad evitare quell’ala della casa.
Ed immaginai che anche lui sapesse a cosa stavamo andando incontro, con quella cena. Deglutii.
Mi accomodai a tavola e notai solo allora che Tsuyoshi, pesantemente ironico causa buonumore, aveva preparato il piatto di Akito accanto al mio.
Takaishi alla mia sinistra, Tsu alla destra di Akito - rispettivamente ai due estremi. E le fidanzate di fronte a noi - giusto perché Aya potesse osservare maniacalmente ogni dettaglio della cena. E magari anche Fuka.
Sospirai.
« Grazie per l’invito » Matsui entrò in scena in versione tornado, fidanzato al seguito - e a dirla tutta ero tanto distratta da non aver sentito nemmeno il campanello.
Era l’inizio dei giochi.
« Sana, accidenti che faccia » constatò, avanzando verso il tavolo.
Un fantastico inizio dei giochi.


« E quindi mi sono detta.. Perché non accettare? Insomma, sarà un programma un po’ noioso ma comunque ben pagato. Non che me ne intenda di calcio, ma se non altro mi impegna solo due ore al giorno. Sana, tu che ne pensi? »
Fuka era un vero mito. Voglio dire, doveva aver qualcosa di strano nel patrimonio genetico, altrimenti non si poteva spiegare come riuscisse a dire così tante cose in così poco tempo. Da emicrania, veramente.
« Sana, ma mi ascolti? » ripeté.
Non le badai, continuando a fissare il mio piatto.
« Kurata » quella voce, invece, era impossibile da escludere - inoltre il sarcasmo di cui era intrisa avrebbe svegliato chiunque « la terra ti chiama. Rispondi. »
Non riuscii a bloccare il sopracciglio destro, che scattò verso l’alto. Mi voltai stizzita - soprattutto perché, nonostante le ore sul pianerottolo, il suo detestabile tono non era cambiato di una virgola - e decisi di rispondere per le rime.
« Hayama, ma vai a qu- »
« Oh, siete sempre i soliti! » mi interruppe Fuka, poggiando le bacchette sopra al tovagliolo.
Deglutii vistosamente - e di sicuro anche qualcun altro doveva aver colto una nuova interpretazione a quell’esclamazione.
Mi versai un bicchiere d’acqua per autoconvincermi a non rispondere “Oh Fuka, oggi non sai quanto hai ragione”.
« Dicevi? » presi le redini del discorso, fingendo interesse, dopo aver bevuto un sorso. Ma Fuka già non mi guardava più.
« Akito » si sporse un po’ verso di lui « certo che anche tu hai una faccia parecchio strana oggi »
« Mi starò ammalando » e si fiondò sull’ennesima porzione di sushi.
Sospirai. Si prospettava una cena estremamente lunga.


Prestai attenzione, ci provai davvero. E, per quanto una parte del mio cervello rielaborasse tutte le possibili implicazioni dell’ormai definito “caso-pianerottolo”, ci riuscii.
Almeno fino al momento del dolce.
Avevo sempre adorato i Taiyaki, (*) soprattutto quelli al cioccolato. Era di certo una valanga di chilocalorie concentrata in uno stampo a forma di pesce, ma non ero il tipo da stupide paranoie per il cibo.
Il Taiyaki che stavo mangiando quella sera, però, mi sembrò tremendamente insipido a confronto della mano sinistra di Hayama che, discretamente, si allungò a sfiorare - lo sfiorare giusto, l’unico possibile - le mie dita, sotto al tavolo.
Rabbrividii e lo guardai con la coda dell’occhio - incredibile quanto quel semplice tocco riuscisse quasi ad essere elettrico, ed un istante dopo tremendamente naturale.
Perché la verità - era innegabile - le sue dita erano state intrecciate alle mie per tanti anni da essere divenute una sorta di costante della mia vita.
Qualcosa che per tanto tempo era stato essenziale - il dove, il quando e il chi erano superflui. Bastava quel suo gesto a rendermi sicura.
E incredibile quanto allo stesso tempo lui fosse imperscrutabile sotto la facciata di ventenne interessato al discorso sul marketing aperto da Takaishi.
Avrebbe potuto fare l’attore, se solo avesse voluto - andiamo, non gliel’avrei mai permesso.
Il suo indice sfiorò il dorso della mia mano.
Lo sfiorò di nuovo.
« Sana, non è che mi passeresti l’acqua? »
Ancora una volta.
« Kami, questa ragazza è sorda »
Risposi al contatto, con la coda dell’occhio controllai Akito - fremeva - e nel campo visivo notai anche una Fuka borbottante sporgersi verso la fantomatica bottiglia d’acqua e fermarsi.
« Questa.. Questa poi » solo la voce spezzata attirò la mia attenzione.
Fuka, ancora allungata sul tavolo, guardava sbigottita l’acqua di fronte a sé.
« Cioè. »
Sorrise - la quiete prima della tempesta. Ma io ancora non ne avevo idea.
Con la mano libera mi grattai la testa, confusa. « Fuka » iniziai « toglimi una curiosità: che c’è di sconvolgente in una bottiglia d’acqua? »
Boccheggiò, balbettò e si strinse nelle spalle contemporaneamente. E non era affatto da lei.
Valutai in quanti secondi sarebbe tornata in sé - e avrebbe ricominciato a parlare a raffica, quindi -; mi decisi per tre.
E ci azzeccai.
« Sa-Sana » poi ritrovò la lucidità « l’acqua è trasparente. Ci vedi attraverso, lo sai no? »
“Fino a prova contraria” volevo risponderle, ma non mi lasciò tempo.
« ..e io ci ho visto attraverso. Pensa che ho visto l’ultima cosa che credevo di vedere, la cosa per cui adesso tutti i presenti eccetto noi due lasceranno momentaneamente questa stanza! »
Il resto della combriccola era tanto interdetto quanto me.
Calò un imbarazzante silenzio - come unica costante la mano di Akito nella mia.
« allora? Siete tutti sordi stasera? » Fuka aveva incrociato le braccia al petto.
Gesto tipico, che qualora abbinato al tono autoritario poteva significare solo l’assenza di qualsiasi altro tipo di possibilità.
Aya, Tsu e Takaishi e alzarono subito, Akito allontanò la mano dalla mia e li seguì.
« Tu » e mi indicò con l’indice.
Mi ravvivai i capelli, sempre più confusa - ma anche leggermente nervosa.
« Io? »
« Oh, Sana. Potrei mettermi ad urlare. Forse è meglio che raggiunga il terrazzo quanto prima. Mi sto trattenendo un sacco. » gli occhi le brillavano sinistramente.
Okay, io non ero di certo scaltra. Ma lei non era di certo chiara.
« Puoi.. Puoi parlare in modo normale? » azzardai, mentre lei si allontanava verso il suddetto terrazzo.
Sembrava accaldata.
Bloccò tutti i muscoli del corpo. « Sana, io ho visto. Ho visto le vostre mani, capisci? Kami. Non hai qualcosa di forte? Un liquore, che so. Mi devo riprendere » e, se possibile, diventai esattamente come il muro: bianco e freddo.
Poi arrossii. « No.. Non cominciare, ti prego. »
Mi morsi il labbro inferiore Mi si era chiuso lo stomaco dalla vergogna - addio Taiyaki avanzato.
« Sana, ho già visualizzato i tuoi prossimi tre anni con Akito »
La guardai nuovamente, la fiammella viva nei suoi occhi determinati. E dire che aveva bevuto solo un paio di bicchieri d’acqua.
« Fuka, frena! » ero preoccupata. Decisamente preoccupata.
Il cantiere-Fuka era di nuovo in piena attività, e viste le circostanze avrebbe persino potuto organizzare un matrimonio a sorpresa. Io, invece, non sapevo nemmeno che situazione avrei dovuto affrontare un paio di ore dopo, in camera con Hayama.
« Sembrava di essere tornati ai tempi delle medie » si sciolse nel suo miglior sorriso, che smorzò la tensione e sciolse anche me.
« Beh, almeno ti sei risparmiata la scena del pianerottolo. » alzai le mani, esasperata « Aya e Tsuyoshi devono ancora riprendersi. »
La sua occhiata eloquente mi fece capire che il mattino successivo, prima di registrare alla radio, sarei stata decisamente occupata a raccontare ogni minimo dettaglio. (Fantastico, ennesimo pensiero da trasformare in insonnia. Perché non me n’ero stata zitta?)
« E adesso sbatti fuori casa quell’oca dei venerdì. A calci in culo, possibilmente » (**) Fuka era e restava il mio coraggio, era ormai risaputo. O per meglio dire il coraggio che a me mancava.
« Fammi bere qualcosa di forte, Sana » si massaggiò le tempie con le dita « E poi vedi di riprendertelo. »

Forse, inconsciamente, lo decisi in quel momento - anche se ovviamente mi resi conto della direzione intrapresa solo quando ormai c’ero dentro fino al collo.
Coscienza e coraggio urlavano la stessa, unica parola.
E quando coscienza - testa - e coraggio - cuore - sono dello stesso avviso..
Mi ritrovai a sorridere all’affermazione di Fuka, cercando quel “qualcosa di forte” che in casa non avevo.
E poi annuii.


 

 

__________________________________________________________
(*) QUESTI sono dei Taiyaki.

 (**) Fuka non è ancora a conoscenza delle “novità” sul fronte Keiko.

 

   
 
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