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Autore: BigMistake    26/06/2010    2 recensioni
Dal Prologo: "Un nano ed un elfo, in groppa allo stesso destriero. Definire tale cosa rara, sarebbe soltanto blasfemia. Eppure successe alla fine della Terza Era, quando la Quarta albeggiava altisonante sulle teste della Terra di Mezzo. [...] Proprio in quel viaggio conobbero, a caro prezzo un popolo nascosto, Gwath - Ombre, venivano chiamate, e si mostravano come spettri nella notte. Mai avevano agito al di fuori delle loro terre, ma i tumulti che avevano scosso Mordor e tutti gli abitanti delle Terre dell’Est, ovviamente le avevano costrette a “cacciare”, se così possiamo definire la loro una caccia, ben oltre il loro piccolo recinto fatto di alberi e oscurità." Sarìin, il bardo racconta una storia agl'avventori di una taverna, i cui protagonisti presero parte alla Compagnia che salvò la Terra di Mezzo da un'imminente fine. Grazie per la vostra attenzione e buona lettura!
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO IX: Ingiusta punizione.

L’alba del settimo giorno era giunta inesorabile. Adamante non parlava dal giorno del processo, il più delle volte scossa da brividi ingiustificati dato il caldo torrido che il Rhûn riservava ai suoi abitanti. I suoi denti battevano come il tintinnare delle gocce in uno specchio d’acqua calmo, indosso s’avvolgeva con una coperta putrida e polverosa raccattata dall’angolo della sua cella. Dalla mattina che l’avevano prelevata non avevano più ricevuto notizie fino al meriggio inoltrato quando la veste strappata sulla schiena mostrava brandelli intrisi di sangue. Fustigata fino allo sfinimento, era questo che intendeva Amarah. Due Ombre la tenevano a peso morto sotto le braccia e per i piedi, trasportandola come un sacco di patate troppo pieno. Solchi profondi come dossi di un aratro sulla terra ancora brulla del maggese percorrevano la schiena logorata dalle frustrate, i cerchi lividi sotto gli occhi segnavano il viso, le palpebre lavanda calate sotto la fronte imperlata di sudore e sudicia di terra, le labbra, di solito floridi petali dai colori dell’aurora, erano disidratate, crude come carne essiccata al sole ma esangui. Non si erano curate nemmeno di adagiarla dove le ferite non le dolevano, gettandola con non curanza nella sua cella. Al tocco della schiena contro il terreno un lamento tremulo percorse il suo costato, priva delle forze di gridare quanto invece le comandava di fare il corpo. Legolas non resisteva più costretto al limitarsi a vagabondare in quello spazio ristretto. Il tempo in attesa che la facessero ritornare lo aveva trascorso in piedi, instancabile come pronto a scattare quando fossero tornate. Aveva percepito che la punizione corporale da infliggere sarebbe stata dura, ma non pensava che il senso del flagellare fino allo svenimento potesse essere preso così letteralmente. Anche il nano era rimasto senza parole, si era solo limitato a posare una mano sulla spalla dell’elfo, il quale per poter osservare meglio Adamante, aveva posato le ginocchia in terra. Era dura per Gimli vedere tutta quell’ingiustizia applicata sulla piccola strega ed era ancora più arduo vedere il riflesso di tale ingiustizia sul suo amico. Ebbene miei signori, i nani sono rinomati per curare i propri interessi, ma mal sopportano le prepotenze altrui. Il povero Portatore della Ciocca avrebbe tanto voluto prendere a pedate il regale deretano della Sovrana per come stava distruggendo quelle povere anime. Era come se stessero facendo del male anche a lui indirettamente. Dall’angolo del corridoio che intervallava le celle spuntò fuori una figura ammantata, il cappuccio scuro calato sul volto a celarne le fattezze, tra le mani una ciotola di legno, un otre ed una borsa appese al fianco. Due guardie l’accompagnavano come di consueto a chi faceva visita ai prigionieri. Quando aprirono il cancello che dava sul povero corpo martoriato di Adamante, il nano fu accecato dall’ira. Non gl’importava d’essere preso e malmenato come avevano fatto con la Guaritrice, doveva spurgare tutto il livore provocato da quella sciocco scotto.

“Non vi è bastato, vili sanguisughe?” disse con voce grossa “Volete altro sangue da colei che si prodiga a curare le vostre ferite? Quale altro sacrificio deve compiere prima che le riconosciate la ricompensa? Siete così stolte e cieche da non riconoscere nemmeno il bene, la vostra legislazione vi obbliga ad essere spietate con le vostre stesse sorelle! Lo stare recluse vi ha tolto ogni capacità di misericordia voi siete soltanto …” il discorso del nano fu interrotto da Legolas stesso che guardandolo negli occhi negò con la testa. Aveva ben riconosciuto l’andatura claudicante  di Raja in quella figura ammantata, quel incerto zoppicare che faceva sobbalzare la metà del suo corpo ad ogni passo. Dopo essersi voltata in loro direzione per un istante tornò alla figura riversa a terra. Entrò nella cella che venne richiusa ed abbandonata dalle guardie, si tolse il mantello e lo lanciò senza un'ubicazione precisa. Si spogliò dei suoi ammennicoli per potersi inginocchiare accanto ad Adamante ed accarezzarle la fronte scostandole i capelli fatti aderire dalla fatica.

“Cosa ti hanno fatto Chillah?” le disse in un sussurro esternando tutto il suo rammarico. Legolas e Gimli assistevano alla scena senza proferire parola. I gesti di Raja erano dolci e delicati, come quelli di una madre che trova il figlio dopo una battaglia. Prese il suo braccio e se lo passò dietro le spalle. La sua ferita non le permetteva movimenti fluidi e faticò ad alzarsi con il peso gravoso della Guaritrice al collo, ma superò addirittura la sua stessa forza pur di portarla sul giaciglio per medicare le lacerazioni dolenti. Non aveva di certo le conoscenze di Adamante, ma Raja sapeva come pulire ed evitare che le ferite s’infettassero. La regina aveva concesso alla Guaritrice delle cure giustificandosi con la sua corte per l'imminente venuta dei signori Variag. In realtà era solo un modo per espiare in parte le sue mancanze. Schiacciata con il ventre contro il materasso Adamante aprì i suoi caldi occhi castani ed incontrò quelli scuri di Raja che cercava il più delicatamente possibile di sfilarle la parte superiore della veste.

“Raja …” sussurrò con le poche forze che aveva.

“Non ti sforzare, ora mi prenderò cura di te! È l’unica cosa che posso fare dopo quello che hai dato a tutto il tuo popolo! Non quello ricco d’intrighi e menzogne, quello in cui una come te può solo deperire. Quello vero, non fatto di titoli astrusi dettati dalla sciocca ignoranza! Il popolo che ti ama e continua ad amarti. quello che ti vuole lontana da qui!” rispose la Storica iniziando a versare dell’acqua e dell’essenza di rose nel recipiente di legno. Alzò gli occhi sull’elfo che imperterrito non li aveva staccati dalla Guaritrice. Lo sguardo che gli rivolse non era minaccioso ma d’intesa: gli stava chiedendo di ascoltare con molta attenzione ciò che stava per dire. Quello era un messaggio per lui. “Le tue parole hanno mosso molte acque, mia piccola ed impetuosa tempesta: avevi ragione quando dicevi che non siamo libere, per questo non vogliamo più sottostare alla finzione. Vogliamo poter uscire dalla foresta senza dover intercorrere in un processo, vogliamo poter vivere come gente comune se lo desideriamo, vogliamo poter provare lo stesso sentimento che provi tu per il principe elfico! Le nostre leggi sono antiche, troppo antiche ed è ora di cambiarle. Ciò che è del passato deve rimanere del passato. La Città Bassa non è più disposta a sottomettersi, vogliamo la libertà che richiedevano le nostre ave …” la pezza di lino tracciava il percorso della frusta sulla pallida pelle della Guaritrice che nel dolore non aveva captato il vero significato della parole della Storica. Legolas invece aveva sentito ogni frase, l’aveva percepita e resa propria. Quello di cui parlava Raja era il primo segno di una ribellione. “Adamante tu sei il presente, sei l'esempio che tutto si può sovvertire con un po' di forza di volontà! Non abbandonarti, dimostra a Ruin quanto un granello di sabbia possa gravare sull'equilibrio della bilancia. Hai così tanti amici da dover ancora assistere: tuttte noi stiamo aspettando il ritorno della tua fiamma d'argento che spesso ci hai fatto l'onore di porgerci, vogliamo rimirare di nuovo la splndente scia luminosa del tuo passaggio quando allevi le nostre sofferenze. Siamo qui con te sotto queste prigioni e posso giurare a nome di tutte che sarete le ultime vittime di questo delirante sogno d’indipendenza trasformato nella schiavitù più dolorosa!” rivolse un’ultima volta lo sguardo all’elfo che si trovò ad annuire, mentre il nano non capiva molto al pari di Adamante. Continuò nel suo operato  togliendo il sangue rappreso dai lembi di carne viva. Ad ogni passata i muscoli vibravano e piccoli gemiti uscivano dalla bocca della Guaritrice. Fasciò il suo corpo con garze di lino pulite e le cambiò la veste, sempre spogliata di ogni riconoscimento; infine l’aiutò a coricarsi di nuovo dopo averle fatto ingerire un liquido scuro proprio come quello che Adamante aveva somministrato a Legolas per la sua di ferita. Il nano schioccò la lingua contro il palato stizzito: ora le mostravano benevolenza, dopo averla annientata e ridotta ad uno spettro. Prima che Raja lasciasse la cella la fanciulla le afferrò un polso debolmente. La Storica, sorpresa di tale slancio si accostò alla ragazza che con un filo di voce iniziò a parlarle molto lentamente, nemmeno le oculate orecchie dell’elfo poterono captare quel flebile bisbiglio. Dopo quella confessione Raja depositò un tenue bacio sulla sua testa ed una carezza compassionevole sulla gota arrossata dalla stanchezza, oltrepassando infine le sbarre aperte dalle guardie che indicavano la fine del tempo a disposizione. Seguì taciturna le guerriere ma di fronte alla prigione di Legolas si voltò interrompendo la sua marcia.

“Elfo!” disse con la voce potente quasi fosse un giuramento “Adamante mi ha detto di dirti Amin mela lle! | S – Ti amo!|” Legolas che fino ad allora stava ad osservare Raja si volse alla Guaritrice. Il caldo e ritmico movimento delle spalle era segno del suo assopimento, aveva ripreso finalmente a dormire. Non si accorse che ai suoi piedi era scivolato un qualcosa, finché non li raggiunse. Con un movimento veloce lo spostò in modo che le guardie non potessero vederlo. “Namarie! | S - Addio! |, spero che il rischio che state correndo sia giustamente ricompensato! Non tutto è perduto!” Legolas preferì riservare il silenzio come risposta di accondiscendenza. Ascoltò attentamente i passi allontanarsi ed appena la gittata del suo udito fu totalmente elusa, raccattò il pacchetto cilindrico che aveva lasciato scivolare la Storica ben attenta a non farsi scoprire. Una pergamena color del grano in agosto avvolgeva un’ampolla simile a quella che aveva visto in precedenza Legolas tra le mani di Adamante. Vi era anche uno spillone appuntito, sulla cui estremità una rarissima perla d’onice vi era incastonata. Srotolò con delicatezza e cura tale da sembrare un cesellatore con il gioiello di un re e pose nelle mani del nano gli oggetti, esclusa la pergamena che recava un messaggio.

“Sono rune elfiche?” Legolas annuì tacitamente, iniziando a studiare quella soroprendente scoperta. Prese tra le mani l’ampolla che presentava una sorta di liquido trasparente dalla dubbia provenienza quasi fino all’orlo e la riconsegnò al nano.

"Non mi aspettavo che Raja conoscesse il linguaggio di Aman!" molte erano le sorprese che poteva riservare la Storica, che aveva appreso con il solo uso dell'umiltà. Helluin le aveva fornito le indicazioni per imparare, perchè come Adamante in lei vedeva un'amica. 

“Cosa dicono?” chiese ancora Gimli sempre più incuriosito da tale segreta missiva.

“Sono indicazioni!” ci fu un rumore catene probabilmente, un tintinnare di metallo contro metallo mosso dal vento abbastanza forte da far sobbalzare entrambi. Sicuri che il pericolo fosse completamente passato l’elfo riprese ad analizzare il testo. “Non è facile da leggere, mastro Gimli, la lingua utilizzata è quella dei Tempi Remoti …” l’elfo contemplò per qualche secondo il documento, poi con toni più sicuri iniziò a proferire verso il nano. “ <<  La sorpresa vi avrà colto erede delle Stelle, nessuno conosce questi caratteri vergati con Argentovero. L’oscurità e l’oblio verranno debellati quando la notte calerà sul tuo Destino. Tutto era già pronto ed ora possiamo agire. Usa il tuo sangue per cancellare ciò che la Serpe ha nutrito, l’ampolla e la spilla saranno tue amiche. Versa ciò che di più puro esiste nella coppa che il tuo destino attende ma attento a non bere nella tua. La nebbia sarà sconfitta, il Diamante tornerà a splendere fuori da questi alberi. >>”

“Cosa significa?” chiese Gimli osservando la spilla e l’ampolla che aveva tra le mani.

“Non so.” Sospirò l’elfo. “Le lettere che seguono sembrano una poesia non c’entrano con il resto e sono capovolte …” ruotò attentamente il foglio lentamente, come un rituale sacro. Si sistemò seduto ed iniziò a parlare nella sua lingua intonando le parole come un canto. Mai il nano aveva sentito melodia più sublime, il soave suono delle parole solleticava il suo rude udito. L’alto eldarin del reame beato questo era il dire dell’elfo che sotto un pallido raggio di luna si trovò uno scintillio particolare nell’inchiostro.

“Aspetta! Hai detto: vergati con Argentovero?” intervenne il nano.

“Così c’è scritto!” Gimli roteò gli occhi mostrandosi pensieroso. Poi sollevando la pergamena vide uno strano ingarbuglio di segni da cui un ulteriore barlume lattiginoso colse i suoi occhi.

“Metti il retro alla luce della luna!” al movimento della mano, una scintilla percorse quello scarabocchio senza senso in un sentiero fatto di sinuose curve e dettagli di un disegno molto più chiaro. “Ithildin! Quella donna è più astuta di una volpe, senza alcun dubbio!”

“Concordo Gimli! Concordo!” rispose Legolas allargando un ampio sorriso afferrando la spalla del suo amico. Quella che aveva tra le mani era la mappa dei cunicoli sotterranei di cui parlava Adamante, dall’accesso alle prigioni fino all’uscita dove li avrebbero attesi i cavalli.

“Quando potremmo scappare? Cosa significa tutto questo poema?” chiese impaziente il nano.

“Dal riferimento al mio Destino credo che voglia dire la notte dello Yavieba, quando ci saranno i rituali … ” quel pensiero fece riaffiorare nel nobile principe un fiotto di fiele nella gola che ingurgitò dolorosamente. Non era per lui ma per il suo piccolo fiore d’inverno deturpato dalle mani sudice di un uomo votato all’odio. Così semplice e pura da essere lui stesso un peccatore per averla sfiorata, anche solo per averle rubato un bacio.

“E quel riferimento al sangue?” Legolas afferrò gli oggetti suoi amici, da come diceva lo scritto, dalle mani del nano. Le studiò a fondo sollevandole più volte, agitando la piccola bottiglietta con quel liquido strano per determinare il suo contenuto. Passò di nuovo alla spilla. Il pensiero cadde su di una frase.

“Usa il tuo sangue per cancellare ciò che la serpe ha nutrito …” disse come confessando a sé stesso un arcano. Aprì il tappo che dondolò dalla catenella a cui era assicurato. Con un gesto rapido e secco si puntellò il dito da cui una goccia vermiglia prese a fluire macchiando il candore della nivea pelle dell’elfo. Lo sollevò sul foro che permetteva l’accesso a tale contenitore e ne riversò diverse stille che al contatto con il liquido disegnavano volute sempre più empie. Il sangue colava  come una pioggia battente, attendendo che prelevasse lo scarlatto del suo colore.

“Speriamo che tutta questa follia ci conduca in fretta alla via di ritorno!” le orbite affossate del nano svolazzarono per pochi istanti verso il corpo immobile della Guaritrice, teneramente accucciata come un cucciolo di lupo che prova a ripararsi dal freddo. Sul volto emaciato un nuovo guizzo di vita aveva preso posto: l’ombra di un sorriso, l’ombra di speranza. Legolas seguì lo sguardo del suo amico ed incontrò gli angoli della bocca piegati verso l’alto della fanciulla. “E speriamo che quello sia un bel sogno!” Gimli diede una pacca amichevole sulla spalla dell’elfo che era rimasto incantato. Quel particolare era bello come l’alba sui Monti del Bosco Atro  e dolce come l’ambrosia rubata alle laboriose api che prendevano i pollini dai suoi giardini.

“In fondo c’è una speranza!”  ebbene si, miei signori. Raja aveva sussurrato ad Adamante quanto la popolazione vera l’amasse. Erano meno soli di quel che pensasse la fanciulla, ben presto avrebbe avuto modo di saggiarlo con le sue stesse mani, con la riprova che forse non tutti i sacrifici affrontati sarebbero stati vani.  In quei giorni la Guaritrice cercò di riprendersi sollevandosi dal suo giaciglio di tanto in tanto. Dalle sue labbra deboli poche parole venivano sussurrate, più risposte sollecitate che affermazioni di un pensiero. Un giorno aveva anche cantato con Legolas, che assisteva di continuo la sua amata con la devozione che gli era permessa dalla distanza forzata. Le ferite si stavano rimarginando, ma la pelle era pur sempre cinerea come i resti di una pira ed i suoi occhi avevano  quella terribile patina grigiastra smunta e spenta. Un corno risuonò tra gli alberi di Taur en Gwaith, il corno che annunciava il ritorno delle guerriere nella loro casa, il corno che esaltava un giorno di festa.

“Cos’è questo richiamo?” chiese l’elfo non riconoscendo l’effettivo suono. Gimli iniziò a sbirciare fuori da quell’unica finestra naturale.

“C’è gran fermento!” disse a conferma delle parole dell’amico. Adamante sussultò ad ogni squillo e le sue mani presero a tremare così tanto da doversele massaggiare l’una con l’altra per far passare l’intorpidimento dovuto agli spasmi.

“Stanno tornando! Lo Yavieba è giunto!” nei loro cuori nacque e morì la fiducia in termine di un istante. Avevano capito che in termine di poche ore molto sarebbe cambiato, ma il Destino poteva volgere in due frangenti. La totale disfatta contro la fulgida vittoria. Non c’erano vie di mezzo, non esisteva una strada a metà ma solo una lunga via che fosse del ritorno o della fine delle loro esistenze. Adamante venne prelevata poco tempo dopo per incontrare l’ignara Callial e chi la stava aspettando da tempo. Era quello che aveva ordinato la Regina, nessuno avrebbe dovuto proferire con Callial del processo alla sorella e il suo successivo esilio sarebbe stato giustificato a tempo debito, quando l’esile fanciulla non fosse più a portata di spada della Spietata. Le ore passarono in fretta fino a raggiungere l’arrivo dell’esercito Variag privato delle armi. Alla testa, accanto la calcata di Callial c’erano due Signori della Guerra, senza alcun dubbio. Le loro vesti fregiate d’oro e porpora erano sfavillanti, i loro capelli scuri scendevano sulle spalle larghe e forti, i tratti esotici ad esternare le loro appartenenze alle terre a Sud di Mordor. Dietro di loro uno stuolo di giovani uomini uniformati dai medesimi abiti marciavano in una colonna ordinata. Amarah attendeva di fronte al suo palazzo senza degnare di uno sguardo la figlia. Chiunque poteva pensare che fosse per rabbia nei suoi confronti ed invece era per il tremendo senso di colpa che quell’aspetto malsano provocava in lei. Legolas la vide ricoperta nuovamente della sua carica, ormai semplicemente di facciata contro una sorella che sicuramente non le avrebbe dato salva la vita dopo ciò che era successo. I lunghi capelli erano stati puliti ed intrecciati accuratamente in una complessa acconciatura, che in parte lasciava libere le onde sinuose di quella matassa castana dorata da cui s’intravedeva la forma di foglia dei suoi padiglioni auricolari. Una soffice veste di velluto ritraeva il colore del muschio, cadendo in morbidi drappi sul corpo sempre più magro. Due auree spille sorreggevano i pizzi  sulle spalle mentre una complicata cintola le segnava la vita. Sulla fronte, come tutte le sue compagne, una perla bianca ricadeva dove gli occhi si dividevano poco sopra la base del naso.

“Amarah, l’ospitalità della tua gente è sempre degna di nota!” disse l’uomo più anziano alla testa del drappello, smontando da cavallo per poter salutare doverosamente la Sovrana. “Vi siamo sempre obbligati, mia signora!” portò una mano sul petto inchinando il capo verso Amarah che invece non si scomponeva in alcun modo. Anche l’uomo più giovane smontò da cavallo ripetendo i gesti dell’altro in segno di rispetto. “Ti ricordi mio figlio Kudrem? È da tanto che non partecipa ai rituali dello Yavieba e sono contento che anche tua figlia abbia acconsentito di parteciparvi di nuovo! Mi sono sempre rammaricato che per la sua ostinazione verso la Guaritrice non voleva più farne parte. Ma oggi siamo qui ed è giorno di festa mia signora!” il velo d’ironia che metteva nello sguardo riservato ad Adamante era fonte di rabbia per molti. La Guaritrice strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche pur di non rispondere a tono a quelle insinuazione. Avrebbe voluto dire che non era un suo consenso ad averla spinta ad accettare ma un odioso ricatto ed infine un’ingiusta punizione. In quel momento Callial fu scossa da un tremore, con un salto scese da cavallo superando persino il signore mancandogli di rispetto.

“Cosa vuol dire che Adamante parteciperà ai rituali?” chiese trafelata e con il terrore negli occhi. Se la figlia di Adamante fosse nata prima della sua sarebbe diventata lei la Regina e questo non poteva permetterselo. Kudzo notò con dispetto  a quell’atteggiamento impulsivo della donna. Se fosse successo nel suo reame sicuramente avrebbe passato il resto della sua misera vita incatenata alle pareti della prigione. Amarah le riservò uno sguardo furente e colmo d’ira per quella provocazione appena palesata al Sovrano Variag. Nemmeno la sua instabile pazzia poteva giustificare tale comportamento. Callial resasi conto abbassò il capo prostrandosi con mute scuse ed indietreggiò di qualche passo mentre Amarah riprendeva i giusti convenevoli come d’uopo.

“Kudzo sai che siamo onorate di avervi qui e per i vostri servigi!” servigi, quale orribile parola per indicare un atto che dovrebbe solo essere guidato dall’amore. Legolas avvertì un forte senso di disgusto, la bile si riversò prepotente nella sua bocca mentre il sangue iniziò ad affluire e defluire troppo velocemente per mantenersi lucido. Se si fosse trovato in mezzo a quella radura ora avrebbe decisamente minacciato quel vile che posava con desiderio malsano i suoi tremendi occhi scuri sulla candida e pura Adamante, la quale eludeva il suo sguardo fissando l’attenzione al benvenuto dei due sovrani. “Ma vieni nel mio palazzo lascia che le mie guerriere ed i tuoi soldati si ristorino. Domani sarà un giorno molto importante per tutti e abbiamo molto di cui discutere, venite trovate alloggio nostri graditi ospiti che il vostro sia il soggiorno che avevate sperato!” allargò le braccia verso i nuovi giunti affrontando così i definitivi convenevoli. Kudzo avanzò verso di lei proponendole il braccio ed Amarah non lo rifiutò, incastrando il suo con quello dell’uomo. Adamante sapeva di cosa in realtà dovevano discutere, il bel regalo che presto avrebbe fatto al figlio. Kudrem prima di seguire il padre come di convenienza, si pose di fronte alla Guaritrice. Lo sguardo smaliziato dell’ormai uomo era vivo d’interesse, la fanciulla lo percepiva forte come uno strado di lerciume steso sulla sua pelle.

“Siete sempre più bella Adamante!” lui solo poteva pronunciare quel nome,  Adamante era pur sempre figlia di Regina e lui il suo Tessalon da tempi immemori, quando molto della vita della ragazza era stata strappato. “Anche se avete un aspetto poco salubre …” azzardò un  sorriso tra quelle parole melliflue dette con lascivia in un inutile corteggiamento. Adamante invece protraeva il suo sguardo di sdegno e sufficienza. Kudrem sapeva quanto la ragazza lo disprezzasse e questo faceva accrescere il suo desiderio di possederla.

“Evita questa pantomima, Kudrem! Sai che io non voglio tutto questo!” l’uomo accostò di più la sua persona a quella della Guaritrice che non intraprese un passo per indietreggiare, non volendo mostrare paura di fronte a quello che riteneva un nemico.

“C’è qualcosa di diverso in voi, bella Adamante! Non so, avete una luce strana negl’occhi …” sollevò una mano e con il dorso cercò il contatto con la gota della Guaritrice. Non c’erano gesti sconvenienti tra glia alberi della Taur en Gwaith: la buona creanza non contava, quello che importava era solo lo svolgersi nel migliore dei modi dei rituali Sacri atti al proseguo delle proprie ereditarietà. La discendenza al di sopra di ogni cosa. Legolas che teneva le mani a cavallo della superficie che delimitava la fessura fungente da finestra, iniziò a stringerle con veemenza tanto che piccole briciole di terra caddero provocando un rumore sordo. Gimli, che cercava nuovamente di vedere qualcosa con scarsi risultati per i suoi più fallaci sensi, se ne accorse. L’elfo era molto più che teso, la gelosia aveva annebbiato il suo imperturbabile spirito, l’astio aveva preso il sopravvento. Se avesse avuto con sé l’arco e le frecce avrebbe trafitto quella mano. Le spalle sussultarono a tale impetuoso sentimento, l’ira stava diventando sempre più incalzante.

“Stai calmo mastro elfo! Godrai della tua vendetta quando saremo fuori di qui!” Gimli non sapeva bene in cosa consistessero tutte quelle cerimonie e rituali di cui aveva sentito parlare, non gli tangeva conoscere i recessi di tali celebrazioni. Ma molto aveva intuito dagli atteggiamenti dei due e dalle particolarità di quel popolo che ancora per poco li avrebbe tenuti prigionieri. Le iridi cerulee dell’elfo si volsero un solo istante verso il nano. Fu costretto ad inspirare ed espirare ad intervalli regolari e profondi per ritrovare la sua consueta calma serafica, per poi tornare con l’attenzione fissa sulla Guaritrice ed il Soldato.

 “Devo confessarvi che mi piace almeno quanto la vostra caparbia reticenza!” disse l’uomo sfiorando con le sue labbra l’orecchio della fanciulla mentre con il dorso della mano scendeva sul suo candido collo fino a raggiungere il petto dal quale si ritrasse prima di diventare troppo ardito. Adamante doveva sopportare tutto quel disgustoso rito senza poter far molto altro che dimostrare con le sue espressioni il dissenso. Quando Kudrem allontanò la faccia da quella della Guaritrice ebbe cura di sfiorare con l’angolo della bocca la pelle della ragazza. Era sua per il solo fatto che cinque anni prima gli aveva dato un figlio. L’infatuazione che aveva era per la sua diversità così genuina e candida. Le altre Amazzoni erano macchine da guerra, dall’incarnato scuro come il loro passato. Ma lei era un giglio pregiato che lui avrebbe voluto cogliere ogni notte. Non l’amava era solo l’ossessione che lei scatenava con quelle difformità che la rendevano unica, voleva la sua completa corruzione solo per poterla tenere alla mercé dei suoi capricci. “Sarà un piacere …” sottolineò quell’ultima parola con una impudica inclinazione della voce “… incontrarvi di nuovo domani notte!”

“Non posso affermare lo stesso, Kudrem!” rispose con veleno la Guaritrice. L’uomo iniziò a ridere sguaiatamente, divertito dall’ insolenza della ragazza a cui porse il braccio. Adamante lo rifiutò voltandogli le spalle ed incamminandosi verso il palazzo reale. L’elfo l’osservo finché il limitato campo visivo glielo consentì. Si sentì mancare quando scomparve definitivamente dalla sua vista, proprio ora che aveva deciso di riprendere a vivere. Però era cosciente che presto sarebbe stata l’ora di dire addio alle Amazzoni. L’ora in cui la bella Tirînir sarebbe ritornata tra le sue braccia. Raja aveva fornito a tutti una nuova speranza, era solo il loro compito renderla reale.

Ebbene signori miei, lo Yavieba sta giungendo inesorabile: tanti destini saranno incrociati! Due anime ritroveranno la strada comune? Il popolo vedrà la sua rivincita o la sua fine? I prigionieri saranno liberati? Il vostro umile servo è qui, per voi e per queste domande presto i nostri eroi intraprenderanno una dura battaglia, nulla è certo ma la speranza è tornata a splendere nelle lacrime della Dea.

 

Note dell'Autrice: Bonjour sapete che in quel di Roma martedì è festa e al lavoro mi hanno concesso il ponte! Evviva! Purtroppo non potrò scrivere visto che ho ricevuto la chiamata del mare! no non sto andando ai Porti Grigi per raggiungere Valinor, ma vado al Circeo in spiaggia a prendere il sole. Comunque volevo lasciarvi questo capitolo attendendo il mio ritorno ovvero o mercoledì o giovedì. Allora ci sono piccole spiegazioni tecniche da dare: vi sarete chieste come si può usare un metallo nell'inchiostro. Ho immaginato che come esiste la polvere di ferro perchè no potrebbe esistere anche quella di Ithildin e così l'ha mischiata all'inchiostro ed ecco il gioco che dagli scarabocchi esce la mappa. Raja poi è una storica e come tale ha dedicato la sua vita allo studio di tutta la terra di Mezzo. Con Helluin ha avuto una bellissima pagina sul popolo elfico e con lui ha appreso il linguaggio Quenya e le parole per far risplendere l'ithildin. Mi scuso con chi può trovarlo una forzatura, io sinceramente l'ho visto un'alternativa fantasy al succo di limone contro il fuoco. ^^ Era carino utilizzare questo stratagemma per fargli avere un messaggio nascosto ebbene al prossimo capitolo sapremo cosa sta organizzando la città bassa. Per quanto riguarda il sangue bhè ne sapremo di più al prossimo! Che dire spero di avervi fatto incuriosire!

Thiliol: Si io sono moooooolto crudele ma se non facessi raschiare il fondo ai personaggi non potrei farli risalire. Comunque meno male che c'è Raja e il popolo che comunque la ama e la fa reagire. Devo ammettere che io non sono stata tanto sorpresa dall'eliminazione dell'Italia, me lo aspettavo dalla prima partita. Troppo obsoleta ci sono squadre che meritavano molto più. Poi è normale la delusione c'è sempre ma da amante del buon gioco riconosco che non siamo stati all'altezza del titolo portato sul petto. Comunque spero che ti sia ripresa! Un bacione e a presto!^^

Ringrazio tutti quanti sempre e comuunque vi adoro!

Malice sempre vosta!

   
 
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