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Autore: pizia    28/06/2010    1 recensioni
Sauron ha di nuovo l'Anello, ma qualcosa gli impedisce ancora di sferrare il suo attacco definitivo alla Terra di Mezzo
Genere: Drammatico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Capitolo 12 -

Attacco su due fronti


Le navi viaggiavano veloci sull’Anduin, sospinte da un vento teso e costante che alleggeriva il lavoro a bordo di tutti quanti. Avevano lasciato il porto di Pelargir, quasi alla foce del Grande Fiume, tre notti prima e da allora quella brezza non li aveva mai abbandonati: Aragorn cominciava a chiedersi se quello non fosse il segno tangibile della benevolenza dei Valar.

Per quanto tuttavia andassero veloci, al ramingo pareva che il tempo fuggisse troppo celermente tra le sue mani.

Stavano navigando nell’Ithilien del Sud e all’orizzonte ad oriente si stagliavano minacciose le Montagne dell’Ombra, l’insormontabile cortina che proteggeva Mordor da ovest e da sud. Nuvole nere, pesanti e cariche di oscuri presagi si accalcavano, opprimendosi, dietro le nere vette, squarciate frequentemente da lampi che, abbattendosi a terra, bruciavano persino la roccia nuda. Più in lontananza si vedeva il rossore osceno del Monte Fato, unica fonte di luce in quelle lande desolate.

La Torre Nera di Barad-dur era lì, alle pendici del vulcano: Aragorn non poteva vederla, ma ne avvertiva distintamente la presenza.

Anche il potere di Sauron stava crescendo e presto più nulla avrebbe potuto opporvisi.

Aragorn rabbrividì, stringendosi addosso il mantello elfico donatogli a Lorien. L’aria intorno a lui era tiepida, ma il gelo che l’erede di Isildur provava proveniva dall’anima e nemmeno il mantello, dono di Galadriel, poteva scacciarlo.

A fianco delle navi, lungo la riva del fiume, procedevano, invisibili ma ugualmente terrificanti, i soldati dei Sentieri Morti.

Dopo l’attacco ai pirati di Umbar e la riconquista della flotta di Minas Tirith, Aragorn aveva ritenuto che essi avessero infine onorato la loro promessa e li aveva liberati, sciogliendo la maledizione che Isildur aveva scagliato su di loro.

La sua sorpresa era stata così veramente sincera quando il mattino seguente li aveva trovati ancora tutti schierati, esattamente dove li aveva lasciati, decisi a continuare a seguirlo ed aiutarlo.

Aragorn, figlio di Arathorn, ti sei dimostrato degno dei simboli che porti con te,  molto più degno di quanto non lo sia mai stato il tuo antenato Isildur. Ti sei guadagnato il nostro rispetto, e con esso il nostro aiuto, anche ora che il nostro debito è saldato. Ti seguiremo ovunque vorrai condurci e le nostre armi saranno le tue armi contro qualsiasi nemico tu debba affrontare: solo quando sarà tutto finito abbandoneremo finalmente la Terra di Mezzo”.

Queste erano state le parole del re degli spettri che Aragorn aveva udito distintamente nella sua mente quando aveva incontrato gli occhi fiammeggianti dello spirito. Non aveva fatto nessun commento: si era limitato ad annuire e ad ordinare alla gente di Gondor, appena liberata dalla schiavitù dei pirati del sud, di far salpare le navi. Sapeva che gli uomini non erano tranquilli a causa della paura che la presenza degli spettri faceva crescere in loro; tuttavia sembravano fidarsi ciecamente di lui, e quando aveva spiegato loro che i fantasmi degli uomini delle montagne li avrebbero accompagnati fino a Minas Tirith e che avrebbero combattuto al loro fianco, avevano accettato la cosa senza discutere, sforzandosi di ignorare la paura.

Mancavano ancora pochi giorni e sarebbero giunti a destinazione: la battaglia finale e la conclusione della guerra si stavano avvicinando... Presto sarebbe morto o sarebbe diventato re di Gondor: in tutta sincerità, Aragorn dovette ammettere a se stesso che non sapeva quale delle due prospettive lo spaventasse di più.

 

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Un’esile falce di luna rivolta ad oriente rischiarava debolmente la notte sull’accampamento degli uomini di Rohan.

Re Theoden, Eomer e gli altri ufficiali dei Rohirrim erano ancora radunati, nonostante la tarda ora, nella tenda principale per discutere le diverse strategie da adottare nel caso in cui Gondor fosse stato un alleato o in quello in cui fosse stato un nemico.

Quella sera invece ad Eowyn era stato affidato un lungo turno di pattuglia.

La ragazza era veramente stanchissima e sentiva le palpebre troppo pesanti per poterle tenere aperte. Tuttavia non aveva alcuna intenzione di cedere al sonno e alla fatica: la vita militare si stava rivelando persino più dura di quanto si fosse attesa, e assai meno affascinante. E fino a quel momento si erano limitati solo a marciare, senza quasi combattere. Il peggio doveva ancora venire, questo Eowyn lo sapeva bene, ed era solo il suo orgoglio ad impedirle di abbandonarsi allo sconforto prima ancora che le avversità cominciassero. L’unica cosa che la consolava era la consapevolezza che presto avrebbe potuto smettere di spendere un sacco di energie, sia fisiche che mentali, nel tentativo di non farsi scoprire: quando si fosse giunti al momento della battaglia più nessuno avrebbe badato a lei, e se anche qualcuno l’avesse scoperta sarebbe stato troppo tardi per rispedirla ad Edoras.

In quei giorni l’attività all’accampamento era stata frenetica, alternando allenamenti, perlustrazioni e lunghe lezioni di tattica militare. La tensione era andata crescendo man mano che si avvicinava la data fissata per l’arrivo delle truppe da Gondor: molte delle loro speranze dipendevano dalla prima notte di luna nuova, alla quale mancavano ormai solo due giorni.

Mentre fissava il buio, nel silenzio della notte rotto solo dal verso di qualche gufo, intravide all’orizzonte una confusa massa in movimento: dapprima pensò di essersi ingannata, ma le bastarono pochi minuti per ricredersi.

Tutto d’un tratto fu di nuovo completamente sveglia.

“Padishar!” disse, rivolgendosi alla guardia che sonnecchiava a qualche metro di distanza da lei.

“Cosa vuoi Dernhelm?” rispose quello, senza aprire gli occhi.

“Guarda laggiù...” disse ancora Eowyn con voce tesa.

L’uomo aprì svogliatamente gli occhi, fissando l’orizzonte senza scorgere nulla di strano nel buio: “Io non vedo nulla” disse con la voce seccata di chi ritiene che il proprio sonno sia stato inutilmente interrotto.

“Allora guarda meglio!” ribatté Eowyn arrabbiata, trattenendosi all’ultimo dall’aggiungere epiteti poco signorili all’indirizzo del soldato negligente. “Qualcosa si muove nella pianura: dobbiamo dare l’allarme e spedire qualcuno a controllare”.

Il soldato riaprì di nuovo gli occhi, allertato dal tono serio e preoccupato del suo compagno: i suoi occhi fissarono l’orizzonte per un momento, senza scorgere nulla, ma quando si rese conto che una macchia scura ed irregolare  interrompeva il profilo piatto della pianura, e soprattutto quando realizzò che quella massa era in movimento, scattò in piedi, perfettamente sveglio.

“Vado ad avvisare il re! Tu dai l’allarme: qualunque cosa sia non deve coglierci impreparati” disse, avviandosi velocemente verso il padiglione principale.

Dal canto suo Eowyn si affrettò a suonare la campana dell’allarme. Quindi tornò al suo posto di guardia, riprendendo a fissare l’orizzonte.

Prima ancora che suo zio e suo fratello giungessero alla palizzata, Eowyn notò che qualcos’altro, molto più vicino, si muoveva nella notte: in risposta al suono della campana dell’allarme rispose quello di un corno, e una fiaccola venne accesa a qualche centinaio di metri di distanza dall’accampamento, rivelando la presenza di una decina di cavalieri in avvicinamento.

“Andiamogli incontro” disse Eomer alle sue spalle, radunando una ventina di uomini. “Vieni anche tu!” aggiunse rivolgendosi ad Eowyn.

Quando il piccolo manipolo di cavalieri sconosciuti vide i Rohirrim farglisi incontro, altre torce vennero accese, ed una di queste andò ad illuminare il vessillo che portavano con loro.

Alla luce delle torce i ricami di mithril delle loro armature brillarono nella notte, e sui loro petti come sul vessillo scintillò l’Albero Bianco di Gondor.

“E’ l’esercito di Minas Tirith!” esclamò Eowyn raggiante.

Il tono di suo fratello Eomer tuttavia raffreddò il suo entusiasmo: “Sì, sono loro... ma saranno qui per unirsi a noi o per attaccarci...?”

Alla ragazza l’atteggiamento dei cavalieri non pareva minaccioso, ma dovette ammettere che la possibilità di un atteggiamento ostile non era da escludere: erano avanzati nel buio più assoluto, come se sperassero di coglierli di sorpresa, e solo nel momento in cui erano stati scoperti si erano identificati, magari per ingannarli. Il suo cuore le diceva che quelli erano gli uomini di Faramir, ma la sua mente, e suo fratello, la invitavano ad essere guardinga: Eowyn si rese conto di avere ancora molto da imparare sulla vita militare.

Ogni dubbio venne comunque spazzato via quando i due piccoli manipoli si trovarono a poche decine di metri di distanza: Eowyn individuò facilmente la figura, incredibilmente familiare, del nuovo Sovrintendente di Gondor, molto prima che suo fratello, che non aveva mai conosciuto Faramir di persona, facesse altrettanto.

“Quello è il Capitano Faramir!” esclamò Morgan, confermando l’idea di Eowyn. “Minas Tirith è di nuovo amica!” continuò, accelerando l’andatura del suo cavallo per farsi incontro al suo signore.

Il volto di Eomer si rilassò ed un sorriso colmo di sollievo gli si dipinse sulle labbra: “Addirittura con due notti di anticipo...” sussurrò tra sé e sé, e solo Eowyn, a pochi passi da lui, udì le sue parole, sorridendo a sua volta.

 

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Elfi e Nani si avvicinarono a ranghi serrati alle scure montagne su cui si trovavano gli avamposti di Mordor: l’obiettivo di quella notte era di sbaragliare tali avanguardie in modo da attirare su di loro l’attenzione dell’esercito nemico, distogliendola dal gruppo che sarebbe penetrato nel cuore della montagna. Non era ancora l’attacco decisivo: per quello avrebbero dovuto attendere ancora qualche giorno, a causa delle difficoltà incontrate dagli eserciti degli uomini.

Avrebbero attaccato quella notte: sarebbe stato un blitz seguito da una ritirata composta.

Gli Elfi si sarebbero nascosti durante il giorno nelle foreste dei Monti Cenere, dove persino Sauron in persona avrebbe avuto difficoltà a trovarli, mentre i Nani avrebbero sfruttato le numerose caverne presenti tra le montagne. Numerose spie erano state inviate in quei giorni a scoprire quali di queste caverne erano state occupate dai nemici, e il rapporto finale era stato incoraggiante: molte erano quelle occupate, ma quelle di cui gli orchi non avevano nemmeno scoperto l’esistenza erano molte di più ed avrebbero potuto accogliere l’esercito di Thorin senza che il nemico potesse comprendere dove si erano nascosti. Già numerose provviste, armi e medicamenti erano stati trasportati con discrezione in quegli antri naturali nel cuore delle montagne: i Nani della Montagna Solitaria avrebbero potuto vivere lì per secoli prima che i loro nemici potessero accorgersi di loro.

In quei giorni Nani ed Elfi contavano di riuscire ad innervosire il nemico, facendogli nettamente comprendere che la superiorità numerica della quale godeva era un vantaggio effimero.

Gli orchetti erano esseri stupidi e nemmeno gli Uruk-hai, pur nella loro superiorità, brillavano per particolare intelligenza: inoltre il ricordo della disfatta al Fosso di Helm era ancora abbastanza vivo da minare la loro tranquillità, e quella serie di attacchi avrebbe generato confusione e sfiducia nelle linee nemiche.

E intanto avrebbero dato modo al gruppo scelto di penetrare sino a Barad-dur.

Gimli sedeva in silenzio affilando accuratamente la sua ascia, mentre accanto a lui Legolas passava in meticolosa rassegna ogni singola freccia della sua faretra.

“Dunque ci siamo quasi...” disse all’improvviso il Nano, senza smettere di lavorare.

“Non lo so Gimli” rispose Legolas. “Io ho l’impressione che qualunque cosa faremo, il destino della Terra di Mezzo non dipenda da noi”.

“Cosa intendi dire, amico?” chiese Gimli incuriosito, abbandonando la sua ascia per concentrare la sua attenzione sull’elfo.

“Non so spiegartelo a parole. E’ una strana sensazione di inutilità...” rispose Legolas, imbronciato. “Ho come l’impressione che potremmo perdere questa guerra anche vincendo tutte le battaglie. Ho l’impressione che tutto sia legato ad un filo sottilissimo, e che noi possiamo fare ben poco per evitare che questo filo si spezzi...”

“E chi potrebbe evitarlo?” domandò il figlio di Gloin.

“Se lo sapessi, Gimli, non sarei tanto preoccupato! Non lo so, forse mi sto immaginando tutto... forse questo è solo il mio modo di provare paura. Una volta credevo che fosse Frodo il fulcro di questa vicenda, ma ora non ne sono più così certo”.

“Vedrai Legolas: quando quel traditore di Saruman cadrà sotto le nostre armi tutto questo pessimismo passerà! Forse non sarà quello che deciderà le sorti della guerra, ma vuoi mettere la soddisfazione!”

Legolas sorrise: Gimli sapeva sempre cogliere il lato positivo delle cose.

Nonostante la sua natura di Elfo non si esaltasse all’idea di spezzare vite, di qualsiasi forma esse fossero, non poteva negare che l’idea di dare una bella lezione allo Stregone più potente della Terra di Mezzo lo solleticava non poco.

Il modo in cui quello sciagurato aveva ridotto Isengard e i meravigliosi boschi millenari che la circondavano, era uno scempio che non poteva essere perdonato. La creazione di abomini come gli Uruk-hai era una violenza perpetrata ai danni della natura che travalicava l’idea stessa di tradimento: Legolas avrebbe forse, un giorno, potuto perdonargli l’alleanza con Sauron, ma non avrebbe mai potuto perdonargli tutto il male e la devastazione che aveva causato alla Terra di Mezzo.

“Hai ragione Gimli: anche se dovesse essere un’azione fine a se stessa, Saruman il Bianco deve pagare!” disse, riprendendo ad ingrassare il suo arco in modo da renderlo più flessibile e resistente.

“Così mi piaci, orecchie a punta!” esclamò Gimli.

“Buone notizie!” disse Mariel, irrompendo nella stanza. “Minas Tirith è riconquistata e l’esercito di Gondor ha già raggiunto quello di Rohan: due o tre giorni per dar loro il tempo di organizzarsi e saremo tutti pronti a sferrare l’attacco”.

“Nessuna notizia da parte di Estel?” chiese Legolas.

Un po’ dell’entusiasmo negli occhi di Mariel si spense: “No, mi dispiace. Di lui non sappiamo nulla se non voci talmente contrastanti che è impossibile decidere a quale fare affidamento”.

“Aragorn non è né un pazzo né un avventato: se ha deciso di intraprendere i Sentieri Morti è solo perché sapeva di poterli superare... Sono sicuro che sta benissimo e che presto ne avremo la conferma!” disse Gimli con trasporto.

Ancora una volta Legolas sorrise di fronte all’energia dell’amico, ma questa volta non sembrava molto convinto: condivideva appieno ogni singola parola del nano, ma pensando al ramingo le sensazioni di poco prima erano tornate a farsi sentire, in maniera tanto decisa ed impellente da portare l’elfo a riflettere: “E se fosse proprio Aragorn l’ago della bilancia?”

 

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“L’erede di Isildur è riuscito a riconquistare la flotta di Gondor: se i Nazgul non si sbrigano diventerà un problema molto serio” disse Vermilinguo, agitato e preoccupato.

“Non ti impicciare di affari che non ti riguardano, Grima!” lo ammonì Saruman seccato. “Tu non hai avuto miglior fortuna nei tuoi compiti: sia Rohan che Gondor stanno per attaccarci invece che essere nostri alleati…”

Vermilinguo incassò il colpo accusandolo vistosamente: avrebbe voluto replicare che la colpa di quegli insuccessi non era solamente sua, ma questo avrebbe significato accusare lo Stregone e all’uomo mancava il fegato per farlo e per affrontare le inevitabili conseguenze.

“Se non avete compiti per me io tornerei a Rohan: ho ancora qualche conto in sospeso laggiù…” disse Grima dopo qualche attimo di silenzio, per cambiare di scorso, “… ed ora che Theoden e il suo odioso nipote sono lontani è il momento giusto per saldarli!”

“Se i tuoi… conti in sospeso… hanno gli occhi celesti e i capelli biondi di Eowyn di Rohan, sappi che non la troverai nel palazzo di Meduseld: le mie spie, a differenza dei suoi cari, l’hanno scoperta sotto l’armatura di uno dei Rohirrim…” disse Saruman.

“Cosa volete dire?” chiese Vermilinguo interdetto.

“Che è partita anche lei, sotto mentite spoglie, con l’esercito di Rohan” rispose lo Stregone con sarcasmo.

Gli occhi dell’uomo brillarono per un misto d’amore, follia, ammirazione e paura cieca: l’immagine della Bianca Dama popolava ancora i suoi sogni, e l’idea che potesse essere uccisa o anche solo ferita lo terrorizzava.

La donna lo aveva sempre rifiutato, ma in lui non c’era nemmeno quel minimo di orgoglio che gli avrebbe impedito di cercarla ancora: la nipote di Theoden era la sua ossessione e sarebbe stato disposto a tutto pur di averla tutta per sé.

“Posso chiedervi un favore?” chiese Vermilinguo.

“Non credo che tu sia nelle condizioni di chiedere favori a nessuno, ma parla…” rispose Saruman.

“Quando i Nazgul attaccheranno di nuovo l’erede di Isildur, egli sarà ormai sul campo di battaglia, là dove sarà probabilmente anche la mia dolce Eowyn…”

Saruman fece una smorfia di disprezzo di fronte alla debolezza e alla follia del suo aiutante.

Grima tuttavia non se ne accorse, o, se lo fece, non ne diede segno; continuò: “Quello che vi chiedo è che venga catturata anche lei, viva ovviamente, e che anche lei venga condotta qui a Barad-dur”.

Saruman pensò che l’uomo fosse completamente impazzito: non si sognava nemmeno di chiedere una cosa del genere a Sauron!

Poi però rifletté un attimo: piegare la forte volontà di Aragorn al volere dell’Anello non sarebbe stato facile, ma forse se avessero potuto ricattarlo in qualche modo…

Avendo sempre fatto sorvegliare Aragorn dalle sue innumerevoli spie dopo che questi si era rivelato come l’erede di Isildur, conosceva benissimo la natura dei sentimenti che lo legavano alla Signora di Rohan: avere in pugno la ragazza avrebbe forse potuto significare avere in pugno Aragorn stesso.

Un ghigno storto gli si disegnò sul viso: “Ne parlerò con Sauron, mio caro Grima, e vedremo cosa sarà possibile fare…”

Lo sguardo colmo di stupida gratitudine che gli riservò Vermilinguo quasi lo disgustò, e si ritrovò a chiedersi come un essere tanto infame avesse potuto diventare una sorta di suo braccio destro.

 

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Durante il breve, ma intensissimo attacco che Elfi e Nani avevano sferrato agli avamposti di Mordor, il piccolo manipolo di coloro che sarebbero giunti sino a Barad-dur (alla fine il numero dei partecipanti era stato ridotto ad un solo centinaio di guerrieri) penetrò silenziosamente tra le gallerie e le gole dei Monti Cenere.

La mappa che Sam aveva disegnato era molto approssimativa, ma considerando che l’hobbit l’aveva disegnata basandosi solo sui suoi ricordi e in un momento in cui era completamente sconvolto per la sorte di Frodo, era un’indicazione abbastanza valida. E comunque era tutto quello su cui Legolas e gli altri potessero contare.

Quel dedalo di picchi gole, gallerie e grotte naturali era certamente pattugliato dalle creature di Sauron: dopo che Frodo era giunto tanto paurosamente vicino a compiere la sua missione distruggendo l’Unico Anello, l’Oscuro Signore aveva sicuramente ordinato che tutte le vie d’accesso al suo regno fossero sorvegliate.

Quello che Legolas e Gimli temevano di più era però che altre creature come Shelob, o anche peggiori, potessero abitare ancora lungo il passaggio.

Avanzavano silenziosamente, mentre Legolas, Gimli, Thror e Mariel si alternavano tra avanguardia e retroguardia.

Attraversare i Monti Cenere avrebbe richiesto almeno tre giorni sfruttando il passo di Morannon, ma nessuno aveva idea di quanto ci sarebbe voluto attraverso la via che stavano percorrendo, dato che Sam non aveva fatto nessun accenno a quanto tempo ci avevano messo lui e Frodo. Camminavano dunque con passo sostenuto, anche se la loro marcia veniva inevitabilmente rallentata quando le gallerie si facevano tanto strette da consentire il passaggio di una sola persona alla volta o quando dovevano fermarsi per decidere quale strada seguire tra le tante diramazioni possibili.

Gli Elfi poi non erano particolarmente a loro agio: le gallerie strette e maleodoranti di morte ed abbandono si alternavano alle gole a cielo aperto, ma tutti sapevano benissimo che man mano che fossero avanzati le prime avrebbero preso il sopravvento sulle seconde. Legolas aveva sempre pensato che dopo la traversata delle miniere di Moria più nulla potesse metterlo a disagio, ma dovette ammettere a se stesso che anche quella situazione gli risultava molto sgradevole.

Per i Nani, immersi nel loro ambiente naturale, la situazione era ben diversa, ma nemmeno a Gimli piacevano quelle gallerie tanto irregolari che rischiavano, in certi punti, di franare su di loro. Alle gallerie naturali si alternavano quelle scavate dalla stirpe ormai estinta di Shelob o dalle creature di Sauron, creando un dedalo talmente privo di qualsiasi criterio che qualsiasi Nano non poteva non sentirsi offeso.

In definitiva quella traversata non era piacevole per nessuno di loro, ma nessuno si lamentò.

Avanzavano da poco più di un giorno quando, poco prima che si infilassero in uno di quei passaggio in cui avrebbero dovuto avanzare uno per volta, i tre elfi guidati da Mariel che componevano l’avanguardia tornarono indietro per fermarli.

“Alla fine del tunnel c’è un posto di guardia” disse il Primo Comandante di Bosco Atro. “Non sono che una ventina di orchetti e quattro Uruk-hai, ma se li attacchiamo ci uccideranno tutti, uno per volta, man mano che usciamo dal corridoio”.

“Dobbiamo capovolgere la situazione: dobbiamo fare in modo che siano loro ad attaccare noi” disse Thror.

“Un piccolo gruppo di elfi li attaccherà e poi si ritirerà velocemente, nella speranza che siano abbastanza stupidi da seguirci: quando giungeranno di qui saremo noi a far loro la festa!” propose un elfo, offrendosi anche volontario per fare da esca.

“Se fossero solo orchetti il tuo piano potrebbe funzionare…” rifletté Legolas, “… ma ci sono anche degli Uruk-hai, e quegli esseri non sono completamente stupidi: non cadrebbero in una simile trappola tanto facilmente…”

“Allora proviamo a vedere se c’è una via alternativa” propose Gimli.

Un piccolo gruppo di Nani tornò così indietro al bivio precedente da cui si diramavano altre due gallerie: una risultò tuttavia interrotta da una frana dopo pochi metri, mentre l’altra li avrebbe portati decisamente fuori strada rispetto a quanto disegnato sulla pianta di Sam.

“Quella è l’unica via” disse Gimli. “Noi potremmo anche tentare di rimuovere la frana o addirittura aprire un nuovo passaggio, ma ci vorrebbe del tempo, e comunque non passeremmo certo inosservati”.

“A quanto pare non abbiamo altra scelta” disse Legolas. “Due elfi con me, e voi altri state pronti a coprirci la ritirata”.

“Non se ne parla nemmeno principe Legolas!” esclamò l’elfo che poco prima aveva proposto quella soluzione. “Non c’è nessun motivo per cui voi rischiate tanto inutilmente la vita! Avanti: Caranthir, Olwe venite con me!”

Quello che l’elfo non disse fu che, prima di partire, re Thranduil gli aveva chiesto di tenere a bada suo figlio, per evitare che commettesse sciocchezze inutili.

Prima ancora di concedere a Legolas il tempo di replicare, i tre elfi scomparvero nella galleria, lasciando il principe del Mirkwood interdetto, sotto lo sguardo divertito dei suoi amici.

Ben presto avvertirono il rumore degli archi che si tendevano e il sibilo secco delle frecce che fendevano l’aria, naturalmente amplificati dalla cavità in cui erano di guardia gli orchetti. Tre serie distinte di frecce vennero scoccate prima ancora che i nemici potessero rendersi conto di essere sotto attacco. Poi fu la volta dei bestiali versi degli orchetti a rimbombare nell’aria, insieme al sordo rumore di decine di piedi artigliati sulla roccia nuda. Si avvertirono anche le urla degli Uruk-hai che comandavano di non seguire i nemici nella galleria, ma la confusione e la paura suscitate dall’attacco a sorpresa erano tali che l’unica voce che gli orchetti sentivano in quel momento era quella della propria rabbia: il piano stava funzionando.

I primi quattro orchetti che si presentarono all’apertura del passaggio vennero trucidati senza potersi opporre; quelli che arrivarono successivamente tentarono di farsi scudo con i corpi dei loro compagni, ma in quella maniera le loro armi corte da mischia risultavano del tutto inutile ed inadeguate contro quelle da lancio degli Elfi. In pochi minuti il manipolo venne annientato: quindici orchetti giacevano morti, ammassati gli uni sugli altri, e altri tre più un Uruk-hai erano rimasti uccisi durante il primo attacco. Dall’altra parte della galleria non dovevano esserne rimasti più di quattro o cinque oltre ad un paio di Uruk-hai.

“Facciamo irruzione il più in fretta possibile e tentiamo di sopraffarli prima che chiamino i rinforzi!” ordinò Mariel.

Passarono prima gli Elfi, più agili e veloci, seguiti a ruota dai Nani. Due Uruk-hai e sei orchetti tentarono di opporsi alla loro avanzata, ferendo in modo abbastanza serio i primi Elfi che fecero irruzione nella sala: quando però giunsero i Nani la schermaglia si concluse in breve tempo con il massacro delle milizie di Sauron.

Mariel prese immediatamente a medicare i soldati feriti.

“Non dobbiamo abbassare la guardia, principe Legolas” disse Caranthir. “Abbiamo ucciso solo tre Uruk-hai: il quarto deve essere fuggito mentre combattevamo nell’altra sala, probabilmente per dare l’allarme”.

“Dobbiamo cercare di far perdere le nostre tracce, di confonderli e di farli perdere nei cunicoli, senza possibilmente perderci anche noi!” propose un nano.

“Come stanno i feriti, Mariel? Possono avanzare?” chiese Legolas.

“Possono avanzare, ma non correre, e di certo non possono combattere” rispose la ragazza, avvolgendo strettamente una benda intorno alla spalla del ferito più grave.

“Allora dividiamoci in tre gruppi: i feriti staranno con quello più numeroso. Ogni gruppo prenderà una via diversa: due portano alla stessa gola, quella da cui dobbiamo passare, la terza non lo so. Io intraprenderò quella via e una volta che avremo sconfitto il nemico torneremo indietro e vi raggiungeremo nella gola” ordinò Legolas, mentre in lontananza si cominciavano a sentire i versi gutturali dei loro nemici che venivano a cercarli.

I tre gruppi si divisero ed imboccarono le tre gallerie al seguito dei loro comandanti.

In questo modo quando gli orchetti fecero irruzione nella sala, trovandola vuota, non poterono far altro che dividersi anche loro, andando così incontro all’ennesima carneficina. E questa volta nessuno riuscì a fuggire per dare di nuovo l’allarme.

Ripercorrendo a ritroso la lunga galleria che avevano imboccato, per raggiungere gli altri due gruppi, Legolas rifletteva sul fatto che ormai non avrebbero più potuto fare affidamento sul fattore sorpresa: ormai i nemici sapevano della loro presenza nelle caverne e d’ora in avanti avrebbero dovuto conquistare con le armi ogni metro di avanzata. Tuttavia finché i loro nemici fossero rimasti solo orchetti ed Uruk-hai avrebbero potuto affrontarli tranquillamente e senza subire perdite troppo ingenti.

 

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Gli eserciti congiunti di Gondor e Rohan avanzavano verso quello che ancora rimaneva di Osgiliath per riconquistarla e attaccare direttamente Minas Morgul.

La liberazione di quella che era stata la città di Isildur, Minas Ithil, dall’occupazione degli spettri dell’Anello era uno degli obiettivi principali della loro missione: solo dopo averlo raggiunto avrebbero potuto sferrare l’attacco vero e proprio a Mordor evitando di rischiare di restarvi intrappolati senza via di uscita.

Un paio di giorni prima erano stati raggiunti da Gandalf.

Lo Stregone era stato felicissimo, al suo arrivo, quando aveva trovato Faramir in buona salute e l’esercito di Gondor pronto a combattere contro Sauron: “Sapevo che non saresti rimasto imprigionato a lungo, ragazzo mio!” esclamò dando all’unico che lo aveva sempre accolto come ospite gradito a Minas Tirith una calorosa pacca sulla spalla. “Ed ora sei addirittura Sovrintendente di Gondor!”

“Prego i Valar che Aragorn torni e presto e si riprenda il posto che gli spetta: non è mai stata mia ambizione ricoprire una simile carica…” rispose il giovane.

A quelle parole il volto di Gandalf si fece serio e preoccupato: “So che non desideravi assumere un simile ruolo, Faramir, ma prendi in considerazione l’idea di restare Sovrintendente di Gondor a lungo…”

Faramir lo guardò con aria interrogativa, chiedendosi il perché di simili parole.

Eowyn, che si aggirava fintamente indaffarata nei pressi dello Stregone, cercando di carpire notizie senza farsi notare troppo, sentì la paura impadronirsi di lei a quelle parole.

“Io e Dama Galadriel siamo giunti alla conclusione che Sauron voglia a tutti i costi l’erede di Isildur: riteniamo che voglia assoggettarlo al potere dell’Anello, per rendere il suo peggiore nemico il suo maggiore alleato” spiegò Gandalf.

“Ma questo è assurdo!” esclamarono all’unisono Faramir ed Eomer.

“Aragorn non farebbe mai una cosa del genere!” disse ancora il Maresciallo del Mark.

“Non ho detto che Aragorn lo farebbe, anche se non bisogna sottovalutare il potere dell’Anello e nemmeno quello di Sauron. Quello che so è che non si arrenderà facilmente al potere dell’Oscuro Signore, e allora lo scontro sarà inevitabile ed aperto a tutti gli esiti… E’ per questo, Faramir, che ti dico di non escludere a priori la possibilità di restare Sovrintendente di Gondor più a lungo di quanto pensi…”

Il fratello di Boromir sorrise amaramente: “Io credo che se Aragorn dovesse cadere o, ancora peggio, soccombere all’Anello e passare dalla parte del nemico, non dovrò comunque preoccuparmi di una carica che non desidero: moriremmo tutti, e anche se non morissimo Gondor verrebbe distrutto. Di tutti i regni delle Terra di Mezzo quello in cui sono nato è quello che Sauron odia di più: se vincesse non una sola pietra di Gondor resterebbe in piedi, proprio come quasi più niente rimane ormai del Regno del Nord di Arnor”.

Gandalf lo guardò seriamente, riconoscendo la verità nelle parole del giovane Sovrintendente.

Eowyn si allontanò dalla piccola riunione.

Le parole dell’Istaro l’avevano agghiacciata: Aragorn era in grave pericolo… lei non riusciva a pensare ad altro.

Sentiva la nausea montarle in corpo in maniera incontrollabile, man mano che la paura prendeva il sopravvento.

Era perfettamente cosciente che la sua vita e quella di coloro che amava non era meno a rischio di quella del ramingo, ma non le importava: era solo per la vita di Aragorn che temeva disperatamente, e certo non solo perché la sua morte avrebbe probabilmente significato la fine di ogni speranza di salvezza per la Terra di Mezzo.

Si allontanò di corsa dal centro dell’accampamento, dirigendosi verso il piccolo affluente dell’Anduin che scorreva lì vicino. Appena raggiunse il corso d’acqua si accasciò sulla riva, si levò finalmente l’elmo e si lasciò vincere dai conati di vomito, mentre abbondanti lacrime scorrevano sulle sue guance data la sua totale incapacità di trattenerle in quel momento. In seguito Eowyn non avrebbe saputo dire per quanto tempo fosse rimasta in quello stato, paralizzata dalla paura e dall’angoscia.

Fu solo quando una piccola mano le si posò sulla spalla che tornò alla realtà, maledicendosi per essersi tolta l’elmo.

“Volete che chiami aiuto?” chiese una vocina dolce e preoccupata.

Eowyn riconobbe la voce di Pipino, e presto si rese conto che l’hobbit non era da solo: c’erano anche Frodo e Sam con lui.

“Se vi sentite male il nostro amico Gandalf potrà guarirvi: lui sa fare sempre tutto… quasi…” disse ancora il più giovane degli hobbit.

Eowyn scosse la tesa, quindi alzò il volto per incontrare quelli dei Mezz’uomini: ormai era stata scoperta e tentare di nascondersi ancora sarebbe stata un’azione che le avrebbe richiesto troppe energie.

Pipino sgranò gli occhi per la sorpresa: nonostante i capelli corti e l’aspetto trascurato né lui né gli altri hobbit ebbero difficoltà a riconoscerla.

“Ma tu sei…” mormorò Pipino.

“… la Bianca Signora di Rohan…” terminò per lui Sam.

“Dama Eowyn…” aggiunse Frodo.

“Vi prego miei piccoli amici: il mio nome ora e Dernhelm e sono un cavaliere di Rohan, non la Bianca Dama di Edoras. Non traditemi, ve ne supplico…” disse trai singhiozzi, spostando lo sguardo da un hobbit all’altro, in attesa di una promessa.

Fu Frodo a parlare per primo: “Il tuo segreto è al sicuro con noi.Non parleremo”.

“Vero Pipino?” chiese Sam rivolgendosi con uno sguardo minaccioso all’amico.

“Ehi, ma perché mi guardi così!” protestò l’interessato. “Guarda che so tenerlo un segreto io!!!”

Eowyn prese tra le sue una piccola mano dell’hobbit: “Te ne prego Pipino…” disse con gli occhi ancora carichi di lacrime.

Per un istante l’hobbit perse la sua solita espressione spensierata, per assumerne una più seria e matura: “Te lo prometto… Dernhelm…” disse abbracciandola.

Passato qualche attimo, Eowyn sorrise: “Ora seguitemi…” disse asciugandosi gli occhi e rimettendosi l’elmo, “… ho un’altra sorpresa per voi”.

Li guidò attraverso l’accampamento, fino al luogo appartato in cui era montata una tenda: “Amico mio, vieni fuori: c’è qualcuno che voglio presentarti”.

Da sotto la tenda sbucò il faccino curioso di Merry.

“Merry!” esclamò Pipino, saltellando verso l’amico, felice come un bimbo di fronte ad un banchetto di dolciumi.

La reazione di Merry e degli altri due hobbit non fu meno entusiastica e ben presto Eowyn non riuscì a distinguere, nel groviglio di baci e abbracci, a quale hobbit appartenesse questa mano o quel piede.

Sorrise di fronte a quella scena, sentendo il suo cuore alleggerirsi un po’: il dolore e la paura erano ancora lì, ma la genuina e semplice felicità degli hobbit sembravano renderli un po’ più sopportabili.

 

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Per tre notti avevano seminato il panico e la confusione fra le schiere del nemico.

Ormai Mordor non poteva più ignorare la loro presenza e buona parte dello sterminato esercito allestito da Saruman si stava radunando sui Monti Cenere per affrontare in massa, una volta per tutte, il nemico invisibile.

“E’ esattamente ciò che volevamo” constatò Thranduil, cercando di ignorare il gigantesco numero di orchetti ed Uruk-hai che vedeva riversarsi alle pendici dei monti.

“Non è che metà dell’esercito che ha attaccato il Fosso di Helm, segno che anche da ovest la situazione per loro è difficile. Ormai il tempo di giocare a nascondino è finito: domani sarà battaglia aperta” disse Elrond senza tradire la minima emozione.

“Allora è meglio riposare questa notte…” consigliò Celeborn. “Ma prima di farlo promettiamoci una cosa: se qualcuno di noi dovesse morire i sopravvissuti dovranno occuparsi del suo popolo e guidarlo come se fosse il proprio fino alla salvezza della Terre Immortali” concluse, guardando i due amici negli occhi e tendendo verso di loro una mano.

“Lo prometto!” disse Thranduil, poggiando la sua mano su quella di Celeborn.

“Lo prometto!” confermò Elrond, coprendo a sua volta la mano del re di Bosco Atro con la sua.

 

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In lontananza Aragorn vide qualcosa brillare nelle prime luci dell’alba: non poteva ancora vederla, ma in cuor suo sapeva che quel bagliore proveniva dalla Bianca Torre di Ecthelion, che brillava nell’alba proprio come Boromir aveva sempre narrato.

Ancora un giorno e mezzo di navigazione e avrebbero raggiunto la capitale; solo ventiquattro ore lo separavano invece da Osgiliath e Minas Morgul, dove presumibilmente si sarebbe tenuta la battaglia.

Il suo cuore batteva forte all’idea dell’imminente scontro, mentre sentimenti contrastanti si aggrovigliavano nel suo animo: sapeva di essere infine giunto alla resa dei conti e la cosa, nonostante tutto, lo consolava. Le lunghe notti passate a riflettere stavano per terminare, e con esse i dubbi e le incertezze. Presto avrebbe dovuto fare solo ciò per cui era nato: agire.

Insieme al sollievo tuttavia si agitavano la paura e la preoccupazione: paura di fallire, paura di tradire le speranze riposte in lui, paura di vanificare tutti gli sforzi che nell’ultimo anno le persone più care al suo cuore avevano sopportato senza lamentarsi.

E preoccupazione. Preoccupazione per le sorti della Terra di Mezzo e per quelle dei suoi amici, preoccupazione per i piani di Sauron che sembravano riguardarlo da vicino, e preoccupazione per quello che sarebbe potuto accadere dopo…

Aragorn scrollò le spalle: non era quello il momento di pensare ad un futuro che forse non sarebbe mai esistito, né tanto meno quello di farsi prendere dalla paura. Aveva altri e più concreti problemi di cui occuparsi. Si costrinse infatti a concentrarsi su come avrebbe potuto sfruttare al meglio la flotta appena riconquistata e soprattutto l’esercito degli spettri.

Più volte si trovò a chiedersi se avesse fatto bene ad accettare il loro aiuto: orchetti ed Uruk-hai sarebbero senz’altro rimasti terrorizzati da quei soldati incorporei e letali, ma come avrebbero reagito gli uomini di Gondor e quelli di Rohan? Gli abomini di Sauron avevano probabilmente visto cose ben peggiori degli spettri, mentre Aragorn poteva toccare con mano lo sforzo che gli uomini dovevano fare per non fuggire di fronte a loro: lui stesso, ogni volta che il re degli spiriti gli si rivolgeva, doveva reprimere il violento impulso di sottrarsi a quello sguardo fiammeggiante. Avrebbero potuto essere un valoroso aiuto, e solo i Valar sapevano quanto avessero bisogno di ogni aiuto possibile, ma il rischio che fossero più un danno che altro era molto alto, e questo turbava moltissimo il ramingo.

Devo trovare il modo di utilizzarli senza farli venire troppo a contatto con gli uomini…” rifletteva Aragorn alla ricerca di una soluzione.

La soluzione apparve chiara nella mente del ramingo dopo un’ora che non pensava ad altro: mentre gli uomini combattevano per riconquistare Osgiliath, gli spettri avrebbero attaccato direttamente Minas Morgul e i Nazgul che ancora la occupavano.

Ancora una volta Aragorn sentì i brividi corrergli lungo la spina dorsale al solo pensiero della battaglia che si sarebbe tenuta tra gli spettri dell’Anello e quelli dei Sentieri Morti.

I Nazgul erano decisamente più forti, ma non ne restavano ormai che solo due, contro un intero esercito spettrale: probabilmente non sarebbero riusciti ad eliminarli, ma se anche solo avessero potuto scacciarli da Minas Morgul, riconquistando la città di Isildur, sarebbe già stato un fondamentale successo.

Aragorn decise che quella era l’unica soluzione possibile, e quando convocò il re degli spettri per comunicargli il suo piano, questi accettò l’incarico senza replicare.

 

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Il sole sorse sul giorno della battaglia: incredibilmente nessuna nube occupava il cielo attorno a Mordor, rinfrancando il cuore degli uomini e danneggiando gli orchetti che si sarebbero trovati nettamente a disagio in piena luce del giorno.

Gli eserciti di Rohan e Gondor avevano raggiunto durante la notte Osgiliath ed ora si preparavano alla riconquista della città, per poi puntare su Minas Morgul.

Alle loro spalle l’Anduin curvava dolcemente in un’ampia ansa verso occidente, e le rovine di Osgiliath si mostravano in tutta la loro desolazione, brulicanti di creature da incubo. Lo spazio era molto angusto, ma gli uomini erano stati ben addestrati a combattere in ogni situazione di tempo e di spazio: se anche avessero dovuto guerreggiare aggirandosi tra le rovine della città avrebbero saputo come comportarsi.

Eowyn tentava di ricordare tutti gli insegnamenti che aveva “rubato” durante l’addestramento del fratello e del cugino: tutto d’un tratto non si sentiva più sicura di nulla.

Fu Faramir in persona che, vedendo uno dei suoi soldati in difficoltà, si avvicinò per confortarlo: “Non c’è nulla di sbagliato nella tua paura…” disse, “… e non credere nemmeno di essere l’unico a provarla: anche coloro che la mascherano meglio di te la provano comunque nel loro cuore. Devi solo riuscire controllarla, senza farti sopraffare, e allora potrebbe diventare la tua arma segreta, la tua migliore alleata. E’ la prima volta che scendi in battaglia aperta, vero?”

Eowyn annuì, tenendo basso lo sguardo per non incontrare quello del Sovrintendente di Gondor, nel timore che potesse ricordarsi di lei e riconoscerla.

“Se sei diventato un Rohirrim sai di certo il fatto tuo. Sii solo consapevole del fatto che non sarai mai solo e che ci sarà sempre qualcuno pronto a coprirti le spalle” la rincuorò ancora.

Eowyn alzò di scatto la testa e, ormai incurante di tutto, fisso i suoi occhi in quelli di Faramir: “Se sarete voi a coprirmi le spalle non ho nulla da temere, Capitano”

Faramir sussultò di fronte a quegli occhi azzurri e limpidi e dallo sguardo fiero e sincero.

Li riconobbe.

Riconobbe gli occhi che ormai da tempo popolavano i suoi sogni, dandogli un po’ di conforto anche nelle situazioni più critiche.

“Ma non è possibile…” sussurrò. “Non è possibile che voi siate…”

Faramir non fece in tempo a finire di formulare la frase quando il corno di Gondor, e in risposta quello di Rohan, risuonarono nell’aria del mattino: la battaglia finale era cominciata.

 

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Nella prima luce del nuovo giorno Elfi e Nani si schierarono nella Piana di Dagorlad, pronti per la battaglia.

Di fronte a loro, leggermente più numeroso, stava l’esercito di Sauron: gli orchetti davano chiari segni di disagio dovuto alla luce del sole, ma le fruste con cui li minacciavano gli Uruk-hai e la smania di sangue erano dei deterrenti più che convincenti ad impedirne la fuga disordinata.

Ad Elrond parve di essere tornato indietro di un’era e di rivivere un passato già vissuto. Allora al suo fianco c’erano stati Elendil ed Isildur, mentre ora insieme a lui c’era un esercito di Nani, ma a parte questo, tutto sembrava identico ad allora.

“Anche il risultato sarà lo stesso!” disse Celeborn al suo fianco, che aveva facilmente seguito il filo dei pensieri dell’amico.

“Il risultato deve essere lo stesso” si limitò a rispondere il mezzelfo.

“Allora andiamo” disse il re del Bosco d’Oro, alzando in alto la sua spada, pronto a dare il via all’attacco.

L’urlo di guerra dei tre re elfici e del signore della Montagna Solitaria si levò incontrastato nell’aria immobile del mattino: il silenzio che fino a quel momento l’aveva fatta da padrone venne rotto dalla risposta di Elfi e Nani e dal rumore di migliaia di passi che si avventavano alla carica sul nemico.

Nemmeno l’urlo bestiale degli Uruk-hai si fece attendere mentre gli orchi si lanciavano in un’offensiva disordinata e completamente priva di qualsiasi criterio.

La battaglia infuriò per ore, alternando momenti in cui la superiorità numerica degli orchetti sembrava prendere il sopravvento, a quelli in cui la disciplina e l’organizzazione di Elfi e Nani faceva pendere dalla loro parte l’ago della bilancia.

L’impossibile alleanza fra Nani ed Elfi stava reggendo: non era stato semplice, e i momenti di tensione non erano stati pochi in quelle settimane di convivenza che avevano preceduto l’attacco, ma ora erano un unico esercito e più di una volta ci furono Nani che coprirono le spalle agli Elfi ed arcieri Elfi che con le loro frecce coprirono l’avanzata dei Nani.

Gli orchetti e gli Uruk-hai sembravano non finire mai, e più ne venivano uccisi più sembravano riversarsi sul campo di battaglia, ma l’esercito posto a difesa della Terra di Mezzo non era disposto a cedere allo sconforto e si opponeva ad ogni attacco con determinazione e fredda efficacia, mietendo sempre molte più vittime di quante ne subisse, arrivando così a pareggiare il numero delle forze in campo poco dopo mezzogiorno.

Quando dalle montagne cessò l’afflusso di rinforzi Elrond comprese che anche sull’altro fronte era stato sferrato l’attacco decisivo: la battaglia era ben lungi dall’essere vinta, ma il loro piano stava funzionando.

Ora non restava che sperare che anche il gruppo scelto riuscisse a penetrare fino a Barad-dur e ad uccidere almeno Saruman il traditore.

 

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La battaglia infuriava selvaggiamente in qualsiasi direzione si guardasse: lungo le rive dell’Anduin, nella piccola pianura che circondava la città e in ogni singola strada di Osgiliath.

Eowyn non ragionava più: lasciava che il suo corpo fosse guidato dal suo istinto di sopravvivenza e da quello che aveva appreso nei lunghi anni di addestramento segreto e solitario. Si stava battendo lungo la riva del fiume, per impedire che i nemici accerchiassero il loro esercito, stringendolo in una morsa letale. Per un po’ aveva combattuto al fianco di Faramir che, ne era certa, l’aveva riconosciuta: poi però la furia della battaglia l’aveva separata dall’uomo. C’era stato un momento in cui le era parso che la voce del Sovrintendente di Gondor gridasse il suo nome, ma guardandosi intorno non lo aveva visto e così decise che doveva esserselo immaginato.

Poco dopo aveva avvistato il gruppetto dei quattro hobbit che si batteva valorosamente con le loro piccole ma micidiali armi elfiche. Corse verso di loro e giunse giusto in tempo per evitare che una pesante mazza chiodata si abbattesse sulla schiena di Sam, impegnato alla morte a combattere con un orchetto che aveva leggermente ferito Frodo ad un braccio. L’aggressore stramazzò a terra spalancando gli occhi per la sorpresa, ed Eowyn ebbe il suo bel da fare per estrarre le sua spada dal corpo informe dell’orchetto.
Presto il gruppo venne accerchiato da numerosi orchetti e da qualche Uruk-hai.
Gli hobbit incominciarono a combattere come Boromir aveva insegnato loro, mostrando un aspetto inedito della loro razza: da quel giorno in poi le canzoni non parlarono più degli hobbit come di un popolo completamente pacifico, ma come di un popolo che amava la pace e che era pronto a tutto pur di difenderla.
Tuttavia i nemici che li circondavano erano troppi, ed Eowyn cominciò a credere che nulla avrebbe potuto salvarli, quando, improvvisamente, alle sue spalle, sentì suonar nuovamente il corno d Gondor, e prima ancora che potesse voltarsi, una pioggia di frecce si abbatté sui loro nemici.

Quando Eowyn si voltò restò senza fiato per la sorpresa: un’intera flotta avanzava sull’Anduin, con il Bianco Albero disegnato sulle vele spiegate. E dritto sul ponte della nave ammiraglia, intento a scagliare frecce con una precisione e una velocità degne di un elfo, c’era Aragorn. Mentre la sua armatura brillava nel sole del primo pomeriggio, Eowyn lo vide per la prima volta veramente come l’erede di Isildur, come il re di Gondor, e il suo cuore, già traboccante, si riempì ancora di più di ammirazione, orgoglio ed amore.

 

NOTE: Chiedo scusa per il ritardo, ma sono riuscita nella titanica impresa di prendermi un raffreddore colossale e febbre per una settimana quando fuori fa circa 35 gradi... sono un fenomeno...
          Ma ora è tutto ok e, come rischiesto, eccomi di ritorno con un capitolo con un po' d'azione dopo la voluta "pausa" di quello precedente (la quiete PRIMA della tempesta XD ): spero di non avervi deluso.
          Alla prossima!

  
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