Capitolo 5
Negli anni
passati non avevo mai creduto nell’amore.
Non mi era
mai capitato nulla del genere; innamorarmi di un perfetto sconosciuto dopo
pochissimi secondi.
Fu dura
accettare per due ore intere le loro smancerie ed evitare di pensare a cosa
avessi realizzato qualche minuto prima.
Mi ero innamorata di quel bastardo che si
dava da fare con mia madre.
Così, armata
di buona pazienza arrivai al termine della cena senza morire davanti ai loro
bacetti. E soprattutto senza tentare il suicidio, con la forchetta, udendo le
loro paroline d’amore.
Che cosa
avevo fatto di male? Che cosa… per meritarmi tutto quello?
Probabilmente
ero stata ripagata per l’odio che da anni covavo, verso la mia genitrice.
“Cherry,
cherry, io non so che fare!” da una mezzoretta buona mi dimenavo nel piccolo
salotto del mio appartamento. Cherry mi guardava stralunata, non riusciva a
comprendere perché di punto in bianco ero scoppiata in una crisi isterica,
fatta di urli e lamenti vari.
“Ma Rebecca
se non mi dici cosa diamine hai, come faccio ad aiutarti?”
Come potevo
confessarle una cosa del genere.
Non era
stato facile ammettere a me stessa di essere innamorata del fidanzato di mia
madre.
Figuriamoci dirlo a qualcun’ altro.
Che cosa poteva
pensare di me?
“La
situazione è questa : Mi sono innamorata di un perfetto sconosciuto, quello di
cui ti ho accennato l’altro volta, ma lui è impegnato. Te lo detto no?”
nervosamente accesi una sigaretta, piantando i piedi sul pavimento.
Stentavo a
riconoscermi. Stentavo a credere che quella persona mentalmente instabile per
un ragazzo, fossi io.
“Oh… è un
guaio” soffiò sgranando gli occhi.
“Vedi! E’ un
grosso guaio! Non posso fare questo torto a questa mia amica. Non posso!non
posso!” mi lagnai con i lacrimoni agli occhi.
Sfioravo i
limiti del patetico ma che potevo farci io? Era l’amore a farmi reagire in
questa maniera.
Forse,
probabilmente, non lo sapevo! Non ero mai stata innamorata di nessuno prima di
allora!
Diamine non
ero più la stessa Rebecca di qualche settimana prima.
Rivolevo la
mia sicurezza, rivolevo il mio cuore libero da tutto…un cuore Single, ok?
Merda. Oltre
ad essere assurda avevo pensieri assurdi!
“Ma dai… evita di incontrarlo, di pensarci e
vedrai che sarà fatta”
Facile per lei.
Evitarlo era
impossibile, se non immaginabile. Mia madre era, volente o non volente, un
pezzo della mia vita.
Lei ci
sarebbe stata sempre nella mia quotidianità...
“E’
impossibile, lavora al bar con me” un’altra piccola bugia a fin di bene.
“Uhm…- mise
una mano sotto al mento- allora sei fottuta. Cambia orientamento sessuale”
“Cherry!”
strillai scandalizzata. La sigaretta era finita da un pezzo e il mio cervello
non si era per niente rilassato.
Maledetta
nicotina.
“Dai
scherzavo! – ridacchiò – non so che dirti, non sono mai inceppata in queste
situazioni. Non me la sento di darti nessun tipo di consiglio”
Perfetto
anche lei non era d’aiuto.
“Ok”
sbuffai, dirigendomi in camera mia.
La mia vita
era ufficialmente a pezzi per un’ affascinante dentista da quattro soldi.
**
Passare la
notte in bianco sapendo che il turno l’indomani al bar era di mattina, non era
proprio da persone normali. Dire che stavo di merda non era un’ esagerazione. Stavo di merda, anzi che dico, peggio, peggio
della merda che poteva esserci? Immaginatelo e capirete come ero io quando mi
alzai dal letto tutta intontita.
Presi la
metropolitana appena in tempo. Ero così assonnata che i miei sensi tramortiti
dalla stanchezza viaggiarono per cavoli loro, fino all’ arrivo al bar.
Svogliatamente,
indossai il grembiule nero. Sbadigliai circa ventidue volte prima di prendere
pieno possesso delle mie facoltà. Dopo tre caffè, dei quali due senza zucchero,
potevo definirmi parzialmente lucida. Ero entrata nella fase rincoglimento,
fase decisamente migliore di quella di merda.
Certo
servire la maggior parte delle persone ammassate al bancone, affamati e
assettati, era come sottoporsi ad intervento senza anestesia. Nella mia testa
rimbombavano le loro voci cariche di fretta e odio. La maggior parte dell’odio
era diretto, ovviamente, a me, visto che ad ogni ordine impiegavo il 0,5% della
mia voglia, inferiore a quella di un’ orso in letargo.
La gente
sbraitava, come se fossimo in un’arena, e più lo faceva e più tutto intorno a
me diventava confuso.
Clienti
dispettosi e arroganti, ecco perché detestavo al 80% il mio lavoro.
“Rebecca.
Dove hai la testa? Quella vecchietta aspetta il cappuccino da dieci minuti
buoni!” mi rimbeccò Manuel, il mio collega, nonché rompiballe, di lavoro.
“Ecco, un’
attimo!” risposi piccata. Rapidamente mi diressi alla macchinetta, macinando il
caffè e preparando la schiuma con il latte.
Che rottura di marroni… tutti a me
oggi.
Preparare un
cappuccino non mi era mai sembrato così faticoso. Il cucchiaino tra le mie mani
pesava come una pala da campo. Lo zucchero, dall’odore nauseabondo, come delle feci essiccate al
sole.
La mia
fantasia stava viaggiando talmente tanto che non mi ero accorta che, come un’
automa mi stavo dirigendo verso la vecchietta dalla faccia rugosa. Fu un’
impresa astronomica tenere in mano quel bicchiere, senza pensar per un’ attimo
che fosse un secchio pieno di letame.
Poi,
all’improvviso accade l’immaginabile…Ricordo soltanto di essere inciampata su
qualcosa di maledettamente duro, e poi il buio a farmi compagnia.
Prima di
chiudere gli occhi un pensiero mi colpii in pieno, mandandomi nella
disperazione più pura.
La mia nuova
camicetta era stata rovinata da quel cazzo di cappuccio. Che palle!
**
Sentii qualcosa
di umido e freddo sulla mia fronte, mugolai parole scoordinate e senza senso,
prima di riaprire gli occhi e trovarmi la faccia di Manuel, che con i suoi occhietti
grigi mi guardava preoccupato.
“Ei… ti sei
ripresa?”
Sbattei le
palpebre un paio di volte, prima di mettere a fuoco dove stessi e soprattutto capire
in che posizione ero messa!
Le mie gambe
erano sollevate, appoggiate a qualcosa di morbido somigliante ad un cuscino.
Poi inclinai la testa per capire dove fossi. Mi trovavo nell’ufficio del grande
capo.
Grande capo che non si faceva vedere
mai e che a malapena metteva piede a lavoro.
“Si…che è
successo?” strascicai come un ubriacona.
“Sei
svenuta… hai avuto un calo di pressione”
Sospirai
lasciando andare il capo sul bracciolo di pelle.
Oh, ci
mancava soltanto quello e potevo dire di aver fatto tredici.
“Ho
dimenticato di fare colazione, ho bevuto soltanto 3 caffè” risposi, abbassando
le palpebre e lasciando scorrere il panno umido sul mio collo. Finalmente un po’
di sollievo, stavo andando a fuoco.
“Non è che
hai la febbre?” mi domandò Manuel accigliandosi e sporgendosi verso la
scrivania del grande capo.
Si sedette
sopra, accavallando una gamba.
“Ma che ne
so… mica sono un medico io” risposi lievemente infastidita.
Che domande mi fa?
“Non è che
invece sei nella tua fase pre-ciclo?” mi chiese.
Sospirai
pesantemente, pregando in tutte le lingue del mondo che non continuasse a pormi
domande del genere.
“Non credo,
forse quella pre-ovulazione” dissi ironica, ma capì la battuta.
“Esiste
anche quella? Oh ma voi donne quanto siete complicate?”
“E voi
uomini quanto siete stupidi?”
“Se noi
siamo stupidi, voi siete delle vipere!”
“Sei noi
siamo delle vipere, voi siete degli avvoltoi!”
Potevamo
continuare all’infinito con questo stupidate, ma per fortuna qualcuno bussò
alla porta.
“Avanti”
rispose Manuel senza spostare il suo culo dalla scrivania.
Non osavo
immaginare cosa gli avrebbe fatto il grande capo, se lo avesse beccato col culo
sul suo preziosissimo legno pregiato.
“Volete
tornar di là? C’è un mucchio di gente!”
Queste erano
le lamentele di Valerì unica presenza femminile, dopo di me, in quella banda di
pazzi.
“Arriviamo!”
disse Manuel, saltellando giù dalla scrivania.
**
Dopo lo
svenimento, avvenuto dietro al bancone del bar, andai in giro con un bel taglio
da tre centimetri sulla fronte. Ero inciampata sul filo della macchinetta delle
granite, prendendo direttamente in faccia il pavimento.
All’inizio il
dolore era quasi inesistente, probabilmente dovuto allo shock iniziale.
Mi accorsi dell’enorme taglio quando andai in
bagno, per darmi una rinfrescata. Menomale mancava poco alle fine del mio turno
e quando varcai la porta del bar gioii con le lacrime agli occhi.
Una volta in
strada, l’incessante suono della suoneria del mio cellulare aumentò il mio mal
di testa. Lo presi e leggendo il nome sul display fui tentata di non
rispondere.
mmm… fatti coraggio.
“Mamma” mi
lasciai scappare un bello sbuffo.
“Tesoro? Che
vocetta.. che hai fatto?” la sua vocetta,
a differenza della mia, era sempre squillante alla pari di un megafono.
“Niente…comunque
che c’è?”
“Ti volevo
invitare a cena stasera. Ho chiamato a casa, mi ha risposto Cherry e mi ha
detto che avevi il turno di mattina, quindi se per te va bene, direi verso le
otto … ok?”
La solita, programma e fa tutto da
sola. Che bellezza.
“No! Cioè..
forse mi vedo con un’ amica … ti faccio sape-..”
Stavo per
concludere la mia banalissima scusa quando davanti a me apparse l’ultima
persone che volevo vedere in quel momento.
Owen.
Era vestito
in modo differente, da come ero stata abituata a vederlo. Indossava un completo
elegante, corredato dalla sua ventiquattrore nera, da lavoro. Mi sorrise
accigliandosi quando il suo sguardo si posò sulla mia fronte, degna di un
lottatore di lotta libera.
“Mamma.. ti…
richi-amo ok?” attaccai senza attendere oltre.
La mia bocca
si era spalancata automaticamente e non accennava a chiudersi.
La mia
espressione da pesce lesso era uno spettacolo orripilante.
Più si
avvicinava e più mi gustavo il suo corpo muscoloso e tonico.
Immagini di
lui nudo attorcigliato al corpo della mia genitrice
mi fecero arrossire fino all’inverosimile.
Già è dura
per una figlia immaginare i propri genitori fare sesso, figuriamoci la propria madre
farlo con l’uomo di cui si è perdutamente innamorate. Al sol pensiero il cuore
mi andava in gola. Stupida Rebecca.
La rabbia mi
assalii, pensando alla fortuna sfacciata che aveva lei, ed io no.
“Rebecca?”
la sua voce, calda e penetrante, mi fece tremare. Lo guardai estasiata, prima
di rimproverarmi mentalmente e tornare in me.
“Owen” fu un
sussurro sottilissimo a fuoriuscire dalla mia bocca.
Fui in
impaurita da tutte quelle emozioni che mi colpirono, stordendomi.
“Stai bene? Sei
diventata tutta rossa” constatò, facendomi arrossire ancora di più. Ecco una cosa che non doveva dire!
“Si…si…
stavo tornando a casa. Io vado eh”
Dileguarmi da
là era il miglior modo di dirgli addio, iniziando a dimenticarlo. Dopo la festa
avrei smesso di frequentare mia madre, al costo di andare a vivere al culo al
mondo, avrei smesso di rivederla pur di non rivedere lui.
“Aspetta”
Mi bloccai,
lasciandogli lo spettacolo della mia schiena.
Aspetta? Aspettare cosa… io non potrò
mai averti… lasciami andare.
“Vuoi venire
a bere qualcosa? Dopo mi devo vedere con Melinda, ma vorrei poter chiacchierare
con te un po’, mi servirebbe un consiglio e visto che sei a portata di mano..
che ne dici?” il suo discorso fu detto così rapidamente che capii la metà delle
parole.
Chiusi gli
occhi, conscia che non mi potesse vedere, e malincuore mi voltai. Accennai un
sorriso e senza attendere oltre ci dirigemmo assieme in un piccolo bar, dietro
l’angolo.
Che grande cazzata sto facendo. Fu un pensiero che mi accompagnò
durante il tragitto.
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Eccomi ^^ sono in anticipo lo ammetto… xD
Wow… 4 commenti sono felicissima ^^ sono contenta che la
storia comincia a piacervi.
Riguardo al capitolo ancora non siamo entrati nel vivo
della storia, ma ci arriveremo molto presto. Ci saranno sviluppi abbastanza
movimentati xD
Alla prossima!