SHE IS
Capitolo
5: Tentazione
That’s how much I love you
(yeah)
That’s how much I need you (yeah, yeah, yeah)
And I can’t stand ya
Must everything you do
make me wanna smile
Can I not like you for awhile? No.
That’s how much I need you (yeah, yeah, yeah)
And I can’t stand ya
Must everything you do
make me wanna smile
Can I not like you for awhile? No.
Hate that I love
you – Rihanna ft. Ne-Yo
Non
che ci fosse qualcosa di propriamente sbagliato
in quello che era successo la sera prima, solo che ancora non riusciva
a
capacitarsene.
Anche
perché, diciamocelo, non era poi così normale
che una persona entrasse in casa sua, litigasse con lei e alla fine la
baciasse. Ancora meno normale era il fatto che poi lei
rispondesse a quel bacio, arrivando a desiderare con tutta se
stessa di poter avere persino qualche cosa in più da lui.
Pazza.
Si,
per forza. Sana doveva essere sicuramente impazzita.
-Dannato
Akito – sbuffò, in una nuvola di fumo che si dissipò nell’aria della
sua
stanza.
Sana
stava fumando.
In
un universo parallelo forse, ma forse,
la cosa sarebbe anche potuta sembrare normale, ma non in
quell’universo, non su
quel pianeta – come si chiamava? Terra
– dove lei disgraziatamente viveva.
Sana
non fumava. Lei odiava il fumo.
Il
fatto che ora stringesse una sigaretta tra le dita, lasciava giusto
intendere
la gravità della situazione.
-Ma
che cavolo gli è preso? –
Un’altra
fitta pioggia di cenere andò ad intaccare il soffice tappeto ai piedi
del suo
letto. Se solo Fuka avesse visto quel disastro, quella macchia
sull’immacolata
superficie di quel tessuto così delicato... L’avrebbe
strozzata, non c’erano dubbi.
-Non
può entrare in casa mia e baciarmi e poi andarsene come se nulla fosse
– Sana
scattò in piedi e tirò un forte calcio alla parete – Non può –
Ecco,
in quei momenti la ragazza cominciava a dubitare da sola della propria
sanità
mentale. Siccome lei, come precedentemente detto, non era una fumatrice
incallita, non aveva nemmeno un posacenere nella sua stanza. Ragion per
cui
decise di spegnere la sigaretta – consumata nemmeno a metà – sul suo
comodino.
Accantonò il pensiero che sarebbe rimasta la bruciatura per sempre,
catalogandolo come inutile dettaglio.
Un’occhiata
alla scrivania ricolma di libri riaccese il senso di colpa che aveva
cercato di
soffocare dentro di sé: doveva studiare, dannazione, non aveva tempo da
perdere
dietro quello squinternato di Akito. Aveva una tesi da dare, una laurea
da
prendere, un lavoro da portare avanti, una vita sentimentale da
sistemare e,
possibilmente, una vita sociale da mantenere.
“Ad una persona non può bastare una sola vita
per fare tutto questo” si disse tra sé, ma alla fine il senso di
responsabilità prevalse e si andò ad accomodare alla sua scrivania.
Sana
era decisamente cambiata negli ultimi anni e, c’era da riconoscerlo, il
merito
non era di nessun altro se non di Naozumi. Era con lui che la ragazza
era
maturata tantissimo, aprendo gli occhi su quel mondo adulto che per
così tanto
tempo si era rifiutata di capire.
A
differenza di quando aveva tredici anni – seppur mantenendo le sue
principali
caratteristiche, quali il disordine, l’essere perennemente in ritardo e
la
totale negazione per qualunque cosa implicasse la matematica – era
diventata
più affidabile, ragion per cui i suoi amici riuscivano ad affidarle
qualche
commissione senza il terrore che lei se ne dimenticasse o combinasse
qualche
pasticcio.
Ovviamente
l’unica cosa che, quasi gelosamente, la trascinava indietro, verso quel
passato
così incredibilmente genuino e sereno, era il ricordo di Akito.
Era
inutile, per quanto si sforzasse, lei da lui non riusciva a stare
lontana. Non
che non ci avesse provato, anche perché i due anni passati al fianco di
Naozumi
non erano mica stati noccioline, no? Semplicemente, per una ragione o
per
l’altra, quel ragazzo dagli occhi d’ambra e i capelli d’oro la stregava
e
incatenava a sé in una stretta mortale.
“Non riuscirò mai a liberarmi di lui. Tanto
vale ammetterlo e vivere con la consapevolezza che io...”
Sana
si bloccò. Stava scribacchiando una bozza della sua tesi e aveva appena
cominciato. Si, dal titolo.
Tralasciando il proverbio che dice “Chi
ben comincia è a metà dell’opera” – che Sana reputò un altro
dettaglio e
che testimoniava quanto la ragazza fosse in realtà nei pasticci più
neri – Sana
si concesse il lusso di pensare a come avrebbe potuto terminare la
frase.
Che io...
Che io
gli voglia
bene.
Beh, si infondo sono cresciuta insieme ad
Akito, l’ho persino aiutato a risolvere i suoi problemi con la sua
famiglia,
non volergli bene mi sembra un po’ difficile. E poi ne abbiamo passate
così
tante insieme.
Sospirò
di rassegnazione.
Che io
lo stimi. Dopotutto è una grande persona. Sempre così
determinato e deciso su quello che vuole, sa sempre come raggiungere i
suoi
obbiettivi. Quanto mi piacerebbe essere come lui.
Ne
seguì un altro sospirò e poi il fiato le si fermò in gola.
Che
io... Lo ami?
Sana
scoppiò a ridere nella sua testa “E
perché mai dovresti amarlo? Solo perché quando è al tuo fianco vorresti
abbracciarlo, o perché quando te lo ritrovi a pochi centimetri dal viso
hai
l’irrefrenabile impulso di baciarlo? O perché se vieni a sapere che
tizia vuole
chiedergli di uscire hai il primordiale istinto di andare li e
spaccarle la
faccia? O più semplicemente perché è capitato un sacco di volte che
mentre
facevi l’amore con Naozumi pensassi ad Akito?”
Ecco,
Sana decisamente detestava il diavoletto dei suoi pensieri. E visto che
in quei
particolari momenti in cui la sua coscienza decideva di aprirle con sua
immensa
gioia tutto il suo cuore, l’angioletto se ne stava zitto, Sana decise
di
detestare pure lui, per l’omertà che continuava a dimostrare.
-Al
diavolo. Sana, devi studiare – di ripeté ad alta voce. Chissà, forse
udire la
sua stessa voce che le impartiva il suddetto ordine, poteva servire a
riportarla sulla Terra.
Si
insomma, la Terra, il pianeta di cui sopra.
-Sana,
riprenditi stai delirando –
Stavolta
la voce non era la sua, piuttosto quella della sua coinquilina che,
molto
probabilmente, aveva assistito all’interessantissimo colloquio che Sana
aveva
avuto con se stessa.
Fuka
rideva – Sei forse ammattita, Sana? –
Quella
abbozzò – Può darsi, ormai mi sembra che ci sia davvero poco di normale
nella
mia vita –
La
sua amica le si avvicinò, tra le mani una tazza di the fumante – Non ti
crucciare. Vedrai che tutto si sistemerà. Stai studiando per la tesi? –
Sana
annuì – Si. A dire la verità dovrei trovare le forze per poterla
scrivere,
visto che sono ancora in alto mare e che tra solo una settimana ho
l’esame –
Fuka
la guardò con tenerezza. Lo stesso sguardo che una madre riserverebbe
alla
propria figlia pasticciona – Non ti preoccupare. Vedrai che andrà bene.
Adesso
non ti distrarre e studia –
Veleggiò
come un fantasma fino alla porta della stanza di Sana, lanciando una
fugace
occhiata di disgusto alla cenere depositata sul tappeto. Notò anche la
bruciatura sul legno del comodino, ma decise di ignorarla.
-
Fuka – la richiamò Sana prima che quella uscisse – Va tutto bene? –
Fuka
era sempre stata un tipino abbastanza taciturno e misterioso. Esprimeva
il suo
punto di vista solo se interpellata e difficilmente si sbilanciava in
pronostici sensazionali su come sarebbe andata a finire una storia. Ma
in
quell’ultimo periodo Sana, grazia a tutto il suo intuito femminile ed
in
quantificabile acume, aveva colto qualche differenza nel comportamento
dell’amica. Differenze che erano strane persino per lei, per Fuka.
Quest’ultima
le sorrise, grata – Si Sana, non ti preoccupare. Quando avrai dato la
tesi
dovrei parlarti di... Di una cosa –
Sana
giocherellò con la biro che teneva in mano –E’ qualcosa di grave? Mi
stai
facendo preoccupare – ammise con una risatina che doveva servire a
nascondere quella
lieve nota di ansia che la tormentava.
Fuka
rise, ancora, un felice scintillio nei suoi occhi castani – Certo! Non
ti
preoccupare, è una bella notizia, niente di grave Sana. Ora ti lascio
studiare
–
Detto
questo si richiuse la porta alle spalle e Sana si diede una portentosa
spinta
sulla sedia girevole, in modo da tornare faccia a faccia con il
peggiore dei
nemici: i libri.
-A
noi – disse, dichiarando definitivamente guerra all’avversario.
Ma
prima di dedicarsi seriamente a quella stramba attività, il suo
pensiero non
poté fare a meno di volare verso un paio
di occhi ambrati che la sera prima avevano violato il suo sguardo in
cerca di
qualcosa.
Stracci
di un
sentimento sepolti sotto tonnellate di terra umida e sporca che non era
però
stata in grado di intaccarne l’autenticità.
Sana
mordicchiò il tappo della penna e si lasciò sprofondare nella sua
poltroncina “D’accordo” ammise, sconfitta, alla sua
coscienza bi-personale “Te lo concedo :
potrei, forse, con un po’ di immaginazione, essere ancora innamorata di
Akito
Hayama”.
Scrisse
giusto due righe della sua bozza e poi si interruppe di nuovo. Niente,
quel
dannato pizzicorio all’altezza della tempia proprio non voleva saperne
di
andarsene.
-E
va bene – sbottò, più seccata che mai – Va bene, lo sono. Sono
innamorata di Akito Hayama, ora mi lasciate studiare in santa
pace? –
“Certo!”
-Grazie!
–
E
meno male che quello che frequentava uno psicologo e che era – a detta
di Sana
– da internare era Tsuyoshi.
Lei
parlava addirittura da sola.
*
Era
così bello godersi la pace mattutina di casa sua. Fuori dalla finestra
alcuni
uccellini gli diedero il buongiorno intonando melodie deliziose, mentre
il sole
birichino si insinuava tra la tenda della sua finestra e faceva
risplendere
quei fili d’oro che gli ricadevano sbarazzini sulla fronte.
Un’atmosfera
di serenità palpabile aleggiava nella sua stanza e Akito, più rilassato
che
mai, si rotolò nel suo letto – aggrovigliandosi il lenzuolo intorno
alle gambe
– mugugnando qualcosa e facendo le fusa come un micio bisognoso di
coccole.
Poteva
sentire un tintinnio di piatti e bicchieri provenire dalla cucina:
Natsumi
stava sicuramente preparando la colazione.
“Che
brava donna di
casa”
rise tra sé.
Se
mai sua sorella si fosse sposata e fosse andata a vivere con il marito,
sarebbero stati problemi – per non dire altro – amari. Chi avrebbe mai
potuto
cucinare? Suo padre forse? L’uomo che bruciava qualunque cosa mettesse
nel
forno, non capendo che sarebbe semplicemente bastato abbassare la
temperatura
invece di far abbrustolire tutto?
Akito
scosse la testa.
Il
suono della sveglia lo fece sobbalzare nel letto.
“Dannato
aggeggio,
cos’hai da strillare in questo modo sguaiato?”
Ne
fu talmente infastidito che, Akito, afferrò l’oggetto e lo scaraventò
contro la
parete. Sentì il rumore di passi pesanti che salivano le scale e si
preparò
mentalmente ad una sfuriata di sua sorella.
-
Akito! Akito, dannato idiota! –
“Buongiorno
anche a
te sorellina!”
-Ti
pare normale che tu debba distruggere ogni giorno una sveglia? Alzati,
veloce!
–
Nonostante
il dolore per la perdita della mamma in tenera età si fosse ormai
completamente
chetato, Akito a volte rimpiangeva di non poterla avere in casa. Chissà
quante
menate di Natsumi si sarebbe risparmiato se ci fosse stata. Forse.
-Ero
già sveglio. Non c’era bisogno di fare quest’entrata trionfale in
camera mia –
sbottò Akito, stiracchiandosi e alzandosi dal letto.
Avrebbe
voluto aggiungere un bel “Stupida oca”
all’indirizzo di sua sorella, ma l’espressione arrabbiata di questa lo
scoraggiò a proseguire oltre.
Natsumi
sospirò – Che hai da fare oggi? –
-Dovrei
terminare la mia tesi per la laurea, perché? –
La
sorella mise le mani sui fianchi e scosse la testa – Che guaio! Avevo
bisogno
di qualcuno che mi accompagnasse in centro a comprare un paio di cose –
Akito
inarcò un sopracciglio: quando mai sua sorella intendeva andare da
qualche
parte in sua compagnia? Era forse impazzita? Ma che
cos’avevano tutti in quel periodo?
-Non
puoi andarci da sola? –
Natsumi
parve riprendersi dalla catalessi in cui era caduta – Certo! Chiamo la
mia
amica e ci vado con lei. Tu studia, lazzarone! –
-Certo,
certo –
Natsumi
si sbatté la porta della sua stanza alle spalle, lasciando Akito da
solo.
Nervoso.
Preparò
sulla scrivania il suo PC e i libri che gli servivano per lavorare, poi
decise
di dirigersi in cucina per fare colazione: obbiettivamente con lo
stomaco pieno
riusciva a ragionare meglio.
Fu
mentre passava di fianco alla parete accanto al suo letto che tornò a
bussargli
quel vecchio ricordo. Lui e Sana che una sera di quattro anni prima si
baciavano, proprio in quel punto, e finivano poi per fare l’amore sul
suo
letto.
Pensò
a come fosse irrimediabilmente cambiata la sua vita da quel momento ed
una nota
di malinconia tornò a colpirlo, con precisione calibrata, al centro del
petto.
-Al
diavolo, devo andare a mangiare – si rimproverò.
Evidentemente
Sana non era l’unica squilibrata che parlava da sola.
Se
non altro la colazione era buona. Tra i mille difetti di Natsumi – e ne
aveva
davvero tantissimi, pensò Akito – non c’era di certo quello di non
preparargli
mai nulla di buono da mangiare. Anzi, di solito proprio sua sorella era
sempre
in grado di stuzzicargli l’appetito con qualunque cosa.
Quella
mattina gli aveva lasciato del sushi appena comprato sul tavolo. E poco
importa
che una colazione fatta con il pesce possa suonare non molto normale,
ad Akito
piaceva così.
Rimettersi
a studiare, fu persino più facile del previsto.
Ma
mentre le sue dita abili scorrevano sulla tastiera alla ricerca delle
lettere
giuste da pigiare, si rese conto di desiderare tantissimo poter vedere
Sana. In quel momento.
Era
quasi mezzogiorno, probabilmente lei doveva andare a lavorare nel
pomeriggio,
ma lui aveva un’assoluta voglia di vederla. Il bacio della sera prima
aveva
riacceso qualcosa assopito da troppo tempo. La
fiamma bruciante che serviva soltanto a mantenerlo vivo.
Accantonò
momentaneamente il suo lavoro e provò a telefonarle.
Come
in tutti i film degni di nota – perché si, Akito cominciava a
sospettare di
vivere in un film – nessuno gli rispose al telefono, e si ritrovò
ancora una
volta a discutere con quella stupida voce registrata della segreteria
telefonica.
Tornò
al suo lavoro.
“Dai
Akito,
dannazione, lavora!”
si disse tra sé riprendendo a scrivere sul suo documento “Il
professore ti ha dato le dritte giuste per poter ultimare questa
maledetta tesi. Sei pure troppo in ritardo, tra una settimana hai
l’esame.
Muoviti!”.
Ad
ogni punto, ogni virgola che digitava su quella tastiera, il ricordo di
quel
dispettoso folletto dai capelli rossi tornava a tormentarlo.
Se
solo la sera prima non fosse riuscito a fermarsi. Dio solo sa dove si
sarebbe
trovato in quel momento, altro che a casa a studiare, probabilmente
starebbe
ancora nel letto di Sana a fare l’amore.
Quanto
l’aveva desiderata, il dolore nelle viscere era ancora intenso come la
sera
prima.
“Sana, ho voglia di vederti” disse ancora
tra sé.
And I hate how much I love you girl
I can’t stand how much I need you
And I hate how much I love you girl
But I just can’t let you go
And I hate that I love you so
I can’t stand how much I need you
And I hate how much I love you girl
But I just can’t let you go
And I hate that I love you so
Hate that I
love you – Rihanna ft. Ne-Yo
Ormai,
come facile intuire, cercare di studiare per Akito era pressoché
inutile.
Afferrò di nuovo il telefono di casa e compose un altro numero di
telefono.
-Pronto?
– rispose una voce squillante.
Almeno
questa gli era andata bene.
-Ciao
Fuka –
Un
momento di silenzio dall’altra parte del telefono.
-Sono
Akito –
*
Sana
si stiracchiò sulla sua sedia. Dopo qualcosa come cinque ore di lavoro,
poteva
finalmente dirsi soddisfatta. Era riuscita a lavorare, lasciando fuori
lo
spettro di Akito dai suoi pensieri.
-Non
c’è proprio nulla da dire, ho fatto davvero un ottimo lavoro – si
complimentò
con se stessa, alzandosi in piedi – Ora mi rilasso un po’ prima di
dover andare
a lavorare –
Il
suono del cellulare di Fuka la raggiunse e poté sentire la sua amica
che
rispondeva al telefono. Si era presa un altro giorno di malattia, per quel giorno.
Diceva
che tutta quella storia di lei e Akito la stava facendo ammalare. E
Sana
rideva.
Percorse
il corridoio quasi con aria strasognante, troppo felice di aver
concluso il
grosso del lavoro per poter pensare a qualsiasi altra cosa. Arrivata in
salotto
si lasciò cadere sul divano.
-Sana?
– la chiamò Fuka, trotterellando verso di lei per raggiungerla – E’ per
te –
Sana
apparve evidentemente stranita : chi mai poteva telefonare sul
cellulare di
Fuka per parlare con lei?
La
ragazza afferrò il telefono –Pronto? –
Quando
riconobbe la voce del suo interlocutore quasi le si fermò l’aria in
gola. Fuka
rimase ad osservarla impaziente.
-Pronto Sana, sono Akito. Ho provato a
telefonare sul tuo cellulare ma rispondeva la segreteria –
Sana
sussultò – Ah si. Era scarico – disse soltanto.
-Ti
disturbo? Stavi
studiando? –
-
No ho appena finito –
-Ah.
Senti...-
Quello
che Sana poteva sentire distintamente era il palpitare del suo cuore
nel suo
petto, come un pazzo. Che cosa voleva Akito? Perché l’aveva cercata
quella
mattina?
-Senti...
Volevo
chiederti se ti va di vederci questa sera –
Sana
rispose subito –Questo pomeriggio devo lavorare –
Si
morse la lingua pochi istanti dopo. Sentì Akito ridere ironicamente
aldilà del
telefono.
-Ho
detto stasera,
Kurata. Sei diventata sorda? –
“No,
semplicemente
quando parlo con te non riesco a compiere un ragionamento sensato”.
Sana
rise, nervosamente – No, ci sento. Beh... Allora credo che accetterò –
-Davvero?
–
-Certo
Hayama, non ti prendo in giro su queste cose. Dove andiamo? – gli
domandò,
cercando di ignorare Fuka che le volteggiava intorno come un avvoltoio
pronta a
papparsi i suoi resti e a strapparle via tutte le informazioni che
possedeva.
-Non lo
so,
improvvisiamo? –
-Va
bene – acconsentì lei, la sfumatura di un sorriso nella sua voce
tremolante.
-Ora? –
-Io
stacco alle sette dal lavoro. Vieni a prendermi lì? –
-Va bene
–
Un
breve attimo di silenzio seguì quest’ultima frase. Un imbarazzo
palpabile cadde
tra di loro, sebbene diversi chilometri li separassero. Sana strinse un
pugno
nervosamente, conficcando le unghie nella carne della sua mano, in
attesa che
lui dicesse qualcosa.
Akito
rispolverò il lato timido della sua personalità, quello che lo rendeva
incapace
di pronunciare parola proprio in quei momenti in cui in cui ce ne
sarebbe stato
più bisogno.
-Beh,
Kurata, allora
io...-
-Aspetta
Akito! –
Il
ragazzo attese che lei dicesse qualcosa.
-Volevo
dirti... Perché? Perché mi hai cercata proprio questa mattina? –
Quello
sembrò pensare un attimo alla migliore risposta da darle e poi disse,
semplicemente – Beh, perché avevo voglia
di vederti, Kurata –
Usò
un tono di voce così ragionevole che Sana si ritrovò ad annuire tra sé.
-D’accordo
Akito. Allora a stasera? –
-A
stasera –
-Sii
puntuale –
-Lo stai
dicendo
alla persona sbagliata –
-Simpatico.
Ciao –
-Ciao
Kurata! –
Quando
Sana riattaccò un lampo le attraversò la testa.
-
Fuka, devi assolutamente aiutarmi a trovare qualcosa da mettere per
stasera. Mi
ha invitata ad uscire –
L’amica,
neanche a dirlo, si accese una sigaretta. Non era propriamente nervosa,
sapeva
solo perfettamente che quando Sana e Akito cominciavano a frequentarsi,
nell’aria si prospettassero guai seri.
-E’
un appuntamento serio? –
Sana
fece spallucce – Non lo so, ha detto che voleva vedermi –
Fuka
scattò in piedi e cominciò a saltellare da tutte le parti, lanciando la
sua
sigaretta appena accesa chissà dove –Davvero? È fantastico –
Dire
che era fuori di sé dalla gioia era un mero eufemismo. Sana sperò che
la casa
non andasse a fuoco.
Fuka
afferrò Sana per un braccio e cominciò a trascinarla come un mulo
recalcitrante
verso la sua stanza – Adesso ti scelgo io qualcosa da mettere. Devi
essere
sexy, ma anche lasciarti desiderare. Così lo farai impazzire –
Il
tono di voce che utilizzò spaventò Sana in maniera eccessiva.
Chissà
perché, ma qualcosa le diceva che Fuka non l’avrebbe lasciata uscire
tanto
facilmente dalla sua stanza, quel giorno.
*
Il
cielo di quel giorno era di un azzurro così terso da rendere difficile
addirittura poterlo osservare. Accecante,
ecco l’aggettivo che Sana trovò per descriverlo. Nemmeno una nuvola ne
intaccava quella limpida perfezione e Sana si soffermò a godersi la
sensazione
di quel fresco venticello che cominciò a lambirle la pelle delicata del
viso.
L’aria sapeva ancora un po’ di estate ma trasportava con sé i primi
odori
dell’autunno già in corso.
Alle
sette in punto, neanche vivesse in simbiosi con un orologio, Akito era
davanti
agli studi televisivi con la sua macchina. Indossava una semplice
camicia nera
a cui erano stati slacciati i primi bottoni.
Il
contrasto che il tessuto scuro faceva con i suoi capelli dorati
affascinò Sana
talmente tanto da lasciarla imbambolata per qualche secondo.
Lui
suonò il clacson – Allora Kurata ti muovi o vuoi rimanere a fissarmi
ancora a
lungo? – la canzonò lui, abbassando il finestrino.
Lei
rimase stizzita e fece una veloce corsa verso di lui – Eccomi – gli
rispose
acidamente –Non c’era bisogno di mettersi a fare lo show in mezzo alla
strada –
-Te
ne stavi li immobile – si giustificò lui, ingranando la prima e
partendo.
-E
allora? Che razza di scusa è? Ti stavo guardando –
Lui
sogghignò –E quello che hai visto ti è piaciuto? –
-Si
–
La
risposta secca di lei lo mise a tacere. Rimasero in silenzio per tutta
la
durata del tragitto, durante la quale Sana cercò spesso di coprirsi le
gambe
lasciate in mostra da un vestitino bianco che Fuka l’aveva costretta ad
indossare. Oltre ad essere incredibilmente corto era anche
incredibilmente
rivelatore.
“Troppo trasparente” pensò infastidito
Akito, leggermente su di giri.
“Calma”
si raccomandò.
-Allora,
dove stiamo andando? – gli chiese Sana incuriosita.
-In
un ristorante costoso. Non sono del tutto sicuro che tu abbia scelto
l’abbigliamento indicato – la rimproverò, esternando finalmente quel
pensiero.
-Tu
non mi avevi detto niente. Avrei scelto un altro vestito – lo rimbeccò
lei,
mettendo su il broncio ed incrociando le braccia al petto.
Si
accoccolò ancora di più nel sedile e guardò fuori dal finestrino. La
città
scorreva veloce sotto i suoi occhi e le luci di alcuni negozi
cominciavano ad
accecarla.
“Come se
l’avessi
scelto io il vestito”
si ritrovò a pensare ironicamente “Dannata
Fuka”.
Quando
arrivarono, Akito abbandonò l’auto in un posteggio alle spalle del
ristorante.
Sana aveva avuto la malaugurata idea di indossare i tacchi e quando si
ritrovò
a camminare sul selciato di ghiaia, barcollò. Akito la sorresse,
passandole un
braccio intorno ai fianchi e Sana arrossì, voltando il capo in modo da
nascondersi da lui.
-
Kurata, indossi i trampoli e poi non riesci a stare in piedi – le disse
scherzosamente,
il tono di voce ricolmo di dolcissimo miele.
-Taci
Hayama – sbottò lei, scostandosi da lui quando furono davanti alla
porta del
locale – Fuka mi ha obbligata a conciarmi così, fosse stato per me un
paio
di pantaloni ed una felpa sarebbero stati
più che sufficienti -
Akito
annuì, aprendole la porta. Ad accoglierli trovarono un cameriere tutto
in tiro
che per prima cosa rivolse a Sana uno sguardo di puro interesse: che
avesse
riconosciuto in lei la famosa attrice, o che fosse semplicemente
sconvolto
dall’abitino osceno che indossava? Difficile dirlo.
-Buonasera
signori – fece quello, inchinandosi lievemente davanti a loro.
-Ho
una prenotazione a nome Hayama – fece Akito, formalmente. Il cameriere
spulciò
in un squadernino rilegato in una copertina lussuosa di velluto rosso,
prima di
accompagnarli al tavolo.
-
Akito – lo chiamò Sana sotto voce, afferrandolo per un braccio e
facendo in
modo che il suo orecchio si avvicinasse alle sue labbra – Ma dove
diavolo mi
hai portata? Qui sono tutti ricconi, mi sento come un pesce fuor
d’acqua –
sbuffò.
Akito
sollevò un sopracciglio – Preparano il sushi migliore della città in
questo
posto. Per questo ti ci ho portata. Ignora tutta questa gente e pensa a mangiare –
Com’era
bello notare quanto Akito si preoccupasse delle cose davvero
serie.
-Sei
davvero un idiota Akito – gli disse Sana, per tutta risposta,
accomodandosi
sulla sedia che Akito, scherzando e sorridendo, le aveva scostato dal
tavolo.
Accanto
a loro stava un enorme vetrata dalla quale Sana poteva intravedere
tutta la
città. Una miriade di luci costellavano quell’immenso deserto di
velluto blu,
come stelle nel cielo.
Sospirò.
-Che
cosa cucinano di buono qui, oltre al sushi? – chiese acidamente al
ragazzo di
fronte a lei, che già aveva adocchiato una portata di delizioso cibo al
tavolo
accanto a loro.
Intercettando
il suo sguardo, Sana alzò gli occhi al cielo.
-Allora?-
Akito
parve riprendersi – Eh? Non lo so... Prendi il sushi no? –
Sana
storse il naso – A me non piace molto il sushi –
-Ho
sempre pensato che non fossi normale –
Sana
nemmeno si arrabbiò – Solo perché una cosa ti piace da morire, non vuol
dire
che deve essere così per tutto il resto delle persone –
-A
me il sushi non piace da morire. Diciamo che non mi
dispiace –
-Il
che, secondo i tuoi canoni, è la stessa identica cosa –
Akito
parve leggermente indignato.
Sana
scorse velocemente il menù, cercando di trovare qualcosa che potesse
attirarla.
Aldilà del fatto che una portata equivaleva al suo stipendio di un
mese, si
trattava di cibo così elaborato e delicato, che probabilmente si
sarebbe alzata
nel cuore della notte affamata.
Sbuffò
– Vabbè, ho capito, prendo il sushi anche io –
Akito
inarcò un sopracciglio (il suo equivalente di un sorriso) – Benone! –
-Vado
un attimo in bagno Akito –
-D’accordo
–
*
Okay,
doveva calmarsi. Non tanto perché, dopo aver visto Akito con quella
camicia
così scura che gli stava fin troppo bene, il suo cuore aveva cominciato
a
battere troppo velocemente. Più che altro perché ora rischiava
l’arresto cardiaco.
“Ma si
può sapere
come ho solo potuto pensare di uscire a cena con Akito?”
pensò, mentre si
sciacquava le mani e lanciava una veloce occhiata allo specchio che
ricambiava
la sua immagine sconvolta.
“Voglio andare via di qui” si disse,
cominciando a camminare avanti e indietro per il bagno. Una mamma, con
la sua
bambina, che stava aspettando il suo turno per poter usufruire del
bagno, la
guardò con interesse.
Evidentemente
osservare una squinternata che parlava da sola e che camminava in preda
al panico
per il bagno, doveva essere qualcosa di estremamente divertente.
Sana
sospirò e le sorrise – Mi scusi. Sono un po’ nervosa –
La
donna parve comprendere il motivo di tutta quell’agitazione e le
sorrise – Si
figuri. Questi posti mettono davvero molto in soggezione –
Sana
non poté che essere d’accordo – Si. Il mio amico avrebbe potuto
avvertirmi che
si trattava di un posto così di lusso –
-Parla
di quel biondino seduto al tavolo insieme a lei –
Cavolo,
Akito ormai faceva colpo anche sulle donne di mezza età. Sana impallidì
e
faticò a trattenere una risatina. – Si –
-Credevo
fosse suo marito –
“Addirittura?
Non
sono ancora così disperata” si
disse Sana – Ma quale marito. È solo un amico! –
Ecco,
decisamente non capiva la necessità di dare spiegazioni ad una perfetta
sconosciuta che tra l’altro aveva appena dimostrato di essere una
ficcanaso di
prima categoria.
-Le
chiedo scusa, ma dal modo in cui la guardava… -
Sana
non ne poté più. Scosse la testa e si avviò verso la porta del bagno,
indignata
– Ora devo andare, credo che sia pronto da mangiare – spiegò. Rivolse
un
sorriso luminoso alla bimba che la guardava con gli occhioni sgranati - Buona serata –
Ecco,
decisamente non andava bene.
-Dannato
Akito – ringhiò tra i denti, mentre si avvicinava al tavolo dove lui
stava gia
gustando il suo sushi – Adesso la gente mi scambia pure per sua moglie.
Ma che
diavolo avrà poi da guardare? –
Detto
questo, passò accanto ad un cameriere che sentendola parlare da sola e
con quel
linguaggio così colorito, le rivolse uno sguardo di puro biasimo.
Sana
lo ignorò “Ci mancano giusto i camerieri
che mi fanno la paternale adesso”.
Quando
si sedette al suo posto, Akito nemmeno notò lo sguardo omicida con cui
lo aveva
appena squadrato.
“Dannato Akito. Arriverà il giorno che me la
pagherai per tutti i guai che mi procuri. Speriamo che questa serata
finisca
presto…”
Cominciò
poi a mangiare, ignorando la vocina dispettosa che si prendeva gioco di
lei
nella sua testa.
“Continuando
a dire
bugie, ti crescerà il naso Sana…”
*
La
serata era giunta al termine. Finalmente,
aggiunse Sana con un certo sollievo.
Akito
la stava riaccompagnando a casa, la vita frenetica della città che li
circondava si rifletteva su di loro con le sue mille luci
in un turbinio di emozioni.
Quando
arrivarono davanti al palazzo di Sana, da un localino di fronte una
tromba
diffondeva la sua gradita melodia nell’aria circostante, catapultandoli
in un
immagine che assumeva i tratti del ricordo nel momento stesso in cui
veniva
vissuta.
Akito
sospirò – Non ti va di andare a bere qualcosa Sana? –
Lei
scosse la testa – No ti ringrazio. Questa mattina mi sono alzata presto
per
lavorare alla tesi e sono un po’ stanca – gli disse, abbozzando anche
un
sorriso.
Quando
voleva, Akito sapeva essere gentile. Davvero
tanto gentile.
-Come
vuoi – le rispose, facendo spallucce.
Sana
si voltò a guardarlo e fu in quell’istante che con gli occhi lui la
incatenò a
sé. Lei era semplicemente paralizzata, mentre lui allungava le mani per
accarezzarle la pelle nuda e morbida delle braccia. Akito sospirò.
-Allora
ti auguro buonanotte – le disse lui, sempre fissandola negli occhi con
il suo
sguardo magnetico. Con le nocche delle dita le sfiorò una guancia e
Sana
socchiuse gli occhi come un gatto che fa le fusa e che viene
accontentato dal
suo padrone.
-Si
– fu la sua risposta, sussurro che il vento trasportò con sé,
avvolgendolo con
tutto il suo profumo. Dolce.
La
parte ancora cosciente della mente di Sana avrebbe voluto dirgli che
oltre alla
buonanotte, desiderava anche un bel bacio, che potesse aiutarla a
conciliare il
sonno.
Peccato
che più della metà del cervello di Sana – le cui dimensioni,
disgraziatamente,
erano alquanto ridotte – fosse in preda di un insulso languore che non
si seppe
spiegare.
Akito
fece scivolare le sue mani lungo i suoi fianchi, accarezzandoli e
saggiandone
la morbidezza.
Un
altro sospirò del ragazzo si dissipò nell’aria. Il gemito roco che ne
seguì
colpì Sana come una stilettata in pieno petto.
-Sana…
- cominciò lui, mentre avvicinava il suo volto a quello della ragazza.
Si fermò
ad un soffio dalle sue labbra – desiderio
si, ma non la voglia di concedersi così facilmente – per poi
bloccarsi e
voltare il viso per bersagliare la pelle soffice delle guance.
Le
lambì con una dolce carezza di labbra esperte ed Akito sorrise tra sé
compiaciuto quando sentì il sangue affiorare in superficie facendole
surriscaldare la pelle che lui stava baciando con una lentezza
esasperante.
Sana
socchiuse le labbra, ancora con gli occhi sigillati, ed ansimò.
Akito
avvertì un brivido lungo la schiena e scese a baciarle, con lentezza,
dolcezza, desiderio, la
pelle delicata del collo.
Sentì
le dita di Sana tremare e poi le sue unghie artigliargli la stoffa
della
camicia all’altezza delle spalle. Sapere di averla completamente sotto
il suo
controllo lo faceva scoppiare di gioia.
Akito
si scostò con gentilezza dal suo collo, riportando le labbra a pochi
centimetri
da quelle di Sana. Inconsciamente lei si alzò sulla punta dei piedi,
pronta a
ricevere il suo bacio, agognato, desiderato,
maledetto, mantenendo ancora gli occhi chiusi per
potersi godere
tutte quelle magnifiche sensazioni che lui le stava regalando. Senza
fare quasi
nulla.
Ma
Akito le scostò le mani dai fianchi e, prima di allontanare il volto
dal suo,
le sussurrò un caldo – Buonanotte Sana – che andò ad infrangersi sulle
sue
labbra tremanti, diffondendosi in tutto il suo corpo con una scarica
elettrica.
Poi
si allontanò da lei e Sana riaprì gli occhi per capire cosa stesse
succedendo.
Lo osservò e lui ricambiò il suo sguardo con una punta di scherno
nascosta tra
le ombre dei suoi occhi.
-Ci
vediamo Kurata – le disse semplicemente, prima di voltarle le spalle e
di
prendere la strada di casa.
Sana
rimase ad osservarlo impietrita, mentre si allontanava, non ancora
completamente
cosciente di quanto fosse arrivata a desiderare che lui la baciasse e,
chissà,
che la trascinasse anche in camera sua, sul suo letto.
Quando
la sua mente fu abbastanza lucida da poter pensare razionalmente, Sana
scosse
le spalle.
-Dannato
Akito – ripeté ancora, per la centesima volta in quella giornata così
dannatamente calda. Cercò le chiavi di casa nella borsetta ed aprì il
portone –
Me la pagherà, fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia –
One
of these days maybe your magic
won’t affect me
And your kiss won’t make me weak
But no one in this world knows me
And your kiss won’t make me weak
But no one in this world knows me
the way you know me
So you’ll probably always have
So you’ll probably always have
a spell on me.
Hate that I love
you – Rihanna ft. Ne-Yo
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Eccomi
qui ragazze. Scusate il ritardo, ma giusto ieri ho avuto il colloquio –
dannata
maturità – e quindi non ho avuto molto tempo per rivedere il capitolo
prima di
postarlo – come si dice? Ah sì, dovevo studiare. Perdono.
Comunque
non ho molto tempo per ringraziare singolarmente una per una ognuna di
voi –
sapete quanto ci tenga a scrivere i ringraziamenti, ma stavolta ho
preferito
postare il capitolo perché ero già in ritardo. Anche perché non sto
proprio
benissimo : già, dopo un periodo di stress a me sale la febbre. Dal
nervoso. Mi
è successo quando ho preso la patente e prevedevo sarebbe successo
ancora.
Amen.
Passando
al capitolo : lo odio. Cioè è forse il capitolo più brutto di tutta la
storia
fin’ora scritta, ma mi direte voi.
Comunque
sia un grazie a :
roby5b, _DaNgErOuS_ChIlD_ , Midao (ho visto che
hai scritto una
nuova fan fiction. Dammi tempo e volerò a leggerla), Deb
(risponderò anche a te, nella prossima recensione che ti
lascerò), marypao, Castiel (per
questo capitolo niente
canzone ._. ) , dancemylife, _Rob_ , Ili91 (gli esami come procedono?
Alla
fine che traccia hai scelto per la prima prova?), ryanforever,
morgana85
(*-* ma grazie!), Smemo92, fragolina92,
yesterday (troppo contenta che il capitolo ti sia
piaciuto così
tanto, toglierò anche le virgole. Mi vengono in mente certi discorsi :
c’è chi
le usa proprio e chi pensa che la punteggiatura sia un’opinione. Devo
rileggerli seriamente ‘sti capitoli!).
Penso
che a questo punto ci risentiremo tra una settimana – Kim permettendo,
visto
che è lei a decidere quando devo postare perché non riesce mai a
recensire ._.
Adesso
vado sul serio.
Un
bacione a tutte ragazze
Ale69