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Autore: Gillywater    01/07/2010    11 recensioni
La storia tra Sana e Akito è finita da tre lunghi anni. Lei ora sta con Naozumi e lui, come sempre, cerca di fare chiarezza nel caos che ha in mente. Ma cosa potrebbero mai combinare, quei due, senza l'aiuto provvidenziale degli amici?
"Fuka non era propriamente annoiata, solo che quella storia era stata costretta a sentirla per anni. Anni. Non confidenze sussurrate nei bagni della scuola, che si perdevano in uno sbuffo di fumo, mentre la sigaretta stretta tra le dita si consumava. Anni. Ore continue della sua vita che lei e Tsuyoshi, soprattutto, avevano passato a scervellarsi per capire quali contorti ragionamenti si nascondessero dietro le menti malate di Akito e Sana. E nessuno dei due, quasi servisse qualcosa sottolinearlo, riusciva a capire perché si erano lasciati e perché attendessero tanto tempo a rimettersi insieme."
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SHE IS
 
Capitolo 5: Tentazione
 
That’s how much I love you (yeah)
That’s how much I need you (yeah, yeah, yeah)
And I can’t stand ya
Must everything you do
make me wanna smile
Can I not like you for awhile? No.
        Hate that I love you – Rihanna ft. Ne-Yo
 
Non che ci fosse qualcosa di propriamente sbagliato in quello che era successo la sera prima, solo che ancora non riusciva a capacitarsene.
Anche perché, diciamocelo, non era poi così normale che una persona entrasse in casa sua, litigasse con lei e alla fine la baciasse. Ancora meno normale era il fatto che poi lei rispondesse a quel bacio, arrivando a desiderare con tutta se stessa di poter avere persino qualche cosa in più da lui.
Pazza.
Si, per forza. Sana doveva essere sicuramente impazzita.
-Dannato Akito – sbuffò, in una nuvola di fumo che si dissipò nell’aria della sua stanza.
Sana stava fumando.
In un universo parallelo forse, ma forse, la cosa sarebbe anche potuta sembrare normale, ma non in quell’universo, non su quel pianeta – come si chiamava? Terra – dove lei disgraziatamente viveva.
Sana non fumava. Lei odiava il fumo.
Il fatto che ora stringesse una sigaretta tra le dita, lasciava giusto intendere la gravità della situazione.
-Ma che cavolo gli è preso? –
Un’altra fitta pioggia di cenere andò ad intaccare il soffice tappeto ai piedi del suo letto. Se solo Fuka avesse visto quel disastro, quella macchia sull’immacolata superficie di quel tessuto così delicato... L’avrebbe strozzata, non c’erano dubbi.
-Non può entrare in casa mia e baciarmi e poi andarsene come se nulla fosse – Sana scattò in piedi e tirò un forte calcio alla parete – Non può –
Ecco, in quei momenti la ragazza cominciava a dubitare da sola della propria sanità mentale. Siccome lei, come precedentemente detto, non era una fumatrice incallita, non aveva nemmeno un posacenere nella sua stanza. Ragion per cui decise di spegnere la sigaretta – consumata nemmeno a metà – sul suo comodino. Accantonò il pensiero che sarebbe rimasta la bruciatura per sempre, catalogandolo come inutile dettaglio.
Un’occhiata alla scrivania ricolma di libri riaccese il senso di colpa che aveva cercato di soffocare dentro di sé: doveva studiare, dannazione, non aveva tempo da perdere dietro quello squinternato di Akito. Aveva una tesi da dare, una laurea da prendere, un lavoro da portare avanti, una vita sentimentale da sistemare e, possibilmente, una vita sociale da mantenere.
Ad una persona non può bastare una sola vita per fare tutto questo” si disse tra sé, ma alla fine il senso di responsabilità prevalse e si andò ad accomodare alla sua scrivania.
Sana era decisamente cambiata negli ultimi anni e, c’era da riconoscerlo, il merito non era di nessun altro se non di Naozumi. Era con lui che la ragazza era maturata tantissimo, aprendo gli occhi su quel mondo adulto che per così tanto tempo si era rifiutata di capire.
A differenza di quando aveva tredici anni – seppur mantenendo le sue principali caratteristiche, quali il disordine, l’essere perennemente in ritardo e la totale negazione per qualunque cosa implicasse la matematica – era diventata più affidabile, ragion per cui i suoi amici riuscivano ad affidarle qualche commissione senza il terrore che lei se ne dimenticasse o combinasse qualche pasticcio.
Ovviamente l’unica cosa che, quasi gelosamente, la trascinava indietro, verso quel passato così incredibilmente genuino e sereno, era il ricordo di Akito.
Era inutile, per quanto si sforzasse, lei da lui non riusciva a stare lontana. Non che non ci avesse provato, anche perché i due anni passati al fianco di Naozumi non erano mica stati noccioline, no? Semplicemente, per una ragione o per l’altra, quel ragazzo dagli occhi d’ambra e i capelli d’oro la stregava e incatenava a sé in una stretta mortale.
Non riuscirò mai a liberarmi di lui. Tanto vale ammetterlo e vivere con la consapevolezza che io...”
Sana si bloccò. Stava scribacchiando una bozza della sua tesi e aveva appena cominciato. Si, dal titolo. Tralasciando il proverbio che dice “Chi ben comincia è a metà dell’opera” – che Sana reputò un altro dettaglio e che testimoniava quanto la ragazza fosse in realtà nei pasticci più neri – Sana si concesse il lusso di pensare a come avrebbe potuto terminare la frase.
Che io...
Che io gli voglia bene. Beh, si infondo sono cresciuta insieme ad Akito, l’ho persino aiutato a risolvere i suoi problemi con la sua famiglia, non volergli bene mi sembra un po’ difficile. E poi ne abbiamo passate così tante insieme.
Sospirò di rassegnazione.
Che io lo stimi. Dopotutto è una grande persona. Sempre così determinato e deciso su quello che vuole, sa sempre come raggiungere i suoi obbiettivi. Quanto mi piacerebbe essere come lui.
Ne seguì un altro sospirò e poi il fiato le si fermò in gola.
Che io... Lo ami?
Sana scoppiò a ridere nella sua testa “E perché mai dovresti amarlo? Solo perché quando è al tuo fianco vorresti abbracciarlo, o perché quando te lo ritrovi a pochi centimetri dal viso hai l’irrefrenabile impulso di baciarlo? O perché se vieni a sapere che tizia vuole chiedergli di uscire hai il primordiale istinto di andare li e spaccarle la faccia? O più semplicemente perché è capitato un sacco di volte che mentre facevi l’amore con Naozumi pensassi ad Akito?”
Ecco, Sana decisamente detestava il diavoletto dei suoi pensieri. E visto che in quei particolari momenti in cui la sua coscienza decideva di aprirle con sua immensa gioia tutto il suo cuore, l’angioletto se ne stava zitto, Sana decise di detestare pure lui, per l’omertà che continuava a dimostrare.
-Al diavolo. Sana, devi studiare – di ripeté ad alta voce. Chissà, forse udire la sua stessa voce che le impartiva il suddetto ordine, poteva servire a riportarla sulla Terra.
Si insomma, la Terra, il pianeta di cui sopra.
-Sana, riprenditi stai delirando –
Stavolta la voce non era la sua, piuttosto quella della sua coinquilina che, molto probabilmente, aveva assistito all’interessantissimo colloquio che Sana aveva avuto con se stessa.
Fuka rideva – Sei forse ammattita, Sana? –
Quella abbozzò – Può darsi, ormai mi sembra che ci sia davvero poco di normale nella mia vita –
La sua amica le si avvicinò, tra le mani una tazza di the fumante – Non ti crucciare. Vedrai che tutto si sistemerà. Stai studiando per la tesi? –
Sana annuì – Si. A dire la verità dovrei trovare le forze per poterla scrivere, visto che sono ancora in alto mare e che tra solo una settimana ho l’esame –
Fuka la guardò con tenerezza. Lo stesso sguardo che una madre riserverebbe alla propria figlia pasticciona – Non ti preoccupare. Vedrai che andrà bene. Adesso non ti distrarre e studia –
Veleggiò come un fantasma fino alla porta della stanza di Sana, lanciando una fugace occhiata di disgusto alla cenere depositata sul tappeto. Notò anche la bruciatura sul legno del comodino, ma decise di ignorarla.
- Fuka – la richiamò Sana prima che quella uscisse – Va tutto bene? –
Fuka era sempre stata un tipino abbastanza taciturno e misterioso. Esprimeva il suo punto di vista solo se interpellata e difficilmente si sbilanciava in pronostici sensazionali su come sarebbe andata a finire una storia. Ma in quell’ultimo periodo Sana, grazia a tutto il suo intuito femminile ed in quantificabile acume, aveva colto qualche differenza nel comportamento dell’amica. Differenze che erano strane persino per lei, per Fuka.
Quest’ultima le sorrise, grata – Si Sana, non ti preoccupare. Quando avrai dato la tesi dovrei parlarti di... Di una cosa
Sana giocherellò con la biro che teneva in mano –E’ qualcosa di grave? Mi stai facendo preoccupare – ammise con una risatina che doveva servire a nascondere quella lieve nota di ansia che la tormentava.
Fuka rise, ancora, un felice scintillio nei suoi occhi castani – Certo! Non ti preoccupare, è una bella notizia, niente di grave Sana. Ora ti lascio studiare –
Detto questo si richiuse la porta alle spalle e Sana si diede una portentosa spinta sulla sedia girevole, in modo da tornare faccia a faccia con il peggiore dei nemici: i libri.
-A noi – disse, dichiarando definitivamente guerra all’avversario.
Ma prima di dedicarsi seriamente a quella stramba attività, il suo pensiero non poté fare  a meno di volare verso un paio di occhi ambrati che la sera prima avevano violato il suo sguardo in cerca di qualcosa.
Stracci di un sentimento sepolti sotto tonnellate di terra umida e sporca che non era però stata in grado di intaccarne l’autenticità.
Sana mordicchiò il tappo della penna e si lasciò sprofondare nella sua poltroncina “D’accordo” ammise, sconfitta, alla sua coscienza bi-personale “Te lo concedo : potrei, forse, con un po’ di immaginazione, essere ancora innamorata di Akito Hayama”.
Scrisse giusto due righe della sua bozza e poi si interruppe di nuovo. Niente, quel dannato pizzicorio all’altezza della tempia proprio non voleva saperne di andarsene.
-E va bene – sbottò, più seccata che mai – Va bene, lo sono. Sono innamorata di Akito Hayama, ora mi lasciate studiare in santa pace? –
“Certo!”
-Grazie! –
E meno male che quello che frequentava uno psicologo e che era – a detta di Sana – da internare era Tsuyoshi.
Lei parlava addirittura da sola.
 
*
 
Era così bello godersi la pace mattutina di casa sua. Fuori dalla finestra alcuni uccellini gli diedero il buongiorno intonando melodie deliziose, mentre il sole birichino si insinuava tra la tenda della sua finestra e faceva risplendere quei fili d’oro che gli ricadevano sbarazzini sulla fronte.
Un’atmosfera di serenità palpabile aleggiava nella sua stanza e Akito, più rilassato che mai, si rotolò nel suo letto – aggrovigliandosi il lenzuolo intorno alle gambe – mugugnando qualcosa e facendo le fusa come un micio bisognoso di coccole.
Poteva sentire un tintinnio di piatti e bicchieri provenire dalla cucina: Natsumi stava sicuramente preparando la colazione.
“Che brava donna di casa” rise tra sé.
Se mai sua sorella si fosse sposata e fosse andata a vivere con il marito, sarebbero stati problemi – per non dire altro – amari. Chi avrebbe mai potuto cucinare? Suo padre forse? L’uomo che bruciava qualunque cosa mettesse nel forno, non capendo che sarebbe semplicemente bastato abbassare la temperatura invece di far abbrustolire tutto?
Akito scosse la testa.
Il suono della sveglia lo fece sobbalzare nel letto.
“Dannato aggeggio, cos’hai da strillare in questo modo sguaiato?”
Ne fu talmente infastidito che, Akito, afferrò l’oggetto e lo scaraventò contro la parete. Sentì il rumore di passi pesanti che salivano le scale e si preparò mentalmente ad una sfuriata di sua sorella.
- Akito! Akito, dannato idiota! –
“Buongiorno anche a te sorellina!”
-Ti pare normale che tu debba distruggere ogni giorno una sveglia? Alzati, veloce! –
Nonostante il dolore per la perdita della mamma in tenera età si fosse ormai completamente chetato, Akito a volte rimpiangeva di non poterla avere in casa. Chissà quante menate di Natsumi si sarebbe risparmiato se ci fosse stata. Forse.
-Ero già sveglio. Non c’era bisogno di fare quest’entrata trionfale in camera mia – sbottò Akito, stiracchiandosi e alzandosi dal letto.
Avrebbe voluto aggiungere un bel “Stupida oca” all’indirizzo di sua sorella, ma l’espressione arrabbiata di questa lo scoraggiò a proseguire oltre.
Natsumi sospirò – Che hai da fare oggi? –
-Dovrei terminare la mia tesi per la laurea, perché? –
La sorella mise le mani sui fianchi e scosse la testa – Che guaio! Avevo bisogno di qualcuno che mi accompagnasse in centro a comprare un paio di cose –
Akito inarcò un sopracciglio: quando mai sua sorella intendeva andare da qualche parte in sua compagnia? Era forse impazzita? Ma che cos’avevano tutti in quel periodo?
-Non puoi andarci da sola? –
Natsumi parve riprendersi dalla catalessi in cui era caduta – Certo! Chiamo la mia amica e ci vado con lei. Tu studia, lazzarone! –
-Certo, certo –
Natsumi si sbatté la porta della sua stanza alle spalle, lasciando Akito da solo. Nervoso.
Preparò sulla scrivania il suo PC e i libri che gli servivano per lavorare, poi decise di dirigersi in cucina per fare colazione: obbiettivamente con lo stomaco pieno riusciva a ragionare meglio.
Fu mentre passava di fianco alla parete accanto al suo letto che tornò a bussargli quel vecchio ricordo. Lui e Sana che una sera di quattro anni prima si baciavano, proprio in quel punto, e finivano poi per fare l’amore sul suo letto.
Pensò a come fosse irrimediabilmente cambiata la sua vita da quel momento ed una nota di malinconia tornò a colpirlo, con precisione calibrata, al centro del petto.
-Al diavolo, devo andare a mangiare – si rimproverò.
Evidentemente Sana non era l’unica squilibrata che parlava da sola.
 
Se non altro la colazione era buona. Tra i mille difetti di Natsumi – e ne aveva davvero tantissimi, pensò Akito – non c’era di certo quello di non preparargli mai nulla di buono da mangiare. Anzi, di solito proprio sua sorella era sempre in grado di stuzzicargli l’appetito con qualunque cosa.
Quella mattina gli aveva lasciato del sushi appena comprato sul tavolo. E poco importa che una colazione fatta con il pesce possa suonare non molto normale, ad Akito piaceva così.
Rimettersi a studiare, fu persino più facile del previsto.
Ma mentre le sue dita abili scorrevano sulla tastiera alla ricerca delle lettere giuste da pigiare, si rese conto di desiderare tantissimo poter vedere Sana. In quel momento.
Era quasi mezzogiorno, probabilmente lei doveva andare a lavorare nel pomeriggio, ma lui aveva un’assoluta voglia di vederla. Il bacio della sera prima aveva riacceso qualcosa assopito da troppo tempo. La fiamma bruciante che serviva soltanto a mantenerlo vivo.
Accantonò momentaneamente il suo lavoro e provò a telefonarle.
Come in tutti i film degni di nota – perché si, Akito cominciava a sospettare di vivere in un film – nessuno gli rispose al telefono, e si ritrovò ancora una volta a discutere con quella stupida voce registrata della segreteria telefonica.
Tornò al suo lavoro.
“Dai Akito, dannazione, lavora!” si disse tra sé riprendendo a scrivere sul suo documento “Il professore ti ha dato le dritte giuste per poter ultimare questa maledetta tesi. Sei pure troppo in ritardo, tra una settimana hai l’esame. Muoviti!”.
Ad ogni punto, ogni virgola che digitava su quella tastiera, il ricordo di quel dispettoso folletto dai capelli rossi tornava a tormentarlo.
Se solo la sera prima non fosse riuscito a fermarsi. Dio solo sa dove si sarebbe trovato in quel momento, altro che a casa a studiare, probabilmente starebbe ancora nel letto di Sana a fare l’amore.
Quanto l’aveva desiderata, il dolore nelle viscere era ancora intenso come la sera prima.
Sana, ho voglia di vederti” disse ancora tra sé.
 
And I hate how much I love you girl
I can’t stand how much I need you
And I hate how much I love you girl
But I just can’t let you go
And I hate that I love you so
         Hate that I love you – Rihanna ft. Ne-Yo
 
Ormai, come facile intuire, cercare di studiare per Akito era pressoché inutile. Afferrò di nuovo il telefono di casa e compose un altro numero di telefono.
-Pronto? – rispose una voce squillante.
Almeno questa gli era andata bene.
-Ciao Fuka –
Un momento di silenzio dall’altra parte del telefono.
-Sono Akito –
 
*
 
Sana si stiracchiò sulla sua sedia. Dopo qualcosa come cinque ore di lavoro, poteva finalmente dirsi soddisfatta. Era riuscita a lavorare, lasciando fuori lo spettro di Akito dai suoi pensieri.
-Non c’è proprio nulla da dire, ho fatto davvero un ottimo lavoro – si complimentò con se stessa, alzandosi in piedi – Ora mi rilasso un po’ prima di dover andare a lavorare –
Il suono del cellulare di Fuka la raggiunse e poté sentire la sua amica che rispondeva al telefono. Si era presa un altro giorno di malattia, per quel giorno.
Diceva che tutta quella storia di lei e Akito la stava facendo ammalare. E Sana rideva.
Percorse il corridoio quasi con aria strasognante, troppo felice di aver concluso il grosso del lavoro per poter pensare a qualsiasi altra cosa. Arrivata in salotto si lasciò cadere sul divano.
-Sana? – la chiamò Fuka, trotterellando verso di lei per raggiungerla – E’ per te –
Sana apparve evidentemente stranita : chi mai poteva telefonare sul cellulare di Fuka per parlare con lei?
La ragazza afferrò il telefono –Pronto? –
Quando riconobbe la voce del suo interlocutore quasi le si fermò l’aria in gola. Fuka rimase ad osservarla impaziente.
-Pronto Sana, sono Akito. Ho provato a telefonare sul tuo cellulare ma rispondeva la segreteria
Sana sussultò – Ah si. Era scarico – disse soltanto.
-Ti disturbo? Stavi studiando? –
- No ho appena finito –
-Ah. Senti...-
Quello che Sana poteva sentire distintamente era il palpitare del suo cuore nel suo petto, come un pazzo. Che cosa voleva Akito? Perché l’aveva cercata quella mattina?
-Senti... Volevo chiederti se ti va di vederci questa sera –
Sana rispose subito –Questo pomeriggio devo lavorare –
Si morse la lingua pochi istanti dopo. Sentì Akito ridere ironicamente aldilà del telefono.
-Ho detto stasera, Kurata. Sei diventata sorda? –
“No, semplicemente quando parlo con te non riesco a compiere un ragionamento sensato”.
Sana rise, nervosamente – No, ci sento. Beh... Allora credo che accetterò –
-Davvero? –
-Certo Hayama, non ti prendo in giro su queste cose. Dove andiamo? – gli domandò, cercando di ignorare Fuka che le volteggiava intorno come un avvoltoio pronta a papparsi i suoi resti e a strapparle via tutte le informazioni che possedeva.
-Non lo so, improvvisiamo? –
-Va bene – acconsentì lei, la sfumatura di un sorriso nella sua voce tremolante.
-Ora? –
-Io stacco alle sette dal lavoro. Vieni a prendermi lì? –
-Va bene –
Un breve attimo di silenzio seguì quest’ultima frase. Un imbarazzo palpabile cadde tra di loro, sebbene diversi chilometri li separassero. Sana strinse un pugno nervosamente, conficcando le unghie nella carne della sua mano, in attesa che lui dicesse qualcosa.
Akito rispolverò il lato timido della sua personalità, quello che lo rendeva incapace di pronunciare parola proprio in quei momenti in cui in cui ce ne sarebbe stato più bisogno.
-Beh, Kurata, allora io...-
-Aspetta Akito! –
Il ragazzo attese che lei dicesse qualcosa.
-Volevo dirti... Perché? Perché mi hai cercata proprio questa mattina? –
Quello sembrò pensare un attimo alla migliore risposta da darle e poi disse, semplicemente – Beh, perché avevo voglia di vederti, Kurata –
Usò un tono di voce così ragionevole che Sana si ritrovò ad annuire tra sé.
-D’accordo Akito. Allora a stasera? –
-A stasera –
-Sii puntuale –
-Lo stai dicendo alla persona sbagliata –
-Simpatico. Ciao –
-Ciao Kurata! –
Quando Sana riattaccò un lampo le attraversò la testa.
- Fuka, devi assolutamente aiutarmi a trovare qualcosa da mettere per stasera. Mi ha invitata ad uscire –
L’amica, neanche a dirlo, si accese una sigaretta. Non era propriamente nervosa, sapeva solo perfettamente che quando Sana e Akito cominciavano a frequentarsi, nell’aria si prospettassero guai seri.
-E’ un appuntamento serio? –
Sana fece spallucce – Non lo so, ha detto che voleva vedermi –
Fuka scattò in piedi e cominciò a saltellare da tutte le parti, lanciando la sua sigaretta appena accesa chissà dove –Davvero? È fantastico –
Dire che era fuori di sé dalla gioia era un mero eufemismo. Sana sperò che la casa non andasse a fuoco.
Fuka afferrò Sana per un braccio e cominciò a trascinarla come un mulo recalcitrante verso la sua stanza – Adesso ti scelgo io qualcosa da mettere. Devi essere sexy, ma anche lasciarti desiderare. Così lo farai impazzire –
Il tono di voce che utilizzò spaventò Sana in maniera eccessiva.
Chissà perché, ma qualcosa le diceva che Fuka non l’avrebbe lasciata uscire tanto facilmente dalla sua stanza, quel giorno.
 
*
 
Il cielo di quel giorno era di un azzurro così terso da rendere difficile addirittura poterlo osservare. Accecante, ecco l’aggettivo che Sana trovò per descriverlo. Nemmeno una nuvola ne intaccava quella limpida perfezione e Sana si soffermò a godersi la sensazione di quel fresco venticello che cominciò a lambirle la pelle delicata del viso. L’aria sapeva ancora un po’ di estate ma trasportava con sé i primi odori dell’autunno già in corso.
Alle sette in punto, neanche vivesse in simbiosi con un orologio, Akito era davanti agli studi televisivi con la sua macchina. Indossava una semplice camicia nera a cui erano stati slacciati i primi bottoni.
Il contrasto che il tessuto scuro faceva con i suoi capelli dorati affascinò Sana talmente tanto da lasciarla imbambolata per qualche secondo.
Lui suonò il clacson – Allora Kurata ti muovi o vuoi rimanere a fissarmi ancora a lungo? – la canzonò lui, abbassando il finestrino.
Lei rimase stizzita e fece una veloce corsa verso di lui – Eccomi – gli rispose acidamente –Non c’era bisogno di mettersi a fare lo show in mezzo alla strada –
-Te ne stavi li immobile – si giustificò lui, ingranando la prima e partendo.
-E allora? Che razza di scusa è? Ti stavo guardando –
Lui sogghignò –E quello che hai visto ti è piaciuto? –
-Si –
La risposta secca di lei lo mise a tacere. Rimasero in silenzio per tutta la durata del tragitto, durante la quale Sana cercò spesso di coprirsi le gambe lasciate in mostra da un vestitino bianco che Fuka l’aveva costretta ad indossare. Oltre ad essere incredibilmente corto era anche incredibilmente rivelatore.
Troppo trasparente” pensò infastidito Akito, leggermente su di giri.
 Calma” si raccomandò.
-Allora, dove stiamo andando? – gli chiese Sana incuriosita.
-In un ristorante costoso. Non sono del tutto sicuro che tu abbia scelto l’abbigliamento indicato – la rimproverò, esternando finalmente quel pensiero.
-Tu non mi avevi detto niente. Avrei scelto un altro vestito – lo rimbeccò lei, mettendo su il broncio ed incrociando le braccia al petto.
Si accoccolò ancora di più nel sedile e guardò fuori dal finestrino. La città scorreva veloce sotto i suoi occhi e le luci di alcuni negozi cominciavano ad accecarla.
“Come se l’avessi scelto io il vestito” si ritrovò a pensare ironicamente “Dannata Fuka”.
 
Quando arrivarono, Akito abbandonò l’auto in un posteggio alle spalle del ristorante. Sana aveva avuto la malaugurata idea di indossare i tacchi e quando si ritrovò a camminare sul selciato di ghiaia, barcollò. Akito la sorresse, passandole un braccio intorno ai fianchi e Sana arrossì, voltando il capo in modo da nascondersi da lui.
- Kurata, indossi i trampoli e poi non riesci a stare in piedi – le disse scherzosamente, il tono di voce ricolmo di dolcissimo miele.
-Taci Hayama – sbottò lei, scostandosi da lui quando furono davanti alla porta del locale – Fuka mi ha obbligata a conciarmi così, fosse stato per me un paio di  pantaloni ed una felpa sarebbero stati più che sufficienti  -
Akito annuì, aprendole la porta. Ad accoglierli trovarono un cameriere tutto in tiro che per prima cosa rivolse a Sana uno sguardo di puro interesse: che avesse riconosciuto in lei la famosa attrice, o che fosse semplicemente sconvolto dall’abitino osceno che indossava? Difficile dirlo.
-Buonasera signori – fece quello, inchinandosi lievemente davanti a loro.
-Ho una prenotazione a nome Hayama – fece Akito, formalmente. Il cameriere spulciò in un squadernino rilegato in una copertina lussuosa di velluto rosso, prima di accompagnarli al tavolo.
- Akito – lo chiamò Sana sotto voce, afferrandolo per un braccio e facendo in modo che il suo orecchio si avvicinasse alle sue labbra – Ma dove diavolo mi hai portata? Qui sono tutti ricconi, mi sento come un pesce fuor d’acqua – sbuffò.
Akito sollevò un sopracciglio – Preparano il sushi migliore della città in questo posto. Per questo ti ci ho portata. Ignora tutta questa gente e pensa a mangiare
Com’era bello notare quanto Akito si preoccupasse delle cose davvero serie.
-Sei davvero un idiota Akito – gli disse Sana, per tutta risposta, accomodandosi sulla sedia che Akito, scherzando e sorridendo, le aveva scostato dal tavolo.
Accanto a loro stava un enorme vetrata dalla quale Sana poteva intravedere tutta la città. Una miriade di luci costellavano quell’immenso deserto di velluto blu, come stelle nel cielo.
Sospirò.
-Che cosa cucinano di buono qui, oltre al sushi? – chiese acidamente al ragazzo di fronte a lei, che già aveva adocchiato una portata di delizioso cibo al tavolo accanto a loro.
Intercettando il suo sguardo, Sana alzò gli occhi al cielo.
-Allora?-
Akito parve riprendersi – Eh? Non lo so... Prendi il sushi no? –
Sana storse il naso – A me non piace molto il sushi –
-Ho sempre pensato che non fossi normale –
Sana nemmeno si arrabbiò – Solo perché una cosa ti piace da morire, non vuol dire che deve essere così per tutto il resto delle persone –
-A me il sushi non piace da morire. Diciamo che non mi dispiace
-Il che, secondo i tuoi canoni, è la stessa identica cosa –
Akito parve leggermente indignato.
Sana scorse velocemente il menù, cercando di trovare qualcosa che potesse attirarla. Aldilà del fatto che una portata equivaleva al suo stipendio di un mese, si trattava di cibo così elaborato e delicato, che probabilmente si sarebbe alzata nel cuore della notte affamata.
Sbuffò – Vabbè, ho capito, prendo il sushi anche io –
Akito inarcò un sopracciglio (il suo equivalente di un sorriso) – Benone! –
-Vado un attimo in bagno Akito –
-D’accordo –
 
*
 
Okay, doveva calmarsi. Non tanto perché, dopo aver visto Akito con quella camicia così scura che gli stava fin troppo bene, il suo cuore aveva cominciato a battere troppo velocemente. Più che altro perché ora rischiava l’arresto cardiaco.
“Ma si può sapere come ho solo potuto pensare di uscire a cena con Akito?” pensò, mentre si sciacquava le mani e lanciava una veloce occhiata allo specchio che ricambiava la sua immagine sconvolta.
Voglio andare via di qui” si disse, cominciando a camminare avanti e indietro per il bagno. Una mamma, con la sua bambina, che stava aspettando il suo turno per poter usufruire del bagno, la guardò con interesse.
Evidentemente osservare una squinternata che parlava da sola e che camminava in preda al panico per il bagno, doveva essere qualcosa di estremamente divertente.
Sana sospirò e le sorrise – Mi scusi. Sono un po’ nervosa –
La donna parve comprendere il motivo di tutta quell’agitazione e le sorrise – Si figuri. Questi posti mettono davvero molto in soggezione –
Sana non poté che essere d’accordo – Si. Il mio amico avrebbe potuto avvertirmi che si trattava di un posto così di lusso –
-Parla di quel biondino seduto al tavolo insieme a lei –
Cavolo, Akito ormai faceva colpo anche sulle donne di mezza età. Sana impallidì e faticò a trattenere una risatina. – Si –
-Credevo fosse suo marito
“Addirittura? Non sono ancora così disperata” si disse Sana – Ma quale marito. È solo un amico! –
Ecco, decisamente non capiva la necessità di dare spiegazioni ad una perfetta sconosciuta che tra l’altro aveva appena dimostrato di essere una ficcanaso di prima categoria.
-Le chiedo scusa, ma dal modo in cui la guardava… -
Sana non ne poté più. Scosse la testa e si avviò verso la porta del bagno, indignata – Ora devo andare, credo che sia pronto da mangiare – spiegò. Rivolse un sorriso luminoso alla bimba che la guardava con gli occhioni sgranati  - Buona serata –
Ecco, decisamente non andava bene.
-Dannato Akito – ringhiò tra i denti, mentre si avvicinava al tavolo dove lui stava gia gustando il suo sushi – Adesso la gente mi scambia pure per sua moglie. Ma che diavolo avrà poi da guardare? –
Detto questo, passò accanto ad un cameriere che sentendola parlare da sola e con quel linguaggio così colorito, le rivolse uno sguardo di puro biasimo.
Sana lo ignorò “Ci mancano giusto i camerieri che mi fanno la paternale adesso”.
Quando si sedette al suo posto, Akito nemmeno notò lo sguardo omicida con cui lo aveva appena squadrato.
Dannato Akito. Arriverà il giorno che me la pagherai per tutti i guai che mi procuri. Speriamo che questa serata finisca presto…”
Cominciò poi a mangiare, ignorando la vocina dispettosa che si prendeva gioco di lei nella sua testa.
“Continuando a dire bugie, ti crescerà il naso Sana…”
 
*
 
 
La serata era giunta al termine. Finalmente, aggiunse Sana con un certo sollievo.
Akito la stava riaccompagnando a casa, la vita frenetica della città che li circondava si rifletteva su di loro con le sue mille luci  in un turbinio di emozioni.
Quando arrivarono davanti al palazzo di Sana, da un localino di fronte una tromba diffondeva la sua gradita melodia nell’aria circostante, catapultandoli in un immagine che assumeva i tratti del ricordo nel momento stesso in cui veniva vissuta.
Akito sospirò – Non ti va di andare a bere qualcosa Sana? –
Lei scosse la testa – No ti ringrazio. Questa mattina mi sono alzata presto per lavorare alla tesi e sono un po’ stanca – gli disse, abbozzando anche un sorriso.
Quando voleva, Akito sapeva essere gentile. Davvero tanto gentile.
-Come vuoi – le rispose, facendo spallucce.
Sana si voltò a guardarlo e fu in quell’istante che con gli occhi lui la incatenò a sé. Lei era semplicemente paralizzata, mentre lui allungava le mani per accarezzarle la pelle nuda e morbida delle braccia. Akito sospirò.
-Allora ti auguro buonanotte – le disse lui, sempre fissandola negli occhi con il suo sguardo magnetico. Con le nocche delle dita le sfiorò una guancia e Sana socchiuse gli occhi come un gatto che fa le fusa e che viene accontentato dal suo padrone.
-Si – fu la sua risposta, sussurro che il vento trasportò con sé, avvolgendolo con tutto il suo profumo. Dolce.
La parte ancora cosciente della mente di Sana avrebbe voluto dirgli che oltre alla buonanotte, desiderava anche un bel bacio, che potesse aiutarla a conciliare il sonno.
Peccato che più della metà del cervello di Sana – le cui dimensioni, disgraziatamente, erano alquanto ridotte – fosse in preda di un insulso languore che non si seppe spiegare.
Akito fece scivolare le sue mani lungo i suoi fianchi, accarezzandoli e saggiandone la morbidezza.
Un altro sospirò del ragazzo si dissipò nell’aria. Il gemito roco che ne seguì colpì Sana come una stilettata in pieno petto.
-Sana… - cominciò lui, mentre avvicinava il suo volto a quello della ragazza. Si fermò ad un soffio dalle sue labbra – desiderio si, ma non la voglia di concedersi così facilmente – per poi bloccarsi e voltare il viso per bersagliare la pelle soffice delle guance.  
Le lambì con una dolce carezza di labbra esperte ed Akito sorrise tra sé compiaciuto quando sentì il sangue affiorare in superficie facendole surriscaldare la pelle che lui stava baciando con una lentezza esasperante.
Sana socchiuse le labbra, ancora con gli occhi sigillati, ed ansimò.
Akito avvertì un brivido lungo la schiena e scese a baciarle, con lentezza, dolcezza, desiderio, la pelle delicata del collo.
Sentì le dita di Sana tremare e poi le sue unghie artigliargli la stoffa della camicia all’altezza delle spalle. Sapere di averla completamente sotto il suo controllo lo faceva scoppiare di gioia.
Akito si scostò con gentilezza dal suo collo, riportando le labbra a pochi centimetri da quelle di Sana. Inconsciamente lei si alzò sulla punta dei piedi, pronta a ricevere il suo bacio, agognato, desiderato, maledetto, mantenendo ancora gli occhi chiusi per potersi godere tutte quelle magnifiche sensazioni che lui le stava regalando. Senza fare quasi nulla.
Ma Akito le scostò le mani dai fianchi e, prima di allontanare il volto dal suo, le sussurrò un caldo – Buonanotte Sana – che andò ad infrangersi sulle sue labbra tremanti, diffondendosi in tutto il suo corpo con una scarica elettrica.
Poi si allontanò da lei e Sana riaprì gli occhi per capire cosa stesse succedendo. Lo osservò e lui ricambiò il suo sguardo con una punta di scherno nascosta tra le ombre dei suoi occhi.
-Ci vediamo Kurata – le disse semplicemente, prima di voltarle le spalle e di prendere la strada di casa.
Sana rimase ad osservarlo impietrita, mentre si allontanava, non ancora completamente cosciente di quanto fosse arrivata a desiderare che lui la baciasse e, chissà, che la trascinasse anche in camera sua, sul suo letto.
Quando la sua mente fu abbastanza lucida da poter pensare razionalmente, Sana scosse le spalle.
-Dannato Akito – ripeté ancora, per la centesima volta in quella giornata così dannatamente calda. Cercò le chiavi di casa nella borsetta ed aprì il portone – Me la pagherà, fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia –
 
One of these days maybe your magic
won’t affect me
And your kiss won’t make me weak
But no one in this world knows me
the way you know me
So you’ll probably always have
a spell on me.
        Hate that I love you – Rihanna ft. Ne-Yo
 
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Eccomi qui ragazze. Scusate il ritardo, ma giusto ieri ho avuto il colloquio – dannata maturità – e quindi non ho avuto molto tempo per rivedere il capitolo prima di postarlo – come si dice? Ah sì, dovevo studiare. Perdono.
Comunque non ho molto tempo per ringraziare singolarmente una per una ognuna di voi – sapete quanto ci tenga a scrivere i ringraziamenti, ma stavolta ho preferito postare il capitolo perché ero già in ritardo. Anche perché non sto proprio benissimo : già, dopo un periodo di stress a me sale la febbre. Dal nervoso. Mi è successo quando ho preso la patente e prevedevo sarebbe successo ancora. Amen.
 
Passando al capitolo : lo odio. Cioè è forse il capitolo più brutto di tutta la storia fin’ora scritta, ma mi direte voi.
 
Comunque sia un grazie a :
 
roby5b,  _DaNgErOuS_ChIlD_ , Midao (ho visto che hai scritto una nuova fan fiction. Dammi tempo e volerò a leggerla), Deb (risponderò anche a te, nella prossima recensione che ti lascerò), marypao, Castiel (per questo capitolo niente canzone ._. ) , dancemylife, _Rob_ , Ili91 (gli esami come procedono? Alla fine che traccia hai scelto per la prima prova?), ryanforever, morgana85 (*-* ma grazie!), Smemo92, fragolina92, yesterday (troppo contenta che il capitolo ti sia piaciuto così tanto, toglierò anche le virgole. Mi vengono in mente certi discorsi : c’è chi le usa proprio e chi pensa che la punteggiatura sia un’opinione. Devo rileggerli seriamente ‘sti capitoli!).
 
Penso che a questo punto ci risentiremo tra una settimana – Kim permettendo, visto che è lei a decidere quando devo postare perché non riesce mai a recensire ._.
 
Adesso vado sul serio.
 
Un bacione a tutte ragazze
 
Ale69
  
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