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Autore: BigMistake    01/07/2010    2 recensioni
Dal Prologo: "Un nano ed un elfo, in groppa allo stesso destriero. Definire tale cosa rara, sarebbe soltanto blasfemia. Eppure successe alla fine della Terza Era, quando la Quarta albeggiava altisonante sulle teste della Terra di Mezzo. [...] Proprio in quel viaggio conobbero, a caro prezzo un popolo nascosto, Gwath - Ombre, venivano chiamate, e si mostravano come spettri nella notte. Mai avevano agito al di fuori delle loro terre, ma i tumulti che avevano scosso Mordor e tutti gli abitanti delle Terre dell’Est, ovviamente le avevano costrette a “cacciare”, se così possiamo definire la loro una caccia, ben oltre il loro piccolo recinto fatto di alberi e oscurità." Sarìin, il bardo racconta una storia agl'avventori di una taverna, i cui protagonisti presero parte alla Compagnia che salvò la Terra di Mezzo da un'imminente fine. Grazie per la vostra attenzione e buona lettura!
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO X: Meleth a Glâm. 

Legolas arrancava in quel corridoio lungo ed interminabile. Le guardie, sue odierne custodi, lo affiancavano con una mano sull’elsa delle loro spade pronte a trafiggerlo se si fosse ribellato. La fiala che gli aveva consegnato Raja, restava ben nascosta tra le pieghe dei ricami argentati delle sue vesti. Uno strano silenzio assordante regnava sovrano fra le stanze del Palazzo Oscuro. Ed era in quel compresso frastuono fatto di mutismo che il pensiero di una fulgida stella deturpata della sua virtù trovava spazio. Per Legolas niente era più importante che arrivare presto a lei per strapparla dalle mani del signore Variag prima che si riappropriasse disonestamente della purezza del suo fiore d’inverno. Ogni porta era segnata dal suo udito alla ricerca di un suono familiare, una prova indiziaria di dove avessero portato la sua piccola Guaritrice. Tirînir la dolce ragazza che lo aveva salvato dalla morte estraendo quella freccia, Tirînir che era pronta a sacrificarsi per lui e per Gimli, Tirînir che addosso aveva le mani di un uomo ignobile.

La vendetta sul bilico della completa perdita per una ragione ben più importante della Sorte della Terra di Mezzo. Ebbene si miei signori, per Legolas, Adamante, era talmente importante da governare assolutamente le sue azioni ed ogni suo timore era stato trasmutato in qualcosa di più elevato della semplice sopravvivenza. Tutto votato a colei che aveva deciso di irrompere nella sua anima, immobile da troppo ormai per saper resistere al richiamo che aveva scatenato. Il tesoro più prezioso custodito tra le morbide mani di una giovane mezzelfa che aveva risvegliato in lui le sensazioni umane di amore e collera. Il dolce dissanguamento provocato dalla passione imperante, che aveva deciso di travolgerlo come una tormenta trovatosi ad affondare nella neve bianca, pallida, dagli occhi dei caldi colori autunnali e dai capelli morbidi e setosi come le onde del grano in balia del vento, lo stesso vento che quella sera era intriso del sapore agro della rivolta. Lo aveva avvertito dagl’alberi con il loro percuotere le fronde in una lenta armonia che preannunciava il dissestamento delle acque, lo aveva sentito nel nitrire confusionario dei cavalli che avevano iniziato a scalpitare non appena il sole aveva ceduto le armi nascondendosi dietro la coltre notturna, quando l’opalescente albore lunare aveva preso il posto della irradiante stella del giorno.

Il rumore del chiavistello innescato dietro le sue spalle lo fece voltare. Perso nei suoi pensieri non si era ravveduto di essere giunto a destinazione. Inavvertitamente si portò una mano dove serbava l’importante fiala che avrebbe dovuto riversare nella coppa. Ripercorse mentalmente la poesia ben attento a non dimenticare alcun particolare. Le ciglia calarono sugl’occhi perdendosi in un sospiro. Ecco che l’artista doveva trovarsi di fronte ad un pubblico composto da una sola persona, importante come un’intera platea di studiosi.

“Bene Legolas Thranduilion, siamo giunti finalmente allo Yavieba, presto potrai tornare alla tua casa!” la voce di Callial aleggiò calda, tra le tende del giaciglio adornato da soffici cuscini e morbide lenzuola di seta. La donna era totalmente diversa da come l’aveva vista fino ad allora: i lunghi capelli corvini ricadevano in spirali contorte sul viso dai lineamenti marcati, le perle d’onice velate da un’espressione stranamente serena, le prorompenti forme coperte da dell’organza con orpelli d’argento. Era in piedi vicino ad una tavola dove stava mescendo da una brocca del vino di mosto.

I calici dalle manifatture identiche si differenziavano per un unico ed irrilevante dettaglio: da una un olezzo dolciastro di un filtro soporifero veniva emanato. Non l’avrebbe mai avvertito se non avesse prestato la giusta attenzione, il sapere del loro tentativo di irretirlo con  un intruglio come aveva fatto in precedenza con Helluin, l’aveva reso più accorto a quel tipo di sensazioni. “Dopotutto non sono così crudele come cercano di farmi passare, principe!” disse mentre riempiva la seconda coppa, quella destinata a lei. Sollevò una delle due con delicatezza, porgendola poi verso l’elfo, il quale ancora preservava il silenzio. Legolas accettò di prendere il calice, chinando gli occhi verso il basso come ringraziamento. “Siete così di poche parole principe? Eppure non mi era sembrato con mia sorella!” quell’affermazione sorprese e non poco l’elfo, che senza rendersene conto sgranò gli occhi palesando il suo stato d’animo. Callial voltò per un attimo il viso verso l’apertura che dava all’esterno, distratta da uno strano fragore improvviso ma, che per il suo repentino svanire, divenne subito dimenticato dalla Spietata erede al trono. “Molti mi credono una povera pazza. Quello che non sanno è che sono una povera pazza! Ma la follia è rivelatrice e questo mi ha portato a vedere ben al di là del vostro squallido tentativo di mascherare tutto quello che stavate covando.

 “Mio caro elfo …” disse quasi con un tono crudele, come se sputasse quell’ultima parola con odio. “Voi non avete idea di cosa avete portato via a questo mondo! Adamante era una risorsa, una grande futura Regina, la degna erede del trono di Amarah la Sovrana! Ma non sapete che la sfortuna più grande è stata quella di avermi come sorella! La sua vita è stata condizionata dalla mia presenza, che lei lo volesse oppure no! La mia piccola sorellina tanto amata da tutti persino da me!” le sue iridi scure si soffermarono sul viso dell’elfo che si sentì mosso dallo sdegno. L’amore professato con tale facilità verso colei che era stata rovinata da quello che Callial cercava di ottenere con la forza a suo discapito, gli sembrava assurdo e privo di ogni senso logico.

 “Come potete affermare di amarla se cercate in tutti i modi di nuocerle solo per affermarvi?” chiese con sprezzo.

 “Non è semplice amore quello di cui parlo principe …”ammise candidamente avanzando verso Legolas. La situazione stava assumendo sempre più una connotazione surreale, quella confessione arrivava fulminea e spaventosa. “ La odio profondamente e la amo come se fosse la stessa aria necessaria a farmi vivere! Lei è mia sorella e non riesco ad ucciderla assicurandomi tutto quello per cui sto lottando: il mio diritto al trono!” afferrò la coppa bevendo con grandi sorsate il suo contenuto. “Amore e Odio: due sentimenti contrastanti, ma con differenze così sottili da camminare sul filo di un rasoio talmente tagliente da graffiare la mia pelle. E la vostra a quanto pare …” posò il calice, che con un tintinnante crepitio scivolò sul tavolo fino a cadere in terra. “Riconosco i segni, voi avvertite le mie stesse sensazioni! Amore ed Odio, tutte governate da una nuova passione così estranea a voi priminati da togliere ogni certezza, da invertire le priorità …” le bastò un passò per arrivare sotto il mento di Legolas che non riuscì a sfuggire a quel gesto che lo aveva colto impreparato. Callial prese la coppa tra le mani rimanendo con gli occhi ancorati a quelli cerulei dell’elfo che invece provava a rifiutare con riluttanza ogni approccio allusivo. “ La amate ma la odiate per quello che ha provocato, per quello che è riuscita a fare con la sua troppo perfetta esistenza, con la sua impeccabile etica e senso di giustizia, con tutte quelle caratteristiche che io non ho e non avrò mai perché la mia mente è avvelenata!” sospinse il calice verso le labbra dell’elfo.

Tutto tacque. Solo i loro respiri erano sospesi in  quella distanza sempre più infinitesimale. Il freddo metallo del calice era così prossimo, che il fiato irrorato dalla bocca dell’elfo si condensava sul suo orlo. Non voleva berne il contenuto, non ora che Callial dimostrava di sortire gli effetti del filtro creato attraverso il suo sangue. Gli occhi scuri iniziarono a vagare confusi nello spazio che la circondava, la testa vorticava attraverso il senso dilatato del tempo, le mani cedettero alla morsa tremanti cercando di sorreggere il capo sfarfallante di pensieri. “Cosa mi avete fatto elfo?” arrancò fino al letto dove cercò un appiglio per sorreggersi il più possibile. L’elfo posò il calice e la fiala, che ormai vuota giaceva nella sua mano. S’accostò alla donna in evidente difficoltà quando un gran frastuono di voci ed uno sciamare di luci proveniente dall’esterno catturò la loro attenzione.

 

Le alte stelle prive della loro luce offuscate dalla lattiginosa luna, erano nascoste dal velo oscurato della notte. Attesa. Questo si ripeteva Adamante dalla sua camera, attrezzata per accogliere gli obblighi di una Gwath ingiuriata dalle calunnie della strisciante procacciatrice di potere e ricchezze. Ma a quale supremazia si era votata la Consigliera se non un’ombra di quel potere che vbramava, la stessa ombra proiettata in terra come riflesso di una diversa luce, la stessa Ombra che ora attendeva il proprio Destino fatto di rinunzie e sacrificio. Pazienza. Non le era mai mancata fino ad allora, ogni singolo momento passato instillava il dubbio e la paura, nemici giurati della costanza e della calma, necessarie alla freddezza per superare quella notte chiave di volta dell’arco celeste sopra alla propria testa. Il drappo buio imbiancato dall’algido cerchio rifulgente presto avrebbe contato un nuovo astro, bianco e pallido come una gelida mattina del primo inverno in cui ancora un timido sole poteva riflettere i suoi raggi sui giovani cristalli della novella neve. Adamante figlia di Amarah voleva sposare la vita a cui il padre voleva indirizzarla. La sua indole, il suo aspetto, la sua intrinseca saggezza, appartenevano a qualcosa di più elevato. Aspirava ad essere migliore, diversa, affine alla sua natura, non riadattata ad un mondo ancora troppo vincolato alla segretezza per esistere fuori da quegl’alberi.

La foresta era scossa da una rovente brezza dell’Est, i rami frusciavano tra di loro parlando una lingua ancor più antica di quella delle Amazzoni, trasportavano nel vento l’aria di tempesta della Città Bassa. I polmoni della Guaritrice si riempirono del temporale nato dalla sua indole liberta, uno spirito vivido e folgorante di una scia lasciata nel momento più oscuro vissuto dalla giovane mezzelfa. Il brusio della natura era l’accompagnamento all’epidemia salubre che aveva iniziato il suo lento decorso attraverso gli spiriti indipendenti delle Ombre. Togliersi dei vessilli del rigore per lasciare spazio alla libertà di pensiero e parola.

 “La mente troppo impegnata nel pensiero saggio non lascia spazio alla soddisfazione di sé stessi!” Adamante poteva distruggere barriere, scuotere come un terremoto le fondamenta radicate nel tempo, ma non poteva sfuggire al Fato che ogni volta si presentava come un esattore a riscuotere il fio. Non si voltò per conoscere la provenienza di quel proferire profondo come una pozza già prosciugata, un appena accennato specchio d’acqua in cui solo la pianta del piede poteva trovare ristoro. Il suo padrone era colui che si proclamava Destino.

“Sempre che la soddisfazione di sé stessi non consista nel pensiero saggio, a quel punto affidarsi alla propria contemplazione dell’essere non può che essere appagante!” rispose ostentando indifferenza. L’uomo non si faceva intimorire da quell’atteggiamento così scostante e intollerante. Anzi quell’aspetto così inflessibile lo aveva affascinato sin dal principio.

“Adamante …” sospirò mentre le mani vagavano sui lacci che tenevano ferma la casacca rossa come il sangue versato attraverso le sue armi. “Quanto ancora i tuoi sogni cercheranno di farsi strada nella realtà! La fantasia è una meravigliosa ancora di salvezza ma …” il fruscio della stoffa che si accasciava a terra si uniformava a quello delle tende che fluttuavano al tocco della corrente. “ … rimane pur sempre una mera chimera!” i tonfi sordi delle scarpe contro il pavimento erano il segno che stava avvicinando ad Adamante che ancora osservava l’indomita foresta. Kudrem afferrò fra le dita una ciocca osservando i segni roventi del passaggio della frusta e si attardò nell’inspirare l’inebriante aroma emanato dai capelli, gesto troppo audace ed intimo che alla Guaritrice prese alla gola con un moto di disgusto. “Adamante, cosa avete combinato di tanto grave?” chiese con un tono di falsa cortesia. La fanciulla s’irrigidì non appena senti il riverbero del troppo concitato respiro dell’uomo sulla sua pelle, che armato con più audacia scostò i lunghi capelli esponendo il collo candido. “Dovreste essere più accorta in ciò che fate!  Per esempio è imprudente esporvi così verso l’esterno: la volubile e gelosa Luna vi osserva, potrebbe esternare la sua invidia per la vostra bellezza. Siete così unica nel Rhûn Adamante, con i vostri occhi caldi e confortanti, questi serici capelli dorati e questa pelle così morbida e fragrante da ubriacarmi!” Kudrem non pago di quel appena percepibile contatto, iniziò a carezzare lascivo il solco quasi del tutto cicatrizzato che dalla spalla conduceva al centro della schiena. “Mia bella e dolce Ombra!” sussurrò con le labbra in procinto di affondare sull’estremità della clavicola poco sopra la spalla. Prima che ciò potesse avvenire la Guaritrice si voltò con uno scatto trovandosi faccia a faccia con l’uomo. Il torace scolpito dal duro allenamento era del tutto spoglio, lasciando scoperti i muscoli torniti e fiorenti del busto, segnati da cicatrici di lotte e battaglie cruentecome il suo animo. Adamante non si fece intimidire da questa nudità palesata solo per provocarle una nota d’imbarazzo, era ben attenta a non mostrarsi una facile conquista come era sempre stata. Lei questa volta voleva combattere per sé ma soprattutto per Legolas.

“Attento Kudrem, non avete detto che la fantasia è una mera chimera?” disse ssostenuta. Odiava quella vicinanza costrittiva a cui la stava sottoponendo, la soffocava togliendole il respiro. “Non  sono e non sarò mai vostra!” la fanciulla aveva intrapreso un passo indietro chiudendo i pugni lungo i fianchi, rendendo così evidenti i primi segni di frustrazione. Non sopportava il sorriso sadico e soddisfatto del Signore della Guerra e non aveva alcun intenzione di tollerarlo ulteriormente. Raggiunse il centro camera, superando la figura dell’uomo come se non esistesse, quando invece un sempre più pago Variag aveva preso a studiare le mosse della giovane Guaritrice. 

“Permettetemi di dissentire, voi siete mia e lo sarete per tutta la vostra esistenza!” sentenziò, cercando nuovamente di intercorrere quella linea divisoria ben demarcata dalla guaritrice. “Ho saputo che Amarah vuole cedervi ai Variag come pegno, certo mi domando cosa può aver spinto la Sovrana a volersi liberare della sua preziosissima figlia, eravate l’unica speranza per lei di un trono privo di corruzione della mente …” con l’ultimo passo superò il confine. Fra gli uomini di certo le razze del sud non potevano vantare altezze sovrastanti, ma la ragazza in confronto a lui pareva ridimensionarsi. Kudrem fremeva nel toccare Adamante, che immobile fissava con aria di sfida l’uomo. Azzardò a sollevare una mano arrivando a sfiorare con i polpastrelli la vellutata pelle che le ricopriva la mascella, lei non si mosse sottoscrivendo un tacito invito a continuare in quella direzione. “Devo confessarvi che avervi come mia schiava mi rende molto più impaziente di come già ero, conoscete i miei capricci e sapete bene che quando voglio una cosa non riesco ad attendere molto per afferrarla!” la Guaritrice si sentiva violata, considerata come un oggetto da prendere ed usare al piacimento del Signore Variag. Schiaffeggiò con stizza la mano di Kudrem allontanandola con tutta la violenza di cui era capace, per poi indietreggiare stabilendo nuovamente un nuovo limite fittizio. “State arrossendo Adamante!” disse con fare compiaciuto. “Ma non è vergogna, no! Questa è collera, sana e pura collera! Come siete cambiata dal nostro primo Yavieba! Voi eravate così smarrita, siete entrata nella stanza con l’aria di essere totalmente inconsapevole, dolce e tenera come un agnellino alla mercé del lupo. Anche quella volta il vostro viso si era imporporato ma per timidezza quando i vostri occhi hanno incontrato ciò che era un giovane uomo!” 

“Sono passati molti inverni da quel giorno e spesso ho curato le ferite dei vostri commilitoni nei viaggi che vi hanno condotto qui! Non provo vergogna nel guardarvi, per me siete come qualsiasi altra persona!” rispose Adamante. Sentiva il sangue ribollire tra le viscere, l’ira dominare incontrollata ogni suo pensiero.

L’istinto era quello della bestia che ognuno di noi cova, quando la sua chiamata sale fino ai complessi viluppi della mente nulla può contrastarla, nemmeno l’indole calma e posata della luce degl’Eldar. I muscoli delle membra erano contratti fino al dolore, ogni cosa della Guaritrice esprimeva la sua ostilità nei confronti dell’uomo. Si era preparata a lottare, qualunque cosa avesse voluto il signore della Guerra non l’avrebbe ottenuta se non dopo aver duellato.

 “Vedo con piacere che nutrite una certa avversione verso di me!” disse Kudrem, innalzando un angolo della bocca in un ghigno di compiacenza. 

“Non trovo quale piacere possa esserci nell’essere odiati!” rispose arcigna Adamante.

 “Non sapete che amore e odio sono due sentimenti che possono confondersi per quanto si somigliano!” la saccenza con cui si esponeva era irritante al pari dei suoi gesti. “Entrambi forti e prorompenti riescono a sconvolgere ogni propria certezza, annebbiano le capacità di raziocino e vengono guidati dalla medesima passione!” Kudrem non demorse spostando nuovamente il peso in avanti e curvandosi verso la fanciulla, la quale non accennava in alcun modo ad assecondarlo.

 “Questi sono solo vaneggiamenti!” quasi fu un grido quello della Guaritrice, un verso di un animale che avvisa il suo nemico di allontanarsi. Ma Kudrem che aveva un senso alterato del termine invito, afferrò il corpo di Adamante premendolo contro il suo e si avventò sulle labbra della ragazza con la forza. Teneva la nuca stretta nella sua mano, la vita avvolta dal suo braccio, mentre la ragazza cercava di divincolarsi muovendo esagitata le gambe e sospingendo con le braccia le nerborute spalle dell’uomo, troppo vigoroso nella sua morsa.

La pelle ispida della barba di un giorno graffiava quella del viso della Guaritrice, che desiderava sempre più ardentemente di discostarsi da Kudrem che invece l’avvolgeva sempre con più energia, fino quasi a farle mancare l’aria. Doveva agire ed in fretta, visto che il viscido Variag tentava di approfondire quel contatto forzato.

“Ah!” gridò l’uomo, rilasciando improvvisamente il corpo di Adamante e portandosi le dita sul labbro inferiore da cui un rigolo cremisi aveva intrapreso il suo percorso verso il terreno. La Guaritrice era rimasta ansante, alla ricerca dell’ossigeno perduto nella stretta, in piedi di fronte a lui tenendo i pugni chiusi e sollevati in posizione di attacco. Era pronta anche ad affrontarlo in un corpo a corpo in cui lei sicuramente ne sarebbe stata sconfitta. Intanto il Variag si osservava le dita sporche di sangue proveniente dalla sua mucosa, dove il morso della ragazza aveva lacerato le carni più deboli. Sputò quello in eccesso per paura di strozzarsi e poi guardò Adamante stupito. Piacevolmente stupito. Era un nuovo gioco per il Signore Variag, mai nessuno si era dimostrato tanto coraggioso da sfidarlo così apertamente come stava facendo quella piccola ragazza. Ma la cosa che più lo eccitava era il premio che avrebbe ottenuto alla sua favorevole vittoria. “Bene Guaritrice, questo è lo spirito che ricercavo in voi! Il vostro sapore è il migliore che abbia mai gustato e con il sangue è ancora più buono! Che la partita inizi allora, se è questo quello che volete sarò felice di accontentarvi!”. 

 

Gli sbuffi seccati dalla noia dell’attesa trovavano eco nella desolazione delle prigioni. Da quando era rimasto solo, Gimli, non aveva fatto altro che percorrere tutte le diagonali possibili della sua cella. Attendeva che qualcosa mutasse da quell’unica finestra che la natura stesa gli aveva concesso. Erano passate ore a dir poco, la notte aveva deciso di sommergere tutti con il suo manto scuro e la luna, al principio della via della decadenza, deformava con la sua lucente purezza i colori e le ombre. Non aveva assolutamente idea di come avrebbero potuto liberarlo ma di sicuro quella donna sapeva il fatto suo. Si disse altresì che forse stava davvero invecchiando, un tempo era molto più diffidente e avrebbe visto un probabile tornaconto nel gesto compassionevole di Raja. 

“Da quando sono diventato un amico degl’elfi mi sono un po’ troppo ammorbidito!” affermò serio nella conversazione che aveva intrapreso nella solitudine in cui era ripiombato. Le mani avevano iniziato a prudergli d’impazienza, doveva assolutamente ricongiungersi con la sua ascia e la sua armatura.

Dal giorno in cui aveva curato Adamante, Raja non si era più ripresentata nelle prigioni e ciò creava ancor più confusione nel nano che non riusciva ancora ad unire i tasselli utili alla sua fuga. Il suo continuo rimuginare e borbottare era diventato un costante brusio, interrotto solo dal agitarsi di voci provenienti dall’esterno. Quello era il primo vero segnale del tumulto. Il nano si precipitò alla consueta fessura sbirciando verso fuori  per comprendere al meglio ciò che stava accadendo. La folla di donne riunita dietro a Raja marciava verso la radura come una pattuglia inviata in una spedizione. Imbracciavano torce e armi, forse solo utili alla minaccia. Gimli non aveva una visione completa del numero effettivo, ma dalla sua visuale poteva contare almeno cento elementi tutte abbastanza in forze, nel fiore della loro vita. Erano in molte ma si muovevano in sincrono, le gambe poste in file parallele viste di profilo erano riunite in un’unica marcia. L’avanzata della Città Bassa si arrestò dopo che la Storica sollevò il suo pugno indicando l’ordine di fermarsi. Contemporaneamente le Gwaith tacquero.

Le guardie che si trovavano all’ingresso nascosto nella corteccia di Agalath non reagirono alquanto sorprese dalla mole di persone presentate nella radura. Amarah e Geldena ,riunite in consiglio mentre i rituali dello Yavieba dovevano compiersi, furono attratte da tale scalpore creato nel palazzo. Si vociferava che tutto era stato sovvertito, che c’era un muro di gente all'esterno del palazzo pronte a dare battaglia. Entrambe le Ombre si proiettarono sul piccolo dirimpetto della stanza del trono e quello che si palesò di fronte ai loro occhi aveva dell’incredibile. Quelle donne dovevano adempiere ai loro doveri di madri, rinchiuse nelle loro case a creare una nuova generazione di Amazzoni ed invece erano lì di fronte a lei pronte a ribellarsi alla legge, a dare battaglia alla propria sovrana.

“Cosa vuol dire questa pazzia? Cosa sta succedendo? Dovrebbero essere in compagnia dei Variag cosa significa tutto questo? ” chiese Geldena agitandosi da una parte all’altra del piccolo balcone. 

“Chillah …” il debole bisbiglio di Amarah nascondeva una sorta di soddisfazione, nella sua credenza che effettivamente la sua piccola gemma era la miccia del furore del popolo. Osservava il formicolio delle torce, quel popolo che si muoveva dopo quelle sue parole pronunciate prima di diventare carne da macello. Amata così tanto che dalle sue labbra dipendeva il futuro stesso delle Amazzoni pronte a sovvertire i propri credi inculcati dalla loro antica cultura. Gli occhi di Amarah, seppur lontani, s’incrociarono con quelli di Raja. Quanto di quella donna vedeva in Adamante, impegnata sempre nel sostituire la figura che invece lei investiva per pura fortuna. Il suo sguardo colmo di saggezza, conoscenza era l’emblema di ciò che la Sovrana doveva diventare, ma lei molto aveva perso con la severa figura di Regina che aveva costruito attorno a sé. 

“Vado riunire subito le mie guerriere! Questa inaudita rivolta verrà immediatamente soffocata Testar!” disse la Consigliera portandosi il pugno destro al petto ed inchinando il capo. Con due grandi falcate rientrò nella sala ma venne bloccata dall’improvviso diniego di Amarah.

 “No!” disse profondamente la regina continuando a scrutare gli occhi della Storica. Quel silenzio spesso aveva caratterizzato le loro conversazione, non solo una figlia aveva perduto ma anche un’amica, la quale aveva sempre eccelso come suo personale braccio destro. L’algida statua di ghiaccio che freddava gli spiriti del Rhûn, l’intransigente senso del dovere di una Regina incapace di esternare il sentimento naturale verso le proprie figlie, una Sovrana temuta ma non amata. Una Sovrana da odiare per la sua ignava esistenza  sospesa tra il suo volere e il suo agire. Una lotta interiore in cui Amarah usciva costantemente sconfitta, lasciando un’esultante Ombra ad inneggiare alla gloria di una regale stirpe vecchia ed ormai in decadenza. “Geldena il popolo vuole esprimersi è mio dovere concedergli udienza.” Ordinò verso la Consigliera che stava per ribattere con il veleno negl’occhi ma la severa imposizione dello sguardo di una Regina non poteva che far ricacciare tutto ciò che aveva da dire in quell’antro infernale della sua gola. “Porta qui Raja! E Consigliera non disarmatela, non voglio che pensi che io non mi fidi!”

Geldena aveva sempre visto la Regina come una spina nel fianco, l’unica in grado di ostacolare la sua scalata che con tanta pazienza e determinazione stava adempiendosi. Ma non poteva redimersi da un ordine della sua Regina, proprio lei che della conformità con le antiche leggi ne faceva un uso spropositato, diventando l’artefice della rovina delle stesse Amazzoni.  

La camminata malferma di Raja non distoglieva dalla sua presenza così fiera. Era armata come aveva chiesto la regina. I due foderi di cuoio custodivano le due spade sue fide compagne di battaglia, incrociandosi dietro la schiena con cinghie tenute ben salde. Indossava i suoi vecchi abiti di combattente e la cicatrice dava bella mostra di sé, come emblema del sacrificio che aveva compiuto per salvare la figlia. E cosa aveva fatto Amarah per Adamante? Nulla e quel nulla era esattamente ciò che aveva iniziato a logorare la scorza d’acciaio che la rivestiva, un tarlo che si cibava dell’intransigenza della Sovrana. La Regina aveva preso posto sul suo trono posto allo stesso livello dei suoi interlocutori. Un simbolo di parità ed eguaglianza che Artemis aveva voluto. Le sue mani avevano composto gl’intarsi del legno, ricavato dallo stesso tronco di cui erano composte pareti e pavimenti. Ogni figura era la rappresentazione delle virtù di un’Ombra: un giglio era alla sommità della schienale raffigurante la grazia, da esso partiva un nastro che avvolgeva due alberi posti ai lati come colonne e le cui radici erano le fondamenta della seduta stessa; essi erano il duplice simbolo di vita e morte, l’uno con le fronde rigogliose l’altro spoglio i cui rami si fondevano come aculei nelle foglie intagliate nel centro. La vita donata dal grembo di una madre, la morte per proteggere il proprio popolo. Collaborazione nell’intreccio dei loro tralci vi era celata, il ciclo che componeva l’esistenza di una Gwath. Al centro il Diamante, lacrima della sacralità e simbolo di fragilità e forza, ciò che più le rappresentava. Adamante. Fragilità e forza racchiuso nello stesso scrigno.

 “Raja …” sospirò la Regina sorreggendo la testa con la mano, completamente affondata nel suo trono. “Perché mi state facendo questo?” dondolava il capo da destra a sinistra, cercando di scacciare via quel senso di inadeguatezza che sentiva invaderle il corpo. Aveva fallito con il proprio popolo, con la propria figlia.

“Amarah sapete perché sono qui!” rispose la Storica mestamente. Per quanto volesse un cambiamento detestava intralciare quella che un tempo era stata un’amica. L’affetto che le legava era al di là dei doveri di corte, ma quegl’oneri erano la causa del loro allontanamento. Amarah si odiava per come era diventata, oscura e dura come la pietra e con il petto muto da troppo. Incapace di amare. “ Il popolo non è contento! Queste leggi ci stanno costringendo ad una autentica schiavitù!”

 "Voi vi fregiate di portavoce del popolo!” intervenne la Consigliera che aveva improvvisamente sentito l’acqua lambire la propria gola. Le sue capacità di osservatrice le avevano permesso di avvertire la nuova inclinazione della Regina ed aveva realmente paura. “Come vi permettete di parlare a nome di tutte?” la voce di Geldena risuonò per tutta la Sala dove presenti vi erano solo loro tre per volere di Amarah. 

“Io sono una singola voce di una moltitudine! Voi piuttosto, Consiegliera …” l’ultima parola Raja la disse con sprezzo. Per lei quel ruolo, che un tempo era stato suo, veniva ricoperto indegnamente da Geldena. “ … da quanto non fate visita alla Città Bassa? Non siete stata nemmeno presente al capezzale di vostra madre, non sentitevi indignata per un popolo che non apprezzate!”

“Tacete!” tuonò Amarah passandosi il palmo sul viso, lavando via quelle aride lacrime che premevano sulla sua gola. “Tacete entrambe, non siamo qui per rinvangare livori personali! La mia gente si sente oppressa dal mio governo e devo capire in cosa sto sbagliando!”

 “Amarah sapete benissimo in cosa state sbagliando!” rispose prontamente Raja non lasciandosi sfuggire una tale occasione di esporsi.

 “La richiesta che mi fate è assurda Storica!” il tono della Regina reggeva a malapena al peso del rifiuto appena affrontato. Sapeva cosa voleva la sua vecchia amica, ma non poteva più permetterlo ormai.

“No, non è assurda! Dimostrate al vostro popolo che è libero! Lasciate che Adamante possa vivere al di fuori della foresta, lasciate che si unisca alla sua gente! Sapete che questo non è mai stato il suo posto, iniziate con un solo piccolo gesto di compassione ed il resto si costruirà da solo!” la donna si avvicinò con quell’andatura claudicante alla Regina inchinandosi a fatica di fronte a lei. Amarah a seguiva con la coda dell’occhio, cercando di trattenersi dal provare tanto dolore nel vederla così prostrata. Non si era mai prostrata ai suoi piedi, nemmeno quando la devozione nei suoi confronti la spingeva a servirla. Ed ora era lì implorante, con lo sguardo che vedeva nella figlia quando soffriva, pronta ad umiliarsi pur di aiutare la sua gente ed Adamante. “Basta un seme per far nascere un albero, che darà altre sementi e da esse potrà crescere una immensa foresta! Dimostrate che si può cambiare che non siamo schiave del nostro stesso sistema legislativo! Dimostrate che siete pronta a dare al vostro popolo la libertà!” un applauso di scherno partì del centro della Sala, dove Geldena studiava la mossa più atta al sedare quell’aria di tempesta.

“Ma che bel discorso!” disse sprezzante allungando poi le braccia lungo i fianchi, mostrandosi molto più rilassata di quello che in realtà covava. “Peccato che tu trascuri gli accordi con i Variag, non penso che la nostra Regina voglia inimicarsi i Signori della Guerra!” quella era soddisfazione per la certezza di un dissenso nel dubbio del consenso.

“Non ci posso credere!” sbottò definitivamente Raja. “State per vendere vostra figlia a quei mercenari, sapete cosa significherà per Adamante? A cosa la condurrà? Non le avete già distrutto troppo? È necessario camminare sui suoi resti per soddisfare la sete di potere e sangue che vi ha avvelenato?”

“È stata la Guaritrice a scegliersi il suo Destino, non doveva infrangere così apertamente le nostre leggi!” Geldena iniziava a gustare il dolce sapore del trionfo, ne avvertiva l’essenza sulle sue papille gustative, il suo ego s’innalzava con i pugni stretti verso il cielo. La legge sua unica amica era un’altra volta accorsa in sua assistenza.

“Proprio voi parlate di leggi!” ma Raja non era un’inetta, sapeva bene quali sarebbero state le mosse della Consigliera. “Geldena quanto ancora le vostre bugie potranno reggere? Voi forse non contravvenite alle nostre leggi nuocendo ad un appartenente del sangue reale?” chiese con tono compiaciuto del sentiero intrapreso dalla conversazione.

“Ripeto Adamante ha scelto …”

“Io parlo di Callial, Geldena, non di Adamante!” il silenzio non concesse molto tempo alla riflessione. La Consigliera colta impreparata da tale affermazione balbettò, primo sintomo di una sicurezza vacillante. 

“Le vostre sono semplici illazioni e questo è un vero oltraggio!” la paura tornò a governare quella donna dall’apparenza lucida e scaltra. Ebbene signori miei, ella aveva trovato un qualcuno capace di rigirare la lama verso il suo corto collo.

“Attenta a quello che dite Raja, non godete più dell’immunità della corte!” intervenne Amarah, risorgendo da quel torpore provocato dal controverso dibattito tra il giusto e sbagliato, tra l’odio di una vita imposta e l’amore di una vita scelta.

 “Ditemi Geldena conoscete le proprietà del Sangue di Orco?” a quella domanda la fronte della Consigliera s’imperlò di sudore freddo. La sua bocca iniziò a tremare e le pupille a dilatarsi per il terrore provocato da tale insinuazione. Raja si sollevò da terra con fatica e con passo incerto s’avvicinò alla Consigliera. Le sue iridi scure si avvalevano invece di una nuova forza: quella della verità e della giustizia. Anche Amarah era visibilmente scossa. Cosa stava succedendo sotto i suoi occhi di cui non si era avveduta? 

“Di cosa sta parlando Raja Geldena? Perché tentennate e non riuscite a parlare per discolparvi?” disse la Regina alternando lo sguardo tra le due. 

“Amarah, dovete sapere che da tempo i Variag usano l’acqua delle Paludi Morte e ne conservano putride sacche ricolme. Affermano che con essa si possa piegare la mente di chi ne ingerisce anche poca quantità …” la frase venne sospesa, con l’intento di leggere in entrambe una reazione. Disgusto, paura, rabbia, orrore, di nuovo paura si avvicendavano sui visi della Sovrana e della Consigliera. “Con l’aggiunta di stille di Sangue di Orco, la mente viene annebbiata dalle nefandezze del suo precedente proprietario conducendo il malcapitato alla pazzia!” la Storica girò attorno alla figura di Geldena, circondandola con il suo incedere storpio  come uno squalo pronto ad azzannare la sua preda. “Se invece si aggiunge Sangue di Elfo, l’effetto si tramuta nel contrario!” 

“È interessante il vostro studio, perché non avete proferito prima tali scoperte!” la bautta della Consigliera aveva ceduto stava per crollare. Finalmente la vile serpe era stata estirpata dalla sua tana di sotterfugi e menzogne, le sue stesse bugie le si stavano torcendo contro. 

“Da quanto avvelenate il cibo di Callial, Geldena? Da quanto è la vostra voce ad uscire dalle sue labbra?” Raja si fermò ad una spanna dal viso della Consigliera. Era atterrita ma allo stesso tempo esternava il suo odio con sguardi furenti verso quelle che era da sempre stata l’unica Consigliera. Raja fu lesta nell’afferrare il ciondolo che pendeva dal collo dell’aspide, spezzando con forza il debole laccio che lo teneva ancorato sul petto.  Era molto particolare, un serpente che avvolgeva le sue spire in un groviglio complesso, con solo la testa che spuntava da un lato. “Non rispondete? Lo farò io: da quando i primi segni di squilibrio hanno tempestato questa casata, da quando la piccola Callial ha iniziato a godere della sofferenza altrui diventando la spietata donna che è ora ed il tutto per mano vostra!” la Storica studiò a fondo il ciondolo, poi premendo contemporaneamente due punti, fece scattare la testa del serpente aprendo quella che si era rivelata un’ampolla mascherata da monile. “Lo  portate sempre con voi?” passò il contenuto sul naso. Un olezzo fetido e putrido la costrinse ad allontanare il filtro con disgusto disegnato sul volto della Storica. Anche Amarah volle testare con sua mano la qualità del miscuglio rimanendo nauseata dall’odore ributtante che fuoriusciva da quel gingillo.

“Voi ... ” disse con acrimonia voltandosi verso Consigliera. “Avete tramato nell’Ombra contro la mia famiglia, avete costretto a vendere la mia bambina a dei sadici Signori della Guerra, avete avvelenato Callial, sangue del mio sangue, per poterla manipolare! Questa è l’ultimo vostro misfatto Geldena!” Raja era fiera di Amarah, finalmente era pronta per aprire gli occhi chiusi da troppo. La sua cecità era stata diradata, ora vedeva la luce del sole. “Da questo momento sarete spogliata dei vostri onori e della vostra carica. Prenderete il posto di Adamante! Sarete la schiava di un uomo e giacerete sotto di lui, assecondando i suoi desideri contro ogni nostro principio. Perderete la grazia di Artemis come avete perso la mia fiducia. Raja …” rivolse il suo sguardo scuro verso quella donna che l’aveva definitivamente liberata delle catene dell’inganno “ … come ci comporteremo con i Variag?” quella era la tipica domanda per la ricerca di un consiglio.

“Spiegheremo a Kudzo la situazione, non potrà rifiutarsi!” rispose Raja affiancando sulla destra la Sovrana, riappropriandosi del suo legittimo posto. 

“Geldena andate nelle vostre stanze ed attendete quello che sarà il vostro Destino!” la voce forte e vigorosa della Regina aveva acquisito una nuova nota colorata. Fremeva come una bambina impaziente, elargiva sorrisi alla nuova amica ritrovata. Aveva scelto di essere donna e si amava per questo. “Presto, Consigliera!” disse rivolta a Raja. “Annunciamo la liberazione della principessa!” 

“No!” tutto avvenne in pochi istanti. Amarah era stata una sconsiderata voltando le spalle alla serpe, che in un impeto di insana pazzia estrasse il suo coltello e lo lanciò verso la Regina. Raja reagì pochi secondi dopo estraendo anche lei il suo pugnale e gettandolo verso Geldena il quale, dopo aver roteato più volte in aria, si conficcò esattamente tra gli occhi della Consigliera. Nulla era valso in quanto Amarah era stata comunque colpita alla schiena. Il tiro era andato a segno, Geldena aveva pagato a caro prezzo le sue imprudenze così come Amarah. Riversava in terra adagiata su di un fianco, l’impugnatura del pugnale fuoriusciva tra le scapole e la veste color ocra era macchiata dal rosso scuro del suo stanco sangue.

“No, no, no! Amarah!” urlò Raja arrancando verso il corpo della Regina che giaceva statico. Con attenzione la prese tra le sue braccia sollevandola da terra. 

“Raja! Adamante, devi liberarla! Falla scappare! Callial, devi guarirla, io non ho saputo …” la voce era debole e stentata, il filo della sua vita si stava lentamente sciogliendo. Era ora, mentre il sangue scorreva dalle sue membra estenuate sulla cicatrice bianca della coscia facendola nuovamente sanguinare, che la Regina si sentì realmente libera di piangere. Il viso livido sembrava aver acquistato anni diventando ancora più anziano, i solchi delle rughe prosciugavano l’aspetto vigoroso della donna. La sua decadenza corrispondeva con la fine delle Gwaith. 

“Non sforzatevi mia Regina, dovete tenervi in forze!” 

“No, Raja! Non sono la tua Regina, ora in punto di morte posso essere semplicemente Amarah!” il fluido aveva iniziato ilo suo deflusso verso le sacche polmonari. Due colpi di tosse riempirono la bocca del sangue che fuoriusciva dal corpo della veterana Amazzone. “Chiedo perdono alle mie ave per aver deluso il mio popolo, chiedo perdono alle mie figlie per non averle sapute proteggere, chiedo perdono a te per non aver ascoltato la tua saggezza come avevo sempre fatto con tua madre …” il petto della donna sussultò un’ultima volta, la testa cadde all’indietro abbandonandosi molle come un burattino a cui erano stati recisi i fili. Il corpo si accasciò tra le braccia di Raja, le cui lacrime bagnavano il viso della Regina. Con una lentezza esasperante chiuse le sue palpebre rimaste spalancate da quella morte violenta, pronunciando le parole di addio nella loro lingua. Pianse la morte di una donna, pianse la scomparsa di una Regina in bilico tra amore e odio, pianse l’amica perduta. Si concesse ancora pochi istanti per placare il tumulto di emozioni che le governavano l’animo, ma aveva un compito molto più importante da eseguire. Un compito che le era stato affidato dal quell’ultimo respiro. Il compito di salvare le figlie di Amarah.

 

L'aurea Regina ha lasciato il suo mondo corrotto, affidandolo alle mani sagge di una Consigliera protratta nel futuro. Ma ancora mille peripezie attendono i nostri eroi, posso anche solo immaginare miei cari commensali quanti dubbi vi stiano cogliendo: potrà Adamante sfuggire ai Variag a cui era stata promessa? Riuscirà Raja a renderle la libertà? Legolas fermerà per tempo il crudele Variag dall'appropiarsi di ciò che non è suo? Miei gai e felici commensali, non potete capire qual gioia mi coglie nel vedervi così interessati e scalpitanti nel voler sapere cosa ancora accadrà. Pazientate or dunque perchè le strade divise torneranno ad incrociarsi, il vostro Sarìin è qui solo per servirvi e anche per condividere con voi del buon vino ed un invitante pasto. 

 

Note dell'autrice: Tornata a tormentarvi con questa storia!!! Eh eh!!! Eccoci qui in procinto di fuggire!!! Il titolo significa Amore e Odio, piccola costante che ho mantenuto nei tre cambi di scena che avete notato. Le tre azioni descritte avvengono quasi in contemporanea spero che i salti da una stanza all'altra non vi abbiano confuse ma ci tenevo a farvi avere la percezione dell'azione che avveniva da più fronti in modo che poi tutte le strade si ricongiungano in una. In realtà volevo che la fuga avenisse in questo capitolo ma poi mi sono accorta che ne stava uscendo un papiro e non volevo farvi venire gli occhi piccolini a forza di leggere. Spiegazioncine tecniche: allur. Partiamo dal preconcetto che ogni veleno naturale trova l'antidoto nel suo contrario ricercandolo nella propria specie (ad esempio un veleno di origine vegetale avrà un antitodo di origine vegetale), quindi da qui il sangue di Orco (che tra l'altro derivano dalla progenie elfica) che viene curato dal sangue di Elfo. Spero che questa svolta sia stata gradita, Callial in realtà era una vittima e non un carnefice. Credo che non ci sia altro da spiegare quindi vi lascio alle domandine ^^. Comunque il capitolo l'ho riletto ma devo ammettere di averlo fatto molto sommariamente. Domani lo riguarderò nuovamente vedendo se mi è sfuggito qualcosina.

Risposte alle recensioni:

Elfa:Bonsoir madamoiselle!^^ grazie per aver inserito la mia storia tra le tue preferite (onoratissima) e grazie per la tua recensione divertentissima, ridevo da sola mentre la leggevo. Perdonami ma ti ho immaginata come un fumetto giapponese con tutti segno strani nella nuvoletta!!! ^^ comunque ti assicuro che il capitozzolo precedente non era tanto più corto degli altri! Oddio povero Kudrem che rischia di essere evirato da una lettrice infuriata [il Variag si nasconde]. Non preoccuparti per i precedenti capitoli, capisco che il periodo di esami è per tutti stressante [Mally fischietta guardando i libri impolverati del suo ultimo esame prima della laurea e li ignora deliberatamente. W gli anni sabbatici!]. Oddio magari è per tutt'altra ragione che non hai tempo, comunque sappi che ti capisco e che non devi scusarti ^^!!! Un bacione anche a te e ancora grazie.

Thiliol: Ciao carissima! [Mally prende il suo Lo Hobbit e va a cercare il riferimento] è vero mi ero assolutamente dimenticata del particolare della mappa di Eldron, grazie per avermelo detto almeno mi sono rassicurata di non aver detto una boiata stratosferica!!!^^ Per quanto riguarda l'uso del Quenya ti dico che sinceramente il problema me l'ero posto, però dovevo far attivare l'Ithildin che da quanto ho capito dovrebbe risplendere solo dopo una formula molto antica. Ragionando ho dedotto che fosse Quenya e quindi mi sono prodigata in una ricerca sulla sua storia, consultando svariate grammatiche tanto per capire meglio come si potesse collegare alla Terra di Mezzo. Ora non mi dilungo in dissertazioni inutili  ma praticamente il Quenya viene denominato dallo stesso Tolkien come una sorta di latino elfico utilizzato per cerimonie e scritti. Non è come il Sindarin ma se si proietta l'universo medievale e fantasy del professore con il nostro anche il latino non veniva utilizzato per parlare ma era una forma aulica di espressione tra gli studiosi e nobili. Poi ovviamente ci sono svariati dialetti e forme più arcaiche del linguaggio elfico del tutto scomparse sulla Terra di Mezzo, ma il Quenya è permeato e viene utilizzato.Questo comunque è frutto solo di piccoli approfondimenti e letture sottoposte a mia interpretazione ^^  se vuoi ho trovato un interessante libro virtuale a questo link:

http://issuu.com/alex9/docs/grammatica_descrittiva_della_lingua_quenya

L'introduzione è a cura di un autore che ho trovato spesso tra le grammatiche e le storie degli idiomi elfici. Immagino che possa essere gradito!!! ^^ Colgo l'occasione di ringraziarti per il tuo costante e perpetuo appoggio, anche con le critiche che non guastano mai!!! Grazie grazie mille e comunque le tue storie mi hanno un attimo fatto vacillare, permettimi di dirti che hai una superlativa capacità narrativa. Mi sento veramente onorata di averti come lettrice soprattutto per la tua assoluta competenza. Spero di riuscire a leggere tutto e a lasciarti qualche commentino prima che tu finisca!!!^^ un bacione!

RINGRAZIO  SEMPRE TUTTI I LETTORI! SENZA DI VOI NON ESISTEREMMO!

FESTEGGIAMO ANCHE IL RAGGIUNGIMENTO DELLE 100 VISITE AL PRIMO CAPITOLOZZOLO!!!

Un bacione!!!

Vostra umile serva il bardo Malice!!!^^

   
 
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