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Autore: BlueBreath    02/07/2010    2 recensioni
Una piccola One Shot incentrata su Severus. "Quando era diventato un automa? Quando la maschera aveva iniziato a prendere il controllo di lui? Era servita una stupida giornata stressante a fargli capire di essere cambiato così profondamente? Era servito... Potter?"
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ok.

Rieccomi tornata. E con me è tornata anche una minima parte di ispirazione.

Si da il caso, poi, che questa ispirazione mi abbia suggerito di provare a buttarmi in un nuovo Fandom, quello di Harry Potter.

E si da ancora il caso che mi abbia aiutato a terminare, finalmente, una One Shot che mi trascino dietro da mesi e che è incentrata su uno dei miei personaggi preferiti, Severus Piton.

Ora lascio a voi il giudizio di questa mia storia che, lo ammetto io stessa, non è né straordinaria né fantastica, ma che mi è servita come spinta per tornare a scrivere. Dopo tanto tempo.

 

 

Meine Maske

 

 

 

 

 

 

Erano le sette di sera passate e la giornata appena trascorsa si era rivelata alquanto stressante.

Ma d'altronde ogni giornata, ogni ora ed ogni minuto passati a fare lezione con i Tassorosso erano stressanti.

Quella giornata non era un'eccezione, non si era ancora differenziata da una monotonia grigia che si ripeteva da anni.

Fatto sta però che quel giorno la stanchezza aveva deciso di farsi sentire più del solito, scendeva nelle sue ossa, passando per i muscoli, attraversando le tempie.

Tuttavia non era ancora arrivato per lui il momento di concedersi un po' di riposo, aveva ancora una “commissione” da fare, una commissione che aveva tanto sperato di dimenticare tra una pozione e l'altra, ma che purtroppo era rimasta saldamente attaccata alla sua memoria.

Questo “affare” che aveva da svolgere riguardava tra l’altro l'ultima persona al mondo che desiderava vedere dopo una giornata come quella... Potter.

 

Flashback

 

E dove sarebbe il tuo compito, Potter?”

N-non l'ho potuto finire, signore...”

E avresti anche un motivo valido per giustificare questa tua mancanza?”

beh... ecco io ho la febbre e...”

Oh! No! Tu hai la febbre?” esclamò Piton con sarcasmo imitando il tono di una mammina preoccupata “pensavo che data la tua situazione, ormai avessi imparato da tempo a cavartela da solo, Potter!”.

Ok, quest'ultima insinuazione era stata cattiva, molto cattiva.

Severus sapeva benissimo che Potter sapeva cavarsela da solo, perchè ERA solo. In quel momento poi lo era più che mai. Non aveva mai avuto nessuno che si preoccupasse di lui e anche l'unica persona che gli era rimasta era morta da poco, quel suo padrino, Black.

Avrebbe dovuto sentirsi in colpa per quel ragazzo, che non poteva nemmeno condividere la sua situazione, decisamente più complicata di quella di quasiasi altro ragazzo della sua età, con qualcuno che lo amasse almeno un po', che gli volesse bene in maniera incondizionata, proprio come un padre o una madre.

Eppure non ci riusciva.

Non aveva la capacità di sentirsi in colpa.

Forse perchè dopo tanto dolore il suo cuore si era indurito.

Forse perchè anche lui alla sua età non aveva nessuno che lo amasse veramente.

Forse perchè era Severus Piton, e basta.

Osservò meglio il ragazzo davanti a lui e per un attimo lo vide veramente.

Quello davanti a lui non era più l'arrogante discendente di Potter, era all'improvviso Harry, il figlio di...Lei.

Gli occhi lucidi erano il primo allarme di una febbre che il ragazzo non avrebbe dovuto trascurare, o magari erano il primo allarme di una tristezza altrettanto intrascurabile, ma alla quale lui non faceva altro che contribuire, con frecciatine della portata di quella appena scagliata.

Ma più che sulla lucidità di quegli occhi, Severus si soffermò sullo sguardo che quei pozzi smeraldini proiettavano, uno sguardo sbagliato, fuori posto, inadatto ad un ragazzo dell'età di Potter,uno sguardo che si addiceva più ad uomo della sua età... ad un uomo come lui.

Rivide, in quello sguardo, il SUO sguardo. E si spaventò.

Ebbe paura di quella somiglianza, perchè in fondo nessuno era mai assomigliato a lui in quel modo, nemmeno sua madre, che tanto gli somigliava nell'aspetto, gli era mai stata così vicina nell'anima.

Fu per la stizza provocata da quella riflessione e da tante altre riflessioni che sapeva l'avrebbero tormentato quella sera, una volta solo nei suoi appartamenti, che invece che scusarsi con Potter per la mancanza di tatto, si “lasciò sfuggire” un sonoro... “Punizione, Potter!! Questa sera nel mio ufficio alle sette!”.

 

Fine flashback

 

Ed ecco spiegato il perchè di quella straziante “commissione”, ed ecco spiegato il perchè di quella stanchezza che Severus si sentiva addosso.

Percorse il corridoio che conosceva ormai come le sue tasche ed arrivò alla porta del suo ufficio, che trovò socchiusa ed improvvisamente sentì come un fiotto di preoccupazione per le condizioni di Potter farsi strada nel suo petto.

Si ritrovò ansioso a chiedersi se fosse ancora triste a causa sua, se almeno l'avesse perdonato, se la febbre fosse scesa.

Ricacciò però indietro quell'attimo di debolezza, una delle poche tracce della sua umanità persistente, e si preparò ad entrare nella stanza, riecco la maschera comparire sul suo volto.

Fu la maschera, quel mero eco dell'uomo che era stato, a parlare per prima, e lo fece ancora una volta con la sua voce.

 

“Buonasera Potter... vedo che la tua malattia non ti ha impedito di concedermi un po' del tuo prezioso tempo” mormorò con voce strascicata, mentre con gli occhi scorreva, per la seconda volta in quella giornata, il viso del ragazzo.

La sua “attenta analisi” lo aveva portato a dedurre che la febbre fosse salita, e anche tanto; ipotesi confermata quando Potter, nel tentativo di alzarsi barcollò un poco fino a ricadere come un sacco di patate sulla sedia dove si era adagiato in precedenza.

“Come stai?” sussurrò così piano che nemmeno lui si sentì,

“cosa?” chiese infatti il ragazzo che non era riuscito a comprendere le inaspettate parole dell'insegnante,

“oh, insomma! La febbre ti causa anche problemi di udito, signor Potter?” sbraitò Severus innervosito dall'imbarazzante situazione “ti ho chiesto” continuò “come stai?”

Harry rimase dapprima allibito dall'improvviso interesse del professore, ma poi si costrinse a rispondere all'insolita domanda, “bene...” rispose con tono di voce impassibile.

“BENE?” ripeté a sua volta l'uomo in veste nera “sei in piena crisi depressiva, il mondo magico dipende da te, hai ANCHE la febbre e rispondi di star BENE? Dubitavo già delle tue capacità mentali, Potter, ma pensavo che potessi ancora salvare il briciolo di intelligenza che ti era rimasto, dal mare dell'ottusità...”.

“beh... io... insomma lei non è solito farmi queste domande e io... non sapevo cosa dirle...” farfugliò di risposta l'altro.

“Hai ragione, lasciamo perdere quest'argomento futile e concentriamoci invece sulla tua più che meritata punizione!”

“ Sì signore...”

“Bene! Oggi voglio che tu metta a posto degli ingredienti per pozioni, ma ti pregherei vivamente di lasciarne almeno qualcuno incolume, Potter, visto che sono costati più di te e della tua scopa messi insieme...”

“D'accordo..”

“Oh! E poi dovresti anche pulire quei calderoni laggiù...” disse Piton con un leggero ghigno disegnato sulle labbra sottili.

Harry si voltò verso il punto che il professore gli aveva indicato e ciò che vide lo fece sbiancare. Una pila di calderoni incrostati nella maniera più indicibile di stagliava di fronte a lui, ci avrebbe messo ore a finire di pulirli, senza contare che quella era solo una parte del lavoro che aveva da fare.

“Ma professore, finirò a notte fonda!” si lamentò con la voce roca a causa della febbre.

“Il piccolo Potter ha sonno?” chiese sarcastico,

“Non è questo il problema... il fatto è che ho dei compiti da svolgere e se finisco troppo tardi non riuscirò a portarli a termine per domani...”

“Pensi che siano problemi miei, Potter? Sei qui perchè non avevi fatto i compiti che ti avevo assegnato, e non mi pare che fosse a causa di qualche punizione assegnata né da me né da altri!” esclamò con enfasi Severus e fece capire che il discorso era chiuso.

 

Un rumore di vetri infranti ruppe il silenzio che si prolungava nello studio da più di un'ora.

Era stato provocato dal rompersi di un barattolo contenente uno dei tanto decantati ingredienti di Piton, e questa caduta era a sua volta stata provocata dal Ragazzo Che E' Sopravvissuto.

Stesso ragazzo che adesso osservava con sguardo febbricitante ed appannato il pavimento.

Qualsiasi altro insegnante gli si sarebbe avvicinato, gli avrebbe posato una mano sulla fronte ed avrebbe decretato che la febbre stava raggiungendo picchi troppo alti e che era meglio per lui recarsi in infermeria, Harry, magari, con voce ruvida, si sarebbe scusato per l'incidente del barattolo e qualsiasi altro insegnante gli avrebbe detto che non importava.

Qualsiasi altro insegnante, ma non Severus Piton, che invece stava squadrando il suo allievo in una maniera che lasciava presupporre il disgusto così come la collera, sentimenti ben lontani dalla comprensione e la compassione.

 

“Ti avevo detto di non farli cadere, mi pare...” disse con voce profonda,

“s-scusi, signore, mi si era annebbiata u-un attimo la v-vista...” farfugliò Harry mezzo delirante e decisamente barcollante per via della febbre,

“non mi importa niente del funzionamento dei tuoi cinque sensi, Potter... a me importa solo...”.

Severus stava iniziando una di quelle frasi che di sicuro sarebbe riuscita nel suo intento di colpire nel segno, che sicuramente sarebbe risultata pungente e dolorosa, come tutte le altre rivolte a quel misero ragazzo.

Ma non portò mai a termine quella frase, si interruppe alla vista di un fragile Potter che si accasciava a terra come una figurina di cartapesta mossa dalla Bora.

P-Potter? Cos'hai?” chiese con la gola secca per la preoccupazione che tutt'ad un tratto si era impossessata di lui.

Ma Potter non avrebbe risposto tanto in fretta a quella domanda.

Giaceva a terra, mormorando frasi senza senso e fissando in sequenza ogni punto del soffitto che si stagliava sopra al suo sguardo.

Severus esitò. Non aveva idea di cosa fare. Gli venne in mente che era la prima volta in parecchi anni di insegnamento che si sentiva preoccupato per un allievo.

E quindi? Cosa doveva fare?

Doveva comportarsi come una dolce nonnina e somministrargli lui stesso una pozione o portarlo in infermeria dove qualcuno decisamente più assomigliante di lui ad una dolce nonnina si sarebbe preso cura di Potter?

Naturalmente optò per la seconda opzione, soddisfò ancora una volta la maschera.

E fu di nuovo la maschera a portare la mano alla bacchetta, tentata di sollevare il ragazzo con un freddo incantesimo di levitazione, ma questa volta il suo volere ebbe il sopravvento e Piton si costrinse a prendere tra le sue braccia il corpo inerme e tremante di Harry, che ancora non smetteva di delirare.

Arrivò in infermeria con il ragazzo in braccio invocando l'aiuto della medimaga, ma desiderando al tempo stesso, in un angolo molto remoto della sua anima, di rendersi utile in prima persona per la guarigione.

 

“Chip! Ho bisogno del tuo aiuto... cioè, Potter ha bisogno del tuo aiuto!” esclamò,

“Ma cos'è tutto questo baccan... oh cielo! Cosa è successo Severus?” chiese Madama Chip con la sua solita voce cinguettante,

“Lui, ecco... temo che abbia una febbre molto alta, ora ha perso i sensi e... beh, l'ho portato qui...” rispose lui incerto,

“hai fatto bene Severus... la febbre, soprattutto se così alta, non dovrebbe mai essere trascurata, ma a quanto pare questo ragazzo ha imparato a preoccuparsi di tutti tranne che di se stesso!” sbottò la medimaga indignata, mentre insieme adagiavano Harry su uno dei tanti letti

“ehm... già...” farfugliò Severus,

“Oh, piantala di fingerti preoccupato, Severus! Lo so benissimo che sei uno dei primi carnefici di questo ragazzo, e so ancora meglio che lo hai portato qua giusto perchè stava ingombrando il corretto svolgimento dei tuoi impegni... E' sempre stato così... perchè dovrebbe cambiare ora?”.

 

Severus sentì una fitta di dispiacere trafiggergli il cuore.

Davvero i suoi colleghi e i suoi allievi pensavano che fosse capace di pensarla in quel modo?

Ma in fondo lui cosa faceva per dimostrare il contrario?

Quando era diventato un automa? Quando la maschera aveva iniziato a prendere il controllo di lui?

Era servita una stupida giornata stressante a fargli capire di essere cambiato così profondamente? Era servito... Potter?

Non voleva che la sua anima andasse così alla deriva... non voleva smettere di provare allegria, di sorridere, di affezionarsi alla gente...

Eppure aveva lasciato che succedesse. Ma era stato un processo talmente graduale, che non se ne era nemmeno accorto. E in quel momento, in una banale giornata d'inverno, che solo fino a qualche ora prima sembrava uguale a tutte le altre, finalmente se ne rendeva conto, e stranamente si sentiva leggero.

Leggero come se da un momento all'altro il suo corpo potesse staccarsi da quell'effimera infermeria e volare alto sulle montagne scozzesi.

Leggero come se la sua anima da quel momento fosse già ritornata come era una volta.

Capì all'istante il perchè di quella leggerezza, la pesante maschera che si portava dietro da anni, iniziava a staccarsi, a separarsi da lui, e ne fu quasi felice.

Quasi perchè in fondo ormai la maschera era diventata come una protezione più che un simbolo della sua prigionia.

In parole povere, da un po' di tempo a quella parte, la maschera era diventata come una specie di giustificazione a tutte quelle azioni che compieva e nelle quali non riusciva più a riconoscersi.

Era facile per lui giustificarsi con la maschera, gli faceva comodo, perchè era come sostenere che non fosse veramente lui a dire, fare e pensare tutte quelle cose.

Ed ora che avvertiva il distacco, da una parte ne era felice, dall'altra spaventato.

 

Senza dire una parola, né rivolgere un ulteriore sguardo a Potter lasciò l'infermeria.

Le sue gambe stavano quasi per percorrere la solita strada verso i sotterranei, per rifugiarsi ancora nel buio e la cupezza, ma questa volta lui aveva in mente un'altra meta.

Così, senza quasi farci caso si diresse in cima alla torre di astronomia, la più alta di tutte, e prese una boccata d'aria serale.

Lo fece in un modo, che se un'altra persona l'avesse visto avrebbe sicuramente pensato che, fino a pochi minuti prima, Severus si trovasse in apnea.

Una lunga apnea.

Si sentiva quasi felice a dirla tutta e la cosa più strana è che aveva cercato per tutto quel tempo una valida motivazione per uscire dall'apnea e invece gli era bastata una semplice e, all'apparenza, monotona giornata d'inverno per farlo sentire in quel modo.

Capì di essere in debito con il ragazzo.

Voleva correre da lui, svegliarlo, sorridergli e abbracciarlo.

Capì all'istante che non era ancora pronto per cose del genere.

Ma comunque sarebbe stato pronto per essere, almeno in minima parte, se stesso... quell'uomo un po' burbero ma buono e capace di provare emozioni.

Le sentiva tutte lì, come se in tutti quegli anni lo avessero aspettato. Migliaia di emozioni, a volte contrastanti, che gli lasciavano il corpo scosso da brividi.

E fu lì, in quel momento, che accadde.

Dopo anni di prigionia voluta, Severus Piton esplose in una risata. Non isterica.

F.E.L.I.C.E.

 

 

 

Tutto ciò che è profondo ama la maschera.

Ogni spirito profondo ha bisogno di una maschera:

e più ancora, intorno a ogni spirito profondo

cresce continuamente una maschera,

grazie alla costantemente falsa,

cioè superficiale, interpretazione di ogni parola,

di ogni passo, di ogni segno di vita che egli dà.”

Nietzsche -Al di là del bene e del male

 

 

  
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