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Autore: Willow Whisper    02/07/2010    2 recensioni
Postato capitolo 14-parte seconda (POV SAM-ABRAHAM) del libro III
[LIBRO PRIMO- terminato]
(POV Sammy+ UN SOLO CAPITOLO POV Laura)
[LIBRO SECONDO- terminato]
(POV Sammy+ POV Laura + UN SOLO CAPITOLO POV Seth)
[LIBRO TERZO- iniziato]
*Second life- when you are a Cold*
(POV Sammy, Laura, Seth, Gabriel, Nessie & sorprese)
"Stare in mezzo a loro non mi piaceva.
Era orribile essere circondata dai nemici, dal pericolo.
Eppure ero lì, pronta a sacrificarmi per difendere chi amavo.
Mi ero chiesta tante volte se la mia seconda vita
sarebbe stata migliore della prima,
ma la risposta non c’era mai stata,
o almeno, fino a quel momento...
No. Non era affatto come speravo."
Genere: Dark, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Serie "Dream"'
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capitolo extra sam in viaggio laura

Capitolo extra [mentre Sam è ancora in viaggio]

Laura

Suppongo che ora vi starete chiedendo il perché, no?
Direi che è una domanda più che dovuta e quasi scontata, ve la concedo senza troppi problemi. Anzi, è lecita.
Sicuramente anche voi avrete condannato la mia scelta, avrete pensato o che amica infingarda, che schifo, che ribrezzo. Tutto normale, ma per favore, state a sentire qui.
Credo che per farvi capire al meglio le mie ragioni dobbiamo fare una digressione, più o meno di due settimane. Ora, se penso all'idea di due settimane, mi viene da ridere.
Non appena arrivai a Volterra capii che Aro avrebbe giocato sporco; lo sapevo da prima di partire e perciò non mi sconvolsi di niente né mi offesi per alcuni suoi atteggiamenti.
La prima sera che rimasi lì non dormii: il jet leg aveva completamente sballato i miei orari biologici e l'eccitazione era così prepotente e presente nel mio corpo che mi rifiutai di chiudere gli occhi.
Lui protestò per un po', se non fosse stato per la sua natura di “gentiluomo” mi avrebbe messo a forza a letto, ma alla fine dovette arrendersi all'evidenza dei fatti: dormire era l'ultimo dei miei pensieri.
La camera dove alloggiavo aveva un piccolo bagno attinente, mi spiegò che era una delle poche a possederlo o, per lo meno, a possedere anche un water e non solo una vasca da bagno. Mi spiegò che erano presenti delle terme, nei sotterranei. Mi disse molte altre cose, ma ora non le ricordo; probabilmente neanche le stetti a sentire, ero così emozionata che tutto mi sembrava superfluo.
Camminando per la stanza notai la cura con la quale era stata arredata: il letto enorme, dalle coperte soffici e profumate, l'armadio d'epoca, accanto alla finestra, con le ante possenti e la parete di fronte alla porta del bagno, con una magnifica libreria.
I dorsi dei volumi erano tutti tremendamente antichi: di cuoio o di pelle colorata, conservavano i titoli dorati, anche se alcuni erano sbiaditi. Erano per la maggior parte in italiano, ma alcuni, come potei notare, erano o latini o francesi o inglesi. In tutta quell'antichità ci furono dei libri che catturarono la mia attenzione: edizione economica, industriali, moderni. Andavano a cozzare tremendamente con quell'ambiente, risultavano... sgraziati.
Mi volti e lo fissai negli occhi, che poco a poco si scurivano.
-Allora?- mi domandò, gentilmente.
Gli indicai con un indice i testi e lui scoppiò a ridere, si avvicinò a me e mi sistemò meglio i capelli, con quelle mani gelide e delicate allo stesso tempo.
Pensai che avrebbe potuto uccidermi solo volendolo, con un gesto secco farmi morire, bere il mio sangue e poi lasciar cadere il mio corpo inerme. Magari calpestarlo in un moto di stizza. Sì, sarebbe stato da lui.
-No, non lo farei mai- mugugnò, quasi offeso. Sorrisi, flebilmente e lo guardai di nuovo.
-Che mi significano questi libri?- domandai, non nascondendo una certa curiosità.
-Oh, lo sapevo che li avresti notati- commentò, la voce si tinse di soddisfazione e osservai la mano lunga e affusolata prenderne uno avvicinandoselo.
La pelle era innaturalmente liscia e in un primo momento poteva dare quell'impressione di più strati sovrapposti, con un'attenta osservazione, però, si potevano notare perfino le piccole vene secche, e rendersi conti di quanto fosse compatta.
-Saga terribilmente avvincente, non se ne trovano molte in giro di questi tempi- sorrise e mi guardò.
Anne Rice, signora delle tenebre.
Alzai un sopracciglio e dissi: -anche mio figlio la pensa come te, non conserva molta fiducia nella modernità-
-Saggio ragazzo- rise lui, poi ripose il libro e disse.
-So che ti piacciono e ho voluto procurarteli...- iniziò.
-Mezzi di persuasione, vero?- lo fermai, guardandolo intensamente. Sorpreso non poté trattenere un'espressione stupita, distendendo il viso terribilmente pallido, dall'aspetto malato.
Le occhiaie sotto gli occhi erano ancora più scure e gli occhi ormai si avvicinavano al nero.
Scosse la testa, divertito e si chinò su di me. Mi sfiorò l'orecchio con le labbra piene e gelide, sussurrando all'orecchio: -riuscirò mai a stupirti?-
Mi gelai e all'istante, nel mio cervello, si proiettarono migliaia di immagini di me e la mia famiglia.
Embry, Embry, Embry.
Cosa stavo facendo?
-Suppongo sia un sì- sviai la sua domanda, che aveva assunto dei toni troppo spinti per la mia mente e lo guardai di nuovo.
-Sai bene che sono più che decisa della mia scelta. Ho passato quasi vent'anni a vedere i pro e contro di una tale decisione...-
-Sei tremendamente matematica- rise, scostandosi e sedendosi su una poltrona. Era antica e scricchiolò un poco sotto al suo peso.
-E sai bene che non mi tirerò indietro- conclusi, continuando a guardarlo con attenzione.
Mi sorrise e annuì, compiacente.
-Lo so. Lo so bene-
Sospirai e mi avvicinai, sedendomi sul letto. La stanchezza che avevo non mi permetteva comunque di stendermi e chiudere gli occhi, avrei di sicuro perso tantissimo tempo nel rimuginare.
Mi tirai su i capelli, sospirando.
Lo vidi tendersi e portarsi una mano alla bocca con un gesto così veloce che non lo avvertii se non concluso. Inarcai le sopracciglia e feci per parlare, ma lui alzò un'altra mano, facendomi segno di tacere. Obbedii e rimasi a fissarlo.
Aveva smesso di respirare, lo vidi alzarsi e chinare leggermente la testa, visibilmente irritato.
-Perdonami... non posso rimanere...-
Non risposi e continuai a fissarlo. Il mio odore. Dovevo immaginarlo.
Annuii, facendogli intendere che lo capivo e che non doveva preoccuparsi. Scocciato uscì, borbottando qualcosa contro di sé.
Lasciai vagare lo sguardo per un po', finché alle sei del mattino, come indicava un pendolo accanto all'armadio, non crollai.
Sognai i miei figli quella notte e mi ripetei che tutto questo lo facevo per loro. Anche per loro.

Aro venne da me la notte dopo. Avevo ormai preso degli orari assurdi, ma non avevo la benché minima voglia di modificarli. Gli occhi erano così accesi che quasi mi spaventarono: doveva aver cacciato molto.
-Scusami per ieri: duemila anni e ancora non riesco a sopportare un odore- commentò acido.
Sorrisi e gli dissi che non mi importava, e che conoscendomi io non avrei resistito. La battuta non gli piacque e mi lanciò un'occhiata tremenda.
-Dovrai resistere. Ricorda che creare neonati è sempre una presa di responsabilità. Diventare vampiro è una presa di responsabilità- rettificò, si sedette nuovamente sulla stessa poltrona e capii che di sicuro quella era la sa preferita e che probabilmente l'aveva fatta portare lì da qualche suo studio, tanto ci si trovava a suo agio.
-Scherzavo, Aro. Lo sai meglio di me che userò tutta la mia forza per concentrarmi- risposi, leggermente irritata.
Lui mi guardò, poi rise e allungò una mano verso di me. Sospirai e gli porsi la mia. La strinse delicatamente, poi ne baciò il dorso. Mi guardò con occhi più affettuosi e dolci, mormorando: -perdona anche il mio modo di fare, mi scordo di quanto possa risultare brusco, a volte-
-Ti facevo più gentiluomo- scherzai, sedendomi sul bracciolo e fissandolo.
Rise, una risata leggera e ammaliante, dovetti sbattere più volte gli occhi per non cadere in trance.
-Con te mi lascio andare troppo spesso, è un gran peccato- sospirò.
Gli sorrisi e gli spostai una ciocca di capelli dal viso. Il volto freddo e perfetto sembrava quello di un angelo di Michelangelo o, più precisamente, quello di qualche infernale diavolo di Caravaggio. Sì, più oscuro.
-O una gran fortuna, sei sincero... non è cosa da poco- ritirai la mano e rimasi in silenzio.
Lui sorrise a quelle parole e annuì. Poi mi guardò e disse: -pensavo di trasformarti la prossima settimana. Ci saranno meno guardie, meno scandalo- iniziò.
Lo stabilire la data rese la cosa ancora più concreta e perciò trasalii, quasi realizzando in quel momento la gravità dell'azione.
Inarcò un sopracciglio sottile e perfetto, studiandomi.
-Laura?-
Mi alzai, come se la sua presenza mi facesse male, come se all'improvviso la sua pelle fosse diventata bollente e io ne fossi rimasta bruciata. Lo guardai per un attimo e gli diedi le spalle.
-Tu perché lo fai?- domandai, sentivo la voce che si modulava a suo piacimento, facendogli notare ogni mio singolo umore. Pensai, nello stesso tempo, che ormai doveva essere tanto esperto che voce o no, avrebbe comunque capito il mio stato d'animo.
-Che domanda... stupida, se permetti- commentò, inacidendosi un poco. Non mi voltai, non ne ebbi il coraggio; ripetei nuovamente la domanda e lui sospirò.
Nonostante ormai fossi adulta e che probabilmente lui risultava quasi più giovane di me, mi sentivo a disagio. Avvertivo ogni singolo anno, esperienza, situazione che ci rendeva differenti.
E, come sempre, mi sentii debole.
Così dannatamente umana.
-Non volevi, cosa ti ha fatto cambiare idea, Aro?- questa volta lo guardai, passandomi una mano nei capelli a disagio.
-Sai bene perché non volevo...-
-No, non lo so affatto. Non mi hai mai spiegato il perché. E, sinceramente, non capisco neanche quale possa essere. Potrò comunque vedere il sole, stare con i miei figli, con mio marito, fare una vita completamente normale- parlavo concitata, non fermandomi sulle parole, facendomi travolgere da quel discorso che da anni volevo affrontare con lui. Non su sterile carta, ma faccia a faccia. Osservandolo, cercando di capire.
-Quindi per te uccidere uomini per nutrirti sarebbe normale?- iniziò a parlare lento, guardandosi le unghie così particolari. Sembravano risplendere, lucenti, era la prima volta che le notavo così, lo fissai stranita.
-Ho scordato di metterci sopra della cenere... sono così fastidiose alla vista- storse il naso, aprendo e chiudendo subito quella piccola parentesi. -Allora. Questa normalità?-
Lo inchiodai con gli occhi e dissi, seria: -sai bene che non ucciderò nessun uomo. Lo sai.- scandii le ultime due parole quasi con rabbia. Lui scosse la testa tra di sé, come un genitore troppo paziente.
-Laura, quando verrai trasformata dubito fortemente che riuscirai a pensare con tanta lucidità... siamo in pochi a...-
-Tu ci sei riuscito, no?- tagliai corto, avvicinandomi e serrandolo alla poltrona. Gli occhi gli brillarono, estasiati: le mie azioni, i miei modi di fare gli piacevano, me lo aveva sempre detto.
-Sì, ma non siamo tutti uguali- il tono era basso, quasi non lo sentii.
-Non ho mai fallito in nulla, Aro- commentai acida, allontanandomi.
-Vorrei correggerti e ricordarti in quale situazione ci incontrammo- ridacchio, quella risata argentina, che allo stesso tempo mi affascinava e raccapricciava.
-Non lavoravo da sola- ribattei subito, ma la sola idea di quel lontano giorno mi aveva messo addosso un'ansia e una tristezza improvvisa. Scacciai subito dalla testa quei ricordi e gli risposi.
-Aro, non mangerò umani, a costo di passare i prossimi cento anni in Siberia-
-Neanche una volta?- si chinò in avanti, afferrandomi delicatamente per un polso, costringendomi di nuovo a sedermi sulle sue gambe. Smaniai un poco, ma non opposi vera e propria resistenza.
Sospirai e lo guardai stancamente.
-No. Lo devo a mio marito e alla mia famiglia. Lo faccio per loro- conclusi decisa.
Sorrise e mi prese le mani tra le sue, iniziò a giocarci con movimenti lenti. Sembrava deliziato dalle mie dita, quelle dita che tanto odiavo. Passò l'indice sulle piccole fossette che si venivano a creare all'altezza delle nocche.
-Sei curiosa tanto quanto me- mormorò.
Deglutii e sospirai: -non mi interessa sapere il gusto del sangue- la voce mi tremava e io stessa non ero sicura della mia risposta.
-Non è una questione di sapore, Laura e tu lo sai bene. SI tratta di sensazioni, è ben diverso.
C'è gente che ucciderebbe per provare l'estasi di una sorsata, gente che crede in noi, ovviamente- aggiunse con fare saccente, quasi divertito dall'idea.
-Non io, Aro- sussurrai, facendo per alzarmi, scossa da quella conversazione.
Riusciva sempre a demolire tutto, lo fissai in piedi e sentii un pizzicorio agli occhi. Dovevo piangere.
-Aro, ho una famiglia e... e tutto questo lo faccio per l'egoistica pretesa di rimanere con loro; di non diventare cenere, di non... di non far sì che io sia lasciata indietro. I miei figli, se vorranno, potranno vivere in eterno, così mio marito. Perché io non potrei?-
Tremavo di rabbia, e mi resi conto che iniziai a piangere copiosamente, eppure lui non si alzò. Continuò a guardami, l'attenzione rivolta alle mie lacrime.
-Non potrai piangere- mormorò sottovoce -tuo marito ti troverà gelida e fredda nel suo letto; detesterai l'odore dei tuoi figli, la tua piccola casa, il tuo lavoro... quello sì che diventerà cenere. Morirai nel preciso istante in cui il mio veleno entrerà nelle tue vene. Non sarai tu a svanire, ma tutto il resto-
Si era alzato e mi fissava, la voce si era addolcita, perdendo l'asprezza iniziale e ora mi sfiorava una guancia, asciugando le lacrime.
Mi chiesi perché non si gelassero sulle sue mani.
Quando ero con lui mi ponevo molte domande stupide.
-Io non voglio diventare cenere- sussurrai.
Credo che in fin dei conti l'immortalità ruoti intorno a questo desiderio incostante di esistere. Con tutti i mezzi; si può giocare sporco o pulito, ma il fine è sempre lo stesso: la vita.
-E' per questo che ti trasformerò- si era chinato e mi disse ciò all'orecchio, con voce soave e completamente priva di artefici.
Mi baciò il collo e si ritirò su. Mi sorride e uscì, lasciandomi sola.
Eppure, senza dire nulla mi aveva posto la domanda cruciale: fino a dove arrivava la mia famiglia?

I giorni seguenti non disse nient'altro. Si rivelò l'amabile ospite che voleva essere; mi portò ogni sera a cena fuori, scordando quasi il suo ruolo di regnante e sollevando la curiosità comune.
Mi ritrovai perfino Marcus in camera un pomeriggio. Non disse nulla, semplicemente mi studiò, uscendo dopo circa un'ora, con la faccia stralunata.
Quella settimana passò troppo in fretta o troppo lentamente. Le notti le passai insonni, nonostante desiderassi a tutti i costi dormire. Mi resi conto che i sogni mi sarebbero mancati nella mia nuova vita.
Più volte fui tentata di chiamare i miei figli ed Embry, ma sapevo bene che farlo avrebbe significato la fine di ogni mio piano.
Sapevo che Abraham avrebbe capito più di tutti, i gemelli erano di vedute così aperte che non costituivano un problema... ma Embry. Oh, Embry era la grande incognita di tutto quel carosello che avevo costruito.
Non sapevo in che modo avrebbe preso la mia decisione, se l'imprinting sarebbe stato abbastanza potente per fargli scordare la mia situazione o se, al contrario, ogni mia scelta sarebbe stata da lui condannata.
Per di più la lontananza aveva, in qualche modo, allentato quella stretta amorosa nella quale per anni ero vissuta.
L'imprinting non è un obbligo al matrimonio, questo credo sia chiaro. E' bensì l'attaccamento di uno a un altro, ma non obbligatoriamente viceversa.
Si ricambia perché si vuole, non perché si è obbligati da qualche legge naturale.
E io, che sin dal principio avevo trovato qualche problema nell'integrami all'interno di questo schema, ora che non avevo più il suo sguardo unico e speciale a fissarmi... mi sentivo più libera.
Mi resi conto che la trasformazione avrebbe dato inizio a una nuova concezione dell'imprinting da parte mia e che quell'affetto smisurato che in tutti quegli anni avevo provato per Embry stava sbiadendo, con la semplice lontananza.
Lo amavo, lo avevo amato con tutta me stessa, ma mi rendevo anche conto che era qualcosa indirizzato e pilotato, poco... naturale.
Aro, inoltre, aveva subito carpito questi miei pensieri e non faceva che gettare benzina sul fuoco.
Come a sedici anni avevo dubbi esistenziali, della stessa gravità e importanza, solo che questa volta ci andavano in mezzo tre figli.

Era venerdì sera quando Aro entrò in camera, ben vestito. Si era concesso una camicia bianca senza cravatta e un paio di pantaloni di cotone neri; potei notare che, come sempre, indossava un piccolo accessorio color porpora, in questa occasione si trattava di un paio di gemelli. Due minuscoli rubini, che potrei giurare avessero il valore dello stipendio annuale di un normale essere umano.
Gli sorrisi, ero seduta davanti al tavolo da toletta. Era un oggetto che a casa non possedevo -andavo sempre così di corsa!-, ma del quale ero rimasta affascinata.
Continuavo a scrutarmi in continuazione, sfiorandomi la fronte, solcata da leggere rughe.
Mi domandavo se sarebbero rimaste o se il suo veleno mi avrebbe concesso un piccolo lavoro di chirurgia plastica. Si avvicinò e fece scivolare le mani sulle mie palpebre, obbligando a chiudere gli occhi.
Sorrisi flebilmente e lo lasciai fare, sentendo cadere in mezzo ai seni un pesante ciondolo. Quando fui di nuovo libera di guardare abbassai lo sguardo e presi quel magnifico gioiello.
Era un medaglione piuttosto grande; tondo e di oro puro, così brillante da sembrare falso. Era ruvido, probabilmente non lavorato dai moderni orafi, ma di più antica fattura. Potei notare i classici lavori dell'arte etrusca e lo guardai interrogativa.
-Sulpicia non l'ha mai apprezzato, ma a me è sempre piaciuto- mi spiegò -mi perdonerai se ho “riciclato” questo dono-
Scossi la testa e lo guardai, poi fissai di nuovo il medaglione e sorrisi entusiasta. Mi alzai e lo abbracciai con tutta me stessa, posando le labbra sul suo collo, così tremendamente freddo.
Si gelò, immobilizzandosi. Deglutì e fece scivolare le dita magre tra i miei ricci, sempre scomposti e indomabili.
Lo avvertii accarezzarmi la testa delicatamente, impicciandosi con i boccoli e sorridendo.
-Mi piacciono tremendamente- commentò sottovoce, con dolcezza.
Sorrisi e mi scostai.
-Grazie mille, mi piace tantissimo- volevo continuare la frase, aggiungendo quanto la moglie fosse stupida a non gradire un regalo del genere.
Lui capì e scoppiò a ridere, tirò fuori dal taschino della camicia un paio di occhiali da sole, il modello d'aviatore, e li indosso con eleganza unica.
-Glielo regalai in seguito all'ennesimo tradimento. Tentò di strozzarmici- ironizzò, aprendo la porta. Io ero andata a infilarmi le scarpe, lo guardai stralunata, e trattenni le risate.
-Strozzarti?-
-Oh, sì. E ci era quasi riuscita. Se non fossi immortale ora come ora sarei morto un migliaio di volte in seguito a tutti gli attentati da parte di mia moglie- si poggiò allo stipite, mantenendo spalancata la porta.
-Smetterai di tradirla?- risi, superandolo e aspettandolo poi. Mi raggiunse e con sguardo furbo mi fissò per un poco.
-Dubito. Se veramente diverrai immortale, dubito fortemente- ridacchiò, lasciando in sospeso quella questione, e facendomi sospirare profondamente.
Chissà se Embry avrebbe cercato di strozzarmi con il laccio della macchinetta fotografica.

Aro guidava da dio. O meglio... la macchina che guidava era qualcosa di favoloso. Le strade della campagna a quell'ora erano praticamente deserte e lui poteva scivolare tranquillamente, semplicemente sfiorando il volante dell'auto sportiva.
Avevamo mangiato in un piccolo borgo lì vicino, diceva che la maggior parte dei turisti italiani ci passava almeno una volta prima di finire a Volterra.
Solo dopo qualche ora mi resi conto di quanto fosse tremendo quello che aveva detto.
Aro non mangiò nulla né l'ordinò. Rimase a fissarmi compostamente, intavolando discussioni interessanti e che più volte mi fecero scordare il resto del mondo.
Stando con lui, dimenticando la sua natura di regnante e assassino senza scrupoli, mi sentivo nuovamente me stessa. Approfondivo argomenti che da sempre mi interessavano, parlavo liberamente, potevo sentire le sue idee così articolate e solide.
Aro, era innegabile come cosa, era la mia anima complementare.
Certo il fatto che a volte uccidesse unicamente per divertimento era una cosa piuttosto... inquietante, ma non mi importava.
In quel momento non mi importava più nulla.
Desideravo stare con lui. Con lui e basta. Provavo questa voglia di stare in sua compagnia, sentirlo parlare, vederlo gesticolare con eleganza mentre mi spiegava antiche e nuove teorie.
Per la prima volta dopo tempo scordai Embry.
Aro mi chiese dei miei figli e si interessò molto ad Abrahaam e al suo modo di fare. Era affascinato dai suoi comportamenti, questo me lo scriveva anche nelle lettere, e rimasi piacevolmente stupita nel vederlo completamente assorto nelle mie parole.
Lo interessavo. Io interessavo una mente volubile ed estremamente portata per l'annoiarsi come la sua.
Passando il tempo con lui, seguendolo anche nella sala maggiore, potei notare alcune piccolezze che mi resero facile il capire quando era sincero e quando no.
Quando era sincero era serio, tremendamente serio e calmo. Il viso era disteso e poteva suggerire quasi severità e fastidio, ma più volte mi assicurò che non era affatto così, semplicemente, disse scherzando, doveva far riposare i muscoli.

Ritornammo nella mia camera che era ormai notte inoltrata, mi sedetti pesantemente sul letto e mi buttai giù, sorridendo.
Ero stanca ma tremendamente felice. Il pensiero del mio egoismo mi aveva abbandonato per tutta la serata e per la prima volta dopo giorni mi sentii leggera, senza preoccupazioni.
Pensai che Abraham mi avrebbe sostenuto, che i gemelli avrebbero riso della cosa e che Embry mi avrebbe capito. Che avrebbe capito che tutto ciò ci avrebbe reso più felici.
Avvertii il letto abbassarsi ancora un po': Aro si era seduto accanto a me. Fece scivolare una mano sulla mia, ma si bloccò; la ritirò e sussurrò: -mi puoi dire cosa stai pensando?-
Rimasi stupita da quella richiesta, ma gli spiegai tutto e lui sorrise tra sé.
-Mi dispiacerà quando te ne andrai, queste mura diventeranno nuovamente noiose e grige. Proverò di nuovo invidia per tuo marito e ti continuerò a scrivere chiedendoti perché hai scelto quel luogo umido e privo di vita, anziché queste solari colline-
Capii tutto d'un tratto che, in tutti quegli anni, nelle sue lettere, aveva inteso altro.
Lui mi voleva. Aveva scavalcato quel ricordo di Didyme, e era riuscito a focalizzarsi unicamente su di me. Senza secondi fini, voleva me.
-Perché ho scelto lui invece che te, vero?- mormorai, tirandomi su, con uno scatto di agitazione.
Logicamente avevo accarezzato l'idea di noi due, devo essere sincera. Ma il piccolo anello d'oro sul mio anulare mi aveva sempre bloccato.
-Meno elegantemente...- scherzò, la voce era un soffio, aveva chinato la testa e mi guardava.
Sorrisi a disagio e provai a scostarmi.
Non ci riuscii: non so se fu il suo tocco leggero sul mio viso, le mani che mi sfioravano le labbra, oppure la mia stessa volontà di non andarmene.
Lo volevo. Volevo tutto ciò e lo volevo per me.
Avvicinai il mio viso e sentii la sua mano scivolare sul mio collo, delicata e finalmente baciarmi.
Il contatto con le sue labbra mi fece rabbrividire, ma non mi spostai, anzi, presi più sicurezza e lo strinsi a me, portando la mano tra i suoi capelli e slegandoli.
Caddero in avanti: erano pesanti, folti e scuri. Ali di corvo, sorrisi tra me.
Mi scostai, avevo la bocca fredda e il respiro affannato, lui mi guardò con un sorriso così tremendamente felice da spiazzarmi.
Non riuscii a dire nulla, non guardai nient'altro che lui, nella paura di far cadere il mio sguardo sulla fede.
Continuai a baciarlo e continuai a farmi sfiorare. Sembrava come se mi conoscesse, come se ogni punto del mio corpo che veniva toccato fosse pronto a donarsi a lui.
-Sei un fiore che sta sbocciando, Laura- mi sussurrò all'orecchio. Ormai nudi stavamo l'uno stretto all'altra, baciandoci il collo, il petto, ovunque.
Anni di carta avevano portato a questa necessità di contatto, come mai ne avevo avuta in tutta la mia vita.
Risi sommessamente e mormorai: -sono sfiorita, Aro, da qualche anno-
-Non sempre l'età porta decadenza- soffiò al mio orecchio, portandosi su di me e iniziando a scendere sui miei seni.
Fremetti e mi tesi, gli sfiorai le braccia; pallide e asciutte.
Non avvertii il freddo del suo corpo, ma solo un calore unico e prorompente.
Poi il dolore, il morso, quella strana sensazione di estasi mentre beveva da me, quel misto di dolore e piacere che si provava solo poche volte nella vita.
Fremeva anche lui e non si voleva staccare. La vista mi si appannava, il soffitto a cassettoni della stanza era sempre più sfocato e la mia voce veniva meno.
Ricordo che continuai a sussurrare il suo nome, pregandolo di staccarsi.

-Embry, ricordati di prendere i giochi dei gemelli- urlai, mentre chiudevo la porta.
C'era il sole a La Push, Abraham ci aspettava composto in macchina, affondando il viso in un libro.
I lamenti di Neka e Kenai erano così acuti che non riuscivo a capacitarmene.
C'era Aro e io gli facevo segno di andarsene, che lo avrebbero visto i vicini. Lui scoppiò a ridere e mi rispose che i vicini erano peggio di lui.
Uscì Sam dalla casa e mi guardò, lo sguardo vacuo e di quel colore dorato.
Non capivo. Cosa avevo fatto.
Abbassai lo sguardo e i corpicini di Neka e Kenai giacevano esangui tra le mie braccia.
Cosa avevo fatto?
E all'improvviso fui nuda, tentando di coprirmi. Jake mi guardava, sconvolto e con il viso contrito.
-Cenere-
Non sapevo chi lo diceva, Aro era sparito.
La casa bruciava. Perché?
-Cenere-
Io ero fredda, di marmo, ma tutto bruciava. Avevo paura del fuoco.
Abaharam continuava a leggere ignaro di tutto ciò, come isolato da tutto e tremendamente al sicuro.

-Aro, brucia- lo sussurravo continuamente.
Avvertii la mano fredda sulla fronte, poi le sue parole, sempre più confuse.
Infine caddi in un sonno infernale per tre lunghi giorni.










Solo una cosa, ragazze: fatevelo bastare .-." io sto ancora tentando di rimettere in chiaro le idee. Questo capitolo enorme è opera di Laura, e spero lo commenterete almeno per dirle grazie di essersi impegnata tanto anche per aiutare me e far continuare questa storia^^

Nient'altro.

Grazie ancora a tutte voi.

Da Sam

   
 
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