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Autore: Sognatrice85    02/07/2010    1 recensioni
Sono trascorsi tre anni da quando una giovane ragazza vive a Londra. Lì ha conosciuto i lati belli e brutti dell'andare a vivere da sola in un posto lontanissimo da casa propria. Ma sono gli ultimi due anni che hanno stravolto maggiormente la sua vita, nella quale sono entrate a far parte due persone speciali che le hanno riempito il cuore. Un giorno però due occhi chiari le stravolgeranno completamente l'esistenza. Un sogno nel cassetto, un "pensiero felice", tanta amicizia e tanto amore...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ricordi Scusate se non rispondo alle recensioni.
Sono un pò di fretta.
Finalmente sono riuscita a scrivere il nuovo capitolo. Ultimamente mi blocco spesso e me ne dispiace, perchè vi faccio aspettare.
Ma ora basta perdersi in chiacchiere.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite, ricordate, chi recensisce, chi legge semplicemente...:) mi fa davvero piacere destare la vostra attenzione.
Vi ricordo che per chi volesse contattarmi, questi sono i miei indirizzi:  My facebookQuelli che amano le storie di Sognatrice85
Vi aspetto numerosi <3.

Capitolo 2 “Ricordi”

 

 

Qualche ora più tardi, mi trovavo di nuovo sulla mia vecchia auto, questa volta niente corse contro il tempo, anzi era addirittura in anticipo, per questo, guidata dall’istinto o dalla mia innata follia se vogliamo, mi ritrovai in Piccadilly Circus. Sorrisi e sospirai appannando il vetro della macchina. Spensi il motore, tolsi la cinta e attesi qualche minuto prima di scendere, raccogliendo tutte le forze che possedevo.
Fuori aveva cominciato a piovere. Tutto normale quando si trattava di Londra, lì il tempo era perennemente avvolto da nuvole grigie, ma questo non mi dispiaceva affatto.
Io amavo la pioggia.
Buttai la testa all’indietro la sentivo fin troppo pesante, premeva convulsamente ed era parecchio dolorante.
Conoscevo il motivo di quel malessere.
Tornare lì, forse, non era stata una grande idea, ma ne avevo bisogno. Erano ormai tre mesi che mi ero imposta il divieto assoluto di avvicinarmi, anche solo per sbaglio, a quella zona. Ma se non ritrovavo lì in quel momento, una spiegazione c’era.
Sbuffai ignorando la mia pungente razionalità, la quale stava per far nuovamente capolino dentro di me, quindi mi decisi a scendere dalla macchina, sbattendo forte la portiera, quasi come se in quel modo potessi scacciare via i brutti pensieri.

Mossi i primi passi sotto l’acqua, aprii l’ombrello solo perché non volevo beccarmi un malanno, altrimenti ne avrei volentieri fatto a meno. Giunta al semaforo, mi fermai, sapendo che non appena avrei avuto la forza e il coraggio di alzare lo sguardo da terra, avrei rivissuto quell’esperienza assurda. Per questo inspirai e espirai un paio di volte “Forza Maggie. Non farà male…ricordati: è il tuo pensiero felice” sussurrava la vocina nella mia testa.
Fu così che lo feci: alzai la testa e guardai dritto davanti a me, pronta per quel viaggio indietro nel tempo…
 

<< Ero di corsa, come al solito. Avevo parcheggiato l’auto nelle vicinanze di Piccadilly Circus. Jenny e Daiana mi aspettavano al solito Starbucks, ormai quello era diventato il nostro strambo ritrovo per una stramba relazione come la nostra. Ci eravamo incontrate lì un mese prima. Eravamo sedute a tre tavoli differenti e sorseggiavamo pensierose i nostri caffè neri bollenti. Daiana era alla mia sinistra e fu la prima di noi a sospirare pesantemente attirando l’attenzione mia e di Jenny. Arrossì quando capì che la stavamo guardando insistentemente e cercò, in malomodo, di nascondersi dietro la ciocca dei suoi capelli. Sorrisi tra me, rividendo un po’ di me in lei. A quel punto ritornai a sorseggiare tranquilla il mio caffè, ma questa volta, alla mia sinistra, s’esalò un altro sospiro. Mi voltai e vidi una ragazza dai capelli scuri e gli occhi azzurro oceano che poi scoprii chiamarsi Jenny. Sorrisi anche a lei che rispose con un cenno del capo. Quando mi girai notai che anche l’altra ragazza s’era voltata nella mia direzione. Ero circondata, ma la cosa non mi dispiacque.
Sorseggiai ancora un po’ del mio caffè e diedi un piccolo morso al tramezzino col tonno che avevo bellamente ignorato fino a quel momento. Mi uscì un sospiro mentre chiudevo gli occhi. Mi accorsi subito di ciò che avevo fatto e mi tappai immediatamente la bocca con entrambe le mani, di sbieco fissai le due ragazze ai miei lati e, come sospettavo, mi stavano osservando. Quella situazione era alquanto buffa e iniziai a ridere, con me anche loro.
Fu poi Jenny a mettersi seduta accanto a me, rompendo il silenzio “Visto che tutte e tre dobbiamo sospirare, meglio farlo in compagnia, non credi?” disse avvicinandosi “Piacere, Jenny?” mi porse la mano, la strinsi senza pensarci troppo “Piacere mio. Sono Maggie”, si accomodò di fronte a me e insieme, nello stesso istante, ci girammo alla nostra destra, l’altra ragazza era in piedi, ma era rimasta vicino al suo tavolo, dondolava su un piede e con una mano si toccava continuamente una ciocca di capelli. Era imbarazzata e le guance rosse lo dimostravano. “Avvicinati pure” disse Jenny “Non ti mangiamo mica, sai?” aggiunse sorridendo allegra. Dod alzò lo sguardo e l’espressione di beatitudine che lessi nei suoi occhi mi colpì totalmente. Si rilassò completamente dopo le parole di Jenny e si sedette anche lei, vicino a noi “Io mi chiamo Daiana. Dod per gli amici, o Doddola come vi pare” disse tutto d’un fiato, immergendosi subito dopo nel suo caffè. Io e Jenny ci scrutammo e spalancammo occhi e bocca. La voce di Dod era di una dolcezza disarmante, sentivo il cuore traboccare d’amore e probabilmente per Jenny fu la stessa cosa. “Ammazza oh!” esclamò Jenny facendo sussultare sia me che Daiana “Ma è tuo originale questo timbro di voce?” inarcai un sopracciglio sorpresa, Dod arrossì ancora di più “Non prenderla a male. È un complimento” e sorrise. Da lì iniziammo a parlare, a raccontarci di noi, dei nostri progetti, dei nostri impegni, del nostro arrivo a Londra. Scoprimmo che avevamo molto in comune e da allora ogni pomeriggio per la pausa pranzo, ci ritorvavamo in quel luogo. Quel giorno stavo andando da loro, erano le due passate ed ero in ritardo di un quarto d’ora, Carol mi aveva trattenuta per farmi sistemare alcuni libri arrivati all’ultimo momento. Sbuffai quando vidi che il semaforo per i pedoni era rosso, picchiettai col piede a terra e con le braccia incrociate al petto, aspettavo impaziente.
D’improvviso scattò il verde e con esso io mi precipitai per strada, circondata da un ammasso di gente. Era maggio, faceva stranamente caldo e quella era l’ora di punta a Londra. Ero sovrappensiero, eccitata all’idea di rivedere quelle due ragazze. Non sapevo perchè ma mi fidavo ciecamente di loro, ormai quella era diventata una piacevole abitudine e durante la mattinata fremevo perché giungesse quel momento. Era il migliore di tutta la giornata. Per un motivo ancora a me sconociuto, alzai lo sguardo proprio nell’istante in cui mi passò accanto un ragaxxo che portava con sé un sacco nero contentente una chitarra. Inizialmente mi dissi che lo avevo notato in mezzo a tanta gente perché indossava un berretto nero nonostante facesse quel caldo, poi  però, notai quel particolare che lo rendeva stranamente diverso dagli altri: il suo sguardo e lì il tempo si fermò. Quegli occhi erano talmente chiari e profondi che sembrava facile perdersi. Tremai. In mezzo a tutta quella gente sudaticcia, quel sole che mi picchiava in testa, tremai. E questo bastò a farmi immobilizzare. Ancor più quando, constatai che i miei occhi s’erano incrociati ai suoi e lì fu il delirio. Il mio corpo vibrò, il cuore fece diverse capriole, salendomi fino in gola e le gambe molleggianti, rischiarono di tradirmi e farmi crollare a terra. Presto il suo sguardo cambiò direzione ed io ne avvertii bruscamente la mancanza. Mi sentivo come vuota. Nuda. Quei pochi secondi erano bastati perché registrassi ogni particolare del suo viso magrolino e del suo esile corpo. Rimasi imbabolata ancora un po’, fin quando il suono dei clackson mi annunciò che era scattato nuovamente il verde per le auto. Attraversai di corsa la strada, ma quando mi voltai, lui non c’era già più. Mi sentii delusa.
Ripresi a camminare diretta al bar, la testa continuava a proiettare la frazione di secondi in cui avevo incontrato quel ragazzo. Probabilmente avevo avuto semplicemente un’allucinazione, non poteva essere sparito in quel modo. Camminando e pensando mi ritrovai da Starbucks. Presi un bel respiro ed entrai. Quando le mie amiche mi videro, sventolarono in aria le loro mani ed io risposi solo con un cenno della testa. Le loro espressioni mutarono immediatamente. Mi accomodai al tavolo con loro in religioso silenzio. “Abbiamo ordinato anche per te. Ci stavamo preoccupando” parlò Jenny per prima “Scusatemi. Avrei voluto avvisarvi, ma non ne ho avuto il tempo. ho dovuto sistemare un bel po’ di libri” sbuffai, lasciandomi scivolare sulla sedia, chiudendo gli occhi e massaggiandomi le meningi “Avanti!” disse Jenny con un tono di voce serio che mi costrinse a riaprire le palpebre “Cosa?” chiesi smarrita “Che è successo?” domandò Dod, la quale era rimasta in silenzio fino a quel momento “Parla!” m’incitò Jenny. La mia testa si mosse da destra a sinistra e viceversa, fissai basita le mie interlocutrici e mi sentii improvvisamente sciocca. “Non temere” disse Dod, posando la sua mano sulla mia “Noi non ti giudicheremo” aggiunse teneramente Jenny, imitando il gesto di Daiana. Sorrisi loro grata e tutto d’un fiato raccontai dell’accaduto. Mi stettero ad ascoltare attentamente, ma potevo vedere le loro espressioni divenire sempre più stupefatte. Quanto terminai, bevvi con vigore l’ultimo sorso di caffè e lo mandai giù senza pensarci troppo. Poi fissai loro che mi osservavano “Sono matta. Fate bene a pensarlo” sorrisi amara, chinando il capo “Non lo sei!” esclamò Dod, posando il suo bicchiere sul tavolo e pulendosi la bocca con il tovagliolo. Io la fissai sorpresa “Io invece credo che quello che ti sia successo sia una cosa rara e bellissima” strabuzzai gli occhi “Si, hai capito bene: rara e bellissima!” ribadì convinta, sorridendo “E non dovresti arrenderti, sai? No, decisamente no!” disse “Anzi, forse dovresti cercarlo” “Ma…” iniziai a dire, ma lei mi bloccò “Non dire niente. Il cuore è uno strano organo. Funziona in modo illogico” sorrise “Ma non si sbaglia mai, soprattutto quando s’attiva di colpo in una situazione come questa” aggiunse annuendo, come a convincere prima sé stessa di quello che stava dicendo “Lui lo ha riconosciuto” tornò a guardarmi, gli occhi le brillavano “Non capisco” balbettai “Probabilmente lui è la tua anima gemella, la famosa metà della mela”, a quelle parole il cuore tamburellò, facendomi avvertire la sua presenza “Non è possibile” soffiai, lo sguardo perso nel vuoto. Jenny era stata zitta, aveva bevuto tranquillamente il suo caffè e mangiato il suo hot dog “Sono d’accordo con Daiana” confessò “Ci sono delle cose che la razonalità non può spiegare, quindi non starti a crogiolare sul significato di questo episodio, perché non riusciresti a trovare una risposta certa” decretò “Questo ragazzo ha risvegliato il tuo animo. Ed era ora” sorrise sorniona.
Da quel momento in poi, non facevano che ricordarmelo, spronandomi a cercarlo. Avevo trascorso giornate intere a rifletterci, a convincermi che dovevo rischiare, ma la mia razionalità aveva preso il sovravvento e ci avevo rinunciato. Poco dopo le nostre riunioni si spostarono a casa mia. Incosciamente volevo evitare  di trovarmi in quella zona della città, eludendo così, la possibilità di incontrare ancora quel ragazzo. Casa mia ben presto divenne la casa di tutte e tre, fu naturale chiedere ad entrambe di convivere, in modo da poter stare insieme tutte le volte che volevamo.>>

 

Una, due , tre, quattro gioccioline bagnarono la mia giacca.
Scossi la testa, cacciando via quel ricordo, mi portai una mano sulla tempia per sostenermi e solo nell’istante in cui sbattei le palpebre, mi resi conto che avevo la vista leggermente appannata. Strofinai le dita circolarmente sulla linea violacea dei miei occhi che si impregnarono delle mie lacrime.
Sospirai incredula. Mi diedi mentalmente della stupida.
Controllai l’orologio, mancavano venti minuti alle quattro, dovevo andare a lavoro. Mi concessi un’ultima occhiata al passaggio pedonale, poi gli diedi le spalle correndo via.

 
“Carol sono arrivata!” esclamai entrando nella libreria, scuotendo la giacca bagnata, il mio capo s’affacciò con la testa dalla porta sulla sinistra e mi sorrise “Ti aspettavamo”, corrucciai la fronte “Ci sono John e Raian. Stiamo discutendo approposito di alcuni lavori di ristrutturazione che avevo” spalancai la bocca sorpresa e coonfusa “Dai vieni!” m’invitò lei, facendomi segno con la mano di seguirla. Entrai nella piccola sala riunioni e mi accomodai al tavolo rettangolare sulla destra accanto a John, il ragazzo che si occupava del trasporto dei libri, di fronte a me c’era Rayan, il figlio unico di Carol, aveva due o tre anni più di me. Aveva la pelle lattea e i capelli nero corvino, le cui ciocche gli ricadevano ribelli sul volto squadrato e grande. Un bel ragazzo tutto sommato, ma non era affatto il mio tipo, tutto festini e sesso, niente impegni seri o situazioni stabili.
Sorrisi impacciata quando mi accorsi che mi guardava con insistenza, poi, abilmente, distolsi lo sguardo e fissai Carol, al mio fianco, John sospirava, lo sguardo leggermente perso nel vuoto. Mi dispiaceva saperlo triste, soprattutto mi sentivo incapace di aiutarlo. “Allora!” esordì Carol distranedomi dai miei pensieri “Come ben sai, Simon vuole vendere il locale qui di fianco e noi pensavamo di acquistarlo, ingrandendo così la libreria, potremmo creare un angolo studio per gli studenti, ampliare la zona bar e ristoro” disse gioiosa, gli occhi le brillavano a dimostrazione di quanto tenesse a quel posto “Tu cosa ne pensi?” domandò guardandomi sorridente, ero scossa, non credevo di poter avere voce in capitolo, d’altronde ero una semplice commessa “Io…” deglutii imbarazzata, torturandomi le mani, nascoste sotto il tavolo “Non so che dire”, Carol mi osservò seria “Cioè…” mi guardai intorno cercando l’appoggio di John “E’ una bellissima idea, credo che potrebbe funzionare” ammisi, il mio capo tornò così a sorridere. “Ci tengo a conoscere la tua opinione, sei una buona collaboratrice e fino ad ora i tuoi piccoli suggerimenti hanno contribuito a rendere migliore questo posto” quelle parole giunsero inaspettate, inizialmente le accolsi con una certa titubanza, poi però un bellissimo sorriso nacque sul mio volto e mi sentii fiera di me stessa. Appena arrivata a casa avrei raccontato tutto alle mie amiche e gioito con loro di questa piccola soddisfazione.

Terminata la riunione, ci alzammo tutti dal tavolo, io ero pronta per tornare al mio lavoro, ma Rayan mi fermò, afferrandomi per il braccio “Ehi Maggie!” esclamò melenso, le sue viscide mani indugiarono ad accarezzarmi da sopra la maglia. Scostai il braccio seccata e lo guardai di sbieco “Ciao Rayan” dissi, tentando di controllare la mia voce “E’ da un po’ che non ci si vede!” disse sorridendo falsamente “Volevi qualcosa?” chiesi un po’ aspra, scocciata per quell’interruzione “Si” affermò sicuro “Stasera darò una festa nel mio nuovo locale a Portobello Road” “O…ok” risposi incerta, corrugando la fronte “Vieni! Ci sarà da divertirsti!” proferì determinato, porgendomi un biglietto per l’ingresso. Lo presi, osservandolo stupita. Non mi aspettavo quest’invito “Posso venire anch’io?” domandò qualcuno alle mie spalle. Mi voltai e vidi John sorridere mentre guardava prima me e poi Rayan “Certo! Portate qualche vostro amico. Ho bisogno di un po’ di pubblicità” ammiccò prima di andarsene.

Fissai John basita “Davvero vuoi andarci?” chiesi dubbiosa “Oh si!” esclamò sognante “Dai Maggie non fare quella faccia!!!” roteò gli occhi al cielo e fece una strana smorfia con la bocca “Non puoi rinchiuderti in casa! Devi vivere, tesoro!” disse prendendomi le mani “Tu lo dici solo perché vuoi vedere Rayan” risposi facendogli la linguaccia, John arrossì “Non è vero!” ribatté intensificando il suo sguardo. Amavo i suoi occhi castani. Erano capaci di brillare anche al buio, nonostante fossero così scuri. Trasmettevano una forza e un’energia che ti coinvolgevano, inevitabilmente. John era gay, me lo aveva confessato qualche mese dopo che avevo iniziato il lavoro nella libreria. Non mi eran sfuggite le sue chiare occhiate languide che lanciava al figlio della “capa” e mi faceva sorridere la tenerezza con cui, si perdeva nell’osservare i suoi spostamenti, come arrossiva quando lui gli rivolgeva, anche per caso, la parola e il modo in cui sospirava trovandoselo nelle vicinanze.
John aveva capito che avevo intuito qualcosa, per questo un giorno mi aveva afferrato per un polso e trascinata nello scantinato. L’avevo seguito senza batter ciglio. Il suo gesto non sapeva di violenza, anzi, addirittura risultava così tenero. Il suo imbarazzo mi si palesò davanti quando si fermò, dandomi la visuale delle sue spalle “Scusami, non volevo essere brusco” aveva detto “Ma…vorrei sapere se sai…” “Che sei gay?” lo interuppi prima che potesse aggiungere altro. Si girò di scatto, fissandomi spaventato. Gli sorrisi, pregando di tranquillizzarlo e sembrai riuscirci, visto che le sue spalle si rilassarono “Come lo hai capito?” domandò a bassa voce “Vedo come fissi Rayan. Ne sei innamorato” constatai, attenta alla sua reazione. Non volevo ferirlo, né risultare invadente. John annuì, chinando il capo, evitando così il mio sguardo. Io mi avvicinai, con due dita sotto il mento alzai il suo viso.
Volevo che mi guardasse.
Volevo che leggesse nei miei occhi quello che pensavo.
“Non devi vergognarti di me. Non ti giudico” e gli sorrisi sincera, lui mi guardò ancora un attimo, poi sorrise e mi abbracciò “Grazie” sussurrò tra i miei capelli. Ancora sconvolta per quel suo gesto, non seppi cosa rispondergli.
A distanza di tempo, eravamo diventati buoni amici, qualche volta lo avevo trascinato a casa mia e insieme a Jenny e Dod ci eravamo fatti tante risate. Mi piaceva vederlo sereno. Per me era quasi un fratello.

“Ok” mi arresi, sbuffando, John saltellò sul posto, baciandomi la guancia “Grazie! Insieme faremo faville stasera. Ti passo a prendere io per le otto e mezza, mi raccomando sii puntuale!” e se ne andò “Ah! Dillo anche a Jenny e Dod! Sono convinto che loro accetteranno in un batter baleno. Sono meno musone di te” schioccò la lingua sui denti, poi sparì.
Mi ritrovai a ridere da sola.
Mi aveva messo di buon umore, facendomi dimenticare per un po’, l’episodio del pomeriggio.
 

“Carol, per oggi ho finito” proferii, sistemando l’ultimo incasso della giornata nella cassa e inserendo il codice di sicurezza “Va bene, Maggie. Puoi andare. Ci vediamo domani mattina” annuii.
Uscita dalla libreria notai con un po’ di piacere, che aveva smesso di piovere. Il cielo restava plumbeo, però in vista di quella serata, sperai si trattenesse. Non avevo alcuna voglia di inzupparmi i vestiti.
Sorrisi e corsi via.
Diretta verso casa.

“Gente sono tornata!” esclamai entrando dalla porta e chiudendola con un piede. Jenny si affacciò dal salotto e mi fissò “Vedo finalmente l’ombra di un sorriso sul tuo bel visino” constatò avvicinandosi “Hai incontrato qualcuno?” domandò sorridendo, negai con la testa “Rayan mi ha invitato all’inaugurazione del suo nuovo locale, John si è offerto di accompagnarmi. Anzi mi ha detto di dirlo anche a voi” “Se” sputò ironica “Si è offerto” sghignazzò “Diciamo così. In realtà il suo scopo e farsi Rayan” esclamò guardandomi “Oh ma ne sono consapevole, sorella!”risposi andando verso la cucina e trovandoci lì Daiana, intenta a impastare, quando si voltò per salutarmi, mi scappò una grossa risata. Aveva il viso completamente coperto di farina “Mi dici che stai combinando?” riuscii a formulare appena una domanda decente, trattenendomi dal ridere ancora. Daiana inarcò le sopracciglia e si portò le braccia sui fianchi. Ops. Mi sa che l’avevo offesa.
Jenny mi aveva seguita “Comunque io stasera passo. Ho la schiena a pezzi e preferisco riposarmi” disse, posando sulla tavola il bicchiere che aveva in mano “Che succede stasera?” domandò Doddie che nel frattempo, sembrava si fosse ripresa “Rayan ha invitato Maggie all’inaugurazione del suo locale, va anche John che ci vorrebbe tutte con…” Jenny non riuscì a completare la frase, perché s’era girata incontrando lo sguardo di Daiana. Per un attimo temetti che le prendesse un collasso, poi scoppiò a ridere, piegandosi in due.
Ma dico io: vivevamo nella stessa casa e ancora non s’era accorta del pasticcio fatto dalla piccola? Bah!
“Oddea!” esclamò, rialzandosi e asciugandosi le lacrime “Mi dici che cacchio stai facendo per impasticciarti così il viso?” le chiese avvicinandosi al marmo della cucina e sbirciando alle spalle di Daiana “Sto cercando di fare un dolce” rispose quest’ultima, con una certa irritazione nella voce. “Scusate se non sono così esperta, cerco di applicarmi” aggiunse “E lo fai ficcando il viso nella farina?” chiese Jenny riprendendo a ridere.
Io mi ero fermata accanto al tavolo e le osservavo, trattenevo a stento la ridarella, ma non volevo rischiare di esagerare.
“E dimmi” prosegì Jenny “Per chi sarebbe questo dolce?” chiese con una voce carica di curiosità. Doddie voltò il capo, tornando ad impastare. Lo faceva con forza, come se volesse quasi affogare in quel miscuglio di uova e farina “Daiana?” la richiamai io, accostandomi a lei. Daiana si fermò, restando con lo sguardo fissò sulle mani. Le accarezzai la testa “Lo sai che con noi puoi parlare” le ribadii “Si” soffiò scuotendo la testa e sospirando “L’altro giorno a lavoro, hanno assunto un nuovo ragazzo” cominciò titubante, forse in imbarazzo “Quando l’ho visto mi sono chiesta se fosse inglese. Non so…aveva l’aria di essere un po’ smarrito. Così quando Fred gli ha consigliato di farsi aiutare da me per capire come lavorare, mi sono trovata davanti a due pozzi neri” si fermò alzando la testa “Due occhi così neri che ho avuto paura” guardò prima Jenny, poi me. Lessi nelle sue pupille un’emozione nuova.
Le sorrisi teneramente.
“Mi ha detto di chiamarsi Kevin. È scozzese, ma suo padre è spagnolo. Di Valencia. Vive qui a Londra da un anno. Ha finito la scuola, ora frequenta il conservatorio e a quanto pare per mantenersi deve lavorare. Suo padre non vuole più che dipenda totalmente dal suo stipendio” continuò, allontanandosi dal piano cottura e accomodandosi su una sedia “Cos’è che ti turba?” tremò a quella domanda, tornando nuovamente ad abbassare la testa “L’effetto che mi fa. Io…” deglutì rumorosamente “Non mi sono mai sentita così con un ragazzo. Solitamente all’inizio sono timida, poi mi ci relaziono con tranquillità. Ma Kevin ha qualcosa che…cavolo! Mi fa fremere se solo mi sfiora per sbaglio!” esclamò osservandoci e sbarrando gli occhi. 
Io e Jenny ci guardammo.
“Ti piace” affermò Jenny, Dod si immobilizzò “Forse. Non lo so” si prese la testa tra le mani e cominciò a scuoterla “Non ci capisco più niente! Ma può sconvolgermi così da un giorno da un altro?” un singhiozzò le ruppe la voce, mi precipitai ad abbracciarla “Capisco bene ciò che dici” ammisi “Davvero?” domandò lei, guardandomi. Gli occhi carichi di aspettative “Sai quanto quell’incontro mi abbia turbata. Non mi era mai capitata una cosa del genere. È stato inaspettato, ma…ci convivo” “E non fa male?” chiese, le strinsi la mano “A me fa male, perché non so chi sia lui. Tu…” e la guardai “Puoi incontrarlo tutti i giorni, conoscere qualche lato del suo carattere, vedere come si comporta, ascoltare il suono della sua voce” “E’ una melodia” soffiò, la scrutai con aria interrogativa “Ha una voce melodiosa. Sembra un usignolo. Poi ama i Queen, capisci? I Queen!” esclamò elettrizzata, alzando le mani verso l’altro “Il tuo gruppo preferito” notai con piacere i suoi occhi brillare d’approvazione “Domani è il suo compleanno e mi piacerebbe portargli un piccolo dolce alle mandorle. Ho scoperto che le adora” Jenny venne vicino a noi  “Avanti combina guai! Alzati in piedi! Ti do una mano io” proferì indicandole la farina e le mandorle riposte sul marmo.
Sorrisi.
“Tu vatti a preparare!” disse poi verso di me “E scegli quel vestito rosso che tanto ti dona! Non ti presentare al mio cospetto con jeans e maglietta perché ti faccio ritornare in stanza e non ti faccio uscire finchè non sarai decentemente vestita!” tremai, quando Jenny parlava in quel modo non c’era niente da fare.
Dovevi obbedirle per forza.
Annuii e mi precipitai in stanza.
“Sei un impiastro!” sentii gridare Jenny, ridacchiai e mi chiusi dentro, dando inizio all’opera di restauro.

Mezz’ora più tardi ero pronta.
Avevo indossato l’abito rosso consigliatomi da Jenny e mi ero anche leggermente truccata.
Quando le mie amiche mi videro entrare in cucina, sbarrarono gli occhi. Temetti di aver sbagliato tutto “Oddio! Faccio così schifo?” domandai preoccupata, guardandomi il vestito “Ma scherzi?” disse Daiana “Sei uno schianto!” e fischiò. Ridacchiai, portandomi una mano sulla bocca.
Jenny continuava a fissarmi severa “Dimmi” dissi rivolgendomi a lei “Niente. Constatavo quanto il mio consiglio sia stato azzeccato” e sorrise “Sei davvero fantastica!” confessò facendomi arrossire “Ora non esageriamo!!!” risposi, provando a celare il mio imbarazzo.
Il campanello suonò, vibrando per tutta la casa.
Sussultammo tutte e tre.
“Questo è sicuramente John. Vado!” dissi, sia Jenny che Daiana annuirono “Mi raccomando pensa solo a divertirti e portaci un  maschio a casa!” gridò Jenny, mentre io correvo giù per le scale.
Con l’affanno arrivai all’entrata, sul marciapiede c'era John ad aspettarmi.
Indossava un elegante pantalone nero, un maglione blu elettrico e sotto una camicia azzurra “Wow” fischiettò vedendomi, arrossii all’istante, abbassando la testa. John si avvicinò, mi prese una mano e me la baciò, facendomi l’occhiolino “Andiamo Madame?” annuii ridendo.

Si prospettava proprio una bella serata…

   
 
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