Sono un pò di fretta.
Finalmente sono riuscita a scrivere il nuovo capitolo. Ultimamente mi blocco spesso e me ne dispiace, perchè vi faccio aspettare.
Ma ora basta perdersi in chiacchiere.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite, ricordate, chi recensisce, chi legge semplicemente...:) mi fa davvero piacere destare la vostra attenzione.
Vi ricordo che per chi volesse contattarmi, questi sono i miei indirizzi: My facebook , Quelli che amano le storie di Sognatrice85
Vi aspetto numerosi <3.
Capitolo 2
“Ricordi”
Qualche ora più tardi, mi trovavo di nuovo sulla mia vecchia
auto, questa volta niente corse contro il tempo, anzi era addirittura in
anticipo, per questo, guidata dall’istinto o dalla mia innata follia se
vogliamo, mi ritrovai in Piccadilly Circus. Sorrisi e sospirai appannando il
vetro della macchina. Spensi il motore, tolsi la cinta e attesi qualche minuto
prima di scendere, raccogliendo tutte le forze che possedevo.
Fuori aveva cominciato a piovere. Tutto normale quando si
trattava di Londra, lì il tempo era perennemente avvolto da nuvole grigie, ma
questo non mi dispiaceva affatto.
Io amavo la pioggia.
Buttai la testa all’indietro la sentivo fin troppo pesante,
premeva convulsamente ed era parecchio dolorante.
Conoscevo il motivo di quel malessere.
Tornare lì, forse, non era stata una grande idea, ma ne avevo
bisogno. Erano ormai tre mesi che mi ero imposta il divieto assoluto di
avvicinarmi, anche solo per sbaglio, a quella zona. Ma se non ritrovavo lì in
quel momento, una spiegazione c’era.
Sbuffai ignorando la mia pungente razionalità, la quale stava
per far nuovamente capolino dentro di me, quindi mi decisi a scendere dalla
macchina, sbattendo forte la portiera, quasi come se in quel modo potessi
scacciare via i brutti pensieri.
Mossi i primi passi sotto l’acqua, aprii l’ombrello solo
perché non volevo beccarmi un malanno, altrimenti ne avrei volentieri fatto a
meno. Giunta al semaforo, mi fermai, sapendo che non appena avrei avuto la
forza e il coraggio di alzare lo sguardo da terra, avrei rivissuto
quell’esperienza assurda. Per questo inspirai e espirai un paio di volte “Forza Maggie. Non farà male…ricordati: è il
tuo pensiero felice” sussurrava la vocina nella mia testa.
Fu così che lo feci: alzai la testa e guardai dritto davanti
a me, pronta per quel viaggio indietro nel tempo…
<< Ero
di corsa, come al solito. Avevo parcheggiato l’auto nelle vicinanze di
Piccadilly Circus. Jenny e Daiana mi aspettavano al solito Starbucks, ormai
quello era diventato il nostro strambo ritrovo per una stramba relazione come
la nostra. Ci eravamo incontrate lì un mese prima. Eravamo sedute a tre tavoli
differenti e sorseggiavamo pensierose i nostri caffè neri bollenti. Daiana era
alla mia sinistra e fu la prima di noi a sospirare pesantemente attirando
l’attenzione mia e di Jenny. Arrossì quando capì che la stavamo guardando
insistentemente e cercò, in malomodo, di nascondersi dietro la ciocca dei suoi
capelli. Sorrisi tra me, rividendo un po’ di me in lei. A quel punto ritornai a
sorseggiare tranquilla il mio caffè, ma questa volta, alla mia sinistra,
s’esalò un altro sospiro. Mi voltai e vidi una ragazza dai capelli scuri e gli
occhi azzurro oceano che poi scoprii chiamarsi Jenny. Sorrisi anche a lei che
rispose con un cenno del capo. Quando mi girai notai che anche l’altra ragazza
s’era voltata nella mia direzione. Ero circondata, ma la cosa non mi
dispiacque.
Sorseggiai
ancora un po’ del mio caffè e diedi un piccolo morso al tramezzino col tonno
che avevo bellamente ignorato fino a quel momento. Mi uscì un sospiro mentre
chiudevo gli occhi. Mi accorsi subito di ciò che avevo fatto e mi tappai
immediatamente la bocca con entrambe le mani, di sbieco fissai le due ragazze
ai miei lati e, come sospettavo, mi stavano osservando. Quella situazione era
alquanto buffa e iniziai a ridere, con me anche loro.
Fu poi Jenny
a mettersi seduta accanto a me, rompendo il silenzio “Visto che tutte e tre
dobbiamo sospirare, meglio farlo in compagnia, non credi?” disse avvicinandosi
“Piacere, Jenny?” mi porse la mano, la strinsi senza pensarci troppo “Piacere
mio. Sono Maggie”, si accomodò di fronte a me e insieme, nello stesso istante,
ci girammo alla nostra destra, l’altra ragazza era in piedi, ma era rimasta
vicino al suo tavolo, dondolava su un piede e con una mano si toccava
continuamente una ciocca di capelli. Era imbarazzata e le guance rosse lo
dimostravano. “Avvicinati pure” disse Jenny “Non ti mangiamo mica, sai?”
aggiunse sorridendo allegra. Dod alzò lo sguardo e l’espressione di beatitudine
che lessi nei suoi occhi mi colpì totalmente. Si rilassò completamente dopo le
parole di Jenny e si sedette anche lei, vicino a noi “Io mi chiamo Daiana. Dod
per gli amici, o Doddola come vi pare” disse tutto d’un fiato, immergendosi
subito dopo nel suo caffè. Io e Jenny ci scrutammo e spalancammo occhi e bocca.
La voce di Dod era di una dolcezza disarmante, sentivo il cuore traboccare
d’amore e probabilmente per Jenny fu la stessa cosa. “Ammazza oh!” esclamò
Jenny facendo sussultare sia me che Daiana “Ma è tuo originale questo timbro di
voce?” inarcai un sopracciglio sorpresa, Dod arrossì ancora di più “Non
prenderla a male. È un complimento” e sorrise. Da lì iniziammo a parlare, a
raccontarci di noi, dei nostri progetti, dei nostri impegni, del nostro arrivo
a Londra. Scoprimmo che avevamo molto in comune e da allora ogni pomeriggio per
la pausa pranzo, ci ritorvavamo in quel luogo. Quel giorno stavo andando da
loro, erano le due passate ed ero in ritardo di un quarto d’ora, Carol mi aveva
trattenuta per farmi sistemare alcuni libri arrivati all’ultimo momento.
Sbuffai quando vidi che il semaforo per i pedoni era rosso, picchiettai col
piede a terra e con le braccia incrociate al petto, aspettavo impaziente.
D’improvviso
scattò il verde e con esso io mi precipitai per strada, circondata da un
ammasso di gente. Era maggio, faceva stranamente caldo e quella era l’ora di
punta a Londra. Ero sovrappensiero, eccitata all’idea di rivedere quelle due
ragazze. Non sapevo perchè ma mi fidavo ciecamente di loro, ormai quella era
diventata una piacevole abitudine e durante la mattinata fremevo perché
giungesse quel momento. Era il migliore di tutta la giornata. Per un motivo
ancora a me sconociuto, alzai lo sguardo proprio nell’istante in cui mi passò
accanto un ragaxxo che portava con sé un sacco nero contentente una chitarra.
Inizialmente mi dissi che lo avevo notato in mezzo a tanta gente perché
indossava un berretto nero nonostante facesse quel caldo, poi però, notai quel particolare che lo rendeva
stranamente diverso dagli altri: il suo sguardo e lì il tempo si fermò. Quegli
occhi erano talmente chiari e profondi che sembrava facile perdersi. Tremai. In
mezzo a tutta quella gente sudaticcia, quel sole che mi picchiava in testa,
tremai. E questo bastò a farmi immobilizzare. Ancor più quando, constatai che i
miei occhi s’erano incrociati ai suoi e lì fu il delirio. Il mio corpo vibrò,
il cuore fece diverse capriole, salendomi fino in gola e le gambe molleggianti,
rischiarono di tradirmi e farmi crollare a terra. Presto il suo sguardo cambiò
direzione ed io ne avvertii bruscamente la mancanza. Mi sentivo come vuota.
Nuda. Quei pochi secondi erano bastati perché registrassi ogni particolare del
suo viso magrolino e del suo esile corpo. Rimasi imbabolata ancora un po’, fin
quando il suono dei clackson mi annunciò che era scattato nuovamente il verde
per le auto. Attraversai di corsa la strada, ma quando mi voltai, lui non c’era
già più. Mi sentii delusa.
Ripresi a
camminare diretta al bar, la testa continuava a proiettare la frazione di
secondi in cui avevo incontrato quel ragazzo. Probabilmente avevo avuto
semplicemente un’allucinazione, non poteva essere sparito in quel modo.
Camminando e pensando mi ritrovai da Starbucks. Presi un bel respiro ed entrai.
Quando le mie amiche mi videro, sventolarono in aria le loro mani ed io risposi
solo con un cenno della testa. Le loro espressioni mutarono immediatamente. Mi
accomodai al tavolo con loro in religioso silenzio. “Abbiamo ordinato anche per
te. Ci stavamo preoccupando” parlò Jenny per prima “Scusatemi. Avrei voluto
avvisarvi, ma non ne ho avuto il tempo. ho dovuto sistemare un bel po’ di
libri” sbuffai, lasciandomi scivolare sulla sedia, chiudendo gli occhi e
massaggiandomi le meningi “Avanti!” disse Jenny con un tono di voce serio che
mi costrinse a riaprire le palpebre “Cosa?” chiesi smarrita “Che è successo?”
domandò Dod, la quale era rimasta in silenzio fino a quel momento “Parla!”
m’incitò Jenny. La mia testa si mosse da destra a sinistra e viceversa, fissai
basita le mie interlocutrici e mi sentii improvvisamente sciocca. “Non temere”
disse Dod, posando la sua mano sulla mia “Noi non ti giudicheremo” aggiunse
teneramente Jenny, imitando il gesto di Daiana. Sorrisi loro grata e tutto d’un
fiato raccontai dell’accaduto. Mi stettero ad ascoltare attentamente, ma potevo
vedere le loro espressioni divenire sempre più stupefatte. Quanto terminai,
bevvi con vigore l’ultimo sorso di caffè e lo mandai giù senza pensarci troppo.
Poi fissai loro che mi osservavano “Sono matta. Fate bene a pensarlo” sorrisi
amara, chinando il capo “Non lo sei!” esclamò Dod, posando il suo bicchiere sul
tavolo e pulendosi la bocca con il tovagliolo. Io la fissai sorpresa “Io invece
credo che quello che ti sia successo sia una cosa rara e bellissima” strabuzzai
gli occhi “Si, hai capito bene: rara e bellissima!” ribadì convinta, sorridendo
“E non dovresti arrenderti, sai? No, decisamente no!” disse “Anzi, forse
dovresti cercarlo” “Ma…” iniziai a dire, ma lei mi bloccò “Non dire niente. Il
cuore è uno strano organo. Funziona in modo illogico” sorrise “Ma non si
sbaglia mai, soprattutto quando s’attiva di colpo in una situazione come
questa” aggiunse annuendo, come a convincere prima sé stessa di quello che
stava dicendo “Lui lo ha riconosciuto” tornò a guardarmi, gli occhi le
brillavano “Non capisco” balbettai “Probabilmente lui è la tua anima gemella,
la famosa metà della mela”, a quelle parole il cuore tamburellò, facendomi
avvertire la sua presenza “Non è possibile” soffiai, lo sguardo perso nel
vuoto. Jenny era stata zitta, aveva bevuto tranquillamente il suo caffè e
mangiato il suo hot dog “Sono d’accordo con Daiana” confessò “Ci sono delle
cose che la razonalità non può spiegare, quindi non starti a crogiolare sul
significato di questo episodio, perché non riusciresti a trovare una risposta
certa” decretò “Questo ragazzo ha risvegliato il tuo animo. Ed era ora” sorrise
sorniona.
Da quel
momento in poi, non facevano che ricordarmelo, spronandomi a cercarlo. Avevo
trascorso giornate intere a rifletterci, a convincermi che dovevo rischiare, ma
la mia razionalità aveva preso il sovravvento e ci avevo rinunciato. Poco dopo
le nostre riunioni si spostarono a casa mia. Incosciamente volevo evitare di trovarmi in quella zona della città,
eludendo così, la possibilità di incontrare ancora quel ragazzo. Casa mia ben
presto divenne la casa di tutte e tre, fu naturale chiedere ad entrambe di
convivere, in modo da poter stare insieme tutte le volte che volevamo.>>
Una, due , tre, quattro gioccioline bagnarono la mia giacca.
Scossi la testa, cacciando via quel ricordo, mi portai una
mano sulla tempia per sostenermi e solo nell’istante in cui sbattei le
palpebre, mi resi conto che avevo la vista leggermente appannata. Strofinai le
dita circolarmente sulla linea violacea dei miei occhi che si impregnarono
delle mie lacrime.
Sospirai incredula. Mi diedi mentalmente della stupida.
Controllai l’orologio, mancavano venti minuti alle quattro,
dovevo andare a lavoro. Mi concessi un’ultima occhiata al passaggio pedonale,
poi gli diedi le spalle correndo via.
“Carol sono arrivata!” esclamai entrando nella libreria,
scuotendo la giacca bagnata, il mio capo s’affacciò con la testa dalla porta
sulla sinistra e mi sorrise “Ti aspettavamo”, corrucciai la fronte “Ci sono
John e Raian. Stiamo discutendo approposito di alcuni lavori di
ristrutturazione che avevo” spalancai la bocca sorpresa e coonfusa “Dai vieni!”
m’invitò lei, facendomi segno con la mano di seguirla. Entrai nella piccola
sala riunioni e mi accomodai al tavolo rettangolare sulla destra accanto a
John, il ragazzo che si occupava del trasporto dei libri, di fronte a me c’era
Rayan, il figlio unico di Carol, aveva due o tre anni più di me. Aveva la pelle
lattea e i capelli nero corvino, le cui ciocche gli ricadevano ribelli sul
volto squadrato e grande. Un bel ragazzo tutto sommato, ma non era affatto il
mio tipo, tutto festini e sesso, niente impegni seri o situazioni stabili.
Sorrisi impacciata quando mi accorsi che mi guardava con
insistenza, poi, abilmente, distolsi lo sguardo e fissai Carol, al mio fianco,
John sospirava, lo sguardo leggermente perso nel vuoto. Mi dispiaceva saperlo
triste, soprattutto mi sentivo incapace di aiutarlo. “Allora!” esordì Carol
distranedomi dai miei pensieri “Come ben sai, Simon vuole vendere il locale qui
di fianco e noi pensavamo di acquistarlo, ingrandendo così la libreria,
potremmo creare un angolo studio per gli studenti, ampliare la zona bar e
ristoro” disse gioiosa, gli occhi le brillavano a dimostrazione di quanto
tenesse a quel posto “Tu cosa ne pensi?” domandò guardandomi sorridente, ero
scossa, non credevo di poter avere voce in capitolo, d’altronde ero una
semplice commessa “Io…” deglutii imbarazzata, torturandomi le mani, nascoste
sotto il tavolo “Non so che dire”, Carol mi osservò seria “Cioè…” mi guardai
intorno cercando l’appoggio di John “E’ una bellissima idea, credo che potrebbe
funzionare” ammisi, il mio capo tornò così a sorridere. “Ci tengo a conoscere
la tua opinione, sei una buona collaboratrice e fino ad ora i tuoi piccoli
suggerimenti hanno contribuito a rendere migliore questo posto” quelle parole
giunsero inaspettate, inizialmente le accolsi con una certa titubanza, poi però
un bellissimo sorriso nacque sul mio volto e mi sentii fiera di me stessa.
Appena arrivata a casa avrei raccontato tutto alle mie amiche e gioito con loro
di questa piccola soddisfazione.
Terminata la riunione, ci alzammo tutti dal tavolo, io ero
pronta per tornare al mio lavoro, ma Rayan mi fermò, afferrandomi per il
braccio “Ehi Maggie!” esclamò melenso, le sue viscide mani indugiarono ad
accarezzarmi da sopra la maglia. Scostai il braccio seccata e lo guardai di
sbieco “Ciao Rayan” dissi, tentando di controllare la mia voce “E’ da un po’
che non ci si vede!” disse sorridendo falsamente “Volevi qualcosa?” chiesi un
po’ aspra, scocciata per quell’interruzione “Si” affermò sicuro “Stasera darò
una festa nel mio nuovo locale a Portobello Road” “O…ok” risposi incerta,
corrugando la fronte “Vieni! Ci sarà da divertirsti!” proferì determinato,
porgendomi un biglietto per l’ingresso.
Fissai John basita “Davvero vuoi andarci?” chiesi dubbiosa
“Oh si!” esclamò sognante “Dai Maggie non fare quella faccia!!!” roteò gli
occhi al cielo e fece una strana smorfia con la bocca “Non puoi rinchiuderti in
casa! Devi vivere, tesoro!” disse prendendomi le mani “Tu lo dici solo perché
vuoi vedere Rayan” risposi facendogli la linguaccia, John arrossì “Non è vero!”
ribatté intensificando il suo sguardo. Amavo i suoi occhi castani. Erano capaci
di brillare anche al buio, nonostante fossero così scuri. Trasmettevano una
forza e un’energia che ti coinvolgevano, inevitabilmente. John era gay, me lo
aveva confessato qualche mese dopo che avevo iniziato il lavoro nella libreria.
Non mi eran sfuggite le sue chiare occhiate languide che lanciava al figlio
della “capa” e mi faceva sorridere la tenerezza con cui, si perdeva
nell’osservare i suoi spostamenti, come arrossiva quando lui gli rivolgeva,
anche per caso, la parola e il modo in cui sospirava trovandoselo nelle
vicinanze.
John aveva capito che avevo intuito qualcosa, per questo un
giorno mi aveva afferrato per un polso e trascinata nello scantinato. L’avevo
seguito senza batter ciglio. Il suo gesto non sapeva di violenza, anzi,
addirittura risultava così tenero. Il suo imbarazzo mi si palesò davanti quando
si fermò, dandomi la visuale delle sue spalle “Scusami, non volevo essere
brusco” aveva detto “Ma…vorrei sapere se sai…” “Che sei gay?” lo interuppi
prima che potesse aggiungere altro. Si girò di scatto, fissandomi spaventato.
Gli sorrisi, pregando di tranquillizzarlo e sembrai riuscirci, visto che le sue
spalle si rilassarono “Come lo hai capito?” domandò a bassa voce “Vedo come
fissi Rayan. Ne sei innamorato” constatai, attenta alla sua reazione. Non
volevo ferirlo, né risultare invadente. John annuì, chinando il capo, evitando
così il mio sguardo. Io mi avvicinai, con due dita sotto il mento alzai il suo
viso.
Volevo che mi guardasse.
Volevo che leggesse nei miei occhi quello che pensavo.
“Non devi vergognarti di me. Non ti giudico” e gli sorrisi
sincera, lui mi guardò ancora un attimo, poi sorrise e mi abbracciò “Grazie”
sussurrò tra i miei capelli. Ancora sconvolta per quel suo gesto, non seppi
cosa rispondergli.
A distanza di tempo, eravamo diventati buoni amici, qualche
volta lo avevo trascinato a casa mia e insieme a Jenny e Dod ci eravamo fatti
tante risate. Mi piaceva vederlo sereno. Per me era quasi un fratello.
Mi ritrovai a ridere da sola.
Mi aveva messo di buon umore, facendomi dimenticare per un
po’, l’episodio del pomeriggio.
“Carol, per oggi ho finito” proferii, sistemando l’ultimo
incasso della giornata nella cassa e inserendo il codice di sicurezza “Va bene,
Maggie. Puoi andare. Ci vediamo domani mattina” annuii.
Uscita dalla libreria notai con un po’ di piacere, che aveva
smesso di piovere. Il cielo restava plumbeo, però in vista di quella serata,
sperai si trattenesse. Non avevo alcuna voglia di inzupparmi i vestiti.
Sorrisi e corsi via.
Diretta verso casa.
“Gente sono tornata!” esclamai entrando dalla porta e
chiudendola con un piede. Jenny si affacciò dal salotto e mi fissò “Vedo
finalmente l’ombra di un sorriso sul tuo bel visino” constatò avvicinandosi
“Hai incontrato qualcuno?” domandò sorridendo, negai con la testa “Rayan mi ha
invitato all’inaugurazione del suo nuovo locale, John si è offerto di
accompagnarmi. Anzi mi ha detto di dirlo anche a voi” “Se” sputò ironica “Si è
offerto” sghignazzò “Diciamo così. In realtà il suo scopo e farsi Rayan”
esclamò guardandomi “Oh ma ne sono consapevole, sorella!”risposi andando verso
la cucina e trovandoci lì Daiana, intenta a impastare, quando si voltò per
salutarmi, mi scappò una grossa risata. Aveva il viso completamente coperto di
farina “Mi dici che stai combinando?” riuscii a formulare appena una domanda
decente, trattenendomi dal ridere ancora. Daiana inarcò le sopracciglia e si
portò le braccia sui fianchi. Ops. Mi sa che l’avevo offesa.
Jenny mi aveva seguita “Comunque io stasera passo. Ho la
schiena a pezzi e preferisco riposarmi” disse, posando sulla tavola il
bicchiere che aveva in mano “Che succede stasera?” domandò Doddie che nel
frattempo, sembrava si fosse ripresa “Rayan ha invitato Maggie
all’inaugurazione del suo locale, va anche John che ci vorrebbe tutte con…”
Jenny non riuscì a completare la frase, perché s’era girata incontrando lo
sguardo di Daiana. Per un attimo temetti che le prendesse un collasso, poi
scoppiò a ridere, piegandosi in due.
Ma dico io: vivevamo nella stessa casa e ancora non s’era
accorta del pasticcio fatto dalla piccola? Bah!
“Oddea!” esclamò, rialzandosi e asciugandosi le lacrime “Mi
dici che cacchio stai facendo per impasticciarti così il viso?” le chiese
avvicinandosi al marmo della cucina e sbirciando alle spalle di Daiana “Sto
cercando di fare un dolce” rispose quest’ultima, con una certa irritazione
nella voce. “Scusate se non sono così esperta, cerco di applicarmi” aggiunse “E
lo fai ficcando il viso nella farina?” chiese Jenny riprendendo a ridere.
Io mi ero fermata accanto al tavolo e le osservavo,
trattenevo a stento la ridarella, ma non volevo rischiare di esagerare.
“E dimmi” prosegì Jenny “Per chi sarebbe questo dolce?”
chiese con una voce carica di curiosità. Doddie voltò il capo, tornando ad
impastare. Lo faceva con forza, come se volesse quasi affogare in quel
miscuglio di uova e farina “Daiana?” la richiamai io, accostandomi a lei.
Daiana si fermò, restando con lo sguardo fissò sulle mani. Le accarezzai la
testa “Lo sai che con noi puoi parlare” le ribadii “Si” soffiò scuotendo la testa
e sospirando “L’altro giorno a lavoro, hanno assunto un nuovo ragazzo” cominciò
titubante, forse in imbarazzo “Quando l’ho visto mi sono chiesta se fosse
inglese. Non so…aveva l’aria di essere un po’ smarrito. Così quando Fred gli ha
consigliato di farsi aiutare da me per capire come lavorare, mi sono trovata
davanti a due pozzi neri” si fermò alzando la testa “Due occhi così neri che ho
avuto paura” guardò prima Jenny, poi me. Lessi nelle sue pupille un’emozione
nuova.
Le sorrisi teneramente.
“Mi ha detto di chiamarsi Kevin. È scozzese, ma suo padre è
spagnolo. Di Valencia. Vive qui a Londra da un anno. Ha finito la scuola, ora
frequenta il conservatorio e a quanto pare per mantenersi deve lavorare. Suo
padre non vuole più che dipenda totalmente dal suo stipendio” continuò,
allontanandosi dal piano cottura e accomodandosi su una sedia “Cos’è che ti
turba?” tremò a quella domanda, tornando nuovamente ad abbassare la testa
“L’effetto che mi fa. Io…” deglutì rumorosamente “Non mi sono mai sentita così
con un ragazzo. Solitamente all’inizio sono timida, poi mi ci relaziono con
tranquillità. Ma Kevin ha qualcosa che…cavolo! Mi fa fremere se solo mi sfiora
per sbaglio!” esclamò osservandoci e sbarrando gli occhi.
Io e Jenny ci guardammo.
“Ti piace” affermò Jenny, Dod si immobilizzò “Forse. Non lo
so” si prese la testa tra le mani e cominciò a scuoterla “Non ci capisco più
niente! Ma può sconvolgermi così da un giorno da un altro?” un singhiozzò le
ruppe la voce, mi precipitai ad abbracciarla “Capisco bene ciò che dici” ammisi
“Davvero?” domandò lei, guardandomi. Gli occhi carichi di aspettative “Sai
quanto quell’incontro mi abbia turbata. Non mi era mai capitata una cosa del
genere. È stato inaspettato, ma…ci convivo” “E non fa male?” chiese, le strinsi
la mano “A me fa male, perché non so chi sia lui. Tu…” e la guardai “Puoi
incontrarlo tutti i giorni, conoscere qualche lato del suo carattere, vedere
come si comporta, ascoltare il suono della sua voce” “E’ una melodia” soffiò,
la scrutai con aria interrogativa “Ha una voce melodiosa. Sembra un usignolo.
Poi ama i Queen, capisci? I Queen!” esclamò elettrizzata, alzando le mani verso
l’altro “Il tuo gruppo preferito” notai con piacere i suoi occhi brillare
d’approvazione “Domani è il suo compleanno e mi piacerebbe portargli un piccolo
dolce alle mandorle. Ho scoperto che le adora” Jenny venne vicino a noi “Avanti combina guai! Alzati in piedi! Ti do
una mano io” proferì indicandole la farina e le mandorle riposte sul marmo.
Sorrisi.
“Tu vatti a preparare!” disse poi verso di me “E scegli quel
vestito rosso che tanto ti dona! Non ti presentare al mio cospetto con jeans e
maglietta perché ti faccio ritornare in stanza e non ti faccio uscire finchè
non sarai decentemente vestita!” tremai, quando Jenny parlava in quel modo non
c’era niente da fare.
Dovevi obbedirle per forza.
Annuii e mi precipitai in stanza.
“Sei un impiastro!” sentii gridare Jenny, ridacchiai e mi
chiusi dentro, dando inizio all’opera di restauro.
Mezz’ora più tardi ero pronta.
Avevo indossato l’abito rosso consigliatomi da Jenny e mi ero
anche leggermente truccata.
Quando le mie amiche mi videro entrare in cucina, sbarrarono
gli occhi. Temetti di aver sbagliato tutto “Oddio! Faccio così schifo?”
domandai preoccupata, guardandomi il vestito “Ma scherzi?” disse Daiana “Sei
uno schianto!” e fischiò. Ridacchiai, portandomi una mano sulla bocca.
Jenny continuava a fissarmi severa “Dimmi” dissi rivolgendomi
a lei “Niente. Constatavo quanto il mio consiglio sia stato azzeccato” e
sorrise “Sei davvero fantastica!” confessò facendomi arrossire “Ora non
esageriamo!!!” risposi, provando a celare il mio imbarazzo.
Il campanello suonò, vibrando per tutta la casa.
Sussultammo tutte e tre.
“Questo è sicuramente John. Vado!” dissi, sia Jenny che
Daiana annuirono “Mi raccomando pensa solo a divertirti e portaci un maschio a casa!” gridò Jenny, mentre io
correvo giù per le scale.
Con l’affanno arrivai all’entrata, sul marciapiede c'era John ad aspettarmi.
Indossava un elegante pantalone nero, un maglione blu
elettrico e sotto una camicia azzurra “Wow” fischiettò vedendomi, arrossii
all’istante, abbassando la testa. John si avvicinò, mi prese una mano e me la
baciò, facendomi l’occhiolino “Andiamo Madame?” annuii ridendo.
Si prospettava proprio una bella serata…