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Autore: Cristina Black    03/07/2010    3 recensioni
Quella che vi voglio offire è una versione parallela della saga che tutti conosciamo, partendo da quando Bella decide di saltare dalla scogliera in New Moon. Piccole ma decisive modifiche nei comportamenti e nei ragionamenti, cambieranno il suo destino. Una Bella che vede i suoi rapporti sentimentali in modo diverso, come molte di noi avrebbero voluto. La domanda che caratterizza questa nuova versione è: come sarebbe andata, se Bella avesse fatto un’altra scelta? Spero vi piaccia!!
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward, Bella/Jacob
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
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    «Buongiorno Bella, come ti senti oggi?», dissi al mio riflesso sorridente dello specchio del bagno. Una miriade di rughe invadevano il mio viso.

    Una miriade di espressioni di un tempo passato nella felicità più completa.

     I miei capelli castani, avevano lasciato spazio ad una folta matassa argentea, soffice e delicata come la panna montata a nuvola.

    «Più vecchia, in verità», mormorai rispondendo a me stessa e puntando una nuova ruga sulla fronte.

    Che ieri non c’era.

    Charbill e Reneah erano diventati adulti e padroni della propria vita, già da parecchio tempo. Ormai eravamo rimasti solo io e Jake, ad occupare la vecchia casa di mio padre.   

    Una casa che aveva vissuto sogni e incubi, gioie e dolori. Fuoco e ghiaccio.

    E negli ultimi settantatre anni, aveva visto anche il sole, splendere dentro ogni sua stanza.

    Mi diedi una rinfrescata e scesi lentamente le scale aggrappandomi alla ringhiera, in direzione della cucina per preparare il cesto del pranzo. Un rito che si ripeteva a cadenza fissa.

    Per ogni mio compleanno.

    La mia schiena e le deboli braccia, mi permisero ancora una volta di portare il pesante cesto fino al piccolo garage, dal quale provenivano rumori di cacciaviti, fiamme ossidriche e altri strumenti infernali che sapeva maneggiare solo lui, con abilità impressionante.

    Aprì il portellone ridipinto di fresco di un colore rosso, simile alla sua vecchia casa di La Push, e vidi le sue spalle larghe e leggermente ricurve, appena coperte dai suoi lunghi capelli ancora sorprendentemente di un lucente nero corvino.

    Nonostante la sua età fosse avanzata quando la mia, meno due anni, si voltò di scatto al suono del portellone che si apriva lentamente.

    I suoi occhi neri e invecchiati incontrarono i miei, e si illuminarono come accadeva ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano.

    Nulla di lui era cambiato ai miei occhi spenti dal tempo, ma felici di averlo trascorso insieme a Jacob.

    Le profonde rughe incorniciavano il suo viso bronzeo, mentre mi sorrideva nel modo che avevo sempre adorato. Dal primo momento che lo avevo reincontrato a diciasette anni sulla spiaggia di La Push.

    Il tempo non ha potuto nulla contro il calore che emanava il suo sorriso e la sua persona.

    Ma d’altronde, il sole non può spegnersi.

    Lasciò cadere a terra i suoi strumenti da lavoro e si avvicinò a me, allungando le sue lunghe braccia ramate, robuste quanto quelle di un quarantenne.

    Erano già calde, pronte per la trasformazione temporanea.

    Il suo trasfigurarsi una volta l’anno, gli permetteva di invecchiare bene, mantenendo una fisico forte e vigoroso, ancora in grado di difendermi e prendersi cura di me.

    Anche se nulla ci aveva toccati, in più di settant’anni di vita insieme.

    Mi prese il cesto e mi diede un bacio sulle labbra grinzose.

    «Tanti auguri per i tuoi mille anni, Bells», disse ridacchiando. La voce rauca e profonda, segnata anch’essa dal tempo.

    Aggrottai le sopraciglia.

    «Sono solo novantuno. Cominci a dare i numeri?», domandai.

    «Quelli li do da quando ti ho conosciuta», rispose con un sorriso.

    «Okay sei perdonato», dissi facendo spallucce, come quando ero giovane.

    Ridemmo sommessamente.

    «Sei pronta per il tuo regalo?», chiese sistemandomi i lunghi capelli bianchi dietro le spalle.

    «Schiena permettendo, si. Oggi dove mi porti?».

    «Che razza di regalo sarebbe se ti dico dove andiamo?», domandò con una smorfia.

    Storsi il naso, scoprendo altre mille rughe sul mio volto pallido.

    «Va bene, ma non correre troppo. Oggi mi sento davvero mille anni addosso», mormorai.

    Sorrise e ci avviammo a piedi verso l’interno del bosco dietro casa.

    Giunti abbastanza lontani da occhi indiscreti, Jake cominciò a spogliarsi ed allacciarsi alla caviglia i suoi abiti vecchi e sporchi di grasso.

    Si trasformò nel grande lupo di sempre, ma il colore del suo manto lunghissimo era di un rosso spento, quasi incolore.

    Si accucciò più che potè, per permettermi di salirgli sul dorso. Sistemai il cesto tra le sue enormi scapole e si avviò ad una passeggiata svelta, tra gli alberi e le grandi felci del bosco.

    Non avevo mai capito come facesse ad orientarsi, ma ritrovarmi in mezzo a quei alberi, mi faceva riaffiorare mille ricordi. Tutti riguardanti la mia vita vissuta a stretto contatto con il mondo soprannaturale.

    Ricordai la prima volta che conobbi Edward Cullen. La strana sensazione che in lui ci fosse qualcosa di diverso, da qualsiasi essere umano che avessi mai incontrato. Il mio amore per lui e la scoperta della sua natura leggendaria di vampiro.

    Ripensai alla vivacità di Alice, alla bellezza mozzafiato di Rosalie e alla sua iniziale ostilità nei miei confronti. Ricordai il volto amorevole e infantile di Esme, il sorriso beffardo di Emmett, l’inquietudine sul volto di Jasper, e la dolcezza e solennità del viso di Carlisle.

    I miei amici vampiri, che avevano dato il via alla mia nuova vita.

    Poi ricordai Jacob, l’amico, la cui anima si intrecciava giorno dopo giorno alla mia. Senza che me ne accorgessi, i miei sentimenti verso questo meraviglioso ragazzo, crescevano e si solidificavano in una bolla che comprendeva solo noi due.

    Rendendomi parte di qualcosa che andava oltre il mio primo desiderio di diventare una Cullen.

    La vita.

    Ricordai quanto l’eco delle sue emozioni vibrasse dentro di me, stimolando le corde delle mie.

    Quanto niente potesse tenerci lontani l’uno dall’altro, sfidando ordini, limiti e segreti. Un magnete più potente di quello tra me ed Edward.

    Jacob non mi aveva abbandonata un solo giorno, anche quando pensavo l’avesse fatto. Se ne stava nascosto, a vigilare sulla mia incolumità, impossibilitato dal disubbidire a Sam.

    Ma era li, se mi fosse successo qualcosa, sarebbe spuntato dall’oscurità del suo nascondiglio e mi avrebbe difesa. Finchè poi riapparve nella mia stanza, nella speranza che io ricordassi da sola la verità che ingenuamente mi aveva rivelato tempo prima.

    Per mantenere la sua promessa di starmi sempre vicino.

    Poi il primo bacio, l’esplosione del mio cuore e del desiderio, sfociato nell’avverarsi del mio sogno ricorrente e di un matrimonio che simboleggiava l’amore stesso.

    La nostra prima volta.

    E la seconda, e la terza…

    Le volte si perdevano nel tempo, fino e oltre la luce emanata dai nostri figli straordinari.

    Reneah Rosealice.

    La mia fotocopia migliorata, che aveva riportato la vita nella famiglia Cullen fin dalla tenera età, scompigliando la loro esistenza altrimenti sobria, e per certi versi vuota e isolata. Edward si era molto affezionato a lei, si divertiva a confondersi in mezzo ai pensieri caotici della testa di Reneah.

    E lei si era innamorata di lui, ovviamente. Soffrivo al pensiero che non fosse corrisposta come desiderava.

    E Charbill Edwarlisle.

    Il maschio Alpha dal pelo dorato con striature marroni sul muso, del nuovo e fortissimo branco di licantropi di La Push e Forks. Presso il quale aveva trovato l’oggetto del suo imprinting.

    Leah Clearwater.

    Rimasta giovane per sfogare una rabbia e un’angoscia repressa, cacciando sporadici vampiri che apparivano qua e là.

    Fino al primo sguardo incrociato con quello di mio figlio Charbill.

    La mia mente vagava tra i ricordi di una vita vissuta al fianco del sole, dell’aria e del fuoco.

    Costante e inesauribile, ad incendiare ogni mia notte.

    Jake continuava con il suo passo regolare e svelto, ancora non sapevo se eravamo vicini alla meta.

    Lentamente il mio corpo si sentiva sempre più stanco, come se ogni anno si depositasse con tutto il suo peso sulla mia schiena affaticata dalla vecchiaia.

    Decisi di fare un breve sonnellino, rannicchiandomi sull’ampio dorso del mio amato lupo. Mi avrebbe svegliata quando fossimo arrivati.

    Il mio corpo rilassato, era sempre più pesante, come se stessi sprofondando sulle mie stesse ossa. Poi Jake rallentò il passo fino a fermarsi. Probabilmente eravamo arrivati, ma non ebbi la forza di muovere un solo muscolo.

    Ero così comoda e al caldo dal suo pelo, tanto lungo da potermici avvolgere come una coperta.

    Sentì il mio corpo depositarsi delicatamente sul manto erboso, ed un naso grande e umido accarezzarmi il volto, dandomi lievi colpetti come per svegliarmi.

    Lasciami riposare, volevo dirgli, ma dalla mia vecchia bocca non uscì alcun suono.

    «Bells, Bells amore svegliati», disse Jacob con una nota di preoccupazione. Si era trasformato, ma non avevo sentito il fruscio degli abiti come se si stesse rivestendo.

    Che aveva da preoccuparsi? Ero solo stanca, stavo riposando per la miseria. D’altronde ho la bellezza di novantuno anni, mica diciotto.

    «Bells», lo sentì dire, ma la sua voce non era solo preoccupata. Sembrava stesse piangendo.

    Perché? Pensava fossi morta? Eppure respiravo ancora, sentivo l’aria fresca e profumata di muschio e pioggia, riempirmi i polmoni.

    No amore, non devi piangere, lasciami solo riprendere. Mi sento così stanca e pesante, volevo dire.

    Ma ancora non ebbi la forza di pronunciare alcuna sillaba. E lui non smetteva di bagnarmi il viso con le sue lacrime.

    Poi sentì dei passi leggeri, come le foglie spazzate via da una lieve brezza, avvicinarsi al mio corpo disteso. Ed una voce diversa, ma che avrei riconosciuto tra mille. L’avevo sentita appena una settimana fa, quando una notte era venuto a farci visita insieme ad Alice e Rosalie.

    Persino Jacob, era diventato più amichevole nei suoi confronti, con il passare degli anni.

    «E’ giunto il momento», annunciò Edward. La sua voce vellutata era bassa e lenta. Scandì ogni parola.

    «Bells. La mia…piccola ragazza lupo», farfugliava Jacob in preda ad una inspiegabile convulsione da pianto isterico.

    Cominciai a preoccuparmi seriamente.

     «Una parte di me rimarrà vuota per l’eternità, e lo stesso per te. Amico mio, ed eterno rivale», disse Edward con un sussurro lontano. «Se non fosse per Reneah, che mi ha sconvolto l’esistenza quasi quanto Bella, ti avrei chiesto di uccidermi, come prevedevo di fare sin dall’inizio. Sarei stato onorato di morire per tua mano».

    Mi si raggelò il sangue nelle vene a quelle sue parole. Perché parlavano di me come se stessi per morire?

    Cosa gli era preso a questi due matti?

    Edward, leggimi il pensiero una buona volta: STO DORMENDO! SONO STANCA!

    «Bella non te lo avrebbe mai permesso, e non mi avrebbe mai perdonato se ti avessi dato retta. E non solo lei», mormorò Jake con la sua voce ancora più roca e profonda.

    Combattei contro il freddo improvviso e l’inerzia del mio corpo vecchio, per trovare un filo di voce e dire qualcosa. Per dire che volevo solo dormire in quel manto soffice e umido.

    Ma le parole di Edward avevano scatenato in me un altro pensiero. Un volto, un animo luminoso e pieno di vita. Una figlia che lo amava.

    «Reneah vi prenderebbe a sassate in testa», farfugliai.

    Sentì un’ondata gelida da un lato, ed una calda dall’altro. Si erano accovacciati, restando in silenzio per cogliere i miei deboli sussurri.

    Feci forza nei muscoli del viso e riuscì ad aprire leggermente gli occhi.

    Vidi il volto di Jacob solcato dalle lacrime, e sorridere una debole risata.

    «Dubito che le nostre teste dure si romperebbero. Semmai le pietre, Bells», rispose.

   Stiracchiai una risata, per quanto i muscoli rigidi del volto me lo permettessero.

    «Edward», sussurrai cercando il suo volto dalla perfezione immortale.

    Edward si avvicinò a me, con il suo solito sorriso sghembo. «Ai miei occhi non sei cambiata di una virgola sai? Sei sempre la stessa ragazza, goffa e attiraguai», disse singhiozzando e ridacchiando.

    Feci una smorfia, ma continuai a sorridergli.

    «Anche tu sei sempre bellissimo, da mozzare il fiato», sussurrai uno dei tanti pensieri che gli avevo tenuto nascosti in gioventù, ed osservando la sua eterna giovinezza. Poi mi voltai con le poche forze che mi restavano.

    Sentivo che mi scivolavano via dalle mani.

    Ritornai sul volto ramato del mio Jacob. Il mio compagno di vita, il mio perenne salvatore.

    Colui che mi aveva salvata e protetta perfino da me stessa. E che ero arrivata ad amare più di quanto avessi amato Edward.

    «Ho sonno. E freddo. Jake, riscaldami per favore», mormorai con voce sempre più lontana dalle mie orecchie.

    Jacob mise un braccio sotto la mia schiena curva e mi sollevò, stringendomi forte al suo petto ramato.

    Ma continuavo a sentire freddo.

    «Sono qui amore mio, non ti lascio al freddo. Resterò io a riscaldarti», rispose con gli occhi inondati di lacrime.

    «Come hai sempre fatto», dissi, ma non ero sicura di averlo detto davvero. Non mi sentivo più.

    Lo vidi annuire con la testa, cercando di sorridere, come solo lui sapeva fare.

    Il suo sorriso, luminoso, caldo e unico al mondo, fu l’ultima immagine che i miei occhi appesantiti videro da quel momento.

    Poi, il buio.

 

 

 

The end

  
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