Stamane mi sono svegliata con questa storia nella testa e sono riuscita a terminare il primo capitolo.
Non so quanto riuscirò a scrivere il secondo.
Ormai sono costretta a correre dietro alla mia ispirazione vacillante!
Mi aspettate?
Emmetti: ti ringrazio per le tue parole. Spero che questo primo capitolo ti possa piacere. Attendo di sapere cosa ne pensi.
Angyr88: grazie perchè segui anche questa mia storia. Scusa se non stacco troppo le frasi, ma non mi piace come viene. Però giuro che mi sono impegnata a farlo, ma non credo di esserci riuscita XD. Bacio.
Lady Jadis: le tue recensioni mi sanno sempre incantare. Le tue parole mi entrano dentro e non se ne vanno. Grazie perchè tu credi veramente in me e so che con la mia decisione, ti ho delusa. Vorrei davvero essere così brava come dici...chissà forse un giorno imparerò a credere in me stessa. Ti voglio bene e grazie di cuore.
Vampieratta Cullen: io ti devo delle scuse per ieri. So che ti ho fatto star male. Quello che mi hai detto è vero e spero che saprai perdonarmi. Il tuo sostegno mi dà forza sai? Si tanta...grazie principessa. Ti voglio bene.
Grazie a chi mi sostiene.
A chi mi legge.
A chi recensisce.
A mi chi sopporta.
GRAZIE!
Capitolo 1
Quando
la sua nobile famiglia l’aveva trascinata in quel paese, Matilde aveva poco più
di tre anni e già all’epoca, era una bambina dall’aspetto aggraziato ed
elegante e attirava gli sguardi degli adulti. Ogni qualvolta sua madre,
Patrizia, la portava in giro, gli anziani di Malubre amavano fermala e
chiacchierare con lei, complimentandosi per la bellezza eterea della sua
bambina: carnagione chiara, occhi di un verde così intenso da non sembrare veri
e morbidi boccoli d’oro fasciavano il suo viso paffuto.
Era la copia esatta di
suo padre, ma gli occhi erano profondi come quelli della madre.
Patrizia
era di origine nobile, suo padre, Adriano Della Valle, era un Conte dell’alta
Toscana e prima ancora che nascesse, l’aveva promessa in sposa al figlio del
suo più fidato amico, nonché Conte anch’egli, Savio Martines. Suo figlio,
Lucio, aveva appena due anni e non poteva certo immaginare, che quel grazioso
rigonfiamento sul ventre della Contessa Della Valle, racchiudesse la donna che
in un futuro non lontano, sarebbe diventata sua moglie.
Strano
che queste cose accadessero ancora negli anni Ottanta, nessuno opponeva
resistenza, le poche famiglie nobili rimaste, infondo, non infastidivano
nessuno, vivevano la propria vita, non dando mai nell’occhio, anzi avevano
piacere a mescolarsi tra la gente comune e relazionarsi con loro.
Era rimasto
davvero ben poco, della diffidenza e della superiorità della vecchia classe
nobiliare.
Patrizia
era una donna molto bella: alta, capelli lisci, bruna, carnagione scura e non
aveva mai osato disubbidire ai genitori, anzi di buon grado aveva accettato,
all’età di 15 anni, di essere ufficialmente fidanzata con Lucio Martines.
Ricordava ancora il loro primo incontro a scuola, quando i loro rispettivi
genitori, li avevano fatti conoscere; avevano passato tutti quegli anni a
scrutarsi alla lontana, rivolgendosi rare volte la parola; sapevano
perfettamente qual era il loro destino e non lo rinnegavano, i discorsi dei
loro genitori li avevano ascoltati più volte, nascosti dietro l’enorme porta
che dava sul salone di casa Della Valle.
Quando poi a 20 anni erano convolati a
nozze, erano stati felici, la cerimonia tenuta in un casale di proprietà dei
Martines, era stato riservato a pochi intimi e non aveva deluso nessuno,
neanche i due giovani neosposi. Il viaggio di nozze, durato più di 20 giorni,
era stato delizioso: erano volati di città in città, scoprendo le bellezze
artistiche racchiuse in ogni piccolo angolo del mondo e la loro prima notte di
nozze, a parte l’imbarazzo iniziale, era stata perfetta. E proprio quella notte
era stata concepita, la piccola Matilde.
Ella
nacque una splendida mattina del mese di maggio, dopo un travaglio durato ben 3
ore. Erano le 10:00, quando il pianto di una bambina irruppe nella sala parto
della clinica privata di Malubre e le urla di dolore di Patrizia s’erano
placate; Lucio era rimasto accanto a lei, aveva assistito al parto, non
abbandonando neanche per un secondo la sua mano.
Una dimostrazione d’amore che
pochi uomini erano in grado ancora di fare.
Gli
anni erano passati e la piccola Matilde era cresciuta, mai una volta i suoi
genitori le avevano impedito di frequentare i ragazzi del paese, nobili o meno
non importava, ma suo padre voleva che seguisse le tradizioni di famiglia e che
accettasse di essere promessa sposa ad un ragazzo che, a tempo debito, avrebbe
deciso per lei. Fino ad allora però, Patrizia si era opposta, voleva che la
figlia fosse libera di fare le sue scelte e siccome Lucio credeva molto nella
moglie, lasciò cadere l’argomento.
Purtroppo
però, qualche mese dopo, Patrizia fu colpita da un malore; con i dovuti
accertamenti, la famiglia Martines scoprì che la donna era malata di cuore da
bambina e che ormai non c’era più nulla da fare se non attendere che le cure
potessero fare effetto. Nonostante la giovane età (Patrizia aveva astento 33
anni), il suo cuore sembrava averne molti più.
La notizia sconvolse tutto il
paese, Lucio non si dava pace, aveva costruito tutta la sua vita attorno al
rapporto con sua moglie e ora che c’era il rischio che potesse andarsene via
per sempre, non sapeva più cosa fare. Sette mesi più tardi, esattamente a dicembre,
Patrizia spirò, lasciando un gran vuoto attorno a sé. Quella morta generò tutta
una serie di conseguenze che si riversarono soprattutto sulla piccola Matilde,
all’epoca tredicenne.
Matilde
era una ragazza dal carattere docile e allegro questo fino a quando sua madre
non aveva l’aveva lasciata; gli anni successivi la videro divenire eccessivamente
introversa e troppo spesso s’era sentita fuori posto, soprattutto quando in
comitiva con gli amici, si parlava del proprio futuro.
Se qualcuno le chiedeva:
“Come immagini il tuo ragazzo ideale?” lei tentennava, diceva che non sapeva
ancora bene cosa voleva, ma in realtà conosceva esattamente chi avrebbe
sposato: Christian Roche, figlio dell’imprenditore più importante di Malubre.
Suo padre, Giorgio, dirigeva un’impresa marittima che regolava e controllava i
trasporti in mare di tutto il litorale toscano e si prevedeva un’estensione
anche sul litorale laziale e campano “Tutto costruito per il futuro di questi
due giovani” diceva lui.
Un
pomeriggio caldo e assolato di metà luglio, vide Matilde, ormai sedicenne,
passeggiare nel giardino pubblico che dava sulla spiaggia più grande della
zona. Indossava un abito bianco di stoffa che le lasciava scoperte le gambe
snelle e le braccia e ricadeva delicatamente sul seno con uno scollo a barca.
Nulla di troppo eccessivo, in quel momento non le interessava attirare
l’attenzione di nessuno.
Si soffermò lungo la ringhiera che dava sul porto,
trattenendo il suo sguardo sulle barche che lasciavano la baia e i numerosi
aliscafi che conducevano alle Isole vicine. La brezza portò con sé la salsedine
marina, la ragazza chiuse gli occhi ed inspirò a fondo, inebriandosi di quel
profumo che tanto amava. Quella mattina, suo padre l’aveva portata a casa di
Christian per farli ufficialmente conoscere.
I Roche erano originari del
Trentino Alto Adige, avevano ereditato dal nonno materno l’impresa marittima e
da qualche anno si erano trasferiti ufficialmente a Malubre. In pochi mesi,
tutti in paese ne parlavano, si trattava di bravissime persone e questo bastò a
Lucio per volerli conoscere e per insistere a presentare a Christian, la sua
adorata Matilde.
Lucio credeva che Patrizia avrebbe approvato, si trattava di
un bravo ragazzo, non guastava il fatto che fosse anche bello ed era certo che
come era successo a loro due, anche sua figlia e il giovane Christian si
sarebbero innamorati.
Attratta
da un brusio di gente, Matilde scese giù la spiaggia e lì ci trovò il gruppo di
amici con cui spesso usciva; erano tutti riuniti attorno ad un gozzo trascinato
sulla spiaggia e silenziosi ascoltavano un ragazzo che parlava. Incuriosita, la
ragazza s’avvicinò e s’accostò ad un paletto di legno e muta, ascoltò anch’ella
le parole di quel ragazzo di cui non riusciva a scorgere il volto.
“Beh…questo
è quanto” concluse il ragazzo “Resterai qui per molto?” chiese curiosa
Annabella, lui la fissò e sorrise, facendole mancare il fiato “Non lo so,
dipende da come mi tratterete voi belle pulzelle” e ammiccò malizioso,
procurando un evidente rossore sulle guance della ragazza. Matilde scosse il
capo e roteò gli occhi in cielo, detestava quegli stupidi discorsi da maschio;
proprio in quel momento il ragazzo misterioso si alzò e lei poté finalmente
vederlo: il giovane era alto, carnagione scurissima, nero come la pece, capelli
ricci e folti.
“E’ totalmente diverso da Christian” si
trovò a pensare lei, senza alcun motivo evidente. Christian era alto, pelle
chiara come quella di Matilde, i capelli biondi a spazzola e gli occhi erano
castano scuri.
Il
misterioso ragazzo voltò il suo sguardo di lato e incrociò quello della piccola
Matilde.
Per un momento interminabile si scrutarono, si studiarono: gli
smeraldi di lei annegarono in quelli neri degli occhi di lui.
Matilde non aveva
mai visto degli occhi di un colore così intenso e lui, Giacomo, non s’era mai
accorto di quanto potessero essere stupendi le iridi verdi.
Un’emozione rubò ad
entrambi un battito e fu il vociare degli altri a rompere la bolla di sapone
creatasi attorno a loro
“Matilde che ci fai qui?” gridò Francesco alzando le
mani per salutarla.
Sia Giacomo che la diretta interessata si voltarono verso
di lui che poi corse incontro alla ragazza, arrossita per tutta
quell’attenzione.
“Facevo
un giro e vedendovi tutti qui, mi sono avvicinata” disse timidamente scostandosi
dal palo, facendo qualche passo in avanti e scostando Francesco, il quale,
però, continuava a fissarla con insistenza.
“Sei
qui da molto?” domandò Chiara posizionandosi accanto a lei e sorridendole
felice.
Chiara era l’amica fidata di Matilde, si conoscevano dall’asilo, erano
vicine di casa e condividevano tutto. “No” scosse il capo “Sono appena
arrivata” rispose sorridendole “Sei andata a casa dei Roche?” le mormorò in un
orecchio, Matilde annuì “E?” la incitò Chiara curiosa, tirandola per un braccio
“E niente” sbuffò esasperata “E’ un bel ragazzo, ma niente di particolare”
continuò, parlando piano per non farsi sentire “Per ora dobbiamo solo
conoscerci, ma so già come funzioneranno le cose” bisbigliò, Chiara le prese la
mano e la portò dagli altri, stroncando così, quel discorso.
“Giacomo,
volevo presentarti la mia migliore amica” esordì “Lei è Matilde” disse
indicandola, la ragazza si accostò alla compagna e guardò il ragazzo “Piacere
di conoscerti” disse gentile, porgendogli la mano “Il piacere è tutto mio”
rispose lui sincero, stringendola.
Di
nuovo i loro petti furono trapassati da una violenta scossa elettrica e i loro
respiri si velocizzarono.
Si
trovarono entrambi a chiedersi cosa stesse succedendo.
Chiara
e Matilde stavano tornando a casa insieme, apparentemente tranquille
chiacchieravano di quello che un giorno sarebbe stato il futuro della piccola
nobile.
“Ma possibile mai che tuo padre sia così
convinto di quello che fa?” sbuffò Chiara innervosita da tutta quella
situazione.
Non
sopportava le costrizioni.
E
quello che Matilde stava vivendo, era proprio una costrizione.
La
giovane nobile si portò le mani alle tempie e se le massaggiò, sforzandosi di
chiudere gli occhi “Cosa posso farci?” chiese, probabilmente più a se stessa. “Mamma
non voleva e papà sembrava averlo accettato, ma da quando c’è lei…” le mancò il
fiato, le si bloccò nel petto, facendola annaspare.
Purtroppo
qualche anno dopo la morte di Patrizia, Lucio aveva conosciuto una donna ad una
festa organizzata in paese da un suo caro amico.
Una
poco di buono, venuta da chissà quale città.
Con
abile astuzia e malizia, aveva raggirato l’uomo, il quale qualche mese dopo,
invaghito, la sposò. Gianna, questo era il suo nome, detestava Matilde, la
mocciosa, come la chiamava lei, desiderava liberarsene.
Sapeva perfettamente
che se fosse convolata a nozze in giovane età con un altro nobile o comunque con
un ragazzo di uno status socio – economico elevato, l’eredità sarebbe rimasta
alla famiglia Della Valle. Almeno così citava il testamento che faceva fede
alle volontà del padre di Lucio. Così non appena lo scoprì, Gianna cominciò a
tessere la sua trappola e dopo diverse manipolazioni, soprattutto di natura
fisica e psichica, aveva convinto Lucio a ritornare alla sua originale idea di
decidere lui stesso, il promesso sposo di Matilde, tra la schiera di giovani
ricchi presenti in Italia.
La
donna sapeva perfettamente come circoscrivere l’uomo.
In paese giravano voci su
una sua presunta vicinanza ad una setta di maghi, infatti spesso Matilde temeva
che tali voci fossero veritiere, perché le era capitato di vedere il padre
dormire troppo a lungo o in preda a crisi di panico, soprattutto quando la
donna si allontanava.
La
figlia più volte aveva provato a convincerlo del pericolo che correva, ma non
c'era stato verso, ormai suo padre era completamente in balia di Gianna e
troppe volte, la piccola Matilde s'era ritrovata a piangere ai piedi della
tomba della mamma disperandosi e invocando il suo aiuto.
Ma
la disperazione non l’aveva di certo aiutata.
Alla
fine aveva dovuto piegare la sua grande forza alla volontà di suo padre,
facendo così il gioco dell’arpia.
“Quindi…”
disse Chiara, fermandosi e voltandosi a guardare l’amica “Dovrai sposare
Christian” soffiò triste. Matilde annuì semplicemente “Non posso fare
altrimenti” ammise rassegnata per il suo destino già deciso “Ma…non succederà
ora, giusto?” chiese ancora l’amica “No, finirò la scuola prima. Poi ci saranno
le nozze” rispose, facendo qualche passo avanti e fermandosi di nuovo “Per mio
padre, l’istruzione è molto importante, ci tiene che io sia acculturata” rise
amara “Che poi a cosa mi servirà, se non potrò neanche lavorare?” sputò acida,
stringendo un pugno.
Chiara
le si avvicinò, fissandola con quei suoi enormi occhi blu, così grandi, da poterci
navigare.
Le prese la mano chiusa a pugno e la strinse nella sua, in un gesto
che voleva trasmetterle quella determinazione che le stava venendo a mancare.
Si
sorrisero.
Un
grazie pronunciato nel silenzio di quella giornata di sole.
Giacomo
era rimasto sulla spiaggia ad aiutare suo nonno Carlo con il gozzo.
“Figliolo,
puoi tornare a casa se vuoi. Io qui ho quasi finito” disse l’uomo con un filo
di voce. Ormai era anziano, ma non si stancava mai di lavorare. Il mare era la
sua casa e quella barca tanto piccola, il suo rifugio da una vita fatta di
solitudine.
L’abbandono
della moglie, lo aveva segnato.
Nonostante
questo aveva tirato su il padre di Giacomo, Rocco, con determinazione, non
facendogli mancare mai nulla. Poi lui aveva trovato l’amore, frequentando
l’università e s’era sposato, non tornando più in paese.
Giacomo
era molto simile a suo nonno, per questo appena raggiunta la maggiore età era
voluto andare nel paese d’origine del padre e vivere un’estate lì, lavorando
affianco a suo nonno.
“No.
Ti do una mano. Tu dovresti rientrare. Mi sembri affaticato” notò Giacomo,
chinandosi per verificare che il gozzo fosse ben poggiato sugli assi di legno.
Carlo
lo fissò attentamente.
Gli
ricordava tanto la sua giovinezza.
Sorrise.
“Giacomo,
non ti permetto di dirmi queste cose!” asserì severo, il giovane alzò lo
sguardo per guardarlo. “Io sono ancora in forze. Siete voi giovani d’oggi che
vi stancate immediatamente senza far nulla” disse, terminando il suo discorso
con una risata gutturale. Giacomo inarcò il sopracciglio, poi scosse la testa e
ridacchiò insieme al nonno.
“Se
volevo poltrire, restavo a casa con papà e mamma” disse poi “Ma son venuto per
lavorare con te” confessò, imbarazzandosi un po’.
Giacomo
non era il tipico ragazzo che ammetteva ciò che provava.
Tutt’altro.
Faceva
lo spavaldo, lo spaccone.
Un
buffone che faceva ridere i suoi amici.
Un
ragazzo che amava la vita e voleva divertirsi.
Nessun
impegno, nessun obiettivo per il futuro.
Viveva
giorno dopo giorno, non aspettandosi niente da nessuno. Tanto meno da se
stesso.
“Nipote!”
lo richiamò il nonno, lanciandogli una fune che lui afferrò con prontezza.
Si
sorrisero.
Un
sorriso di sfida.
“Attacca
il gozzo. Poi raggiungimi a casa” proferì Carlo.
Giacomo
si limitò ad annuire e guardò il nonno allontanarsi.
Scosse
la testa e fece come gli aveva ordinato.
Fatto
si voltò un’ultima volta verso il mare.
Inspirò
l’aria intrisa di salsedine chiudendo gli occhi e sorrise liberatorio.
Amava
il mare.
Vivendo
in città, aveva sempre poche occasioni di poterlo vedere. Fortunatamente
essendo suo padre originario di paese marino, lo portava spesso sulla costa e
insieme godevano di quella meravigliosa e infinita bellezza.
Avevano
quell’unico amore in comune.
Suo
padre avrebbe voluto che seguisse la sua strada e divenisse avvocato, ma
Giacomo non ne aveva voluto sapere niente.
Il
ragazzo aprì gli occhi e si voltò per andarsene, ma in quel movimento incrociò
un palo. Quel palo dove s’era fermata quella ragazza.
Matilde.
Era
rimasto colpito dalla sua espressione.
Sembrava
così triste, ma quegli occhi gli avevano trasmesso, allo stesso tempo, una
strana voglia di vivere.
Una
determinazione che non aveva mai visto in nessuno
Perché
poi ci stava pensando?
Scrollò
le spalle e corse verso casa.