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Autore: Sognatrice85    03/07/2010    1 recensioni
A Malubre, un paesino roccioso a picco sul mare, si staglia la storia tormenta di una giovane ragazza di nome Matilde. Una ragazza dal carattere docile e timido, allo stesso tempo forte e deciso. Numerose vicende familiari la tormenteranno, la vita sembrerà averle destinato solo cose brutte e per quanto lei si sforzi di credere nel futuro con coraggio, nulla attorno a lei risponde positivamente. Neanche l’amore sembrerà donarle gioie…ma ben presto le cose cambieranno e sarà solo Matilde l’artefice del suo destino…
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1 A quanto pare è periodo di aggiornamenti per me.
Stamane mi sono svegliata con questa storia nella testa e sono riuscita a terminare il primo capitolo.
Non so quanto riuscirò a scrivere il secondo.
Ormai sono costretta a correre dietro alla mia ispirazione vacillante!
Mi aspettate?

Emmetti: ti ringrazio per le tue parole. Spero che questo primo capitolo ti possa piacere. Attendo di sapere cosa ne pensi.

Angyr88: grazie perchè segui anche questa mia storia. Scusa se non stacco troppo le frasi, ma non mi piace come viene. Però giuro che mi sono impegnata a farlo, ma non credo di esserci riuscita XD. Bacio.

Lady Jadis: le tue recensioni mi sanno sempre incantare. Le tue parole mi entrano dentro e non se ne vanno. Grazie perchè tu credi veramente in me e so che con la mia decisione, ti ho delusa. Vorrei davvero essere così brava come dici...chissà forse un giorno imparerò a credere in me stessa. Ti voglio bene e grazie di cuore.


Vampieratta Cullen: io ti devo delle scuse per ieri. So che ti ho fatto star male. Quello che mi hai detto è vero e spero che saprai perdonarmi. Il tuo sostegno mi dà forza sai? Si tanta...grazie principessa. Ti voglio bene.

Grazie a chi mi sostiene.
A chi mi legge.
A chi recensisce.
A mi chi sopporta.
GRAZIE!


Capitolo 1

 

Quando la sua nobile famiglia l’aveva trascinata in quel paese, Matilde aveva poco più di tre anni e già all’epoca, era una bambina dall’aspetto aggraziato ed elegante e attirava gli sguardi degli adulti. Ogni qualvolta sua madre, Patrizia, la portava in giro, gli anziani di Malubre amavano fermala e chiacchierare con lei, complimentandosi per la bellezza eterea della sua bambina: carnagione chiara, occhi di un verde così intenso da non sembrare veri e morbidi boccoli d’oro fasciavano il suo viso paffuto. 
Era la copia esatta di suo padre, ma gli occhi erano profondi come quelli della madre.
Patrizia era di origine nobile, suo padre, Adriano Della Valle, era un Conte dell’alta Toscana e prima ancora che nascesse, l’aveva promessa in sposa al figlio del suo più fidato amico, nonché Conte anch’egli, Savio Martines. Suo figlio, Lucio, aveva appena due anni e non poteva certo immaginare, che quel grazioso rigonfiamento sul ventre della Contessa Della Valle, racchiudesse la donna che in un futuro non lontano, sarebbe diventata sua moglie.
Strano che queste cose accadessero ancora negli anni Ottanta, nessuno opponeva resistenza, le poche famiglie nobili rimaste, infondo, non infastidivano nessuno, vivevano la propria vita, non dando mai nell’occhio, anzi avevano piacere a mescolarsi tra la gente comune e relazionarsi con loro. 
Era rimasto davvero ben poco, della diffidenza e della superiorità della vecchia classe nobiliare.
Patrizia era una donna molto bella: alta, capelli lisci, bruna, carnagione scura e non aveva mai osato disubbidire ai genitori, anzi di buon grado aveva accettato, all’età di 15 anni, di essere ufficialmente fidanzata con Lucio Martines.
Ricordava ancora il loro primo incontro a scuola, quando i loro rispettivi genitori, li avevano fatti conoscere; avevano passato tutti quegli anni a scrutarsi alla lontana, rivolgendosi rare volte la parola; sapevano perfettamente qual era il loro destino e non lo rinnegavano, i discorsi dei loro genitori li avevano ascoltati più volte, nascosti dietro l’enorme porta che dava sul salone di casa Della Valle. 
Quando poi a 20 anni erano convolati a nozze, erano stati felici, la cerimonia tenuta in un casale di proprietà dei Martines, era stato riservato a pochi intimi e non aveva deluso nessuno, neanche i due giovani neosposi. Il viaggio di nozze, durato più di 20 giorni, era stato delizioso: erano volati di città in città, scoprendo le bellezze artistiche racchiuse in ogni piccolo angolo del mondo e la loro prima notte di nozze, a parte l’imbarazzo iniziale, era stata perfetta. E proprio quella notte era stata concepita, la piccola Matilde.
Ella nacque una splendida mattina del mese di maggio, dopo un travaglio durato ben 3 ore. Erano le 10:00, quando il pianto di una bambina irruppe nella sala parto della clinica privata di Malubre e le urla di dolore di Patrizia s’erano placate; Lucio era rimasto accanto a lei, aveva assistito al parto, non abbandonando neanche per un secondo la sua mano.
Una dimostrazione d’amore che pochi uomini erano in grado ancora di fare.
Gli anni erano passati e la piccola Matilde era cresciuta, mai una volta i suoi genitori le avevano impedito di frequentare i ragazzi del paese, nobili o meno non importava, ma suo padre voleva che seguisse le tradizioni di famiglia e che accettasse di essere promessa sposa ad un ragazzo che, a tempo debito, avrebbe deciso per lei. Fino ad allora però, Patrizia si era opposta, voleva che la figlia fosse libera di fare le sue scelte e siccome Lucio credeva molto nella moglie, lasciò cadere l’argomento.
Purtroppo però, qualche mese dopo, Patrizia fu colpita da un malore; con i dovuti accertamenti, la famiglia Martines scoprì che la donna era malata di cuore da bambina e che ormai non c’era più nulla da fare se non attendere che le cure potessero fare effetto. Nonostante la giovane età (Patrizia aveva astento 33 anni), il suo cuore sembrava averne molti più. 
La notizia sconvolse tutto il paese, Lucio non si dava pace, aveva costruito tutta la sua vita attorno al rapporto con sua moglie e ora che c’era il rischio che potesse andarsene via per sempre, non sapeva più cosa fare. Sette mesi più tardi, esattamente a dicembre, Patrizia spirò, lasciando un gran vuoto attorno a sé. Quella morta generò tutta una serie di conseguenze che si riversarono soprattutto sulla piccola Matilde, all’epoca tredicenne.

Matilde era una ragazza dal carattere docile e allegro questo fino a quando sua madre non aveva l’aveva lasciata; gli anni successivi la videro divenire eccessivamente introversa e troppo spesso s’era sentita fuori posto, soprattutto quando in comitiva con gli amici, si parlava del proprio futuro.
Se qualcuno le chiedeva: “Come immagini il tuo ragazzo ideale?” lei tentennava, diceva che non sapeva ancora bene cosa voleva, ma in realtà conosceva esattamente chi avrebbe sposato: Christian Roche, figlio dell’imprenditore più importante di Malubre.
Suo padre, Giorgio, dirigeva un’impresa marittima che regolava e controllava i trasporti in mare di tutto il litorale toscano e si prevedeva un’estensione anche sul litorale laziale e campano “Tutto costruito per il futuro di questi due giovani” diceva lui.
Un pomeriggio caldo e assolato di metà luglio, vide Matilde, ormai sedicenne, passeggiare nel giardino pubblico che dava sulla spiaggia più grande della zona. Indossava un abito bianco di stoffa che le lasciava scoperte le gambe snelle e le braccia e ricadeva delicatamente sul seno con uno scollo a barca. Nulla di troppo eccessivo, in quel momento non le interessava attirare l’attenzione di nessuno. 
Si soffermò lungo la ringhiera che dava sul porto, trattenendo il suo sguardo sulle barche che lasciavano la baia e i numerosi aliscafi che conducevano alle Isole vicine. La brezza portò con sé la salsedine marina, la ragazza chiuse gli occhi ed inspirò a fondo, inebriandosi di quel profumo che tanto amava. Quella mattina, suo padre l’aveva portata a casa di Christian per farli ufficialmente conoscere. 
I Roche erano originari del Trentino Alto Adige, avevano ereditato dal nonno materno l’impresa marittima e da qualche anno si erano trasferiti ufficialmente a Malubre. In pochi mesi, tutti in paese ne parlavano, si trattava di bravissime persone e questo bastò a Lucio per volerli conoscere e per insistere a presentare a Christian, la sua adorata Matilde. 
Lucio credeva che Patrizia avrebbe approvato, si trattava di un bravo ragazzo, non guastava il fatto che fosse anche bello ed era certo che come era successo a loro due, anche sua figlia e il giovane Christian si sarebbero innamorati.

Attratta da un brusio di gente, Matilde scese giù la spiaggia e lì ci trovò il gruppo di amici con cui spesso usciva; erano tutti riuniti attorno ad un gozzo trascinato sulla spiaggia e silenziosi ascoltavano un ragazzo che parlava. Incuriosita, la ragazza s’avvicinò e s’accostò ad un paletto di legno e muta, ascoltò anch’ella le parole di quel ragazzo di cui non riusciva a scorgere il volto.
“Beh…questo è quanto” concluse il ragazzo “Resterai qui per molto?” chiese curiosa Annabella, lui la fissò e sorrise, facendole mancare il fiato “Non lo so, dipende da come mi tratterete voi belle pulzelle” e ammiccò malizioso, procurando un evidente rossore sulle guance della ragazza. Matilde scosse il capo e roteò gli occhi in cielo, detestava quegli stupidi discorsi da maschio; proprio in quel momento il ragazzo misterioso si alzò e lei poté finalmente vederlo: il giovane era alto, carnagione scurissima, nero come la pece, capelli ricci e folti.

E’ totalmente diverso da Christian” si trovò a pensare lei, senza alcun motivo evidente. Christian era alto, pelle chiara come quella di Matilde, i capelli biondi a spazzola e gli occhi erano castano scuri.

Il misterioso ragazzo voltò il suo sguardo di lato e incrociò quello della piccola Matilde. 
Per un momento interminabile si scrutarono, si studiarono: gli smeraldi di lei annegarono in quelli neri degli occhi di lui. 
Matilde non aveva mai visto degli occhi di un colore così intenso e lui, Giacomo, non s’era mai accorto di quanto potessero essere stupendi le iridi verdi.
Un’emozione rubò ad entrambi un battito e fu il vociare degli altri a rompere la bolla di sapone creatasi attorno a loro 
“Matilde che ci fai qui?” gridò Francesco alzando le mani per salutarla. 
Sia Giacomo che la diretta interessata si voltarono verso di lui che poi corse incontro alla ragazza, arrossita per tutta quell’attenzione.
“Facevo un giro e vedendovi tutti qui, mi sono avvicinata” disse timidamente scostandosi dal palo, facendo qualche passo in avanti e scostando Francesco, il quale, però, continuava a fissarla con insistenza.
“Sei qui da molto?” domandò Chiara posizionandosi accanto a lei e sorridendole felice. 
Chiara era l’amica fidata di Matilde, si conoscevano dall’asilo, erano vicine di casa e condividevano tutto. “No” scosse il capo “Sono appena arrivata” rispose sorridendole “Sei andata a casa dei Roche?” le mormorò in un orecchio, Matilde annuì “E?” la incitò Chiara curiosa, tirandola per un braccio “E niente” sbuffò esasperata “E’ un bel ragazzo, ma niente di particolare” continuò, parlando piano per non farsi sentire “Per ora dobbiamo solo conoscerci, ma so già come funzioneranno le cose” bisbigliò, Chiara le prese la mano e la portò dagli altri, stroncando così, quel discorso.
“Giacomo, volevo presentarti la mia migliore amica” esordì “Lei è Matilde” disse indicandola, la ragazza si accostò alla compagna e guardò il ragazzo “Piacere di conoscerti” disse gentile, porgendogli la mano “Il piacere è tutto mio” rispose lui sincero, stringendola.
Di nuovo i loro petti furono trapassati da una violenta scossa elettrica e i loro respiri si velocizzarono.
Si trovarono entrambi a chiedersi cosa stesse succedendo.
 

Chiara e Matilde stavano tornando a casa insieme, apparentemente tranquille chiacchieravano di quello che un giorno sarebbe stato il futuro della piccola nobile.
 “Ma possibile mai che tuo padre sia così convinto di quello che fa?” sbuffò Chiara innervosita da tutta quella situazione.
Non sopportava le costrizioni.
E quello che Matilde stava vivendo, era proprio una costrizione.
La giovane nobile si portò le mani alle tempie e se le massaggiò, sforzandosi di chiudere gli occhi “Cosa posso farci?” chiese, probabilmente più a se stessa. “Mamma non voleva e papà sembrava averlo accettato, ma da quando c’è lei…” le mancò il fiato, le si bloccò nel petto, facendola annaspare.
Purtroppo qualche anno dopo la morte di Patrizia, Lucio aveva conosciuto una donna ad una festa organizzata in paese da un suo caro amico.
Una poco di buono, venuta da chissà quale città.
Con abile astuzia e malizia, aveva raggirato l’uomo, il quale qualche mese dopo, invaghito, la sposò. Gianna, questo era il suo nome, detestava Matilde, la mocciosa, come la chiamava lei, desiderava liberarsene. 
Sapeva perfettamente che se fosse convolata a nozze in giovane età con un altro nobile o comunque con un ragazzo di uno status socio – economico elevato, l’eredità sarebbe rimasta alla famiglia Della Valle. Almeno così citava il testamento che faceva fede alle volontà del padre di Lucio. Così non appena lo scoprì, Gianna cominciò a tessere la sua trappola e dopo diverse manipolazioni, soprattutto di natura fisica e psichica, aveva convinto Lucio a ritornare alla sua originale idea di decidere lui stesso, il promesso sposo di Matilde, tra la schiera di giovani ricchi presenti in Italia.
La donna sapeva perfettamente come circoscrivere l’uomo. 
In paese giravano voci su una sua presunta vicinanza ad una setta di maghi, infatti spesso Matilde temeva che tali voci fossero veritiere, perché le era capitato di vedere il padre dormire troppo a lungo o in preda a crisi di panico, soprattutto quando la donna si allontanava.
La figlia più volte aveva provato a convincerlo del pericolo che correva, ma non c'era stato verso, ormai suo padre era completamente in balia di Gianna e troppe volte, la piccola Matilde s'era ritrovata a piangere ai piedi della tomba della mamma disperandosi e invocando il suo aiuto.
Ma la disperazione non l’aveva di certo aiutata.
Alla fine aveva dovuto piegare la sua grande forza alla volontà di suo padre, facendo così il gioco dell’arpia.
 

“Quindi…” disse Chiara, fermandosi e voltandosi a guardare l’amica “Dovrai sposare Christian” soffiò triste. Matilde annuì semplicemente “Non posso fare altrimenti” ammise rassegnata per il suo destino già deciso “Ma…non succederà ora, giusto?” chiese ancora l’amica “No, finirò la scuola prima. Poi ci saranno le nozze” rispose, facendo qualche passo avanti e fermandosi di nuovo “Per mio padre, l’istruzione è molto importante, ci tiene che io sia acculturata” rise amara “Che poi a cosa mi servirà, se non potrò neanche lavorare?” sputò acida, stringendo un pugno.
Chiara le si avvicinò, fissandola con quei suoi enormi occhi blu, così grandi, da poterci navigare.
Le prese la mano chiusa a pugno e la strinse nella sua, in un gesto che voleva trasmetterle quella determinazione che le stava venendo a mancare.
Si sorrisero.
Un grazie pronunciato nel silenzio di quella giornata di sole.
 

Giacomo era rimasto sulla spiaggia ad aiutare suo nonno Carlo con il gozzo.
“Figliolo, puoi tornare a casa se vuoi. Io qui ho quasi finito” disse l’uomo con un filo di voce. Ormai era anziano, ma non si stancava mai di lavorare. Il mare era la sua casa e quella barca tanto piccola, il suo rifugio da una vita fatta di solitudine.
L’abbandono della moglie, lo aveva segnato.
Nonostante questo aveva tirato su il padre di Giacomo, Rocco, con determinazione, non facendogli mancare mai nulla. Poi lui aveva trovato l’amore, frequentando l’università e s’era sposato, non tornando più in paese.
Giacomo era molto simile a suo nonno, per questo appena raggiunta la maggiore età era voluto andare nel paese d’origine del padre e vivere un’estate lì, lavorando affianco a suo nonno.
“No. Ti do una mano. Tu dovresti rientrare. Mi sembri affaticato” notò Giacomo, chinandosi per verificare che il gozzo fosse ben poggiato sugli assi di legno.
Carlo lo fissò attentamente.
Gli ricordava tanto la sua giovinezza.
Sorrise.
“Giacomo, non ti permetto di dirmi queste cose!” asserì severo, il giovane alzò lo sguardo per guardarlo. “Io sono ancora in forze. Siete voi giovani d’oggi che vi stancate immediatamente senza far nulla” disse, terminando il suo discorso con una risata gutturale. Giacomo inarcò il sopracciglio, poi scosse la testa e ridacchiò insieme al nonno.
“Se volevo poltrire, restavo a casa con papà e mamma” disse poi “Ma son venuto per lavorare con te” confessò, imbarazzandosi un po’.
Giacomo non era il tipico ragazzo che ammetteva ciò che provava.
Tutt’altro.
Faceva lo spavaldo, lo spaccone.
Un buffone che faceva ridere i suoi amici.
Un ragazzo che amava la vita e voleva divertirsi.
Nessun impegno, nessun obiettivo per il futuro.
Viveva giorno dopo giorno, non aspettandosi niente da nessuno. Tanto meno da se stesso.

“Nipote!” lo richiamò il nonno, lanciandogli una fune che lui afferrò con prontezza.
Si sorrisero.
Un sorriso di sfida.
“Attacca il gozzo. Poi raggiungimi a casa” proferì Carlo.
Giacomo si limitò ad annuire e guardò il nonno allontanarsi.
Scosse la testa e fece come gli aveva ordinato.
Fatto si voltò un’ultima volta verso il mare.
Inspirò l’aria intrisa di salsedine chiudendo gli occhi e sorrise liberatorio.
Amava il mare.
Vivendo in città, aveva sempre poche occasioni di poterlo vedere. Fortunatamente essendo suo padre originario di paese marino, lo portava spesso sulla costa e insieme godevano di quella meravigliosa e infinita bellezza.
Avevano quell’unico amore in comune.
Suo padre avrebbe voluto che seguisse la sua strada e divenisse avvocato, ma Giacomo non ne aveva voluto sapere niente.
Il ragazzo aprì gli occhi e si voltò per andarsene, ma in quel movimento incrociò un palo. Quel palo dove s’era fermata quella ragazza.
Matilde.
Era rimasto colpito dalla sua espressione.
Sembrava così triste, ma quegli occhi gli avevano trasmesso, allo stesso tempo, una strana voglia di vivere.
Una determinazione che non aveva mai visto in nessuno
Perché poi ci stava pensando?
Scrollò le spalle e corse verso casa.

   
 
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