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Autore: rolly too    04/07/2010    1 recensioni
Pietro è convinto che sia Nader quello strano. E' lui che si sta allontanando, è lui che improvvisamente sembra faticare a stargli accanto.Pietro è consapevole dei propri errori e sa che rivelarli significherebbe dire addio a Nader. Ma tenerli nascosti non è semplice, e la scelta più facile potrebbe non essere la scelta migliore.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nader siede in silenzio sulle mie ginocchia e guarda fuori dal finestrino con aria disinteressata. Una signora bionda, aggrappata al palo di sostegno, poco distante da noi, ci guarda male. Disapprova la mia mano sulla gamba di Nader o forse la sua pelle olivastra, non so. Non m'importa.
«È strano sentirti tacere.» sussurro al suo orecchio sporgendomi in avanti fino a che il mio petto non tocca la sua schiena.
«Sono solo stanco, Pietro. Lo sai.»
Certo che lo so. È così dopo tutte le partite. Non importa se vince o se perde. Esce dal campo sfibrato e rimane tranquillo per un po'. Ma di solito non tace.
«Ci guardano tutti male.» commenta poi. Ad alta voce, come fa sempre. Alcuni, che fino a pochi secondi prima avevano gli occhi fissi su di noi, si voltano in fretta in un altra direzione. L'autobus prosegue rombando la propria corsa e anche Nader continua: «Che maleducati.»
«Ti guardano perché sei bello.» lo prendo in giro soffiando piano sul suo collo.
Sorride e si lascia andare all'indietro. Si appoggia a me e chiude gli occhi.
«No.» risponde tranquillo. «Ci guardano perché io sono un ragazzo e sono seduto in braccio a te, che pure sei un ragazzo.»
«E allora? Ti dà fastidio?»
«No.»
Argomento chiuso, allora. Non c'è bisogno di aggiungere altro. Che guardino, se è quello che vogliono. Dov'è il problema?
Nader si agita un po'. Si muove in fretta, si gira di lato, appoggia la schiena alla parete dell'autobus, mi prende il volto con le mani e mi bacia. Io ricambio e quando si allontana da me gli sorrido.
Sento qualcuno che borbotta un Che indecenza, quindi mi sporgo di nuovo verso Nader e stavolta lo bacio io. Ma questa volta con un po' di passione in più. Lui ride contro le mie labbra e sta al gioco. Ma poi, dopo un po', si allontana e mette su un cipiglio severo che mi ricorda tanto quello di suo padre.
«Sei davvero un cattivo ragazzo, Pietro jan
«Tu ci sei stato.»
«Io ci sto sempre.»
Ride di nuovo e dopo non si muove più. Non gli interessano i commenti della donna bionda che si sta rivolgendo a un'altra passeggera e fa notare la nostra incredibile mancanza di rispetto. Proprio in quel momento l'autobus si ferma e sale una vecchietta tutta ossa con le sporte della spesa. Si guarda un po' intorno, in cerca di un posto, ma nessuno si muove. Faccio per chiedere a Nader di alzarsi, ma lui è già in piedi ed è già filato a recuperare la nonnina. Le prende le borse e l'accompagna accanto al sedile su cui ero sistemato e l'aiuta a sedersi senza sbilanciarsi per le brusche frenate dell'autobus, poi poggia le borse a terra, vicino a lei.
«C'è gente incivile a questo mondo, nay?» mi domanda dopo aver rivolto un sorriso alla donna. «Nessuno che si alza per far posto a una signora anziana!»
Sento dei movimenti da alcuni dei sedili alle mie spalle. Mi pare di sentire anche l'imbarazzo di chi si sente chiamato in causa. Ottimo.
«La gente è ignorante.»
«Sicuro. Non capisco proprio come si faccia a non sentirsi in colpa.» Si rivolge alla signora e procede: «Prende spesso l'autobus?»
«Oh, sì.» conferma lei con aria grave. «Ma nessuno ha più rispetto. Fanno finta di non vedermi se mi fermo vicino a loro.»
«Tremendo.» Commento. Nader annuisce e subito dopo prenota la fermata.
«Signora,» continua prima di avviarsi verso le porte d'uscita «lasci perdere questa gente ignorante e se deve sedersi lo chieda chiaro e tondo. Magari ascoltano di più.»
Non aspetta nemmeno una risposta e si allontana. Io lo seguo, trascinandomi appresso il suo borsone. Non so cosa ci tenga dentro ma pesa tantissimo.
«Spero che tua madre abbia cucinato qualcosa di buono.» mi dice mentre camminiamo verso casa. «Sto morendo di fame.»
«Un giorno o l'altro ci ridarai i soldi di tutto quello che hai mangiato in questi anni?»
«Nemmeno per sogno!» esclama. Ride ancora. «Non  ne ho così tanti.»
Si rabbuia un attimo, riflette, poi mi guarda serio e mi chiede a voce più bassa:
«Stai dicendo che sono mozahem
«Non so se sei mozam, so solo che mangi tantissimo.»
«Mozahem.» mi corregge con un sorriso. Si è rilassato e adesso cammina guardando il cielo che si sta facendo scuro. «Invadente.»
«Ah!» esclamo. Sì, me l'ha già detto qualche volta, ma io me lo dimentico sempre. Lui e il suo maledetto farsi. Conosce solo qualche parola e le ripete in continuazione, come se questo potesse aiutarlo a ricordare quella lingua che non ha mai saputo. La madre, a quanto mi dice, che è nata a Kabul e vive in Italia da più di vent'anni, non gli ha mai parlato davvero in farsi. Solo qualche parola buttata qua e là, che lui però ha imparato e che ha deciso di usare.
Mi fa infuriare.
«Parla in modo che possa capirti, Moretto!» gli dico, stizzito.
«Ehi, non arrabbiarti.» apre le mani davanti al petto in segno di resa e sorride. Sa che basta questo.
Quando arriviamo al condominio sembra rinascere. Fa le scale a tre a tre e mi lascia arrancare dietro di lui. Al settimo piano sono senza fiato, lui è fresco e riposato come se avesse volato.
«Ti odio.» gli comunico ansimando.
«Non ci credo neanche un po'.»
«Faresti bene a crederci.»
«Se mi odiassi non mi avresti baciato davanti a tutti, nay
Lo dice mentre apro la porta e mio padre è proprio lì davanti, e ha sentito tutto. Saluta entrambi con un gesto della mano, afferra la borsa di Nader dalle mie mani e la poggia in un angolo.
«L'hai baciato davanti a tutti per davvero, Pietro?» mi domanda sollevando un sopracciglio.
Io annuisco, mi avvicino al divano e mi siedo con malagrazia.
«Qualcuno, in autobus, commentava l'indecenza del nostro rapporto.»
«Ah,» fa lui con aria comprensiva «sì, immagino che una dimostrazione pratica del vostro affetto fosse il modo migliore per metterli a tacere.» sbuffa e commenta a bassa voce: «Sei identico a tua madre.»
Ed è sfortunato a dirlo nel momento esatto in cui lei esce dalla cucina, lo guarda male e poi si rivolge a me.
«Ti sta facendo un complimento, credimi.» Si volta poi verso Nader e continua: «Vuoi farti una doccia? La cena è pronta tra mezz'ora.»
«Volentieri!»  approva Nader. Trascina il suo pesante borsone in bagno e allontanandosi fa un piccolo inchino a mia madre.
«Sei una donna meravigliosa, Liliana.»
Mia madre annuisce con le labbra tese in un piccolo sorriso e gli fa cenno di sbrigarsi.
«Davvero dicevano che la vostra relazione è indecente?» mi domanda poi, accigliata.
«Sì.» rispondo con leggerezza. Sono commenti che non mi fanno nessun effetto. Che dicano quello che vogliono! Chi se ne frega.
«Alla gente piace parlare, Lilly.» cerca di placarla mio padre, ma già è troppo tardi. «Lasciali dire, qual è il problema?»
«Il problema è che non capisco come mai alle persone piaccia commentare la sessualità degli altri. Cosa gliene importa, a loro, del sesso delle persone con cui mio figlio va a letto?»
Ed era precisamente qui che non volevo arrivare... Fa sempre un brutto effetto sentirle dire certe cose. Anche perché, e la conosco e lo so bene, comincerà presto con la sua tirata sulla naturalezza dell'omosessualità e tutte queste cose che mi ripete da quando ho otto anni. E ancora non ha capito che, davvero, non m'importa di quello che dicono gli altri.
«Non vedo come possa interessare loro se mio figlio bacia un ragazzo o una ragazza. Cosa c'è di sbagliato? L'omosessualità dipende da...»
«Da un insufficiente apporto di testosterone al centro dell'accoppiamento, che si trova nell'ipotalamo, e che regola il sesso da cui una persona sarà attratta.» recito alzandomi dal divano quando sento che Nader ha chiuso l'acqua della doccia. «E dato che la frequenza dell'omosessualità è la stessa della combinazione di capelli rossi e lentiggini è la stessa, non capisci perché la gente si stupisce di due ragazzi che si baciano ma non di Pel di Carota con la faccia piena di lentiggini.» M'interrompo e sbuffo. «Lo so, mamma, e apprezzo il tuo interessamento.»
Mi dirigo verso il bagno e apro la porta. Nader non chiude mai a chiave, anche se non è casa sua, e mi guarda con un sorrisetto soddisfatto. È nudo e coperto di acqua che gocciola sul pavimento e che asciugherà poi, come sua abitudine; tiene in mano l'asciugamano che si è portato da casa e sembra essersi ripreso dalla partita.
«L'ho sentita parlare di testosterone.» mi comunica mentre inizia ad asciugarsi. Mi siedo sull'orlo del bidet, lo guardo e annuisco.
«Mi ha spiegato di nuovo perché sono gay e perché non capisce come mai la gente si stupisce se ci vede mentre ci baciamo.»
«Sai, io credo che sia un po' fissata. Che dici?»
«Le piace affrontare il lato scientifico delle situazioni.»
«Sì.» annuisce lui infilandosi i pantaloni. «Ma quando una mi chiede se voglio del monossido di di-idrogeno...»
«È soltanto acqua. Ormai dovresti averlo imparato.» sbuffo. «Lo sai che è fatta così.»
«Se tu dopo tre anni non hai ancora capito cosa vuole dire mozahem, allora non vedo perché io dovrei sapere che il monossido di di-idrogeno è acqua.»
«Tu hai dieci in chimica!» protesto ancora, indignato. E ti rifiuti di passarmi i compiti, aggiungerei, ma taccio perché so che una frase simile può guastargli l'umore per il resto della giornata.
«Certo che ho dieci in chimica, mancherebbe anche che non fosse così! Papà mi ucciderebbe e sai che è capace di farlo.»
Ma certo che l0 so. Il suo terribile padre super-chimico, che lavora in una super-casa farmaceutica americana e ritiene che io sia un super-rompiballe. Me l'ha detto miliardi di volte.
«Sì, sì.» lo guardo mentre afferra la maglia pulita che si è portato da casa e continuo: «Ma è mai possibile che ti ci vogliano ore per vestirti? Se non ti sbrighi mia madre butta giù la porta e viene a recuperarti così come sei.»
Mi lancia un'occhiata ammonitrice e chiude gli occhi.
«Mi riesce difficile vestirmi se tu continui a guardarmi. E poi, non posso fare due cose per volta.»
«Infatti.» esclama mia madre che, come supponevo poco fa, è venuta a vedere che cosa stiamo combinando. «Il tuo cervello è programmato per fare una cosa sola alla volta, dato che possiedi un basso numero di connessioni fibrose tra i due emisferi cerebrali.»
Nader mi rivolge un'occhiata eloquente e mia madre, purtroppo, la intercetta.
«È giusto sapere le cose come stanno, Nader. Comunque, la cena è pronta. Sbrigati a vestirti, dai. Pietro, vieni via.»
Obbedisco senza nemmeno provare a protestare, perché quando mi rivolge quello sguardo deciso so che è meglio non contraddirla.
Trotterello dietro a lei fino alla cucina, sperando che abbia cucinato qualcosa di buono.
«Pizza!» esclama Nader congiungendo le mani, estasiato, dopo averci raggiunti. Si siede raggiante accanto a me, mio padre gli sorride e scuote la testa.
«Allora Nader,» inizia mia madre dopo qualche minuto che stiamo mangiando. Pronuncia Nader con quella sua r dal suono tondeggiante e marcato che la contraddistingue sempre quando parla «come è andata la partita? Avete vinto?»
Lui annuisce e fa per parlare, ma a me sembra davvero dispiaciuto di dover abbandonare la sua pizza.
«Sì.» conferma. «Ma non ho giocato bene, nay, Pietro?»
«Non molto.» ammetto io.
Nader annuisce.
«Sì, infatti. Matteo il migliore in campo, direi.»
«Come sempre.»
«Pietro,» commenta mio padre con tono sorpreso «non capisco. Perché dici queste cose a Nader? Non è carino.»
«Dovrebbe mentire per fargli un piacere?» gli domanda mia madre con aria severa. «Non è molto leale.»
«Lo so, però...»
E come sempre si accorge che, forse, è meglio tacere. Lui e le sue strampalate idee. È convinto, e fermamente, che per fare piacere alla persona con cui si sta insieme bisogna mentire e dirle solo quello che vuole sentirsi dire. Diciannove anni di matrimonio a quanto pare non sono riusciti a mettergli un po' di sale in quella zucca vuota che si ritrova e a fargli capire che no, non funziona così. Fortunatamente mia madre non è dello stesso parere, dice sempre quello che pensa, soprattutto se sa che è vero, e mi ha insegnato a fare lo stesso. E Nader lo ha sempre apprezzato.
«Ma è vero!» esclama infatti a mia difesa. «Nessuno gioca come lui. E poi, io a pallavolo non sono proprio il massimo.»
«Molto meglio nel salto in alto.» commento io, che l'ho visto in azione e so cosa è in grado di fare quando è di buon umore.
«Sì, infatti. E poi, mi piace di più»
«Allora perché giochi a pallavolo?» interviene mia madre, che non riesce a concepire come si possa fare qualcosa che non piace. Ed è questo il motivo per cui ha abbandonato la facoltà di giurisprudenza a cui l'aveva indirizzata suo padre ed è diventata anatomopatologa.
«Non so.» risponde allegramente Nader. «Mia madre un giorno mi ha visto che giocavo al parco con alcuni compagni di classe, mi ha chiesto se mi sarebbe piaciuto provare a farlo in modo più serio e io le ho risposto di sì.»
Mia madre ha un sussulto, come se qualcuno le avesse gentilmente piantato uno spillo nel fianco, si sforza di sorridere e con un voce imbarazzata commenta:
«Contento te...»
Nader non coglie la sua perplessità e torna a concentrarsi sulla sua pizza. È di umore più che ottimo e non smette di sorridere nemmeno per un secondo.
È solo dopo che mia madre ha finito di lavare i piatti che lo invito ad andare nella mia stanza. Mi precede lungo il corridoio e quando arriviamo si lascia cadere sul mio letto. Mi guarda e sorride.
«Allora?»
Gli lancio il libro di matematica e mi siedo accanto a lui.
«Ecco qui. Ellisse e iperbole.»
Mi guarda scettico, poi scuote la testa.
«Non ancora, no!» esclama. «Non ne posso più di questa roba. Se solo ti decidessi a studiare non sarebbe così complicato.»
«Studiare è faticoso.»
Mi rivolge un'occhiata implorante e io mi riprendo il mio libro.
«Traditore.» lo accuso. «Dovresti aiutarmi.»
«Non faccio i miracoli, Pietro jan.» mi dice con la sua voce carica d'affetto. La usa solo quando mi chiama in quel modo e a me non dispiace, nonostante gli abbia più volte detto che mi dà fastidio. O almeno, glielo dicevo fino a quando non ha smesso di chiamarmi così davanti ad altri.
«Non ti chiedo un miracolo, ma una spiegazione.» ribatto allora.
«Quando si parla di te le due cose coincidono.» Incrocia le braccia sul petto e mi guarda con un piccolo sorriso. «Non rompere, Pietro jan
«Non sei autorizzato a chiamarmi così quando mi rifiuti un favore, stronzo.» gli rispondo, ma non sono serio e lui lo sa.
«Se mi chiami così non hai speranze.»
«Per favore!» torno alla carica allora. Stavolta lo supplico e spero davvero che ceda. Mio padre è stato chiarissimo al riguardo: un'altra insufficienza in matematica e passerò tutto il tempo che resta da qui al mio diciottesimo compleanno (centonovantasei giorni!) agli arresti domiciliari.
«No, na fahmidi, non hai capito. Se non ti metti a studiare come si deve, io non ti aiuto più.»
«Razza di bastardo!» esclamo allora, furioso. «Ma l'hai capito che se non prendo almeno sei non posso più uscire di casa?»
«Certo che l'ho capito.» risponde lui, serafico. Davvero non gliene frega niente, al maledetto! «Vorrà dire che ti verrò a trovare a casa tutti i giorni.»
«Non penso che ti vorrò ancora.»
«Allora me ne starò a casa mia, nay? Nessun problema.»
Rimango zitto qualche secondo. Lo guardo per bene per cercare di capire che cosa gli passi per la testa, ma con lui è impossibile. Sorride ed è praticamente sdraiato sul mio letto. Tiene una gamba stesa sulle coperte, con il piede che sporge oltre il bordo, l'altra appoggiata mollemente al pavimento. La testa è poggiata sul braccio ripiegato e con la mano libera gioca con uno degli spaghi del cappuccio della felpa che indossa.
E in tutto questo, io sono qui a cercare inutilmente di convincerlo a darmi una mano. Non che non abbia ragione, in effetti, ma non capisco la sua mancanza di disponibilità. Ha sempre accettato di buon grado di aiutarmi con le materie in cui ho delle difficoltà e la matematica non è mai stata un'eccezione. Ma è la prima volta che rifiuta.
«Senti,» mi dice tirandosi a sedere quando si accorge che non intendo mollare «voglio davvero che ti vada bene il compito. Te l'ho già detto un milione di volte: sai quello che c'è da sapere. Devi fare gli esercizi! Sei capace, ti ho fatto vedere come si fa.»
«Sì, sì, grazie tante.»
«Non arrabbiarti...» sussurra. Mi si avvicina e mi dà un bacio sulla tempia. «Lo faccio per te.»
Lo scosto con la mano e lo guardo male.
«Sembri mia nonna, quando fai così.»
«Tua nonna è una persona intelligente, allora.» ribatte lui alzandosi di scatto e incrociando le braccia. Parla chinandosi in avanti verso di me, incredibilmente serio. «Pietro jan, non ci sarò sempre io a spiegarti come funziona. Abbiamo già ripassato ellisse e iperbole decine di volte e so che sai come fare. Se ti sento chiedere un'altra volta di darti una mano, ti giuro che me ne vado.»
E quando fa così, a me viene sempre da chiedermi se lo farebbe davvero. Ma desisto sempre. Questa volta, però, mi ha fatto incazzare.
«Aiutami.» gli chiedo di nuovo.
Mossa sbagliata. Si raddrizza, mi guarda male, afferra la borsa che mio padre ha portato nella mia stanza ed esce. Sento che saluta garbatamente i miei genitori, poi il rumore della porta di casa che si apre e si chiude.
Non scherzava. Se n'è andato davvero.

 

 

Ebbene, è da un bel po' che ho questa storia nel computer, e oggi ho deciso di provare a pubblicare il primo capitolo, così, per vedere che effetto fa. So benissimo che ho altre due storie non complete, ma non ho nessuna intenzione di abbandonarle, soprattutto "I segreti degli altri", il cui prossimo capitolo dovrebbe arrivare entro il mese.
Ma questa storia mi ispira parecchio e ci sto scrivendo un sacco, quindi... Per quanto riguarda le parole in farsi: io mi sono affidata ai libri per confermare il loro significato, che comunque è sempre spiegato, dal momento che Nader traduce sempre quello che dice. Le ritengo importanti per il suo personaggio, quindi ho deciso di tenerle, nonostante avessi pensato di eliminarle. Le uniche che non vengono tradotte nel testo sono nay (no) e jan (suffisso che significa "caro"), dal momento che comunque, considerate le frasi, sono abbastanza intuitive.
Mi pare d'aver detto tutto.

Mi farebbe molto piacere sapere che cosa ne pensate.
Baci,

rolly too

   
 
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