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Autore: pizia    04/07/2010    2 recensioni
Sauron ha di nuovo l'Anello, ma qualcosa gli impedisce ancora di sferrare il suo attacco definitivo alla Terra di Mezzo
Genere: Drammatico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Capitolo 13 -

La fine di ogni speranza

 

I cuori e gli animi degli uomini di Rohan e Gondor si alleggerirono alla vista dell’imponente flotta che era giunta in loro soccorso: continuavano ad essere in minoranza rispetto ai loro nemici, ma ora la differenza delle forze in campo non era più così schiacciante, e, forse per la prima volta, la speranza di poter vincere sul serio quella battaglia cominciava a farsi strada nel morale delle truppe.

Dopo aver cominciato la battaglia lungo il fiume, Faramir era stato spinto dagli eventi fin dentro la città di Osgiliath. Avrebbe voluto continuare a combattere al fianco di Eowyn, per proteggerla, ma quando aveva provato a chiamarla la donna si era voltata, ma non lo aveva visto, dato che proprio in quel momento un gruppo di orchetti lo aveva accerchiato. Non ci aveva messo molto a sbarazzarsene, ma quando era tornato a cercarla con lo sguardo non aveva più visto la nipote di Theoden. Allontanandosi verso la città, Faramir pregò tutti i Valar affinché proteggessero la vita di quella ragazza tanto avventata quanto coraggiosa.

Poi era giunto il suono del corno di Gondor, che lo aveva colto nettamente alla sprovvista: grande era stato il suo sollievo quando, voltandosi verso il luogo da cui era giunto il suono, aveva visto la flotta di Minas Tirith che temeva persa per sempre. Il sollievo di Faramir non fu dovuto solo alla considerazione che nuove forze li avrebbero aiutati nella lotta, ma soprattutto dalla consapevolezza che quella era senza dubbio opera di Aragorn, e che dunque l’erede di Isildur era finalmente giunto a guidare il suo popolo.

Un attimo dopo fu però costretto ad accantonare qualsiasi riflessione: era nel cuore di una battaglia e un’orda di orchetti si stava dirigendo dritta dritta verso di lui e i suo uomini. Il primo impatto fu violentissimo, e Faramir stesso venne lievemente ferito ad una gamba: purtroppo un paio dei suoi uomini non furono altrettanto fortunati e caddero insieme ad un discreto numero di nemici. Ma se orchetti ed Uruk-hai avevano il vantaggio numerico, i soldati di Gondor avevano il vantaggio della conoscenza: Faramir e i suoi avrebbero potuto girare per le strade di Osgiliath ad occhi bendati senza dover temere di mettere mai un solo piede in fallo. Fecero così in modo di farsi inseguire dai nemici fino ad uno dei molti vicoli stretti e ciechi del centro della città, e qui, con un’astuta manovra, riuscirono a chiuderli in trappola, evitando di farsi incastrare a loro volta: fu un massacro contro cui persino gli Uruk-hai poterono poco, e azioni simili a quella di Faramir si ripeterono in più punti della città, portando i loro avversari a cominciare ad avere almeno qualche dubbio sull’esito della battaglia.

Con l’arrivo della flotta poi, la situazione era migliorata anche in riva all’Anduin, dove i soldati di Rohan guidati da Theoden ed Eomer si battevano senza esitazione, evitando che l’esercito di Sauron potesse accerchiare la città. Se Faramir e i suoi uomini erano stati salvati dalla conoscenza del luogo, quello che permetteva ai Rohirrim di non soccombere di fronte al nemico era soprattutto la presenza dei cavalli, che li poneva in una condizione di vantaggio tecnico non indifferente.

Non appena Eomer vide la figura di Aragorn svettare sul ponte della nave ammiraglia, recuperò un cavallo rimasto ormai senza cavaliere e si diresse a tutta velocità verso l’attracco delle navi.

“Non puoi nemmeno immaginare quanto io sia felice di vederti Aragorn di Gondor!” esclamò, mentre l’elmo gli nascondeva un sorriso aperto e sincero.

“Sono felice anche io Eomer, anche se ci sono stati momenti in cui ho temuto che questo non fosse possibile” rispose il ramingo, afferrando con decisione le redini del cavallo che il Maresciallo del Mark gli porgeva. “Qual è la situazione?” chiese una volta in sella.

“Sono di più, ma male organizzati, ed ora che siete giunti anche voi non giurerei nemmeno più sulla superiorità numerica! Faramir guida gli uomini all’interno della città, mentre Gandalf sta dando fondo a tutto il suo sapere, e io e mio zio guidiamo i Rohirrim qui lungo l’Anduin. Non so veramente come questo sia possibile, ma credo che possiamo farcela Aragorn!”

“Se ce l’abbiamo fatta al Fosso di Helm ce la faremo anche questa volta, amico mio!” rispose il ramingo.

“A questo punto quello che mi preoccupa è quello che accadrà dopo: ad Osgiliath abbiamo trovato orchetti ed Uruk-hai, ma riconquistare Minas Morgul non sarà semplice” disse ancora Eomer.

“Non ti preoccupare: se tutto va come deve andare alla fine di questa battaglia potremmo scoprire che Minas Morgul è già tornata ad essere Minas Ithil...” gli rispose Aragorn con una strana luce negli occhi.

“Non comprendo le tue parole, sire di Gondor...”.

“Non chiamarmi con titoli che ancora non mi appartengono, e ti basti sapere che non ho condotto con me solo gli uomini che vedi scendere in questo momento dalle navi. Altri alleati, che nemmeno immaginavo di poter avere, stanno già attaccando i pochi Nazgul rimasti a Minas Morgul”.

Eomer lo fissò per un attimo: continuava a non comprendere le sue parole, e soprattutto non riusciva ad immaginare quale tipo di alleato potesse essere tanto folle da attaccare direttamente gli spettri dell’Anello; aveva però imparato a fidarsi di Aragorn, e soprattutto aveva imparato a non considerare nulla impossibile quando c’era di mezzo l’erede di Isildur.

“Spero che tu possa aver ragione, amico mio. Andiamo quindi! Il nostro compito qui con orchetti ed Uruk-hai non è ancora finito!”

Pochi istanti dopo Aragorn ed Eomer spronavano i loro cavalli a dirigersi nel cuore della battaglia: le speranze di vittoria per l’esercito di Sauron si assottigliavano sempre di più.

 

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Eowyn combatteva meccanicamente, come se ormai fosse arrivata ad un punto in cui nemmeno più riusciva a sentire la fatica e il dolore. In quel momento stava combattendo contro un Uruk-hai il cui odore, una volta, sarebbe bastato a metterla in fuga. Quell’essere era incredibilmente resistente, o forse era l’intensità dei suoi attacchi che ormai non era in grado di disturbarlo più di tanto. Lei però non era disposta a farsi sconfiggere da una creatura tanto disgustosa, e con l’aiuto dei quattro hobbit, che lo attaccarono alle spalle, riuscirono prima ad atterrarlo e poi a finirlo senza farsi nessuno scrupolo.

“Siamo una grande squadra!” squittì Pipino al colmo dell’eccitazione, e tutti si concessero di sorridergli, approvando, prima che altri orchetti gli fossero addosso.

Merry e Pipino, memori degli insegnamenti di Boromir sembravano cavarsela un po’ meglio di Frodo e Sam.

“Questo è per averci rapiti in quella maniera!” esclamò Merry, assestando un colpo al suo avversario talmente violento che lo stesso hobbit dovette subirne il contraccolpo, finendo con le gambe all’aria. Per fortuna sua al suo avversario era andata peggio, ed era stramazzato al suolo con il cranio aperto in due.

“E questa è perché volevate mangiarci!” gli fece eco Pipino, uccidendo un altro orchetto.

Ad Eowyn venne quasi da ridere pensando che in fondo il suo improbabilissimo gruppo non se la stava cavando poi così male, ma il sorriso le morì sulle labbra, mentre il sangue le si gelava nelle vene: dei versi spettrali, che sembravano provenire direttamente dal regno dei morti, si diffusero nell’aria, paralizzando uomini e orchetti alla stessa maniera.

Persino Aragorn, che sapeva di cosa si trattava, non riuscì a reprimere i brividi.

Anche Frodo aveva riconosciuto fin troppo bene quelle urla, e il ricordo dei suoi ultimi istanti nel mondo degli spettri si ripresentò di colpo vivido ed insopportabile alla sua mente: era l’urlo dei Nazgul.

Immediatamente però si riprese riflettendo sul fatto che l’unica volta che aveva sentito urlare in quel modo quelle creature era stato quando Aragorn le aveva uccise: Frodo non avrebbe mai potuto immaginare chi stesse combattendo contro di loro, ma chiunque fosse stava dando del serio filo da torcere agli spettri dell’Anello.

 

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Finalmente il loro viaggio era terminato, erano giunti a destinazione: erano penetrati fin nel cuore di Mordor.

Il Monte Fato si stagliava con i suoi osceni bagliori contro il cielo plumbeo di quelle contrade desolate, ma non era più quello il loro obiettivo: la loro meta svettava nera come la notte, come se fosse in grado di assorbire ed imprigionare anche quella poca luce che riusciva a colpirla.

La Torre Nera di Barad-dur era a pochi chilometri di distanza da loro, ed ora che vi erano tanto vicini più di un membro del piccolo manipolo sentì il terrore crescere nel cuore e la determinazione venire meno.

Nessuno però disse una sola parola: dei compagni ed amici erano periti per permettere loro di giungere sino a quel punto, e tornare indietro avrebbe significato rendere vane le loro morti e condannare altri amici alla stessa sorte: di quelli che erano partiti solo una ventina tra Elfi e Nani avevano raggiunto Mordor. Gli altri erano caduti sotto le armi nere di Sauron negli stretti cunicoli o nelle terrificanti fauci di un ultimo erede di Shelob.

Legolas stesso aveva rischiato seriamente di diventare il pasto di quel piccolo mostro e solo la prontezza di riflessi di Mariel e la pesantezza dell’ascia di Gimli l’avevano salvato da quell’orrenda fine.

“Ehi orecchie a punta: questo vale almeno venti orchetti!” aveva esclamato il nano, porgendo a Legolas la piccola mano rugosa per aiutarlo a rialzarsi.

“Questo vale la mia eterna riconoscenza Gimli: ti devo la vita” aveva affermato l’elfo.

Gimli bofonchiò qualcosa di incomprensibile, imbarazzatissimo, mentre Legolas gli poggiava con fare solenne una mano su una spalla, in segno di ringraziamento. Prima di allontanarsi dalla tana del ragno le diedero fuoco, per bruciare il mostro e qualsiasi uovo potesse aver deposto.

Ora però che erano a pochi chilometri dal centro di tutto il male, persino l’incontro con l’erede di Shelob non pareva più così terrificante.

“Bene a quanto pare ormai ci siamo” disse Mariel in un sussurro, e Legolas le strinse gentilmente la mano per farle e per farsi coraggio.

“Non ci sono molte guardie in giro” osservò Gimli.

“L’attacco deve essere riuscito alla perfezione se hanno dovuto sguarnire fino a questo punto la torre” gli fece eco un nano.

“Sì, ma stiamo attenti lo stesso: anche se non si aspettano forse di venir attaccati proprio nella loro fortezza, probabilmente sanno della nostra presenza e certo non ci renderanno vita facile. E poi non c’è bisogno di troppe guardie là dove Sauron stesso, e Saruman vegliano. Non lasciamoci ingannare: il difficile viene ora...” disse un elfo, molto preoccupato dall’apparente tranquillità del luogo.

“Forza, andiamo, e teniamo gli occhi ben aperti: non credo che saremo i benvenuti a Barad-dur” disse Mariel, cominciando ad avanzare silenziosamente, seguita da tutti gli altri.

 

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Le urla che provenivano da Minas Morgul erano sempre più agghiaccianti.

Aragorn si era letteralmente sgolato nel tentativo di rincuorare gli uomini, e di far comprendere loro che tutto stava andando bene, ma qualcuno non aveva resistito alle voci terrificanti dei morti ed era fuggito.

“Aragorn, ma cosa...?” gli domandò Eomer, tornandogli vicino.

“Gli Spettri dei Sentieri Morti hanno attaccato i Nazgul nella loro stessa tana” spiegò brevemente il ramingo.

“Ma è assurdo!” mormorò il nipote di Theoden.

“Lo so Eomer, ma è da tempo ormai che non vedo più cose logiche: dopo che li ho sciolti dalla maledizione di Isildur, dopo che mi avevano aiutato a recuperare la flotta di Gondor, hanno deciso di loro iniziativa di continuare ad aiutarci. Non mi chiedere perché lo abbiano fatto, figlio di Eomund, perché non conosco la risposta a questa domanda, ma sta di fatto che in questo momento stanno affrontando gli spettri dell’Anello, e questo mi basta”.

“A quanto pare hai ammaliato anche loro, figlio di Arathorn!” esclamò Gandalf, che si era avvicinato giusto in tempo per ascoltare la spiegazione di Aragorn.

“Gandalf!” esclamò il ramingo, sorridendo apertamente.

“Mi fa piacere rivederti, amico mio, anche perché temevo che non ne avrei più avuto occasione. Ora però tu devi metterti al sicuro...” disse lo Stregone.

Aragorn lo guardò per un istante come se fosse impazzito.

“Non guardarmi così, re di Gondor. Non so per quale motivo, ma Sauron ti vuole, e se cadi nelle sue mani siamo perduti” si giustificò il vecchio.

“So benissimo che Sauron mi vuole perché più di una volta ho dovuto sventare i suoi attacchi. Ma se l’Oscuro Signore mi vuole, deve venire a prendermi, e nel frattempo io non me ne starò buono ad aspettare che questo accada! E poi se dovessi cadere in battaglia tutti i suoi piani andrebbero a rotoli...” ripose il ramingo.

“Non mi piacciono le tue parole, Aragorn!” esclamò Gandalf.

“Non sto dicendo che cercherò di farmi ammazzare. Sto solo dicendo che non me ne starò con le mani in mano: siamo alla resa dei conti Gandalf e non ho nessuna intenzione di ritirarmi dai giochi proprio ora, anche se questo è un gioco che non avrei mai voluto cominciare a giocare!” rispose Aragorn con decisione.

Nonostante tutto Gandalf sorrise: Aragorn era sempre stato un uomo coraggioso e sprezzante del pericolo, ma ora c’era in lui una determinazione che prima non c’era mai stata. Aveva accettato, anche se forse malvolentieri, il suo destino e si comportava di conseguenza. In lui non aveva quasi mai visto tracce della sua ingombrante discendenza, ma in quel momento gli sembrava di avere di fronte Elendil stesso, forte, determinato e giusto. Sapeva che non sarebbe riuscito a convincerlo a mettersi al riparo, e questo lo lasciava abbastanza preoccupato, ma in quel momento l’ammirazione per quello che era diventato era più forte del rammarico per la sua testardaggine.

 

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L’esercito di Elfi e Nani stava lentamente avendo la meglio su quello degli orchi e degli Uruk-hai di Saruman.

Le perdite erano ingenti, ma certo non paragonabili a quelle inflitte al nemico.

I quattro re che prendevano parte a quella battaglia erano ancora vivi, anche se un brutto squarcio si apriva sulla coscia sinistra di Celeborn e la mano destra di Thorin sanguinava copiosamente.

Ad onta di qualsiasi ferita, il re della Montagna Solitaria continuava a brandire la sua ascia, mentre il signore di Lothlorien continuava ad alternare l’uso di arco, pugnali e spada senza dar troppo peso al dolore alla gamba.

Mentre combatteva, Elrond sentiva rinascere in sé sentimenti che credeva ormai sopiti. Dopo la battaglia della seconda era si era ripromesso che mai più sarebbe sceso su un campo di battaglia: non era codardia la sua, ma semplice disgusto. Adesso però che gli avvenimenti lo avevano costretto a tornare ad impugnare le armi, sentiva ruggire dentro di sé l’antico guerriero, e sentiva soprattutto montare furiosamente quella rabbia contro Sauron e Saruman che fino ad allora era riuscito a tenere a bada: aveva scelto la strada degli Elfi, ma nelle sue vene scorreva sangue umano, quello stesso sangue che in quel momento gli ribolliva nelle vene. Non amava sentirsi in quella maniera, ma doveva ammettere che quella rabbia era una buona alleata in battaglia. Se gli uomini fossero riusciti ad incanalare e controllare sempre i loro sentimenti sarebbero stati creature molto più potenti, ma il più delle volte non riuscivano a dominare le loro sensazioni, diventandone schiavi, e per questo deboli e corruttibili, proprio come era accaduto ad Isildur quando era entrato in possesso dell’Anello del Potere.

La battaglia si era spostata poco a poco più verso ovest, e ormai il passo di Morannon era ben visibile sulle montagne di fronte a loro: quando fossero riusciti a sbarazzarsi dei loro nemici si sarebbero riversati direttamente nei confini di Mordor e attaccato la Nera Torre. Quell’obiettivo era ancora lontano, dato che erano ancora molto numerosi i nemici che si opponevano loro, ma la fiducia era rinata nei cuori di Elfi e Nani quando avevano potuto concretamente constatare che nuovi mostri non arrivavano più a rimpiazzare quelli caduti, ed ora quella che era sempre parsa una meta irraggiungibile non lo sembrava più poi così tanto.

 

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“Qui sta andando tutto storto!” squittì istericamente Vermilinguo. “C’è bisogno di più Uruk-hai. Perché non ne produciamo altri?”.

Saruman era al limite della sopportazione: la viltà e la stupidità di quell’essere spregevole lo irritavano da tempo, e lo Stregone dubitava che sarebbe riuscito a sopportarlo ancora a lungo.

“Abbiamo bisogno di alberi, come quelli di Isengard: ti sembra per caso che queste terre siano talmente rigogliose da fornirci tutto quello che ci serve? E comunque ci vuole tempo, e l’attacco che ci hanno sferrato è stato molto più violento del previsto. Se solo quel maledetto ramingo non fosse arrivato con le navi e i suoi maledettissimi spettri...” spiegò rabbiosamente.

“E i Nazgul? Cosa aspettano ad entrare in azione? Cosa aspettano a portare qui l’erede di Isildur e la mia dolce Eowyn? Perché se ne restano a Minas Morgul senza fare nulla?”

Il terrore di Grima Vermilinguo era quasi tangibile, concreto.

“I Nazgul sono stati attaccati dagli Spettri dei Sentieri Morti: una cosa che non avevamo previsto e che nemmeno le mie spie hanno potuto riferirci. La lotta è dura e, anche se alla fine ne usciranno vincitori, risulteranno comunque indeboliti e avremo perso del tempo prezioso”.

“Avevate detto che avremmo vinto senza nemmeno faticare, e invece guardate qui: tutti i nostri piani stanno andando all’aria e i nostri nemici presto ci stringeranno d’assedio. Sauron voleva l’anello, ma quando l’ha avuto non è cambiato nulla. Ora vuole l’erede di Isildur, ma chi ci assicura che basterà catturarlo per aver vinto la partita? In fondo credevamo che bastasse recuperare l’Unico per annientare ogni popolo della Terra di Mezzo...” urlò ancora l’uomo.

“Perché non vai a farle tu stesso tutte queste domande a Sauron!” urlò più forte Saruman, fulminandolo con lo sguardo. “Non siamo più lontani ora dalla vittoria di quanto non lo fossimo prima di recuperare l’anello. E’ vero, i nostri nemici sono giunti più in là di quanto ci attendessimo, e la conquista non sarà così indolore come avevamo preventivato, ma ogni sforzo di Elfi, Uomini e Nani, anche se dovessero giungere sino ai piedi di Barad-dur, sarà vano: quando Aragorn cadrà nelle nostre mani più nulla potrà opporsi al potere di Mordor!”

 

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La spettrale battaglia a Minas Morgul fu terrificante.

Gli ultimi due Nazgul rimasti avevano avuto l’ordine di difendere la postazione finché non fosse stato dato loro l’ordine di attaccare l’erede di Isildur. Nessuno tuttavia si era aspettato l’intervento degli Spettri dei Sentieri Morti: i Nazgul erano molto più forti di quelle anime maledette, ma ormai erano solo in due, contro un intero esercito.

Le ballate che vennero composte al termine della guerra dell’Anello per celebrare la vittoria dei popoli liberi parlarono tutte di quello scontro come qualcosa di assolutamente pauroso: nessuno vi assistette di persona, ma le poche persone che ancora abitavano le loro case nella stretta pianura dell’Ithilien, fra le rive dell’Anduin e i Monti d’Ombra, raccontarono che le urla che provenivano dall’antica Minas Ithil furono tali da poter uccidere un uomo a causa del solo terrore che incutevano.

“Solo nascondendoci nelle nostre case…” narrarono i sopravvissuti, “… con porte e finestre sbarrate e stringendo al petto i nostri cari per farci coraggio a vicenda siamo riusciti a sopravvivere al terrore. Alcuni di noi purtroppo non ce l’hanno fatta: quelle urla li hanno fatti impazzire a tal punto che hanno preferito gettarsi nel Grande Fiume o nei focolai delle loro stesse case piuttosto che sentire anche solo un’altra volta una di quelle voci d’oltretomba”.

L’esito di quella battaglia fu un altro colpo duro per le forze di Sauron: i Nazgul, indeboliti dallo scontro, furono costretti ad abbandonare per sempre Minas Morgul. Dopo secoli di buio, la città di Isildur tornava a vedere la luce. Dopo secoli di tenebra, Minas Morgul tornava ad essere Minas Ithil, la perla dell’Ithilien.

Seguendo un espresso ordine di Aragorn, gli Spettri dei Sentieri Morti non inseguirono i Nazgul e si limitarono ad occupare la città, in attesa di riconsegnarla nelle mani dell’erede di Isildur e di lasciare, finalmente, la Terra di Mezzo. I Nazgul, cacciati, non poterono far altro che affrettare i loro piani ed attaccare Aragorn e la dama di Rohan prima che da Mordor giungesse l’ordine.

 

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L’impeto della battaglia aveva separato di nuovo Eowyn e Merry da Frodo, Sam e Pipino: fino a pochi minuti prima il gruppo era stato unito, ma poi l’ennesimo attacco da parte di un gruppo di orchetti era riuscito prima a dividerli e poi ad allontanarli.

Eowyn era molto preoccupata per la sorte dei tre piccoli uomini, ma un attacco particolarmente violento la fece riflettere sul fatto che lei non era meno in pericolo dei tre hobbit e che quindi, se voleva restar viva, doveva bandire dalla sua mente qualsiasi pensiero che non riguardasse il come affrontare il suo nemico. Ogni tanto alle sue orecchie giungevano le grida di suo fratello, che guidava l’attacco da parte dei Rohirrim, oppure quelle di Aragorn che, con la sua sola presenza, sembrava in grado di terrorizzare i nemici e rincuorare gli uomini, di Gondor o Rohan che fossero.

Eowyn cominciò a pensare, per la prima volta da quando aveva lasciato Edoras travestita da cavaliere, che potevano farcela e che forse anche lei sarebbe riuscita a giungere viva alla fine della battaglia. Intorno a lei i cadaveri dei nemici caduti sotto i suoi colpi erano molti di più dei graffi che poteva contare sul suo corpo, e per Merry si poteva dire più o meno la stessa cosa: stentava a crederci, ma tutto sommato non se la stavano cavando male.

Fin troppo presto tuttavia, la ragazza dovette ricredersi: prima erano stati solo due piccoli punti neri nel cielo all’orizzonte, ma si avvicinavano velocemente, ingrandendosi e cominciando a rivelarsi per quello che erano…

“I Nazgul!” urlò Merry, riconoscendo le creature che avevano dato loro la caccia durante il lungo viaggio dalla Contea a Gran Burrone.

Quando furono abbastanza vicine, le due creature si separarono: Eowyn non ebbe modo di comprendere dove si dirigesse la prima, dato che fu subito abbastanza evidente che la seconda stava puntando dritta dritta su di loro.

Eowyn sentì il sangue ghiacciarglisi nelle vene: non riusciva ad immaginare per quale motivo quel mostro avesse deciso di attaccare proprio lei, ma decise anche che non aveva i tempo per pensarci. Lei e Merry cominciarono ad attaccare la bestia che faceva da cavalcatura al Nazgul, in modo da costringere lo spettro a smontare e a combattere da terra.

La ragazza dovette presto ammettere che poteva fare ben poco: i suoi colpi, anche quando colpivano perfettamente nel segno, sembravano procurare solamente poco più che un fastidio al suo avversario, senza danneggiarlo realmente. Fortunatamente una sorte un po’ migliore toccava a Merry: la lama elfica del pugnale dono di Galadriel sembrava in grado di ferire ed intimorire il Nazgul, tanto che quest’ultimo decise per qualche minuto di trascurare la sua reale preda per dedicarsi al piccoletto che tanto gli stava dando fastidio. Non appena ne comprese le intenzioni, Eowyn prese a menare colpi ancora più rapidi e vigorosi, anche se purtroppo non più efficaci, in modo da distogliere l’attenzione del Nazgul da Merry, ma non ottenendo l’effetto desiderato, decise allora di schierarsi vicino all’hobbit per aiutarlo.

Lo scontro andò avanti così per quasi mezz’ora, con l’unico risultato di innervosire ed incattivire il loro avversario che, in un momento in cui Merry, stanco, abbassò leggermente la guardia, ne approfittò per attaccarlo, scaraventandolo violentemente lontano.

Eowyn urlò tutto il suo terrore e tutta la sua rabbia quando si rese conto che il suo piccolo amico, ormai lontano da lei, non accennava ad alcun movimento, probabilmente ucciso dal violento impatto con il terreno. La ragazza avvertì le lacrime pungerle gli occhi, mentre dentro di sé il dolore si trasformava in furia. Il suo avversario era senza volto, ma la donna era convinta che se lo avesse avuto, ora un ghigno di scherno nei suoi confronti avrebbe caratterizzato la sua espressione.

Tuttavia Eowyn si accorse che il Nazgul aveva commesso un errore: aveva scaraventato Merry lontano, ma non si era accorto che una frazione prima di essere colpito, l’hobbit aveva lasciato cadere a terra il suo lungo pugnale elfico. L’arma giaceva ora a poca distanza da Eowyn che, con un movimento rapido e improvviso, riuscì a raggiungerlo e ad impugnarlo: non aveva idea di come combattere con un pugnale, ma ora che aveva un’arma in grado di ferire il suo avversario, qualcosa si sarebbe inventata.

 

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Eomer si sentiva sopraffatto dal dolore: aveva appena visto, in lontananza e senza poter far nulla per evitarlo, suo zio Theoden cadere sotto i colpi di un Uruk-hai. L’uomo si era battuto valorosamente, come ai vecchi tempi, ma i nemici che avevano attaccato lui e la guardia di Rohan erano stati troppi. I valorosi guerrieri del Mark erano caduti uno ad uno, coprendo con il loro nobile sangue quello immondo e contaminato degli orchetti che avevano ucciso.

Alla fine era stato il turno del re: Theoden non era indietreggiato di un solo paso di fronte all’Uruk-hai con la bianca mano di Saruman impressa sul volto, a coprirgli mezzo volto. L’uomo era stato disarcionato da una freccia che aveva colpito il suo cavallo uccidendolo all’istante. Una volta appiedato, lo scontro era diventato impari: Theoden era un uomo vigoroso e abile con la spada, ma era pur sempre un uomo più vicino alla vecchiaia che alla giovinezza, contro una creatura dotata di una forza innaturale, un obbrobrio creato da un stregone impazzito con l’unico scopo di uccidere il maggior numero possibile di nemici. Theoden si era battuto come un indemoniato riuscendo, nello stesso momento in cui il suo nemico lo aveva colpito a morte, a condannarlo allo stesso destino.

Eomer aveva assistito alla scena senza poter far altro che urlare il suo dolore: quando vide il corpo del suo re… di suo zio… accasciarsi al suolo senza vita, con una rozza spada conficcata nell’addome ad attraversarlo da parte a parte, rimase immobile per un attimo, incapace di muoversi e di credere a quello che aveva appena visto.

Fu solo l’intervento di Aragorn ad impedirgli di seguire suo zio verso le Aule di Mandos: il ramingo era a poca distanza da lui e anche lui aveva visto il re di Rohan cadere. Lo aveva sempre considerato un testardo come pochi altri, ma ne aveva anche apprezzato il valore e la lealtà: lo aveva visto vacillare al Fosso di Helm, ma lo aveva anche visto reagire alle sue paure. Anche lui urlò di rabbia quando lo vide morire, maledicendo Sauron per l’ennesimo amico che quella guerra gli aveva portato via.

Quando però vide Eomer immobile, con lo sguardo fisso sul corpo senza vita dell’uomo che gli aveva fatto da padre, reagì meccanicamente, per nulla disposto a perdere un altro amico in quella giornata già sufficientemente infausta.

“Eomer!” urlò un istante dopo aver scoccato la freccia che aveva ucciso l’Uruk-hai che si stava avventando sull’uomo, approfittando della sua distrazione.

Il richiamo dell’amico e il tonfo del nemico morto alle sue spalle ridestarono il Maresciallo del Mark che, dopo aver ringraziato Aragorn con lo sguardo, riprese a battersi persino con più furia di prima.

 

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Eowyn prese a girare intorno al Nazgul, nel tentativo di disorientarlo; ogni tanto sferrava qualche pugnalata: erano poche quelle che andavano a segno, ma il suo avversario pareva innervosito da quel cambiamento di tattica. Più di una volta il Re Stregone tentò di immobilizzarla, ma la ragazza era sempre riuscita a sfuggire la sua presa mortale.

Ormai Eowyn era convinta che quel mostro non la volesse uccidere: aveva riposto il suo immondo pugnale e anche se il solo semplice tocco delle sue mani spettrali avrebbe potuto privarla di qualsiasi alito di vita, era evidente che il suo obiettivo era in realtà quello di catturarla. Eowyn non comprendeva il motivo di quell’atteggiamento, ma, quali che fossero le ragioni del Nazgul, era decisa a sfruttare la situazione a suo vantaggio: il pugnale elfico che stringeva in mano poteva ucciderlo, questo lo sapeva bene, ora dipendeva solo da lei riuscire a sfruttarlo.

All’improvviso gli si lanciò addosso: piantò il suo pugnale la dove avrebbe dovuto esserci il costato e si ritirò velocemente, anche se con grande sforzo. Il solo avvicinarsi alla creatura l’aveva agghiacciata: si era sentita attraversata per tutto il corpo da lame di gelo. Il suo nemico urlava, gravemente ferito, ma non era morto.

Eowyn sapeva che non avrebbe resistito ad una terza carica: l’avrebbe uccisa con la sua sola presenza. Aveva a disposizione solo un altro attacco: se non fosse riuscita a sconfiggerlo per lei sarebbe stata spacciata.

Notò che l’armatura sul suo fianco sinistro era completamente squarciata e la pelle sotto essa ferita.

Quando attaccate lasciate troppo scoperto il vostro fianco sinistro e così, se il vostro avversario riesce a parare il colpo, gli offrite un bersaglio troppo invitante”: i consigli di Faramir le tornarono alla mente, facendola sorridere per un istante. Non li avrebbe ignorati una seconda volta, anche perché l’armatura ormai distrutta non l’avrebbe salvata di nuovo.

Trasse un profondo respiro e si scagliò di nuovo verso il suo avversario, brandendo nuovamente il pugnale elfico. Affondò più volte la lama nel corpo etereo del Re Stregone, ignorando le gelide fitte dolorose che la trapassavano come lance da parte a parte: sentiva il suo avversario urlare selvaggiamente ogni volta che veniva colpito, ed erano queste urla che le permettevano di continuare a colpirlo senza fuggire miglia e miglia lontana da quell’essere. Sentì una mano artigliata stringerle in braccio sinistro: in pochi secondi perse completamente la sensibilità dell’arto, e fu ancora solo la sua folle determinazione ad impedirle di abbandonarsi alla morte.

Scagliò ancora un paio di colpi, guidata dal feroce istinto di sopravvivenza dato che la lucidità l’aveva abbandonata da un pezzo. Poi, d’un tratto, le urla del suo nemico cessarono, e la pesante cappa nera che gli aveva fatto da mantello cadde al suolo, solo un abito vuoto e fumante…

Eowyn ci mise qualche minuto prima di riuscire a realizzare di aver vinto: a pochi metri da lei vide Merry sanguinante per una ferita alla testa che la guardava esterrefatto.

Sentiva il suo cuore battere furiosamente e poteva anche avvertire il rantolo disperato del suo stesso respiro, mentre il suo corpo, anche se non era più avvolto nella cappa di gelo mortale emanata dal Nazgul, cominciava a cedere: prima si lasciò sfuggire di mano il pugnale, poi sentì le gambe cederle completamente, facendola crollare a terra priva di qualsiasi forza; solo il braccio sinistro non le doleva, ma quando tentò di muoverlo comprese di non poterlo fare. Aveva vinto. Aveva abbattuto praticamente da sola un Nazgul, ed ora ne stava pagando le conseguenze: riuscì solo a sfilarsi l’elmo per cercare di respirare meglio e ad abbozzare un sorriso prima di chiudere gli occhi e di abbandonarsi all’oblio.

Un attimo prima di perdere conoscenza le sembrò che qualcuno la chiamasse.

 

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Quando sentì l’urlo del Nazgul ferito alzarsi nell’aria di quel pomeriggio di battaglia, Aragorn si guardò intorno, per cercare di capire da dove venisse il suono: era completamente circondato da orchetti, ma quasi non si accorgeva nemmeno della loro presenza da quanto era ormai abituato a combatterli. Dalla sella del cavallo che gli era stato dato non appena era sbarcato menava fendenti a destra e a sinistra senza quasi nemmeno guardare le sue vittime: Anduril disegnava nell’aria traiettorie talmente veloci e precise che sembravano quasi dei ricami nell’aria.

Tentò di dirigersi verso il povero malcapitato che era stato attaccato dal Re Stregone, sentendo uno strano groppo allo stomaco che non sapeva spiegarsi; gli orchetti intorno a lui erano però troppi e gli impedivano la strada verso il Rohirrim.

Sapeva anche che l’ultimo dei re degli Uomini caduti sotto il potere dell’Anello del Potere era ancora in giro, che attendeva il momento giusto per attaccarlo e portarlo finalmente dal suo padrone. Quello che non capiva era per quale motivo il Re Stregone avesse attaccato il Rohirrim.

Aveva conquistato pochi metri in direzione del soldato quando le urla del Nazgul cessarono. Aragorn rimase stupito: il Re Stregone, colui che, secondo profezie millenarie, non avrebbe mai potuto essere ucciso da un uomo, era ora caduto per mano di un anonimo cavaliere di Rohan che si stava ora accasciando al suolo, probabilmente ferito a morte.

Il ramingo provò una violenta fitta al cuore e dalla sua gola uscì un rantolo strozzato quando vide il guerriero togliersi l’elmo e rivelare una folta capigliatura bionda: i capelli erano stati tagliati, ma Aragorn aveva impressa nella mente e nel cuore troppo bene l’immagine della Bianca Dama di Rohan per non riconoscerla all’istante.

“Eowyn!!!” urlò selvaggiamente.

Improvvisamente gli orchetti e gli Uruk-hai che lo circondavano sembrarono sparire alla vista del ramingo: si era impadronita di lui una furia persino superiore a quella che aveva provato ad Amon Hen quando Boromir era stato ucciso, e nessun nemico sembrava potergli resistere per più di qualche secondo. Facendo ricorso ad una risorsa di energia datagli dalla disperazione si aprì faticosamente una via trai nemici, intimoriti dalla sua rinnovata ed incontrollabile collera, e quando finalmente l’ultimo Uruk-hai che gli precludeva la strada verso la ragazza svenuta a terra stramazzò al suolo con la testa staccata di netto dal resto del corpo, lanciò il suo cavallo in una folle corsa, smontandone poi praticamente al volo non appena ebbe raggiunto Eowyn.

“Eowyn rispondimi ti prego…” la supplicò, prendendola tra le braccia.

La ragazza tuttavia non sembrava reagire: aveva le labbra violacee per il freddo e la sua carnagione era persino più pallida di quanto non lo fosse mai stata; il braccio sinistro era rigido come il ferro con un osceno livido là dove il Nazgul aveva stretto la sua presa, mentre il destro pendeva senza vita lungo il suo corpo. Il battito del suo cuore era poco più che un leggero ticchettio e il suo respiro un alito di vita che andava via via affievolendosi. Solo un accenno di sorriso sulle labbra bluastre la rendeva bellissima persino ridotta in quello stato. Aragorn la strinse a sé nel disperato tentativo di scaldarla, mentre le lacrime gli scorrevano incontrollate sul volto.

Fu quello un attimo di distrazione, e l’occasione d’oro che l’ultimo Nazgul rimasto attendeva: mentre ancora Aragorn stringeva Eowyn tra le braccia, lo spettro planò in picchiata su di lui, mentre gli artigli della sua mostruosa cavalcatura si stringevano in una morsa d’acciaio attorno alla sua vita e a quella della ragazza.

Il ramingo fece appena in tempo ad udire le urla di Eomer che tentava di metterlo in guardia dal pericolo imminente, ma non poté in alcun modo opporsi alla cattura e nemmeno poté allontanare da sé Eowyn in modo che almeno lei potesse scampare a quel destino.

Quando gli artigli della bestia si stinsero attorno a lui, penetrandogli nella carne persino attraverso la pesante armatura, tutto quello a cui riuscì a pensare fu che era stato tutto inutile: ancora una volta aveva fallito, proprio come Isildur: quella maledizione non era ancora spezzata…

  
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